Lo scorso novembre la biblioteca
comunale di Pola ha ospitato la
conferenza Exploring Monte Grosso.
L’evento è stato organizzato per
presentare alla cittadinanza il primo
studio professionale, mai realizzato
finora, sulla staticità e il recupero di
Forte Monte Grosso. Il documento, che
include ipotesi di restauro, statistiche
e approccio di design concettuale in
modo da determinare nuovi strumenti di
riutilizzo del forte, è stato realizzato
in collaborazione con l'università Juraj
Dobrila e la Regione Istriana. La
conferenza ha visto la partecipazione di
esperti accademici ed architetti, con
esperienza in materia di valorizzazione
del patrimonio culturale locale . Focus
dell'evento è stata l'analisi delle
difficoltà e le proposte per la
conservazione del patrimonio
architettonico e storico.
FORTE
MARGHERA - Open Days e Arte Contemporanea
Da Adrifort 4
dicembre 2014
Forte Marghera è stata la cornice di due
iniziative Adrifort in ambito culturale.
Il 3 e 4 ottobre l’area della fortezza
ha ospitato gli Adrifort Open Days: due
giorni di incontri, spettacoli teatrali,
degustazioni e brevi percorsi di
esplorazione fluviale attorno alle mura.
Protagonisti il rinnovato Museo delle
Imbarcazioni Tradizionali (MIT) e il
nuovo Laboratorio del Gusto
Mediterraneo, che ha come finalità
quella di far conoscere i prodotti
tipici dei territori storicamente legati
a Venezia, come Istria, Croazia e
Albania. Giovane ed innovativa la
seconda iniziativa ospitata a Forte
Marghera: lo Schiume Festival,
piattaforma internazionale di performing
arts rivolta a giovani artisti. Il
Festival, ormai alla sua quarta
edizione, si propone di favorire
l’incontro tra il pubblico veneziano e
una comunità di artisti emergenti
attraverso un calendario di spettacoli
gratuiti.
CASTELLO
DI GALLIPOLI - Uno studio della Regione Puglia
Da Adrifort 4
dicembre 2014
E' in corso di realizzazione una
indagine conoscitiva, sotto forma di
caso-studio, dedicata all'esperienza di
gestione del castello di Gallipoli.
Scopo dell'iniziativa è identificare
possibili realtà economiche, sociali e
finanziarie da coinvolgere in un nuovo
percorso di utilizzo del Castello che
sia in linea con gli obiettivi di
sviluppo e coesione territoriale
promossi dal progetto Adrifort. Lo
studio applica tre paradigmi d'analisi:
l'attrattività turistica dell'edificio,
la disseminazione di beni e servizi
culturali e l'attenzione al territorio
come luogo di diffusione di valori.
I Forti
di Pola - Croazia
Da Adrifort 4
dicembre 2014
Il
Comune di Pola è presente in Adrifort
con un insieme di 5 fortezze che fanno
parte del sistema di difesa
austro-ungarico della baia di Pola, una
delle più importanti basi navali
dell’Impero in Adriatico nel XIX secolo.
Punta Christo è una fortezza
costruita alla fine del 19° secolo su
una piccola penisola ed offre uno
sguardo mozzafiato sulla baia di Pola.
Il complesso è molto ben conservato,
anche grazie all’impegno delle
associazioni locali, e dispone di circa
270 ambienti diversi per una superficie
totale di oltre 10.000 mq. E’ sede di
diversi eventi culturali: concerti,
festival, mostre e seminari. Il secondo
forte del sistema di difesa di Pola è
Forte Monte Grosso, una grande
fortezza semicircolare situata sopra la
baia di Zonchi ad un'altitudine di 67
metri. Insieme a Punta Christo e Munide,
rappresenta uno dei più importanti e
scenografici ingressi alla baia di Pola.
La batteria d’artiglieria Valmaggiore,
situata presso la baia Zonchi è un
edificio in pietra, con ampio parapetto,
e dispone ancora di quattro cannoni. Sul
versante est della baia, si trova la
batteria Zonchi: costruita tra il 1823
ed il 1830, venne equipaggiata con dieci
cannoni, per proteggere l'entrata a nord
del porto di Pola. E’ famosa per essere
stata, nel 1915, una delle due batterie
ad aver fronteggiato la Marina francese
nel tentativo di assedio a Pola. Infine
Forte Munide è situato sul lato
est della Baia Zonchi, sulle colline ad
un'altezza di 52 metri. Dotato di 18
cannoni, il forte proteggeva la facciata
nord del porto di Pola fino a quando non
venne distrutto da un bombardamento nel
1944.
Ufo,
missili e sottomarini nazisti Il tunnel del lago e le armi di Hitler
Da corriere del
veneto 26 novembre 2014
Tra
il 1943 e il 1944 la galleria era una
fabbrica. I racconti sul disco volante
VERONA Lago di Garda: correva l’anno
1944. Nella galleria Caproni, a Torbole
(nata come opera idraulica per far
defluire nel lago il corso del fiume
Adige in caso di piena), si costruivano
le armi segrete di Adolf Hitler. Un
pezzo di storia non molto conosciuta e
«sviscerata» dal noto regista Mauro
Vittorio Quattrina, profondo conoscitore
degli accadimenti locali durante la
Seconda guerra mondiale. È stato lui,
nei giorni scorso, a guidare e
raccontare l’epopea delle circa 70
gallerie dislocate lungo la strada
«meandro » (dopo il fascismo
ribattezzata «gardesana»), che
circumnaviga il lago di Garda alla Ntv,
il terzo canale televisivo a diffusione
nazionale di Mosca, che manderà in onda
una serie di documentari sulle fine di
Hitler in prossimità del 9 maggio, festa
nazionale della vittoria in Russia. Tra
le più importanti gallerie- bunker
gardesane vi è proprio la Caproni, che
prende il nome dall’ingegnere che fondò
le industrie aeronautiche e che, 70 anni
fa, vi trasferì la fabbrica per
costruire pezzi di armi potentissime per
l’epoca. Armi segrete naziste, accertate
dai piani di costruzione tedeschi
ritrovati e depositati a Torbole.
Nel bunker si costruivano principalmente
turbine di missili V1, pulso reattori
con testata esplosiva (una specie di
ibrido tra un piccolo missile e un
aeroplano), e V2, razzi lanciati nella
stratosfera capaci di inseguire gli
obiettivi a quattromila chilometri
l’ora, impossibili da contrastare; ma
anche V3 e V4 e aerei da caccia, come il
Me262 e Me163. «Pezzi che venivano, poi,
spediti alle fabbriche di assemblaggio
del campo di concentramento di
Dora-Mittelbau in Germania. Intorno alla
galleria sono stati trovati anche pezzi
di aerei dalle fatture molto strane:
testimoni raccontano di raggi verdi
misteriosi che si vedevano nel cielo,
per testare questi nuovi aerei che si
progettavano », spiega Quattrina. A Riva
del Garda, infatti, esisteva il centro
di ricerca sperimentale aeronautica
Herman Goering. E la letteratura degli
ultimi 50 anni si è sbizzarrita anche
nel raccontare e descrivere con disegni
i progetti di prototipi volanti di
quelli che vengono definiti gli «ufo di
Hitler ». Quattrina ha scovato al museo
dell’Aeronautica Caproni di Trento una
bobina avvolta in una scatola con la
scritta «Ufo pista Breda 1938». «La cosa
curiosa è che il termine ufo è stato
coniato molto dopo, negli anni ’50 –
spiega il regista -. Nel filmato si vede
un disco bianco per dieci secondi su una
pista da volo a Breda, nel milanese». Ma
tra Torbole e Riva si progettavano pure
mini sottomarini, come i tre prototipi
propulsione a reazione, unici al mondo,
realizzati con motori turbo jet per
lanciare i siluri a 35 nodi, quasi 70 km
all’ora, velocità impossibili per quel
tempo da raggiungere.
Di
quei tre prototipi, uno è stato fatto
esplodere e un altro è stato affondato
dagli stessi tedeschi in ritirata nelle
acque del Garda (dove si trova ancora
oggi a 300 metri di profondità), per non
farli finire nelle mani degli americani.
Ma i soldati americani trovarono
comunque i progetti delle «armi segrete
» di Hitler e se li portarono via, tanto
che nel 1950 in una base americana si
testava il lancio di un V2. Le industrie
di armi furono realizzate in molte altre
gallerie della costa occidentale del
Garda. E anche a Verona, nei quartieri
di Quinzano e Avesa. Una cinquantina i
siti trovati nel Veronese, veri e propri
bunker per l’industria bellica in tempo
di guerra. «Molte gallerie erano già
presenti - spiega Quattrina – e poiché
le forze angloamericane bombardavano
pesantemente le fabbriche in Germania,
ai tedeschi servivano siti alternativi
per continuare a costruire armi». Le
grotte del Garda, così, divennero
località molto ricercate dai nazisti,
perché erano naturalmente protette dai
bombardamenti e non troppo distanti
dalla linea ferroviaria che conduceva al
Brennero.
Tra l’autunno del 1943 e il giugno del
1944, in questo dedalo di gallerie
-bunker, furono decentrate la Breda (che
produceva mitragliatrici), la Fabbrica
Nazionale Armi, l’Armaguerra, la Fiat
motori aeronautici e altre industrie
italiane di un certo peso strategico. Fu
per questo che una parte delle industrie
aeronautiche Caproni venne spostata,
durante l’autunno del 1943 fino al
giugno del 1944 all’interno della
galleria Adige – Garda. C’è la certezza
che in quelle gallerie vennero costruite
le armi naziste perché sono stati
ritrovati i piani di costruzione
segreti, tradotti in italiano e
riportati nelle relazioni dei servizi
segreti tedeschi. E c’è anche la
testimonianza dell’ingegner De Pizzini,
il professionista che diresse i lavori
interni alla galleria.
I russi
sul Garda per svelare gli ultimi misteri di Hitler
Da larena.it del
veneto 23 novembre 2014
Dall'archivio di Mauro Quattrina: la
galleria Caproni nel tunnel Adige-Garda
Il lago di Garda nasconde molti misteri
sul Terzo Reich.
E ora la più importante televisione
russa, Ntv, è decisa a svelarli. Domani
arriverà una troupe per girare un
documentario sugli ultimi segreti legati
a Hitler. Tre in particolare. Il primo:
capire dove sono nascosti i tesori
sotterrati dai tedeschi in fuga. Il
secondo: saperne di più sulle armi
segrete, i sottomarini a reazione
costruiti nelle gallerie dell'alto Garda
e su un disco volante immortalato nel
1938 in un video militare tedesco.
Infine: accertare se lo straniero altero
e schivo che per qualche tempo visse in
una grotta nascosta sopra Toscolano,
potesse essere Hitler, come ipotizzarono
anche i servizi segreti americani che
nel 1945 mandarono i loro 007 a
cercarlo. Nel frattempo, però,
l'«eremita» si era volatilizzato. Ad
aiutare i giornalisti russi a fare
chiarezza saranno Mauro Quattrina,
regista e storico, scopritore delle
fabbriche segrete di armi sul Garda, e
Armando Bellelli, ricercatore di
Desenzano, collaboratore della
trasmissione «Mistero» di Italia Uno e
dell'omonima rivista. Partiamo dall'«oro
dei nazisti». «Il favoleggiato tesoro
nascosto dalla Wehrmacht in ritirata non
esiste», spiega Bellelli. «Esistono
invece vari tesori nascosti, frutto
delle razzie fatte durante
l'occupazione. In ritirata i tedeschi si
guardarono bene dal portare oro e
gioielli, perché se catturati a mani
vuote sarebbero stati considerati nemici
in fuga, col bottino, invece, dei
predoni e sarebbero stati subito
fucilati». Così nel dopoguerra furono
molti i militari tedeschi a tornare sul
lago di Garda fingendosi turisti e
chiedendo ai residenti dove fosse il tal
bunker o costruzione, non riconoscendo
più il paesaggio nel frattempo cambiato.
