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BIOGRAFIE |
Furio Lazzarini
Cimeli di due guerre mondiali
custoditi dallo storico veneziano
Il collezionismo è una passione che aumenta
contemporaneamente al materiale raccolto. C’è sempre qualcosa di nuovo da
scoprire dietro ai “pezzi” che hai trovato magari per caso. Ci si può dedicare
alla ricerca e quindi alla collezione delle cose più disparate come francobolli,
monete, orologi, moto e auto d’epoca, bambole per citare soltanto le prime che
ci vengono in mente. Adesso poi ci pensano gli editori a sfornare, settimana
dopo settimana in edicola, nuovi generi da collezione, non c’è che l’imbarazzo
della scelta.
I
collezionisti si dividono in varie categorie: ci sono quelli “semplici” che si
accontentano di trovare oggetti l’uno dopo l’altro, chi si specializza in un
dato periodo storico (per esempio la raccolta di monete soltanto dell’epoca
romana o italiana oppure francobolli di un unico stato) e chi colleziona in base
a un retroterra culturale già acquisito, mettendo a frutto le proprie
conoscenze storiche.
Quest’ultimo è il caso del veneto Furio Lazzarini. Storico
e giornalista, abita a Cavallino-Treporti. E' un collezionista con solide basi
conoscitive e la tendenza a specializzarsi: uno dei tipi più interessanti e
affidabili di collezionista, perché davanti a un pezzo della raccolta te ne
racconta il retroterra culturale (periodo, provenienza uso che se ne faceva
all’epoca). In altre parole, di ogni suo cimelio traccia un quadro esauriente e
completo.
I frutti delle sue ricerche ammontano ormai a oltre 170 mila pezzi che
riguardano le due guerre mondiali, cosa che fa di lui uno dei maggiori
collezionisti europei di uniformi militari e di oggetti riguardanti le due
guerre; il tutto frutto di una costante capacità di ricerca, di contatti con
altri colleghi di altri Paesi, di visite periodiche ai mercatini di tutta
Europa.
Lazzarini proviene da una famiglia di origine austriaca.
La sua passione inizia nel 1953 quando la nonna materna gli regala una pistola
austro-ungarica della Grande Guerra, rinvenuta durante il restauro di una casa
di campagna. “La nonna, abitava a Trieste, e forse fu la responsabile di
questa mia passione – ricorda Lazzarini - perché mi raccontava della sua
esistenza durante le due guerre in questa città di confine, in balia ora di un
esercito ora di un altro”.
Questo fu l’impulso che lo fece diventare un collezionista di “militaria”, di
cimeli cioè riguardanti le guerre, e uno storico appassionato. Non è una
mosca bianca, visto che nel nostro paese sono circa cinquantamila i
“colleghi” , che si incontrano regolarmente durante i mercatini che si svolgono
in varie città con cadenza periodica.
Questa
sua passione lo ha portato a raccogliere almeno 170.000 cimeli che fanno di
Furio Lazzarini uno dei più importanti collezionisti d’Europa: potrebbe , ad
esempio, vestire seicento manichini con le divise di venti paesi belligeranti,
pezzi originali appartenenti alla prima e alla seconda guerra mondiale e poi
armi, bandiere ma anche scarponi usati dagli alpini sul Don; perfino un pezzo
di pane ormai fossilizzato trovato in una trincea su Piave. A significare
l’interesse totale del ricercatore anche per le forme più umili di cimeli
bellici, ognuno dei quali può raccontare una storia.
Qualcuno potrebbe chiedersi: ma questo interesse per i reperti bellici nasconde
forse un fondo di militarismo o di nazionalismo ?
Lazzarini smentisce categoricamente questa supposizione e ricorda che, fin
dall’antichità, gli eserciti riportavano a casa come trofei le armi e gli scudi
dei nemici vinti; d’altronde aggiunge, ogni nazione ha il suo museo dedicato
alla guerra, dall’Imperial War Museum di Londra a Les Invalides di Parigi.
