Le Fortificazioni della Lombardia |
CANALI - SERTOLI |
Sondrio |
Come si presenta l'opera oggi
Sorge su un ampio pianoro sul versante sinistro della Valle dell'Adda a quota m. 1176.
Armamento principale:
Per l'armamento furono utilizzati i cannoni della 229a batteria, che si trovava in Val Camonica al Dosso delle Pertiche e che provenivano dall'armamento del forte Corno d'Aola a Ponte di Legno.
Foto d'epoca di una cupola del forte
Cenni storici:
Nel 1862 la Commissione Permanente per la Difesa dello Stato nel suo Piano Generale di Difesa propose la costruzione di un forte all'Aprica per impedire ad un eventuale nemico proveniente dalla Valtellina di accedere alla Val Camonica. Tuttavia nel piano ridotto, compilato nello stesso anno, la stessa Commissione adottò il concetto di non tenere conto delle offese provenienti dalla svizzera ed escluse pertanto la nuova opera.
Tale costruzione sarebbe
servita soltanto per difendersi da un eventuale attacco attraverso la strada
dello Stelvio, impraticabile nella maggior parte dell'anno, perché allora il
valico del Bernina non era ancora rotabile. Il progetto fu comunque inserito
ancora nei Piani Generali di Difesa redatti successivamente, fra i quali era
previsto un nuovo forte da erigersi al colle dell'Aprica con una spesa prevista
di lire 600.000.
L'ipotesi di un'opera fortificata fu in seguito nuovamente accantonata e nei
progetti redatti dalla Commissione Suprema di Difesa nell'aprile del 1899 furono
ritenuti sufficienti degli appostamenti per artiglierie da campagna, in
prossimità dello sbocco in Valtellina della strada dell'Aprica, con azione di
fuoco sia verso l'Adda sia verso la valle di Poschiavo.
Furono ritenute idonee per queste batterie la posizione Belvedere, poco prima
del colle Aprica, e quelle di Pomo e Corradini, rispettivamente ad Est ed a Sud
di Tirano.
In tutti i progetti successivi si parlò soltanto di queste batterie campali e
solo nel febbraio del 1911 l'Ufficio Difesa dello Stato ritenne opportuno
occupare con un'opera permanente le falde montane della riva sinistra dell'Adda
sopra Tirano, allo scopo principale di battere la rotabile di Val Poschiavino
sino alla massima gittata delle artiglierie.
Allo scopo fu ordinato di identificare quale posizione meglio si prestasse allo
scopo fra quelle dei Corradini, dei Canali o di Croce dei Motti.
La Commissione Suprema di Difesa nel luglio dello stesso anno suggerì di
utilizzare la posizione dei Canali e pertanto il Comando del Corpo di Stato
Maggiore, Ufficio Difesa dello Stato, il 30-12-1911 dispose di eseguire il
progetto di una opera in tale posizione, da armarsi con quattro cannoni da 149
A, con installazione in pozzi protetta da copertura metallica pesante.
Quali obiettivi di fuoco di tale opera erano indicati la carrozzabile e la
ferrovia elettrica, la Valle Poschiavino e le adiacenti possibili posizioni per
artiglieria, fra le quali Viano e Cavajone.
Inoltre avrebbe dovuto poter svolgere azione di fuoco sul fondo della Valtellina
e particolarmente verso la provenienza da Bormio.
I fondi per le nuove difese della Valtellina furono concessi nel 1912 con la
legge n. 710 del 23 giugno.
Il 2-7-1912 l'Ispettorato Generale del Genio dispose di dare corso al progetto
dei lavori preliminari per la costruzione dell'opera Canali ed il Ministero
della Guerra assegnò il 7-8-1912 una prima somma di L. 400.000.
Il 18-4-1913 fu ordinato di dare corso al progetto tecnico esecutivo, per il
quale il Ministero il 9-5-1913 assegnò la somma di L. 600.000.
Al 10 dicembre 1913 risultava ultimata la strada d'accesso mentre i lavori
dell'opera erano indicati come "a buon punto".
Allo scoppio della guerra in Europa nel luglio del 1914 il forte era ancora in
corso di armamento ed il collaudo venne effettuato nel mese di ottobre. Il costo
totale dell'opera e della strada di accesso risultò di circa L. 1.500.000.