«È chiaro che cercavano quello che
avevano nascosto», continua Bellelli.
«Si dice, e ne ho la certezza, che nel
castello di Desenzano qualcosa di
prezioso venne trovato nel dopoguerra.
Ma non dai tedeschi, da un italiano.
Si racconta che nel castello il carico
d'oro fosse stato diviso in tre
nascondigli, uno dietro un muro, che fu
appunto trovato, e altri due nei
sotterranei». Facendo ricerche,
raccogliendo testimonianza,
intervistando i reduci, Bellelli è
riuscito a scoprire le zone dove
potrebbero essere stati sepolti oro,
gioielli e denaro. «Il problema è che su
molte sono state costruite abitazioni,
alberghi e alcune sono in zona
militari», continua il ricercatore. «A
Villa Duca Acquarone, a Gardone Riviera,
c'era la sede della Ortskommandantur e
si racconta che arrivarono sei casse di
lingotti d'oro dalla Francia occupata.
Nel dopoguerra i tedeschi contattarono i
proprietari della villa per fare
ricerche, ma loro li minacciarono di
chiamare i carabinieri e i tedeschi,
forse criminali di guerra, fuggirono. E
all'aeroporto di Ghedi», prosegue,
«alcuni residenti, arruolati dai
tedeschi come manovali, avevano
denunciato ai carabinieri di aver visto
sotterrare un pullmino Volkswagen pieno
di casse d'oro. Peccato che ora sopra
quell'area ci sia una pista».
Poi ci sarebbero i forzieri immersi nel
lago prima della fuga al largo di
Gargnano e il tesoro nascosto sull'isola
del Trimelone. «Ci sono tantissime voci,
come quella della cassa gettata nel
Garda davanti a Salò e quella nascosta
nella cantina di una casa privata a
Toscolano», racconta Bellelli. «Voci in
alcuni casi, ma in altri c'è più di un
fondamento di verità. Tutto il lago di
Garda», continua, «era di fondamentale
importanza per i nazisti. Basti pensare
che Villa dei cedri a Colà di Lazise
dopo l'armistizio, diventò il comando
generale tedesco dell'Italia del Nord e
fu affidato al feldmaresciallo Erwin
Rommel».
Bellelli ha anche fatto approfondite
ricerche sui bunker, scoprendone una
decina. «Il più grande che ho trovato è
quello del comando supremo delle SS a
Gardone: ha dieci stanze, un bel sistema
di ventilazione, una sala operatoria.
All'interno ho visto lattine di birra
aperte con la baionetta e altro
materiale. Purtroppo è invaso dall'acqua
a causa di lavori edili fatti sopra la
costruzione. Trovare bunker non è
difficile», rivela Bellelli. «Ci sono
tracce chiare da seguire, la prima sono
i camini di ventilazione. Una volta mi
sono accorto che uscivano da un parco
pubblico. Io sono in continua ricerca.
Il mio sogno sarebbe trasformare almeno
uno dei bunker scoperti in museo
fruibile dal punto di vista didattico».
Chiara Tajoli
Sulla
Gardesana si costruivano i missili
Da larena.it del
veneto 23 novembre 2014
Mauro Quattrina intervistato da Marco
Berry di «Mistero»
È stato Mauro Quattrina, regista e
storico, a rivelare ciò che pochi
sapevano, ovvero che nelle gallerie del
Garda lavoravano le fabbriche che
costruivano le armi segrete per Hitler.
E sarà proprio lui domani ad
accompagnare la troupe televisiva russa
di Ntv a visitare la galleria Caproni,
una delle sedi delle fabbriche belliche,
a Torbole, e un bunker nazista scoperto
nelle vicinanze.
«I tedeschi usarono due chilometri della
galleria Caproni di Torbole per
fabbricare i pulsori V-1 (a Ghedi c'era
la rampa di lancio, ndr) e i razzi
balistici V-2, usati dalla Germania
durante le ultime fasi della seconda
guerra mondiale contro Gran Bretagna e
Francia. Inoltre venivano costruite
parti degli aerei a reazione
Messerschmitt Me 262 ed Me 163, come
turbine, alette direzionali e lamierati,
spedite poi alle fabbriche di montaggio
del campo di concentramento
Dora-Mittelbau». Nelle gallerie i
macchinari erano protetti dai
bombardamenti e questo salvò parte
dell'industria italiana: all'interno dei
cunicoli furono trasferite Caproni,
Fiat, Alfa Romeo, Ducati e Beretta. «Gli
italiani erano costretti a lavorare per
i tedeschi», continua lo storico. «Tra
gli operai specializzati c'erano anche
alcuni partigiani e ciò spiega l'alto
numero di sabotaggi».
Su questo «pezzo di storia» Quattrina ha
girato un documentario, «Tunnel
Factories», dove racconta per la prima
volta in video l'esistenza delle
fabbriche di armi segrete tedesche nelle
gallerie sulla sponda occidentale e
orientale del Garda. Cercando
informazioni per il suo documentario al
museo dell'Aeronautica Caproni di
Trento, ha fatto anche un'altra
scoperta. «Una scoperta che mi ha
sconvolto», confessa. Ha trovato una
bobina, contenuta in una scatola gialla
con la scritta a pennino «Ufo pista
Breda 1938». «Peccato si sia iniziato a
utilizzare il termine Ufo solo negli
anni '50», continua lo storico, la cui
scoperta ha richiamato la troupe della
trasmissione «Mistero». «Il filmato è
originale e la scritta pure: li abbiamo
fatti analizzare e non ci sono dubbi.
Neppure gli esperti del Centro italiano
di ufologia che hanno studiato la
pellicola hanno però saputo dare una
risposta. Chi ha scritto la parola
“Ufo”», conclude il regista, «era
sicuramente una persona che teneva in
ordine gli archivi militari». Ma cosa
c'è nel filmato di così sconvolgente? «È
una ripresa fatta da un aereo in volo
che mostra il paesaggio sottostante e
vicino a un hangar si nota un grande
disco bianco, ripreso per dieci
secondi», spiega Quattrina. Un'arma
misteriosa? Un mezzo sperimentale? Un
disco volante? «Sono cauto, ma
possibilista», risponde. «Forse si
trattava di studi di ali lenticolari, ma
ci sono anche teorie supportate da
alcuni documenti del fascismo che
riportano la caduta nel '33 di un
oggetto volante alieno nel Nord Italia a
Vergiate, vicino a dove è stato girato
il filmato. Forse un giorno riusciremo a
scoprire il mistero». Sempre meno
misterioso, invece, il reticolo di
bunker presente nel Veronese. Ne sono
spuntati ovunque. Lungo la Statale 11, a
San Martino Buon Albergo, sui bastioni
di Verona, perfino all'istituto Agli
Angeli. «A Verona erano cinquanta quelli
operativi tedeschi, poi saccheggiati
alla fine della guerra», ricorda
Quattrina.
«In alcuni, però, si trovano ancora
stufe, bottiglie, medicinali, pezzi di
elmetti. Servirebbe l'intervento di
qualche politico lungimirante per
recuperare e valorizzare questi reperti
storici. Sono dieci anni che tento di
convincere qualcuno a farlo, senza
esito. Eppure ci sarebbe molto
interesse. Quando ho allestito
all'Arsenale la mostra sui bombardamenti
a Verona con foto, reperti e la
ricostruzione di un rifugio antiareo ho
avuto 13.500 visitatori in 15 giorni,
oltre alle scuole. Più persone, in
percentuale, che alle più note mostre
allestite in città». C.T.
Un
bunker per vivere
Da
ansa.it del 17 novembre 2014
I
rifugi di sicurezza Nucleari, Batteriologici e Chimici non sono più solo roba da
ricchi. Alcuni italiani, piccoli imprenditori e commercianti, hanno deciso di
difendersi da malattie e disastri comprando ripari blindati, dichiarati come
'cantine' nei piani regolatori
C'è chi scava nel
terreno per seppellire la paura in superficie. Migliaia di chilometri quadrati
di tane sparse anche in Italia, al riparo dal terrore dell'atomica, dalle guerre
e dalle epidemie. Il senso comune la chiama paranoia. Molti psicologi la
definiscono una tendenza estrema dell'istinto di sopravvivenza. Di sicuro è
qualcosa che è da sempre nel dna umano, ieri come oggi. Prima, a costruirsi i
bunker erano i dittatori, i capi di Stato ed i criminali. Poi i personaggi dei
fumetti, da Batman a Diabolik o Zio Paperone. Con una costante: la grossa
disponibilità di denaro. Oggi in Italia, invece, sono anche piccoli imprenditori
e persone della media borghesia - soprattutto del Centro Nord del Paese - che
rinunciano all'auto nuova per quella scatola di cemento blindata, al riparo del
resto del mondo.
Una cellula il più
inattaccabile possibile: dalla 'porta beton' con uno spessore di 30 centimetri
di cemento (quelle per i rifugi militari arrivano ad un metro), agli impianti di
ventilazione schermati contro le detonazioni nucleari, le cisterne d'acqua da
mille litri ognuna, sistemi radio per contatti con l'esterno, i letti con
materiali ignifughi o le vernici senza sostanze organiche volatili. Un modello
'svizzero' che sta facendo scuola: nello Stato elvetico è obbligatorio disporre
della possibilità di un rifugio in caso di emergenze. Chi ha una villa ha anche
un bunker, mentre chi non l'ha costruito può usufruire di quelli collettivi,
messi a disposizione dallo Stato sotto pagamento. In Italia, costruirsi un
rifugio antiatomico non è previsto dai piani regolatori. Perciò queste
strutture, nonostante abbiano pronte blindate e quei parametri previsti dalla
sigla 'Nbc' (Nucleare, Batteriologico, Chimico) vengono dichiarate come cantine.
Ma al posto del vino invecchiato ci sono maschere antigas.
Dalla Nato alla Batcaverna
Cambia
la storia, muoiono le profezie, ma le paure sopravvivono. E si trasformano. "Due
o tre anni fa, in occasione del 12 dicembre 2012, quando si parlava dei calcoli
dei Maya e della fine del mondo, abbiamo avuto un picco di richieste. Poi il
cliente ha cambia punto di vista. Adesso c'è Ebola...", spiega Giulio
Cavicchioli, proprietario della Minus Energie, un'azienda specializzata nella
realizzazione di bunker 'Nbc', che costruisce anche impianti di ventilazione
civile per ottimizzare le prestazioni di comfort con il minimo consumo di
energia. La Minus Energie dispone di un settore destinato solo ai rifugi ed ha
lavorato per la Nato e l'Aviazione italiana. "Il bunker dà sicurezza psicologica
- spiega Cavicchioli - . I timori sono i disastri di natura chimica, quindi
incidenti nucleari o pandemie. I clienti non sono persone molto facoltose, la
gente ricca non ha queste paure e spesso dispone di jet o elicotteri che per
loro costituiscono già una valida via di fuga". Si tratta invece di titolari di
piccole ditte, commercianti, informatori sanitari. Basti pensare che un piccolo
bunker può costare circa 30mila euro, con costi che vanno dai 1.200 euro ai
2mila euro a metro quadro. Ovviamente spesso la grandezza è direttamente
proporzionale al periodo di autonomia e sopravvivenza all'interno. Tutto è
comunque certificato secondo le norme svizzere. La società di Cavicchioli,
infatti, produce a Lucerna ed assembla e costruisce per i clienti italiani. "Il
rifugio sicurezza è l'ultima ratio. Se siamo lì è perché fuori la vita è
impossibile - spiega -. Purtroppo le persone credono di trovare una soluzione
alla morte". E la suggestione del cinema e delle serie tv soffiano sul fuoco del
catastrofismo e della fantasia. "Ho visto progetti che definirei al limite del
creativo. E inutili da realizzare. Come bunker con due accessi attraverso un
tubo tondo dove la persona deve infilarsi. Oppure un sistema - che esiste
davvero - regolato sui parametri del calendario astronomico, che illumina il
soffitto interno creando una sorta di luce solare artificiale, per conoscere la
posizione del sole in quel momento, anche sottoterra. La gente sogna di
realizzare caverne ultraprotette come quelle di Batman". Ma non hanno il
portafogli di Bruce Wayne.