Ora, mentre la collezione fa una leggera fatica ad ampliarsi (“diventa sempre
più difficile” dice Lazzarini), in compenso ne è nata una nuova, parzialmente
esposta in febbraio alla biblioteca civica del Comune di Cavallino - Treporti,
curata proprio da lui, che, negli ultimi tre anni, ha curato anche un progetto
espositivo dedicato all’Olocausto, del quale possiede rarissimi cimeli che, da
soli, testimoniano un orrore senza fine, quello che conosciamo attraverso le
testimonianza degli storici e dei sopravvissuti.
Una
raccolta come quella di “militària” del Lazzarini non è però fine a sé stessa,
limitata al possessore. Infatti sono state organizzate alcune mostre in sedi
prestigiose come il Museo Correr di Venezia e la Fortezza Medicea di Piombino
oltre che in altre sedi. Purtroppo, sottolinea l’instancabile collezionista
veneziano, lo Stato non prevede al momento incentivi per queste manifestazioni
causa i budget destinati alla cultura; teatro, opera, danza e qualsiasi altro
settore (salvo forse il cinema) non godono di molte attenzioni finanziarie. Un
vero peccato, conclude, perché anche con cimeli di battaglie si può imparare e
conoscere la storia che abbiamo attraversato.
E pensa già di portare all’estero, dove è già conosciuto, le sue collezioni
privandoci così di uno spaccato tangibile.Ma l’artista ha illustrato la sua
passione durante un’intervista.
Qual è stato il momento in cui le è scaturita questa passione?
Sono nato a Venezia, ma il ramo materno della mia famiglia proviene da Trieste e
fu proprio lì dove mia nonna Rosa, nel 1963, mi regalò una vecchia pistola
austro-ungarica rinvenuta nella casa di campagna durante i lavori di restauro.
Dopo quella prima pistola, che tuttora conservo, non mi sono più fermato. Ma mia
nonna fece molto di più, influenzandomi profondamente con i suoi racconti di
vita vissuta attraversando due guerre mondiali, in quella tormentata città di
confine dove passarono tutti, e dove passò la storia di tanti eserciti. Potrei
affermare di esser cresciuto a …pane, burro e cannoni, frequentando il prof.
Diego De Henriquez, buon amico di mia nonna, allora tra i più famosi
collezionisti mondiali.
E’ nata prima la passione per il collezionismo o per la storia?
Mah, direi che sono nate e cresciute assieme. Man mano che trovavo cimeli ne
approfondivo gli aspetti storici, e mi pare anche logico: ciascun reperto di un
determinato periodo o evento, rappresenta una piccola tessera della storia della
propria epoca, di cui continuerà ad essere testimonianza ed evocatore. E’ ciò
che avviene nell’archeologia classica, di cui questa rappresenta una nuova
branca, essendo già comunemente effettuate ricerche scientifiche sui campi di
battaglia, mediante scavi.
In che consistono e come sono composte le sue raccolte, per epoca, tipologia…
Comprendono 170.000 cimeli dei due conflitti mondiali, ma le collezioni sono
ancora in evoluzione, sebbene siano sempre più difficili le nuove acquisizioni.
Con essi si possono allestire 600 manichini raffiguranti eserciti, marine,
aeronautiche, di oltre venti tra le principali Nazioni belligeranti. Ho raccolto
esclusivamente materiale da campo, per meglio intenderci, costituito da ciò che
indossavano e utilizzavano i comuni mortali, improvvisamente trasformati in
soldati, e gettati nelle guerre dagli eventi, dalla storia. L’unica cosa che
potrà trovarvi è la storia bellica, assai dolorosa da ricordare, ma pur sempre
storia: quella che ricorda gli errori del passato alle generazioni future. Per
sgombrare il campo da fraintendimenti, aggiungo che dai miei interessi ho
escluso le uniformi da parata o di partito.
Accumulare cimeli di guerra, è una passione abbastanza singolare
Una raccolta - pubblica o privata che sia - ha la determinante funzione di
salvare le memorie del passato, dalla dispersione e dall’oblio. Ma sa, vorrei
ricordarle che neppure è tanto inconsueta, questa passione. Ha origini remote:
basti ricordare i carri dei legionari romani che rientravano dalla Gallia,
carichi di elmi, scudi, insegne…da esibire orgogliosamente ad amici e familiari.