Lo sbarramento Poschiavino era completato da tre appostamenti per artiglieria
campale, uno in caverna a Croce dei Motti per quattro cannoni da 149 G, uno ai
Corradini per quattro pezzi da 75 A e l'ultimo a Ronco per quattro pezzi da 75
A.
Lo sbarramento fu posto in stato di difesa il 18 maggio 1915, presidiato dalla
6a compagnia Esercito Permanente del 6o Reggimento Artiglieria da Fortezza e
dalle compagnie 26a e 27a Milizia Territoriale del 10o Regg. art. fort.,
rinforzate dal 6 giugno dall'VIII battaglione M.T. che rimase a Tirano.
Non trovandosi in prossimità del fronte il Forte Canali non ebbe occasione di
venire utilizzato nei primi giorni di guerra del 1915 e poco tempo dopo, a causa
della vicenda del forte Verena che in giugno era stato gravemente danneggiato
dagli obici austriaci, l'Alto Comando constatò che i nostri forti non erano in
grado di resistere alle potenti artiglierie d'assedio del nemico e pertanto
decise di estrarre le artiglierie da questi ed installarle in posizioni coperte
e di più difficile identificazione.
La disposizione riguardante il Canali venne impartita, con carattere d'urgenza,
il 12 luglio 1915 dal Comandante della 1a Armata, Ten. Gen. Brusati. I suoi
cannoni furono installati su affusti tipo Garrone ed inviati alla frontiera
Giulia.
Il 19-3-1918 il Sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito Gen. Badoglio dispose
il riarmo del forte, insieme a quello di altre opere della Valtellina e della
Valle del Chiese, ritenendo possibile una massiccia azione offensiva austriaca.
L'operazione venne effettuata, con grande difficoltà a causa della mancanza di
materiali, nell'agosto e settembre del 1918, dal personale che aveva appena
completato il riarmo del forte Dossaccio a Bormio.
Nel primo dopoguerra il
forte Canali, che in quegli anni fu ribattezzato Sertoli, rimase armato ed
efficiente e dal 1939 entrò a fare parte del XII settore della Guardia alla
Frontiera (G.A.F.), lo stesso dal quale dipendevano anche i forti di Colico (Montecchio)
e Bormio (Oga). Il Sertoli, non fu mai impiegato nel corso del secondo
conflitto. Da un rapporto per Mussolini del 1945, in vista della costituzione
del fantomatico Ridotto Valtellinese, risultava che i cannoni del forte erano
privi di otturatore e non c'erano munizioni (era pertanto considerato
"smobilitato").
Da un sopralluogo effettuato il 13-4-1946 da un ufficiale dell'Esercito risulta
che il forte era in buone condizioni, vi erano solo delle lievi infiltrazioni
d'acqua, ed era guardato da un custode che alloggiava nella caserma poco lontana
perché il corpo di guardia era inagibile. Il 7-3-1949 il Ministero della Difesa
arrivò alla determinazione di dismetterlo al Demanio pubblico.
L'alloggiamento di una cupola oggi
Notizie sull'opera:
Le caratteristiche dell'opera sono quelle
tipiche delle costruzioni similari italiane del periodo 1904-1915, scaturite
dagli studi teorici del Gen. Enrico Rocchi.
È costituito essenzialmente da una struttura in pietra e calcestruzzo,
misurante m. 70 x 15 circa, alla sommità della quale si trovavano, alloggiati
in installazioni a pozzo girevoli protette da cupola, quattro cannoni.
L'armamento era completato da cinque mitragliatrici installate in quattro
caponiere, tre metalliche ed una in muratura, che battevano completamente il
fossato.
La protezione delle murature è di circa 2-2,5 metri nella parte superiore, di
tre in quella frontale aumentata dalla presenza di sette metri di roccia. Il
forte è completamente circondato da un fossato largo otto metri e profondo
cinque e da una fascia di reticolati della profondità di dieci metri.
La polveriera ed i locali di caricamento sono collocati in posizione protetta.
L'armamento era del tipo più utilizzato per le nostre fortificazioni di quel
periodo. Era costituito da quattro cannoni modello 149/35 A, con installazione
in pozzo modello Armstrong, protetta da cupola pesante in acciaio dello stesso
tipo. Questo tipo di armamento era stato adottato nel 1903 ed introdotto in
servizio a partire dal 1905.
I cannoni furono prodotti principalmente dalla Officina Costruzioni
d'Artiglieria di Torino e dalla ditta Armstrong di Pozzuoli.