Nel
bunker: in 50 mq si sopravvive 2 mesi e mezzo
Un
cubo di cemento ad una manciata di metri di profondità, di cui sono a conoscenza
solo una decina di persone. E dove non scenderanno neppure i fratelli. Un
piccolo imprenditore, attivo nel settore agricolo, si è fatto costruire in
Toscana qualche anno fa il suo bunker. La sua è una filosofia nello stile di
serie televisive come The Walking Dead. Pensa che di fronte alla necessità di
sopravvivenza ognuno deve pensare alla sua famiglia, quella stretta. "Nel mio
rifugio entreranno solo i miei figli e altre due persone, in tutto otto - spiega
l'imprenditore, che preferisce restare anonimo - Credo che il rischio di doverlo
utilizzare esista, soprattutto per le pandemie. Per esempio Ebola, anche se al
momento il pericolo mi sembra ancora lontano. Io e la mia famiglia abbiamo già
dormito nel bunker, ma solo come esercitazione". All'interno del rifugio si
entra attraverso una porta beton in cemento armato, ci sono scorte di medicinali
e viveri a lunga scadenza e maschere antigas sugli scaffali coperti da un
telone. Ma anche letti a castello, radio per contattare l'esterno, un contatore
geyger, tre cisterne di acqua da mille litri l'una, un piccolo generatore di
energia esterno a benzina che parte in automatico e che può essere avviato
manualmente in caso di esplosione nucleare. C'è anche una leva per la
ventilazione meccanica in caso di mancanza di energia, che viene mantenuta
costantemente in funzione da ogni persona a turno e che potrebbe essere attivata
anche da un bambino. Il bagno è un secchio con un sacco di plastica. C'è
un'uscita di sicurezza ed un 'autoliberatore' per aprire la porta beton portello
nel caso in cui dovesse essere bloccata dai detriti accumulati all'esterno:
grazie ad un perno si fa leva con un'enorme chiave e si spinge la porta. Tutto
studiato per affrontare la catastrofe. Ed uscirne, entro un tempo limite di 80
giorni di autonomia. "Conosco altre persone che hanno il bunker - spiega
l'imprenditore - ma loro non sanno del mio. L'ho pagato, ma non voglio mica
utilizzarlo". Insomma, di fronte a tante precauzioni, un dilemma c'è : nessuno
dei possessori di bunker 'Nbc' ha dovuto mai testarli finora. Per fortuna.
Un
nascondiglio antico
In
principio erano (solo) i dittatori. A Roma Benito Mussolini ha preceduto
Diabolik.
E aveva più di un
bunker, all'epoca quasi all'avanguardia come quelli oggi. Il rifugio sotto la
sua residenza a Villa Torlonia, aperto al pubblico nel mese di ottobre e
diventato un museo, secondo gli esperti sarebbe stato capace di sopportare anche
un attacco atomico solo con piccoli aggiornamenti tecnologici. Ricavato dalle
vecchie cantine di vino dei Torlonia, quel primo rifugio pur ben attrezzato
(aveva tre uscite: accanto al teatro, al Campo dei Tornei dove il Duce giocava a
tennis e in un pozzo) e ''nascosto'' sotto il laghetto del Fucino, non era però
davvero sicuro.
L'entrata, confusa
tra gli alberi, portava ad un corridoio lungo oltre 60 metri. C'era già un
impianto di aerazione e filtraggio, in grado di garantire ossigeno a 15 persone
per 3-6 ore, più porte antigas e antisoffio per evitare un attacco chimico.
Che siano tiranni o
gente comune pronta a dar pace alla propria ansia, la soluzione è quella di
sempre: un nascondiglio. Una manciata di metri lontano dalla luce del sole. Per
loro, la giusta distanza dalla paura.
Ancona, web reporter denunciato: ha violato il bunker atomico della Nato
Da
ilmessaggero.it del 28 ottobre 2014
ANCONA
- Avrebbe violato il bunker atomico della base Nato sul Conero il web reporter
di Castelfidardo Matteo Montesi, denunciato dai carabinieri. Violando i divieti
militari e sfidando le leggende metropolitane che parlano di missili, bombe
atomiche o addirittura basi Ufo nel cuore di pietra del monte, il blogger è
finito nei lacci di carabinieri e Aeronautica.
In aggiunta a quanto
già trapelato, ovvero la violazione della Base Nato, emerge che Montesi, a sua
insaputa, è riuscito a penetrare nel bunker atomico della struttura militare,
percorrendo un lungo tunnel con binari sul pavimento, fermando però la sua
esplorazione davanti ad una porta corazzata.
Notificata ieri dai
carabinieri a, noto web reporter e videomaker di Castelfidardo la denuncia per
essersi introdotto con altri due giovani di Recanati, in un cunicolo sotto il
Monte Conero, luogo di interesse militare, e aver filmato durante il percorso le
sue cavità. A darne notizia è stato lo stesso protagonista. «I carabinieri
contattati dall'Aereonautica Militare – ha scritto su in post di facebook - mi
hanno richiamato per la rimozione immediata del video che ho creato con
Italianghosts nel bunker del Monte Conero, ora ho un udienza in corso per aver
oltrepassato una zona militare e una denuncia molto grave». di Maria Paola
Cancellieri
A Lampedusa sbarcano RADAR
Da askavusa.com del 16 ottobre 2014
Questa mattina sono
sbarcati dalla nave di linea a Lampedusa, tre camion militari. Trasportavano i
pezzi dei radar che sostituiranno quelli già presenti a capo Ponente. Sembra
anche che si stiano svolgendo dei lavori di ripristino della ex Base Nato, nella
stessa zona dei radar, e che stiano arrivando sull’isola altri militari. La
storia si ripete ovviamente, o sarebbe meglio dire che siamo dentro lo stesso
percorso, quello della servitù militare alla NATO/USA, da decenni. La cosa
ancora più grave è che nessuno ha interpellato o informato gli isolani sui nuovi
radar. Qualcuno dice che i radar nuovi fanno meno male di quelli di prima, ma
nessuno si è preso la briga di fare una verifica rispetto alle onde
elettromagnetiche emesse a Lampedusa, non solo dai radar a capo Ponente, ma
relativamente alle varie antenne e radar mobili e fissi presenti su tutta
l’isola e nessuno ci ha mostrato i documenti che attestano la reale potenza dei
nuovi radar. Ci stanno schiacciando, si stanno prendendo l’isola per farne una
grande piattaforma militare, spesso con la scusa delle politiche sulle
migrazioni.
Ripetiamo : è un
processo che dura da decenni e nessuno ha fatto niente per impedirlo: chi si è
venduto per trenta denari, chi per ancora meno, chi semplicemente non aveva
capito, chi ha fatto finta di non capire. Ma ognuno di noi ha le proprie
responsabilità. Ora bisogna chiederci “che cosa vogliamo fare ?” Vogliamo
continuare a restare passivi fino a quando ci toglieranno: le case, i terreni e
con un calcio nel sedere, ci trasformeremo noi in migranti ? Noi non ci
rassegnamo e ci rivolgiamo agli isolani dicendo che ognuno può fare la propria
parte e che non bisogna aspettare nessun pastore che pascoli il gregge, ognuno
deve rendersi attivo in questa protesta, se vogliamo avere una speranza. Diciamo
anche di non contrapporre i migranti ai Lampedusani, questo è uno scontro che fa
comodo a chi vuole fare di Lampedusa una piattaforma militare e un grande
carcere per migranti, colpevoli solo di scappare dal proprio paese e spesso da
bombe, proprio della NATO. Prima li bombardano, poi li ingabbiano o li rendono
schiavi. Ricordiamoci poi che siamo a sud di Tunisi e che stiamo subendo lo
stesso trattamento che hanno avuto i paesi africani nel processo della
colonizzazione e dell’imperialismo. Per chi governa l’Italia, l’Europa e per gli
apparati bellici noi siamo solo un punto strategico militarmente. Crediamo che
l’assenza di servizi basilari sull’isola, non siano dovuti solo alle politiche
delle amministrazioni locali, ma che facciano parte di un disegno che dura da
decenni e che vuole rendere la vita di chi abita sull’isola, impossibile. Magari
qualche albergo e ristorante per le forze dell’ordine lo lascieranno e forse
sanno già quale potrebbe essere..
Apre
il forte del monte Bernadia. Si parte con una mostra sulla Libia. I lavori
cominciati nel 2006 sono costati oltre due milioni di euro
Da il
Messaggero Veneto - giovedì 09 ottobre 2014
TARCENTO. Il Forte del Monte Bernadia domenica, dopo anni di
attesa, sarà nuovamente aperto al pubblico. Non un’inaugurazione, che
l’amministrazione comunale vorrebbe fare la prossima primavera, ma una mostra
evento per ridare, anche se solo temporaneamente, nuovamente vita a uno dei
posti più conosciuti ed apprezzati di Tarcento, dal panorama mozzafiato.
I lavori per la sistemazione della struttura, infatti, erano
cominciati nel 2006: dopo uno sprint iniziale, le opere sono avanzate in maniera
meno precisa, dilatando i tempi che hanno portato alla chiusura del cantiere,
compresa l’impiantistica, solo poche settimane fa. All’appello, infatti, mancava
il collegamento con la corrente elettrica, elemento indispensabile per svolgere
al suo interno qualsiasi tipo di attività.
Il sistema difensivo, negli anni, era stato vittima anche di
alcuni atti vandalici che avevano indignato la popolazione e le varie
amministrazioni che si sono succedute negli anni. L’investimento di oltre 2
milioni di euro, realizzato con fondi europei e no, riconsegnerà alla città il
forte che risulta essere in ottimo stato di conservazione, perfetto per attirare
turisti e curiosi.
«Abbiamo pensato di riaprire il Forte – ha commentato Lucio
Tollis, assessore alla cultura di Tarcento – per dare vita ad un progetto serio
e ben strutturato che darà spazio al mondo della cultura, collegato alla
ricorrenza delle commemorazioni della Grande Guerra, ma anche del turismo e
dell’enogastronomia. Il desiderio è quello di coinvolgere attivamente le
associazioni e le attività imprenditoriali della zona. Il territorio del
Bernadia, infatti, si caratterizza per la sentieristica già apprezzata da molti
appassionati e sportivi, oltre ad essere collegato a frasche e punti di ristoro
di Sedilis. La struttura, al suo interno, ospiterà anche una sala per
presentazioni e conferenze, a cui manca solo l’arredo, e un bar che potrebbe
completare l’offerta a chi sale in quota».