Tradizione particolarmente sviluppatasi poi negli Stati Uniti e nelle culture
anglosassoni: deve ancora concludersi una battaglia, che già i trofei di guerra
sono esposti nei musei. Nel pieno del conflitto delle Isole Falkland, vidi
esposta all’Imperial War Museum di Londra l’uniforme del comandante inglese,
assieme alle armi appena catturate agli argentini. Consideri che anche
oggigiorno, un reparto dell’esercito americano di stanza in Iraq, opera per
riportare in patria gli oggetti più rilevanti, per alimentare le raccolte
museali statunitensi! In Italia il fenomeno ha sfumature diverse: di guerre non
ne abbiamo poi vinte tante, e dopo la Seconda, abbiamo anche dovuto levarci di
torno la pesantissima eredità del fascismo.
E in Italia, è egualmente rappresentato l’interesse per la “militaria”?
Meno vistoso, ma anche qui è assai sviluppato. Secondo attendibili stime, almeno
50.000 sono quanti raccolgono “militaria”, a vari livelli. E’ parecchio attivo
il mercato degli scambi, i mercatini o le grandi fiere che attirano anche
entusiasti dall’estero, ma in particolare in Veneto e Friuli, dove passò il
fronte terrestre della Grande Guerra, esistono moltissimi “neo-recuperanti”,
coloro che vanno alla caccia di cimeli direttamente nei campi di battaglia. E’
una passione che coinvolge le persone più disparate: noti collezionisti, ad
esempio, sono stati Giovanni Spadolini e Bettino Craxi, legati al tema
risorgimentale o all’epopea garibaldina. Craxi, quando ancora Presidente del
Consiglio, lo incontrai un paio di volte al “Borsino”, tipico mercatino
domenicale ambrosiano. In tempi recenti mi sono trovato col principe Vittorio
Emanuele di Savoia, scoprendolo cultore d’armi e “militaria”. Mi confidava di
conservare le uniformi del nonno e del padre, offrendosi a renderle disponibili
per eventuali mostre. Ma potrei continuare nell’elenco, sorprendendola con altri
insospettabili vip, ma è d’uopo la riservatezza!
Ha avuto anche esperienze nel mondo della pubblicistica storica?
Diverse collaborazioni con riviste francesi, inglesi, e d’altri Paesi, con
qualche centinaio tra articoli e studi monotematici. Per l’editore Albertelli di
Parma, dopo aver lavorato in redazione ho diretto per alcuni anni il mensile
“Uniformi e Armi”, prima rivista nazionale dedicata all’argomento. All’attivo ho
anche alcuni lavori sulle fortificazioni costiere del veneziano, tra cui il
libro “Gli artigli del Leon” edito nel 1997, e uno sulla Batteria Amalfi di
Punta Sabbioni negli anni di Salò, di cui è imminente la pubblicazione. Sono
anche interessato alle fortificazioni, come a tutto ciò che appartiene alla
storia militare. Sul Litorale del Cavallino, dove vivo, esiste una tra le
maggiori concentrazioni europee di forti, batterie costiere, caserme, torri
telemetriche, polveriere, bunker… risalenti all’arco temporale che spazia della
metà dell’800 fino all’ultima guerra mondiale. Presiedo un’associazione senza
fini di lucro che si occupa della valorizzazione e del recupero di questo
singolare patrimonio architettonico.
Qual è l’oggetto cui tiene maggiormente, il più raro?