L'installazione poteva ruotare su 360deg. e permetteva un settore verticale di
tiro da - 8deg. a + 42deg., il cannone era dotato di freno e di recuperatore ed
inoltre di un congegno ad aria compressa per l'espulsione dalla canna dei gas di
combustione.
La cupola, prodotta dalle Officine di Terni, era costituita da tre segmenti in
acciaio al nichelio dello spessore di mm. 140, con sottocorazza di mm. 25.
La protezione era completata da una avancorazza divisa in vari segmenti,
disposta attorno alla base della cupola ed inglobata nel cemento, dell'altezza
di circa un metro. I pozzi dei cannoni hanno un diametro di m. 3,90 circa e sono
distanziati fra di loro di m. 10. Un impianto completo di piattaforma girevole,
cannone, cupola ed avancorazza aveva un peso di circa 100 tonnellate.
Il cannone da 149/35 A aveva una gittata di m. 12.400 con la granata da kg.
43,8, m. 12.000 con lo sharapnel da kg. 43,4, m. 14.200 con la granata
monoblocco di kg. 37.
Questi cannoni, come contrariamente si potrebbe pensare oggi, non usavano
cariche di lancio in bossolo bensì in sacchetto.
Gli esplosivi per le cariche erano conservati nella polveriera ed all'occorrenza
venivano portati nell'apposito locale dove una squadra di soldati provvedeva al
confezionamento delle cariche di lancio, di varia dimensione e peso.
Questo sistema di caricamento antiquato era stato purtroppo conservato dal
nostro Esercito anche per i cannoni di più recente fabbricazione, a differenza
di quanto facevano non solo gli Austriaci ma anche la nostra Marina Militare,
che aveva già adottato il caricamento con bossolo da alcuni anni per diversi
tipi di cannoni.
Le granate erano conservate nelle riservette al di sotto dei pozzi dei cannoni e
nei depositi al di sotto del corridoio di batteria.
Le cariche e le granate venivano trasportate ai cannoni mediante carrelli su
binari ed elevatori.
Il puntamento veniva effettuato dalla Camera di Comando, dove gli ufficiali
calcolavano le traiettorie in base alle carte ed alle tavole di tiro,
controllando i risultati attraverso la cupola di osservazione, ma era possibile
effettuare il tiro direttamente dalle cupole eseguendo il puntamento attraverso
il cannocchiale installatovi.
Gli ordini ai pezzi venivano impartiti dalla Camera di Comando attraverso un
sistema acustico utilizzante delle tubature, come avveniva sulle navi. L'energia
elettrica era fornita da un diesel, posto in un apposito locale, ma in caso di
necessità era disponibile un gruppo di batterie per l'illuminazione
d'emergenza. Purtroppo l'impianto di artiglieria è stato rimosso completamente,
ma fortunatamente non sono stati demoliti i pozzi per estrarre l'avancorazza in
ghisa e pertanto i danni alla muratura sono stati lievi.
Sono stati asportati quasi tutti gli impianti e gli infissi ma qualcosa è
rimasto e da questi si potrebbe risalire per effettuare una ricostruzione dei
mancanti.
I danni alla muratura derivano unicamente dall'abbandono e dalle infiltrazioni
d'acqua e non dal tiro delle artiglierie nemiche come per alcuni forti della
frontiera o da demolizioni per il recupero di materiale.
Un'opera di restauro e di ricostruzione filologica delle parti mancanti, sulla
base di quanto esiste nei similari forti di Oga e Colico, sarebbe possibile e
sarebbe auspicabile un intervento in tale senso, per salvaguardare il terzo
migliore forte, per stato di conservazione, di quell'epoca.
Per rendersi conto di come era un'opera militare di questo tipo in completa
efficienza di impianti ed armamento si raccomanda vivamente di visitare il forte
Montecchio Nord (Lusardi) di Colico (Co). Si tratta dell'unico rimasto intatto
sui circa 50 forti costruiti dal 1904 al 1915 lungo la nostra frontiera alpina.
Vie d'accesso all'opera:
In corrispondenza delle ultime case di Tirano verso Bormio si prende a dx per Cologna. Oltreppassatala ad un bivio si continua a salire a dx fino a una seconda deviazione; lasciata la strada che a sinistra va a Trivigno, si prosegue a dx per Canali. Da qui si individua tra le case a sx la strada per il forte, prestate molto attenzione nell'attraversare il ponticello sul fossato.