Il taglio del nastro per la mostra, curata da Enrico Folisi e
Paolo Brisighelli, intitolata “1911/1914 dalle sabbie della Libia alla prima
guerra mondiale”, è previsto per domenica alle 11. L’esposizione è dedicata alla
Campagna di Libia, per molti storici ritenuta la vera scintilla dello scoppio
della Prima guerra Mondiale, e sarà aperta fino al prossimo 4 novembre, solo nei
giorni festivi. Sarà composta da oltre 40 pannelli fotografici che proporranno
al loro interno anche fedeli riproduzioni di alcuni giornali dell’epoca,
l’Illustrazione italiana e la Domenica del Corriere. di Luciana Idelfonso
Guerra
simulata alla base Nato di Poggio Renatico
Da difesaonline.it
del 7 ottobre 2014
Comando Operazioni Aeree Poggio Renatico
E’ cominciata oggi, e durerà due
settimane, l’esercitazione interforze
“Joint Eagle 2014” che vedrà impegnati a
Lecce e a Ferrara, rispettivamente, il
Corpo d’armata di reazione rapida di
Solbiate Olona (il Nato Rapid Deployable
Corps Italy -NRDC ITA) e il Joint force
air component (JFAC) dell’Aeronautica
militare.
La “Joint Eagle”, sviluppata sotto
l’egida dello Stato Maggiore della
Difesa e organizzata dal Comando
operativo di vertice interforze (il
Coi), è il risultato dell’integrazione
di due distinte esercitazioni: la “Eagle
Joker 14” per il Comando nato di
Solbiate Olona (Varese) e la “Virtual
Flag 14” per l’Aeronautica Militare. “Lo
scopo – dicono alla Difesa – è quello di
mantenere il necessario grado di
efficienza per operare in scenari di
crisi, cioè la capacità di operare
insieme anche tramite l’uso di
tecnologie comuni, di sistemi di comando
e controllo delle diverse forze armate
in ambito nazionale ed internazionale.”
Il Joint force air component
dell’Aeronautica militare, invece, è
impegnato dalla base aerea di Poggio
Renatico nella principale esercitazione
di simulazione digitale di comando e
controllo delle operazioni aeree: tutto
ciò in vista della certificazione Nato
del 2015 relativa alla capacità di
pianificare, coordinare e controllare
tutti gli aspetti di una campagna aerea.
Lampedusa sentinella Nato del
Mediterraneo
Da olivierobeha.it del 26 settembre 2014
di
Antonio Mazzeo
Lampedusa torna a fare da
avamposto delle forze armate italiane e Nato nel Mediterraneo. A dare nuova
linfa ai processi di militarizzazione della piccola isola a sud della Sicilia,
l’installazione di due potenti impianti di sorveglianza radar. Come rivelato dal
settimanale L’Espresso, gli impianti di Lampedusa hanno ricevuto il primo via
libera con la conferenza di servizio del 15 luglio scorso. Il primo di essi sarà
predisposto dalla Marina militare nell’ambito del programma pluriennale di
ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture nazionali (in tutto undici),
facenti parte della Rete radar costiera (RRC) e della Centrale di Sorveglianza
Marittima Associata (CSMA), la piattaforma fondamentale per la cosiddetta
Consapevolezza della Situazione Marittima che consente di avere sotto controllo
tutte le attività navali in corso nel Mediterraneo. Avviato dal ministro della
Difesa nel maggio 2009, il programma prevede l’acquisizione di radar di nuova
generazione per la sorveglianza Over the Horizon (cioè per l’individuazione di
grandi obiettivi “nemici” oltre l’orizzonte ottico), prodotti da aziende del
gruppo Finmeccanica.
I nuovi impianti saranno dotati di
sensore di scoperta a compressione digitale d’impulsi con capacità ISAR (Inverse
Synthetic Aperture Radar) e avranno un costo complessivo non inferiore agli 83
milioni di euro. Nella versione più soft fornita dai comandi della Marina, il
programma di ammodernamento della Rete radar costiera “è stato voluto per
incrementare la capacità di protezione e sorveglianza dei traffici mercantili;
il controllo dei flussi migratori via mare; la lotta ai traffici illeciti quali
narcotraffico, traffico d’armi e di esseri umani; la vigilanza sulla pesca; la
ricerca e il soccorso; il controllo dell’inquinamento marino”. Ma più di tutto,
i nuovi radar rispondono alle esigenze degli strateghi di guerra di potenziare
le azioni di contrasto di “qualsiasi tipo di minaccia”, comprese quelle di
“natura asimmetrica caratterizzanti lo scenario internazionale, come le
eventuali attività svolte da organizzazioni terroristiche internazionali”.
L’impianto di Lampedusa assicurerà la copertura in profondità fino a 100 miglia
nautiche dalla costa; le informazioni raccolte saranno riportate alle due
centrali di controllo della Rete di Taranto e Augusta, che trasmettono la
situazione complessiva dell’area di pertinenza al Comando in Capo della Squadra
Navale (CINCNAV) di Santa Rosa-Roma, per un’integrazione finale nel sistema di
supporto al comando della Marina militare (il Marittime Command and Control
Information System – MCCIS). Oltre ai dati forniti dalle diverse stazioni della
Rete radar costiera, alla potenziata Centrale operativa di Sorveglianza
Marittima convergeranno le informazioni raccolte dal Centro virtuale regionale
del traffico marittimo V‐RMTC (il programma avviato su iniziativa della Marina
militare italiana nel 2005 che prevede lo scambio di informazioni con una
trentina di paesi Nato e della sponda Sud del Mediterraneo); dai sensori delle
unità in navigazione e dei velivoli da pattugliamento e degli elicotteri
imbarcati o impiegati da basi avanzate a terra; dai sistemi in dotazione della
Guardia di Finanza (proprio a Lampedusa la Gdf ha installato il radar
anti-migranti EL/M-2226 ACSR, acquistato in Israele dalla Elta Systems Ltd
grazie al Fondi per le frontiere esterne Ue 2007- 13), della Guardia Costiera,
delle forze di polizia e degli alleati Nato e Ue. “La Centrale Nazionale di
Sorveglianza Marittima dovrà interfacciarsi con i sistemi di sorveglianza
marittima di altre Nazioni e/o Organizzazioni internazionali”, aggiunge il
ministero della Difesa. In particolare, i nuovi radar costieri funzioneranno in
rete con gli impianti previsti dal Project Team MARSUR (WG1 o Maritime
Surveillance Networking), il programma promosso dall’European Defence Agency con
le Marine militari di Cipro, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Gran
Bretagna, Irlanda, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna e Svezia e la
collaborazione di Frontex (l’agenzia europea d’intelligence anti-immigrazione),
con lo scopo d’individuare “una soluzione comune per lo scambio d’informazioni
sulla sorveglianza marittima”. Il secondo radar previsto nell’isola di Lampedusa
sarà messo a disposizione della 134^ Squadriglia Radar Remota dell’Aeronautica
italiana, il primo avamposto della Nato nel Mediterraneo meridionale, come
spiega il portavoce della Difesa.
In una nuova torre di
alloggiamento a Cala Ponente, l’impianto ospiterà il Fixed Air Defence Radar (FADR)
RAT31- DL, acquistato dall’Aeronautica per la sorveglianza aerea a lunga portata
e il potenziamento della rete operativa integrata nella catena di comando,
controllo, comunicazione ed intelligence dell’Alleanza Atlantica. Con un
contratto del valore di 260 milioni di euro sottoscritto con Selex Es (Finmeccanica),
la Difesa ha ordinato dodici impianti radar FADR per altrettanti siti italiani
(oltre a Lampedusa, le stazioni siciliane di Noto-Mezzogregorio e Perino-Marsala;
Mortara, Pavia; Borgo Sabotino, Latina; Capo Mele, Savona; Crotone, Jacotenente,
Foggia; Lame di Concordia, Venezia; Otranto; Poggio Renatico, Ferrara; Potenza
Picena, Massa Carrara), più due sistemi configurati nella versione mobile (DADR
– Deployable Air Defence Radar). Il FADR può essere controllato anche da centri
posti a notevole distanza e la configurazione meccanica con cui è stato
disegnato consente facilità di assemblaggio e smontaggio nei campi di battaglia.
“Il RAT31-DL è stato sviluppato per rispondere ai futuri bisogni della difesa,
dove la superiorità delle informazioni e dei comandi giocherà un ruolo sempre
maggiore”, spiegano i manager di Selex-Finmeccanica. “Il sistema ha eccellenti
capacità di scoprire e tracciare i segnali radio a bassa frequenza di aerei e
missili, può supportare diverse funzioni come la difesa da missili
anti-radiazione e da contromisure elettroniche. In Italia il FADRconsentirà di
controllare anche la presenza di missili balistici e comunicherà con gli altri
punti di controllo nazionali e della Nato”. Grazie alla nuova rete radar,
l’Aeronautica militare potrà pure avviare la sostituzione dei propri sistemi di
sorveglianza aerea e rendere disponibili le frequenze necessarie
all’introduzione della nuova tecnologia Wi-MAX (Worldwide Interoperability for
Microwave Access) di accesso internet ad alta velocità in modalità wireless. Il
ministero della Difesa non ha inteso fornire i dati relativi alle emissioni
elettromagnetiche del nuovo impianto radar di Lampedusa, affermando che “il
programma è sottoposto a secretazione”. Scarne pure le informazioni sulle
caratteristiche tecniche e di funzionamento del sistema FADR rese dall’azienda
produttrice. La brochure di Selex ES rivela solo che il Fixed Air Defence Radar
opererà in banda D e avrà una portata sino a 470 km di distanza e 30 km in
altezza, una potenza media irradiante di 2,5 kW e una potenza dell’impulso
irradiato di 84 kW. L’antenna opererà in una frequenza compresa tra 1,2 e 1,4
GHz (L-band), all’interno dello spettro delle cosiddette “microonde”. Il 10
gennaio 2012, rispondendo a un’interrogazione parlamentare che stigmatizzava i
rischi per l’uomo e l’ambiente delle emissioni elettromagnetiche del radar
RAT31-DL di Marsala- Perino, l’allora ministro della difesa, ammiraglio
Giampaolo Di Paola, affermava che “il nuovo radar, grazie al tipo di
realizzazione e ad una tecnologia molto avanzata, presenta caratteristiche
migliori rispetto al radar già esistente e sito nella medesima area, sia in
termini di efficienza che di livelli di emissione elettromagnetica, riducendo la
potenza di picco di trasmissione del 50% circa”. I dati, sempre insufficienti o
incompleti, sulle emissioni riscontrate nel territorio marsalese erano in verità
tutt’altro che tranquillizzanti. Sempre per Di Paola, “il valore massimo (picco)
del campo elettrico prodotto dal radar attualmente in uso e riscontrato lungo la
contrada Bufalata (a circa 1 chilometro dall’installazione militare) è di circa
un quarto del limite previsto di 1952 V/m, mentre il valore massimo (medio) del
campo elettrico (sempre a circa 1 chilometro dall’installazione militare), è di
circa 7 millesimi del limite previsto di 61 V/m.”. Nessun rischio in futuro,
dunque, per gli abitanti di Lampedusa? A Borgo Sabotino (Latina), dopo l’entrata
in funzione del FADR RAT31-DL presso il locale centro radar dell’Aeronautica
militare, i residenti hanno denunciato l’insorgenza di anomale interferenze che
impediscono il buon funzionamento degli strumenti elettronici d’utilizzo
quotidiano.