Non è facile sceglierne uno, e mi è più spontaneo risponderle che conferisco
ugual significato agli scarponi in cartone della ritirata del Don, alla pagnotta
fossilizzata rinvenuta nella trincea del Piave, all’immagine sacra dipinta sul
pettorale di una corazza, così come alla decorazione d’oro appartenuta a questo
o all’altro eroe di guerra. Certo, se ci si vuol riferire al valore venale, ci
sono pure oggetti rarissimi, anche unici. Ma preferisco tornare al vero valore,
quello storico, che per me resta sempre inestimabile. D’altra parte molti
collezionisti si sentono appagati nell’ammirare la propria raccolta. Io proprio
no, lo considero sterile, misantropico! Ritengo invece debba rappresentare la
spinta per aprire nuovi orizzonti, accendere contatti, confrontare le proprie
esperienze e renderle fruibili agli altri. Penso che per condividere le proprie
conoscenze, in primis attraverso la pubblicazione di studi e ricerche. Ma a me,
stimola particolarmente l’immediatezza delle mostre tematiche, ove mi raffronto
direttamente col pubblico. Le mostre temporanee hanno un’importante funzione
didattica, rappresentando i volani che spronano la curiosità prima, e
l’approfondimento storico poi.
Mostre con quali soggetti?
Mi sono occupato di vari argomenti, a carattere storico e tecnico-militare,
spaziando su entrambi i conflitti mondiali. Dopo la prima, in Noventa di Piave
nel 1988, ho allestito una ventina di mostre temporanee, anche in sedi
autorevoli quali il Museo Correr di Venezia, la Fortezza Medicea di Piombino,
Villa Arvedi in Grezzana-Verona…Mi piace segnalare l’ultimo cui lavoro da tre
anni, sull’argomento dell’Olocausto, di cui ho approntato un originale progetto
espositivo. I rarissimi cimeli dei campi di concentramento, spesso commoventi
effetti personali, ne rievocano con enorme forza le sofferenze e gli orrori. Mi
è già difficile il “contatto fisico” con tali reperti, appartenuti alle vittime,
che provocano una profondissima emozione. Per questa mostra è già stato avviato
l’iter per l’Alto Patronato del Capo dello Stato ed è probabile che la mostra
sia realizzata con la collaborazione e il patrocinio della Regione Veneto. Si
tratta di oggetti assolutamente originali, spesso vecchi di oltre un secolo e
ancora in perfette condizioni d’uso, ma che richiedono manutenzioni costanti.
Dopo tante battaglie, ora i peggiori nemici sono diventati tarme, ruggine,
disidratazione, ossidi, muffe... Ci sono poi licenze e permessi di detenzione,
specie per le collezioni di armi, non facili da ottenere e che richiedono
investimenti per la sicurezza.
Le istituzioni riconoscono il suo impegno, la aiutano in qualche maniera?
Vuol farmi ridere? In genere le pubbliche amministrazioni hanno budget risicati,
appena sufficienti per l’ordinario in campo culturale, figurarsi per attività di
questa particolarissima natura! Ma se mi è capitato di vedere un Soprintendente
dover pagare di tasca propria una risma di carta per le fotocopie… Tuttavia,
devo segnalare che di recente il Parlamento ha varato una legge ad hoc (78/2001)
per la tutela e salvaguardia delle vestigia e cimeli della Prima guerra
mondiale, anche se i finanziamenti sono stati poco più che simbolici, e già
destinati ad un’attività sull’Altopiano d’Asiago. Riconoscimenti e attestazioni
invece, qualcuno ne raccolgo: l’ultima è la candidatura ad “ispettore onorario”
del Ministero dei Beni culturali, avanzata dalla Soprintendenza di Trieste,
adesso alla firma del Ministro Buttiglione.
In Regione Veneto, ho acceso dei contatti col vice-presidente Luca Zaia, persona che ho scoperto di grande sensibilità anche in questo campo, e che in più occasioni ha manifestato curiosità e interesse per il mondo della “militaria”. Ma lo stesso Giancarlo Galan si è attivato col Demanio, per risolvere l’annoso problema del recupero delle fortificazioni del Litorale del Cavallino (al centro della foto Lazzarini tra il vicepresidente della Regione Zaia e il sindaco di Cavallino- Treporti Vanin e l'assessore veneto Chisso), per le quali si prospetta un importante futuro come circuito museale da valorizzare, favorendo così nuove forme di turismo culturale, alternative a quelle già consolidate.
Dal sito Veneti nel Mondo