Con un’interrogazione
parlamentare, alcuni senatori del Movimento 5 Stelle hanno chiesto ai ministri
della Difesa e della Salute “se siano a conoscenza dei problemi registrati a
Borgo Sabotino e del corretto svolgimento degli atti e fatti che abbiano portato
all’istallazione di antenne e apparecchiature simili, sia del grado
dell’affidabilità di tale procedimento e dell’impianto funzionante per la salute
dei cittadini residenti”. Ad oggi, però, il governo non ha voluto rispondere.
Con il nuovo impianto radar, l’Aeronautica militare rafforzerà ulteriormente il
proprio dispositivo a Lampedusa. L’Ami è presente sull’isola dal 1958 con il “Teleposto
Telecomunicazioni” e la “Stazione di Meteorologia”. Tale presenza si è
ulteriormente evoluta negli anni successivi; nel 1986, con lo scoppio della
crisi Usa-Libia e l’ancora misteriosa vicenda relativa al (presunto) lancio di
due missili “Scud” contro la stazione trasmittente Loran C, gestita dal 1972 a
Lampedusa da personale del Servizio Guardia Coste Usa, fu costituita la 134^
Squadriglia Radar, dotata prima del Sistema AN-FPS-8 e, nel 1989, del sistema
MRCS (Mobile Radar Combat System), allo scopo di “garantire la sorveglianza e il
controllo dello spazio aereo nazionale e Nato da eventuali minacce provenienti
dall’aerea del Nord Africa”, come riporta il sito ufficiale dell’Aeronautica
italiana. Sempre a Lampedusa, nel 1993, fu costituito il “Distaccamento
Aeronautico” adiacente all’aeroporto (scalo classificato come “civile” pur se
utilizzato spesso da aerei ed elicotteri militari), con la funzione di fornire
il supporto logistico, tecnico e amministrativo a tutti gli enti
dell’Aeronautica militare presenti sull’isola. A fine 1994, la 134^ Squadriglia
prese possesso della stazione Loran C, dismessa dagli Stati Uniti d’America;
quattro anni più tardi il reparto assunse la configurazione di “sensore remoto”
con riporto dati al sito master di Noto-Mezzogregorio, sede del 34° Gruppo
Radar. Nel 2004 venne installato nella ex base Loran il sistema radar a lungo
raggio RAT-31 SL di Slex-Finmeccanica. A partire del 5 agosto 2008, con
l’entrata in vigore del cosiddetto “decreto sicurezza” volto a contrastare la
criminalità e l’immigrazione clandestina, il contingente dell’Aeronautica
militare fu destinato alle attività di vigilanza interna ed esterna del Centro
di identificazione ed espulsione / Centro di primo soccorso ed accoglienza
migranti di Lampedusa. Gli avieri sono stati poi utilizzati a supporto degli
interventi del personale dell’Esercito, della Polizia di Stato, dei Carabinieri,
della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera, giunto in massa nell’isola
con le crescenti “emergenze-sbarchi” di migranti e richiedenti asilo. Gli uomini
della 134^ Squadriglia Radar e del Distaccamento Aeronautico hanno pure fornito
l’assistenza ai velivoli militari C-130J “Hercules”, utilizzati per trasferire i
migranti in altri centri italiani, e agli automezzi della Protezione civile
adibiti a Lampedusa al trasporto tende, bagni chimici, letti e derrate
alimentari. Nel gennaio 2008, dopo la decisione del governo di allestire un
nuovo CIE nei locali della ex base statunitense Loran C, gli avieri hanno curato
i lavori di allestimento del centro- ager di 200 posti letto e le relative
“operazioni minime di messa in sicurezza”. L’infrastruttura, carente di servizi
medico-sanitari e spazi di socializzazione e del tutto isolata dal contesto
isolano, è stata poi classificata eufemisticamente come “Centro di prima
accoglienza migranti” e utilizzata dopo il 2011 anche per la detenzione di donne
e minori non accompagnati. Nei mesi scorsi, le autorità governative hanno
decretato la fine della missione del personale dell’Esercito italiano, presente
stabilmente a Lampedusa dalla primavera del 1986. “L’operazione Strade Sicure
che garantirà la vigilanza del Centro di Soccorso e Prima Accoglienza continuerà
comunque sull’isola sotto il comando del Raggruppamento Sicilia Occidentale
(Reggimento Lancieri d’Aosta con sede a Palermo) e verrà condotta da un plotone
di venti uomini dell’Aeronautica Militare”, ha chiarito il ministero della
Difesa. La componente terrestre utilizzò originariamente come base operativa una
struttura a Contrada Imbriacola, passata al demanio nel 2006 e successivamente
divenuta sede del CIE/Centro migranti. “I compiti principali dell’Esercito sono
stati quelli della vigilanza in concorso alle forze dell’ordine del Centro di
soccorso e prima accoglienza e la vigilanza del deposito di barconi impiegati
dagli scafisti”, ricorda la Difesa. “L’Esercito ha impiegato sull’isola anche
alcuni militari di origini africane, con compiti di mediazione culturale, per
facilitare i rapporti tra Istituzioni e migranti e interpretarne le esigenze
utilizzando la loro lingua madre”. La migliore narrazione per trasformare agenti
e 007 in samaritani…
Inaugurazione
ufficiale del Forte delle Benne
Da L'Eco delle Valli - 21
settembre 2014
LEVICO TERME - L’Amministrazione comunale di Levico Terme,
presieduta dal Sindaco dott. Michele Sartori, e l’Assessorato
alla Cultura della Provincia autonoma di Trento, in
collaborazione con la Soprintendenza per i beni culturali, sono
lieti di invitare all’inaugurazione del Forte San Biagio Colle
delle Benne, dopo i recenti lavori di riqualificazione e
restauro.
La cerimonia avrà luogo sabato 20 settembre 2014 alle ore 10.00
a Levico Terme, presso il Colle delle Benne. Dopo il saluto
delle Autorità comunali e provinciali, interverranno gli
esperti, Prof. Arch. Gino Malacarne e Arch. Renzo Acler, che
hanno curato e seguito da un punto di vista tecnico i lavori di
restauro. Seguirà un intermezzo musicale da parte del Coro Cima
Vezzena. Sarà possibile inoltre visitare la struttura grazie a
visite guidate curate da alcuni storici dell’Associazione
culturale Chiarentana.
Ad eccezione dei mezzi addetti al servizio, sarà possibile
accedere al Forte o a piedi, partendo dal Capitello nei pressi
del Parco Belvedere (25 minuti di cammino), o con il bus
navetta. Per l’occasione infatti l’Amministrazione comunale
metterà a disposizione un servizio di bus navetta gratuito a
partire dalle ore 8.00, con partenza dal piazzale della Piscina
comunale (Piazza G. Dalla Chiesa).
Il Forte San Biagio – Werk Colle delle Benne, è un forte
militare austroungarico, che si trova su un’altura a 660
m.s.l.m. in Valsugana nei pressi del lago di Levico. Fu
costruito tra il 1880 e il 1882; la sua funzione, assieme al
Forte di Tenna, era di presidiare la Valsugana ed il passaggio
potenziale per Trento. Si trattava di un’opera in casamatta con
pianta poligonale, circondato da un fossato lungo tutto il suo
perimetro. Il progetto aveva seguito il classico schema
dell’epoca: costruito su 4 piani era presente un lungo corridoio
protetto da dove si aprivano dei grandi stanzoni laterali.
L’infrastruttura poteva ospitare circa 200 militari; in essa
vennero montati 4 cannoni a media gittata e 2 obici in casamatta
rinforzata. La piazzaforte possedeva energia elettrica, una
linea telefonica, una postazione per segnalazioni luminose e un
ingegnoso sistema per convogliare acqua. L’evoluzione
tecnologica degli armamenti e il ripensamento dei piani marziali
durante la Prima Guerra Mondiale portarono al completo disarmo
del fortilizio che, di fatto, non fu mai usato in azioni
guerresche.
Prometheus, per difendere i
cieli
Da rbth.com del 15 settembre
2014
Il
comandante delle Forze aeree russe, Viktor Bondarev, ha annunciato che il
sistema missilistico antiaereo di ultima generazione S-500 Prometheus dovrebbe
essere adottato dall’esercito russo gia tra due anni. Nel 2015 partiranno i test
di Prometheus e quindi verrà dato in dotazione all’esercito e si avvierà la
produzione in serie.
In
grado di arrivare nello spazio
S-500 e un sistema missilistico antiaereo di ultima generazione che applica il
principio della separazione finalizzato a distruggere obiettivi balistici e
aerodinamici. Il compito principale del nuovo complesso e quello di fronteggiare
le testate dei missili balistici di medio raggio nella sezione finale della
traiettoria e in alcuni casi anche nella sezione intermedia. Com’era stato
precedentemente annunciato dal comandante delle Forze aeree russe, Viktor
Bondarev, il nuovo sistema sarà in grado non solo di annientare i missili di
medio raggio, ma anche obiettivi nello spazio vicino: razzi e missili balistici.
Vale a dire che il sistema potrà colpire qualunque “equipaggiamento” aereo a
qualsivoglia altezza dai missili da crociera, la cui velocità e pari a 5500
chilometri orari e anche superiore e persino gli aerei autopilotati e i razzi
nemici in orbita. Tale funzione non era prevista per i sistemi missilistici
della generazione precedente, mentre il nuovo sistema consente per la prima
volta di svolgerla. A detta degli esperti militari, gli S-500 non saranno solo
uno sviluppo dell’attuale sistema S-400, ma dispositivi qualitativamente diversi
dove sono state applicate nuove soluzione tecniche.
Il
portabandiera del nuovo sistema di difesa antiaerea e antimissilistica
Il
direttore del sito della difesa missilistica “Vestnik Pvo”, Said Aminov, ritiene
che il nuovo sistema utilizzerà le tecnologie gia applicate nei sistemi
missilistici antiaerei S-300 e S-400, ma con l’aggiunta di componenti del tutto
nuovi. Nel sistema S-500 sono stati potenziati il raggio d’azione, la velocità
di intercettazione e la lunghezza della distanza di intercettazione
dell’obiettivo. Per ottimizzare gli ultimi due parametri S-500 si avvale di
un’antenna attiva a schiera fasata che costituisce il principale componente del
sistema radar della nuova arma di difesa. Grazie a un radar cosi potente il
sistema missilistico potrà intercettare gli obiettivi fino a una distanza di 800
chilometri. Secondo i piani del Ministero della Difesa, i sistemi S-500
Prometheus saranno in dotazione alle Forze della Difesa aerospaziale russa e
occuperanno tutto il territorio del paese. Si prevede che S-500 sarà alla base
del nuovo sistema di difesa antiaerea e antimissilistica. Il programma statale
degli armamenti per il 2011-2020 prevede l’acquisto di dieci divisioni S-500 per
le forze di difesa aerospaziale russe. Attualmente a costituire la base del
sistema di difesa antiaereo russo sono collegamenti e unita delle forze
terrestri e dell’aeronautica militare della difesa antiaerea dotati di sistemi
S-300 nella versione migliorata e sistemi S-400, Buk-M1, Top-M1, Osa-Akm e
Tunguska-M1.
Componenti del sistema di difesa antiaerea e antimissilistica russo
Dal 2008 la Russia si sta dedicando alla costruzione di un unico sistema di
difesa antiaerea e antimissilistica che dovrebbe in futuro accorpare anche i
sistemi dei paesi della Csi (al riguardo esistono gia degli accordi con
Kazakhstan e Bielorussia). La sua concezione contempla la costruzione di un
sistema di difesa antiaerea e antimissilistica a più livelli, mentre la
differenza tra i componenti tattici e strategici si neutralizza. In tal modo
questo sistema a più strati e in grado di intercettare qualunque obiettivo aereo
al punto che la distanza e l’altezza d’intercettazione dell’obiettivo non
costituiscono più un problema. Per la creazione di un sistema aereo a più
“anelli” il complesso di difesa antimissilistica utilizza una tecnologia
militare diversa a seconda del raggio d’azione. Il raggio d’azione più corto e
di 30-40 chilometri. I sistemi missilistici sono finalizzati alla difesa di
piccoli obiettivi. Tali compiti vengono svolti con l’aiuto di missili della
famiglia dei Buk e con i sistemi missilistici antiaerei Pantsir-S1 e Morfej. Il
raggio d’azione medio va dai 40 ai 200 chilometri. I sistemi sono finalizzati
alla difesa di importanti obiettivi industriali, amministrativi e militari. La
dotazione comprende i sistemi terrestri della famiglia degli S-300, inclusi gli
S-300B4 e Vitjaz. Il raggio d’azione lungo va oltre i 200 km. I sistemi sono in
grado di intercettare gli aerei spia e le forze aeree strategiche del nemico e
anche di respingere attacchi missilistici mediante l’impiego di armi balistiche
a ultrasuoni. A raggiungere gli obiettivi a una simile distanza sono per ora i
sistemi S-400, mentre in futuro toccherà agli S-500.
GROSSETO: NUOVO SISTEMA RADAR DELL’AERONAUTICA A POGGIO BALLONE
Da firenzepost.it del 9 settembre 2014
Il nuovo impianto radar a Poggio Ballone
GROSSETO – Nuovo
assetto radar per la Difesa aerea nazionale anche in Toscana. Si sta completando
la «remotizzazione» degli impianti dell’Aeronautica di Poggio Ballone, sulle
alture di Grosseto. Un nome storico. Salì in particolare alle cronache in
occasione della strage di Ustica del 1980, quando i tracciati del volo Itavia IH
370 Bologna-Palermo (inabissatosi poco prima dell’arrivo con 81 persone a bordo)
furono seguiti anche da quella postazione toscana. Anche le sue registrazioni
entrarono nelle numerose inchieste giudiziarie sulla tragedia. Da tempo
l’Aeronautica Militare sta ridimensionando tutte le strutture logistiche degli
impianti radar presenti sul territorio nazionale.
Non più controllori e
sale operative presso ogni struttura, ma una gestione «in remoto» dei dati
raccolti. Di fatto il radar di Poggio Ballone continua a funzionare, anzi è
stato recentemente ammodernato – come precisano all’Aeronautica – ma da oggi i
suoi tracciati verranno letti direttamente «in remoto» dalla sala operativa del
centro di controllo nazionale di Poggio Renatico a Ferrara. A Poggio Ballone
rimarranno solo gli addetti alla sicurezza e i tecnici dell’impianto. Il
restante personale del controllo aereo sarà ricollocato presso altre strutture
dell’Aeronautica.
Sui bastioni ripuliti dall’erba, ecco i basamenti delle garitte
Da Il Messaggero Veneto - 6 settembre 2014
PALMANOVA.
I lavori di pulizia sui bastioni liberano la cinta fortificata
dalla vegetazione infestante e permettono agli storici di
osservare la fortezza in modo più approfondito, trovando
conferma a quanto scritto sui documenti o disegnato sulle mappe.
Racconta
Alberto Prelli, appassionato storico della città, che sui
baluardi e sulle cortine della cinta veneta sono apparsi con
chiarezza, dopo la rimozione della vegetazione, i basamenti di
sostegno delle garitte, chiamate anche “caselli di guardia”.
«Si tratta
– spiega - di pietre, anche di grosse dimensioni, che reggevano
queste torrette di guardia, il cui scopo era quello di dominare
lo spazio circostante per un maggiore controllo di ciò che
avveniva nei pressi della fortezza». Erano inoltre assai
ravvicinate allo scopo di rendere efficace anche la
comunicazione tra una garitta e l’altra. Inizialmente furono
costruite in legno, poi in muratura, ed erano coperte in piombo
(«tanto che – aggiunge Prelli - i Provveditori si lamentano nei
loro dispacci perché i soldati sottraevano il piombo per
fabbricarsi le pallottole»).
Le
sentinelle occupavano le garitte probabilmente giorno e notte se
in un regolamento del 1624 si parla di turni di 3 o 5 ore. «I
documenti – precisa ancora lo storico - parlano di una
sessantina di questi caselli. E la pianta del Verneda, della
metà del 1600, rileva le loro posizioni, proprio nell’esatta
collocazione in cui oggi si possono vederne i basamenti.
Un casello
si trovava sulla punta di ogni baluardo, due in prossimità
dell’orecchione e 2 o 3 lungo la cortina». Una passeggiata sulle
fortificazioni, magari proprio in questi giorni in cui la città
rivive la propria storia attraverso la Rievocazione, regala al
visitatore queste e altre perle d’ingegneria militare. di Monica
Del Mondo
Sainte Agnes e il Fort della Linea Maginot da rifugio antiatomico a meta
turistica
Da Riviera24.it - 5 settembre 2014
Sainte- Agnès
sorge a 780 metri di altezza sul mare,è il più alto villaggio litoraneo d'Europa
, a soli 3 km in linea d'aria dal mare di Mentone, offre ai visitatori uno
scenario più alpino che che balneare. Il vecchio castello in appollaiato sopra
il borgo sembra galleggiare sopra la costa azzurra. Dal borgo bisogna salire per
circa 200 gradini prima di arrivare alle rovine del castello, ma una volta
giunti sulla cima della torre sembra di essere in volo sulla baia di Mentone. Il
paese sottoposto a un severo vincolo militare fino agli anni 90 che praticamente
vietava nuove costruzioni si presenta come se il tempo si fosse fermato ai primi
del 900 , un vincolo che derivava dal fatto che qui fu costruito tra il 1932 e
il 1938 uno dei armati e potenti forti della linea Maginot. Una vera e propria
città sotterranea scavata sotto 55 di rocce , il bunker si sviluppa per circa
2000 metri quadrati e permetteva di vivere a una guarnigione di circa 300-400
uomini in perfetta autonomia circa 3 mesi senza contatti con il mondo esterno.
La visita al forte fa vivere dei momenti forti , specialmente dopo aver visto il
breve firmato introduttivo che sovrappone momenti di vita militare passata ad
quelli di oggi. Un sito militare eccezionale per lo stato di conservazione in
cui si trova, che in parte deriva dal fatto che fino verso la fine degli anni 80
fu usato come rifugio antiatomico. di Pierluigi Balestra
Base missilistica e campo prigionia: Murgia teatro di una guerra nascosta
Da barinedita.it del 5 settembre 2014
BARI
– La sperduta e isolata Murgia, che da sempre immaginiamo calpestata unicamente
da contadini e pastori transumanti, ha rappresentato un punto nevralgico nella
nostra più recente storia, dalla seconda guerra mondiale alla guerra fredda.
L’ex base missilistica atomico-nucleare di Altamura in località Murgia del
Ceraso e l’ex campo di prigionia della Seconda Guerra Mondiale collocato sulla
statale 96 presso Lama Sambuco, sono i due siti inattesi fattici scoprire da due
guide che stanno lottando affinchè non si perdano le ultime tracce esistenti.
(Vedi ampia galleria fotografica) Gabriella Falcicchio, referente del “Movimento
Nonviolento Puglia” e di Giuseppe Carlucci, guida ambientale ed escursionistica
del Parco dell’Alta Murgia ci hanno accompagnato in questo viaggio nel passato,
quando la Murgia rappresentava un vero e proprio teatro di una guerra nascosta.
L’ex-base missilistica - Imboccando la statale 98 per Altamura, in direzione
località Ceraso, si giunge all’aerostazione Ceraso, una base missilistica sorta
alla fine degli anni 50, in piena Guerra Fredda.
«Nel 1959 - ci spiega Gabriella –
sull’altopiano carsico delle Murge, da Gioia del Colle a Matera furono
installate una decina di basi missilistiche con Jupiter a testata nucleare da
oltre un megatone, tutte con lo stesso schema: la forma era quella di un
triangolo equilatero con gli angoli arrotondati nei quali erano piantati
rispettivamente tre missili. Al centro protetto da un terrapieno si trovava il
carro comando per effettuare il count down del lancio e nei pressi i trailer di
rifornimento: uno per il cherosene e uno per l’ossigeno. Lungo il perimetro
erano dislocate sei torrette in cemento armato per le vedette di sorveglianza,
ancora ben visibili». Ma perché furono costruite e perché proprio qui? «Siamo in
piena Guerra Fredda – ricorda Giuseppe -. Il 1° marzo del 1957 viene lanciato il
primo missile Jupiter dalla Difesa statunitense e il 4° ottobre la Russia
sancisce la sua supremazia con il primo satellite orbitale russo Sputnik 1. Il
30 luglio 1958 il presidente del Consiglio italiano Amintore Fanfani si reca in
visita dal presidente degli Stati Uniti e acconsente a schierare 30 missili
Jupiter in Italia purché ciò avvenga “senza clamori”: è l’esito di una
trattativa segreta e tutto fu realizzato nel massimo riserbo e all’insaputa di
tutti». Il sito è stato scelto non a caso perché si confidava nell’ignoranza
della poca gente che abitava nei dintorni, dedita a sbarcare il lunario e ignara
del boom economico come delle questioni militari e politiche. Ma per quanto
lontana dai centri abitati, si fatica a credere che nessuno si fosse accorto
della base posta strategicamente in altura e dei suoi missili alti 25 metri.
«Non tutti furono così
ciechi – precisa Gabriella – nel 1962 numerosi intellettuali italiani firmarono
un “Appello per la pace e il disarmo” e il 13 gennaio ad Altamura fu organizzata
una marcia della pace. Ma la gente del posto non si pose domande. Eppure hanno
corso un grosso rischio se si pensa che i missili installati avevano una potenza
cento volte superiore a quelli sganciati su Hiroshima e Nagasaki». Il 1° luglio
1963, in seguito all’accordo tra Kennedy e Chruščëv che pone fine alla crisi di
Cuba, vengono smantellati i missili e le basi. Ad oggi però sono ben visibili i
resti delle sei torrette di guardia in cemento armato ben conservate,
dell’edificio di deposito (questo invece in pessimo stato di conservazione,
prossimo al crollo e con i tetti divelti) e il terrapieno che sta per essere
invaso dalla vegetazione (vedi foto galleria). Il tutto sorge però su un campo
privato destinato alla coltivazione. Il rischio è che il sito venga fagocitato
per sempre dal grano e dall’aratura per scomparire inesorabilmente. L’ex campo
di prigionia – Lasciamo la base missilistica e imbocchiamo a ritroso la strada
percorsa, questa volta in direzione Altamura. Prima dell’ingresso in città
svoltiamo a destra e proseguiamo lungo la statale che conduce a Gravina. Sulla
sinistra, a un chilometro dal nuovo ospedale, c'è il campo di prigionia della
Seconda Guerra Mondiale. «Corrisponde perfettamente alla logica del campo – ci
illustra Gabriella – di qualunque natura esso sia: invisibile dall’esterno e con
il controllo assoluto dei detenuti all’interno». Era il campo di prigionia n.65
e vi risulta che siano stati internati sino al settembre 1943, soldati inglesi,
canadesi, sudafricani e australiani. Nel novembre 1950 venne trasformato in un
centro raccolta profughi in grado di ospitare 500 unità, dotato di 60 capannoni
forniti di bagni, lavabi, banco cucina, con una sezione staccata di scuola
elementare e asilo infantile e una palazzina di comando. Accoglieva profughi
rimpatriati dall’Africa (Tunisia, Eritrea, Egitto) dalla Venezia Giulia e dalla
Costa dalmata e il loro passaggio è ancora oggi testimoniato da scritte,
graffiti incisi e disegni come bandiere e cartine geografiche anche minuziose.
Della struttura rimane solo un capannone con le varie stanze all’interno (di cui
una anche piastrellata), le torri di controllo e la palazzina di comando con un
imponente albero rampicante abbarbicato sulla facciata. (Vedi foto galleria) E’
stato chiuso nel 1962 e ora appartiene al Comune di Altamura che lo ha relegato
ad uno stato di assoluto abbandono e incuria: ci imbattiamo infatti in cumuli di
bottiglie, rifiuti e copertoni abbandonati. L’interno delle strutture è
probabilmente divenuto dominio di immigrati e barboni data la presenza di
numerosi vestiti, stracci e scarpe abbandonate. Ma ancora più inquietante è
l’incombente rischio di una diversa destinazione del sito, pare ad uso edilizio
per la realizzazione di villette, che ne cancellerebbe definitivamente la
valenza di testimonianza storica. di Katia Moro
Settant'anni fa a Cézembre, l'isola che non si arrese
Da l'Espresso - 4 settembre 2014
Hanno il sorriso di chi è appena tornato
dall'inferno. Un manipolo di militari italiani che 70 anni esatti fa è rimasto
asserragliato assieme ai tedeschi nella terra più bombardata di tutti i tempi:
l'isoletta di Cézembre, in Bretagna. Un centinaio di marò, finiti per un
capriccio della storia a combattere contro gli alleati che avanzavano dalla
Normandia. E protagonisti di un'epopea a cui in Francia e in Germania vengono
dedicati libri e persino racconti a fumetti.
Cézembre è poco più di uno scoglio: lunga 750 metri e larga al massimo 300. In
tre settimane fu colpita con 19.729 bombe d'aereo e circa 20 mila proiettili
d'artiglieria: un record assoluto, mai superato nemmeno in Vietnam o in Iraq.
Era una delle tante postazioni deVallo Atlantico, riempita dai tedeschi di
bunker e cunicoli in vista dell'assalto all'Europa. Una fortezza strategica: con
i suoi cannoni poteva bersagliare Saint Malò e il suo porto, distanti solo tre
miglia. E quando ai primi di agosto 1944 sono arrivati gli americani, l'isola ha
cominciato a sparare. Anche quando la città si è arresa, i tiri sono continuati,
tormentando i fanti statunitensi.
Il generale George Patton l'ha considerata una sfida. Su Cézembre è stato
scatenato un volume di fuoco devastante. Gli alleati l'hanno letteralmente
sepolta di ordigni. Notte e giorno, si alternavano bombardieri e caccia dal
cielo. Lì per la prima volta in assoluto è stato usato il napalm: era ancora
un'arma segreta, che creava colonne di fiamme terrificanti. La fotografa Lee
Miller, la musa di Man Ray passata dagli atelier di moda alla prima linea,
riuscì a scattare le immagini di quell'incredibile rogo che si alzava
dall'isoletta, ma le pellicole le furono sequestrate dall'intelligence. Dopo
ogni raid, però, dai bunker italo-tedeschi riprendevano i tiri contro gli
americani.
Dopo pochi giorni, la battaglia è diventata una questione di propaganda. La
radio e i giornali del Reich esaltavano il coraggio dei difensori; gli alleati
mostravano nei cinegiornali i filmati con l'isola sommersa di bombe. Il 13
agosto 68 quadrimotori Liberator hanno sganciato 265 tonnellate di ordigni.
Quattro giorni dopo sono arrivati 35 P-38 Lighting con 68 barili di napalm.
Di notte, la flotta germanica spediva navi veloci con rifornimenti. I primi
viaggi riuscirono, poi le altre vedette vennero colate a picco. Ma il comandante
tedesco, Richard Seuss, un ufficiale di marina di fede nazista, voleva
rispettare l'ordine impartito personalmente da Hitler: resistere a ogni costo.
Sopravvivere nella fortezza era durissimo. Gli uomini erano rintanati
sottoterra, dietro le pareti di cemento: ogni colpo era un terremoto, napalm e
fosforo si infilavano nelle feritoie, l'aria irrespirabile obbligava a indossare
le maschere antigas. Il calore ha piegato persino le canne degli obici. Nella
prima settimana ci furono quasi cinquanta morti.
Il contingente italiano era diviso. Sull'isola all'inizio dell'assedio c'erano
due ufficiali e poco più di cento marinai, inquadrati nella Divisione Atlantica
della Repubblica sociale. Pochi credevano nel fascismo. Alcuni erano stati
sorpresi dall'8 settembre nella base di Bordeaux, da cui i nostri sottomarini
operavano nell'Oceano. La gran parte invece era stata catturata dai tedeschi
dopo l'Armistizio nei porti di Trieste e La Spezia ed era finita nei campi di
concentramento in Germania. Lì, più per fame che per convinzione, avevano
aderito all'ultima creatura di Mussolini e si erano ritrovati al fronte in
Francia. Altri reparti simili erano sparsi lungo tutte le coste di Normandia e
Bretagna: gli ultimi hanno combattuto il 30 aprile, quando il Duce era già
morto.
A Cézembre gli italiani presidiavano la ridotta a Sud, con una batteria
contraerea. Molti erano artiglieri reduci delle battaglie navali del
Mediterraneo. Dopo le prime ondate di bombardamenti, tre marò fuggirono a nuoto,
senza andare lontano: i tedeschi li ripresero su uno scoglio. Un cuoco fu più
fortunato, riuscì ad arrivare fino alla costa: «Solo il comandante tedesco e un
pugno di suoi camerati impedisce la resa. Tutti gli altri non ce la fanno più.
Stanno organizzando una rivolta», disse agli americani.
Anche i tedeschi temevano l'ammutinamento: selezionarono una trentina di
italiani, giudicati meno affidabili, e li imbarcarono su una delle vedette di
soccorso. La nave affondò nella notte, forse per l'impatto di una mina, senza
superstiti. Seuss riteneva che «un ufficiale e venti marò fossero eccellenti
soldati», ma sospettava degli altri 46 uomini rimasti a Cezembre.
Il 18 agosto gli alleati mandano un motoscafo con la bandiera bianca sull'isola
per chiedere la resa. Tre plenipotenziari scendono sull'unica spiaggia, stupiti
dalla quantità di crateri scavati dai colpi. Ma i tedeschi non ne vogliono
sapere.
Da quel momento, gli attacchi si intensificano. Ondate di raid aerei, senza mai
una pausa. Il 24 agosto 1944 Parigi cade, invece Cézembre rifiuta di nuovo la
resa. Il comandante Seuss comunica che solo un cannone funziona ancora e che le
scorte d'acqua possono durare solo dodici giorni. Gli alleati sono furiosi.
Fanno intervenire anche una corazzata britannica, la Warspite, che sputa per ore
bordate da 381 millimetri: ogni proiettile contiene quasi mezza tonnellata di
tritolo. Alcuni bunker vengono sventrati, uccidendo tutti gli occupanti.
Sulla terraferma Patton ha fatto schierare cinque batterie di artiglieria: in
quattro giorni scaricano 11.103 colpi di grosso calibro sulla fortezza. Altri
400 aerei si accaniscono sulla postazione: il profilo dell'isola è
irriconoscibile, le colline sono livellate dalle esplosioni. Gli americani
vogliono chiudere la partita. Preparano una forza da sbarco: l'ora X scatta
all'alba del 2 settembre 1944. Ma quando i mezzi anfibi si avvicinano a Cézembre,
pronti allo scontro finale, vedono una bandiera bianca. L'hanno issata gli
italiani. I marò non sono disposti ad andare oltre, non vogliono farsi
massacrare per quello scoglio bretone.
Il comandante tedesco è infuriato: la difesa è impossibile, deve deporre le
armi. Non vuole però avere a che fare con “i traditori”. Pone agli americani
un'unica condizione: una resa separata. I fotografi immortalano la doppia
cerimonia: in una spiaggetta circondata di macerie, Seuss accoglie gli alleati
con il saluto nazista. In disparte, i due ufficiali italiani che si consegnano
subito dopo. Anche i superstiti vengono trasferiti separatamente: sono 228
tedeschi e 71 marò, tre dei quali feriti. Il reportage fotografico statunitense
mostra i loro volti, mentre il 3 settembre 1944 vanno felici verso la prigionia.
L'incredibile resistenza ha cambiato le sorti del conflitto in quel settore.
Dopo la lezione, inglesi e americani rinunciano ad attaccare le fortezze
tedesche nella costa meridionale della Francia, che restano circondate fino alla
disfatta conclusiva del Reich: espugnarle sarebbe costato troppo.
Ancora oggi, a 70 anni di distanza, l'isola è in gran parte off limits: ci sono
centinaia di ordigni inesplosi, che tre bonifiche non sono riusciti a eliminare.
Solo la spiaggia è accessibile, mentre una barriera di filo spinato impedisce di
arrivare ai bunker e ai rifugi sotterranei, rimasti come nel giorno della resa.
Restano in posizione i cannoni con le canne fuse, persino i letti metallici e i
vetri delle bottiglie: un monumento alla follia della guerra. di Gianluca
Feo
Biciclette nei bunker: pedalare per sopravvivere
Da architetturasostenibile.it - 4 settembre 2014
Pedalare per
passione osservando viali alberati in
città o paesaggi naturali; in palestra, per dimagrire ed
allenare i muscoli; per necessità, nei luoghi in cui la bici
diventa l’unico mezzo di trasporto per merci e persone. Ed infine,
pedalare per sopravvivere come nei bunker sotterranei e nei
rifugi anti-bombardamento, dove i km percorsi si tramutavano in aria
pura da respirare. Come può una bicicletta salvare vite umane?
In periodo diguerre e bombardamenti, nei
locali blindati e oscuri, le pedalate azionavano, in caso di black-out totale, i
sistemi di areazione e ventilazione. Al suono delle sirene o sotto i colpi di
granate troppo ravvicinate, si correva nei rifugi anti-aereo: la forza fisica
umana e le cyclette, modeste ma efficienti, permettevano di rimanere a lungo al
sicuro.
Nei bunker il ricambio d’aria era garantito
normalmente da motori elettrici ma, in caso d’interruzione di energia,
si doveva ricorrere a metodi alternativi: da semplici manovelle da
girare a mano ai più sofisticati modelli con tandem o biciclette singole. La
maggior parte di queste, tranne rari casi, erano collegate ad un volano che
attivava direttamente il ventilatore/aspiratore. In questo modo, l’areazione era
assicurata dai ciclisti, mentre l’illuminazione avveniva con lampade a batteria
o candele. I ventilatori a motore elettrico ad una pedaliera potevano
garantire l’aereazione fino a 90 persone, a due pedaliere fino a 180.
La Società Anonima Bergomi di Milano fu una tra le più importanti aziende
produttrici, specializzata anche in porte ermetiche antigas. Il modello delle
cyclette era costituito da un telaio tubulare con sellini, pedali e, in aggiunta
rispetto le tradizionali, vi era un gruppo di trasmissione coperto da carter
collegato direttamente al ventilatore e non ad una dinamo. I dispositivi erano
inoltre caratterizzati da tubazioni, deviatori per selezionare le funzionalità,
filtri e flussimetri per misurare i livelli di ossigenazione (misurati in mc/h)
e sapere esattamente quante pedalate erano necessarie per il ricambio
completo dell’aria. Tali meccanismi,
più o meno spartani, sono stati ritrovati a Roma nel Rifugio del Palazzo degli
Uffici (EUR) e nel Rifugio della Famiglia Savoia a villa Ada, a Milano nel
Rifugio di viale Moscova e di via Antonio Tanzi (ex Innocenti) ed ancora, a
Torino, Verona, Rovigo, Bolzano e Genova, Gardone Riviera (Bs) e Dalmine (Bg).
Ben conservata e
diversa dalle altre, è la bicicletta presente nell’immenso rifugio di Torino in
piazza Risorgimento, dove la ruota
anteriore è sostituita da una dinamo per la produzione dell’energia elettrica ed
è saldata su un carrello per spostamenti all’interno delle vaste gallerie.
È singolare che tali sistemi siano spesso stati
ritrovati presso le sedi delle Prefetture, forse installate seguendo una
direttiva specifica. Il
Network Italiano Bunker e Rifugi Antiaerei (Nibra),
che sta raccogliendo informazioni e documenti storici su tutti i bunker, ha
anche censito le biciclette ritrovate in una dozzina di città italiane.
I rifugi di guerra, per lo più chiusi e abbandonati, versano in uno stato di
degrado, con scarsa messa in sicurezza e ricorrenti atti di vandalismo. È
urgente e doverosa una tutela di tali reperti, auspicabile anche per attivare un
turismo alternativo (anche grazie ad associazioni come la
Berliner Unterwelten
a Berlino) interessato all’archeologia di guerra. di Elisa Stellacci
Spresiano ritrova il suo Bunker
Da La tribuna di Treviso - 2 settembre 2014
SPRESIANO.
Recuperato un pezzo di storia della Prima guerra mondiale.
Grazie all’associazione “Recuperanti del Piave”, presieduta
da Roberto Bertelli, è stata riportata alla luce e
completamente restaurato un vecchio rifugio al Palazzon.
Il 4 novembre
durante la tradizionale commemorazione sul Piave verrà
inaugurato. Un lavoro durato due anni, non tanto per la
complessità dell’intervento, quanto perché legato
esclusivamente al volontariato dell’associazione. Quel
bunker ricorreva spesso nei racconti degli anziani di
Spresiano, grazie ai racconti tramandati dai genitori che
avevano vissuto al Grande Guerra. Si sapeva che esisteva
questo rifugio nella zona del Palazzon, ma non era mai stato
individuato precisamente. Alcuni anni fa grazie proprio al
passa parola è stato trovato sotto un magazzino di una
proprietà privata. «Sapevamo che era da quelle parti»,
conferma Virginio Maso dell’associazione Recuperanti del
Piave, «ma per riuscire a trovarlo abbiamo dovuto attendere
molto tempo, perché era in un proprietà privata. Se l’area
non fosse stata venduta forse non sarebbe mai tornato alla
luce».
Il proprietario
originario ha infatti venduto quell’area a un azienda, che
dopo poco tempo è fallita. Il terreno è finito all’asta, e
in quel momento, complice l’assenza di fatto di un
proprietario e controllore l’associazione ha potuto scovare
il rifugio e iniziare i lavori. Due anni fa il primo
intervento di pulizia. «Poi ci siamo fermati per un po’»
spiega Maso, «facciamo tutto con le nostre forze, e quindi
abbiamo dovuto procedere lentamente. Siamo solo cinque o sei
amici, che facciamo tutto questo per passione». Negli ultimi
mesi l’accelerata decisiva. Il rifugio è stato liberato dal
fango, dalle erbacce, ed è stata ricostruita la scala con i
sassi provenienti dal letto del Piave. Ora è stato chiuso
con un cancelletto per motivi di sicurezza. E nonostante il
restauro non sia ancora completo in molti sono già andati a
curiosare al Palazzon.
C’è chi ricorda
quel rifugio nei racconti della nonna, chi dei genitori. Ha
rappresentato la salvezza per decine di persone, un pezzo di
storia a cui i cittadini di Spresiano devono davvero molto.
Potrebbe però non finire qui l’opera svolta
dall’associazione. Nella stessa area ci sono altri due
rifugi della Prima guerra mondiale. «Ma sono in proprietà
privata, abbiamo già provato a chiedere ai proprietari il
permesso per recuperarli, ma non sembrano al momento
disposti ad accettare», prosegue Virginio Maso. E non è
detto che nemmeno il rifugio appena restaurato resti aperto
al pubblico a lungo. «Dipende chi lo comprerà all’asta»,
ammette, «se lo farà il Comune bene, altrimenti avremo fatti
questo lavoro per nulla. Speriamo proprio che non sia così».
di Federico Cipolla
Claudio
Arena, di Savona Sotterranea Segreta, ci svela dopo un anno di ricerche
l'uso della struttura sul Monte Settepani
“E' stato un
lungo percorso, durato esattamente poco più di un anno, ma ora ho deciso
di chiudere definitivamente questa ricerca, un'avventura sicuramente
affascinante, ma con un notevole dispendio di tempo ed energie” Così
Claudio Arena, con le ricerche di Savona Sotterranea Segreta, oggi ci
racconta in esclusiva nazionale alcuni fatti che ha lasciato con fiato
sospeso molte persone incuriosite da tutta questa vicenda. Negli ultimi
mesi ha portato alla luce e alla riscoperta tutto un complesso militare,
occultato per anni all'interno del Monte Settepani, sopra Finale Ligure.
“Come tutti
sapete, si è parlato molto di questo complesso edificato negli anni '50,
con il sopraggiungere della guerra fredda. Ma chi meglio di me, dopo un
anno di estenuanti indagini, oggi potrebbe dare una valutazione più
esatta, visto che nessuno ufficialmente ha voluto tirare fuori carte
specifiche?" Oggi ho molte più certezze di quanto in tanti anni le
leggende abbiano parlato; più certezze di tante persone che sanno ma che
non vogliono dire. Certo in questo periodo si è sentito di tutto, in
riferimento all' utilizzo di questa “Base Sotterranea”, ci sono stati
militari, che hanno raccontato si trattasse di un complesso che doveva
servire in caso di attacchi atomici, mentre altri hanno riferito dovesse
servire come rifugio nucleare con l'intento di salvaguardare le antenne
radar che sovrastano il Monte Settepani.
Tante
ipotesi, che però non stavano in piedi e giorno per giorno, consultando
migliaia di carte, documentazioni e testimonianze, sono arrivato a
dedurre tutta altra cosa. Ma facciamo un piccolo passo in dietro.
Intanto va precisato che, pur se ufficialmente le carte parlano di
americani alla base Pian dei Corsi dal 1963, con la richiesta di
edificare la caserma, si sa per certo e da testimonianze attendibili,
che gli americani giravano in zona già almeno dal 1954. Per altro sono
stati rinvenuti manufatti con tale data a prova della loro presenza.
Quel che mi sono chiesto è perchè mai i militari americani girassero
prima in zona, e guarda caso proprio nel periodo che si iniziò a scavare
i tunnel sotto il monte...
Le ipotesi di alcuni, ci volevano far credere si trattasse giustappunto
di un rifugio anti nucleare-atomico, ma è molto strano pensare a una
cosa del genere, considerando che tutto il complesso ha decine di parti
esposte e dirette con l' esterno, quando sappiamo bene che un complesso
anti atomico, è costruito totalmente in autonomia, stagno, con porte
blindate, minimo un metro di spessore e con tutto un sistema di
rigenerazione aria e così via. Senza contare che al suo interno non era
prevista nessuna sosta umana, infatti i segni visibili, sono tangibili
direttamente
analizzando il posto. Non esistono latrine, ne scarichi di acque nere, o
sistemazione logistiche per i militari. Oggi sono anche a conoscenza di
tutte le ditte che hanno lavorato, le ho contattate e parlato con alcuni
anziani operai. Ho seguito il mio istinto dall' inizio, ma gli indizi
sono tutta altra cosa rispetto quello che alcuni volevano proporci. Oggi
posso dire con assoluta certezza che, tutto questo complesso sotterraneo
altro non era che un' importante deposito armi.
Probabilmente uno dei tanti in disuso ma tanti ancora segreti e
costruiti in Italia. Considerando le dimensioni, indubbiamente, uno dei
più grandi in assoluto, e visto l'epoca, forse il più grande deposito di
esplosivi in Italia. Dimostrazione anche il fatto che venne costruito in
zona isolata, al di sotto del monte, giacché in caso di emergenza grave,
dovuta ad incendi o esplosioni, potesse fare meno danni possibili quindi
implodere e collassare su se stesso. “ Mi vien ancora in mente la moglie
di un militare Usa, che intervistata e sentita anche durante la
trasmissione rai Voyager, più volte diceva: “Siamo seduti su una
polveriera”. Ora tutto è chiaro e tutto collima, senza dubbi. Come detto
è significativo è il fatto storico che i militari Usa erano nella nostra
zona già dal 1954, stesso periodo che ufficializzavano il Comando di
Camp Darby presso Livorno ( oggi una cittadella ) dove al suo interno a
decine di metri sotto, esiste ora il più grande arsenale di armi in
Europa. Ecco pertanto che gli scavi furono realizzati sotto la base AM
Italiana del Settepani, per costruire un deposito segreto di armi per
gli Americani, che poi ufficializzavano la loro base “Radio Scatter site
046” ai Pian dei Corsi solo nel 1963. Quei sotterranei erano un deposito
che metteva in sosta armamenti importantissimi del periodo, quindi
successivamente essere trasportati a Camp Darby che in quel periodo era
in via di ultimazione.
Seguendo questi indizi, in questi mesi, ho potuto verificare che ancor
oggi, gli Americani usano per tecnica e modalità, costruire Hangar, per
deposito armi, proprio simili a quello rinvenuto al Settepani; quella
stanza di 200 mq che tanto mi aveva impressionato e fatto parlare. In
quei corridoi sotterranei che parevano stretti per dei camion, circa
1,60 mt di utilizzo, su 2 mt ( anche se le leggende parlavano di camion
che sparivano dentro la montagna ) ci passavano sì dei mezzi, ma
precisamente dei muletti militari per trasportare al suo interno bombe
di ogni tipo.
In oltre al suo interno avevamo rinvenuto due cartelli segnaletici al
muro, uno di svolta a sinistra e uno di incrocio a testimonianza di
movimentazione. In oltre si pensava a due uscite laterali, ma proprio
seguendo queste indicazioni, in realtà si tratta di un' entrata e un'
uscita, giusto per permettere ai muletti militari di scaricare il
materiale e riuscire senza incrociarsi con altri mezzi.
I primi allarmi in merito di possibili armamenti speciali, arrivarono
appunto in quegli anni dal Ministero della Difesa francese, il quale
mandava comunicati e avvisi, che vi erano a Pian dei Corsi, missili a
testate nucleari. In realtà si trattava del Settepani e come detto, non
potevano esserci missili pronti al lancio, non ci sono indizi utili che
facciano pensare a questo, ma testate depositate e custodite
segretamente si. Cosa puoi dirci di più in merito a questa ricerca?
Sorrido, perché si siamo già confidati e parlati, e posso dirvi che ci
potrebbe essere molto altro. O meglio, sono sicuro al 90% che sotto ai
sotterranei, esplorati, ci possa essere almeno un altro livello. Lo
dico, perché sono a conoscenza dell' esistenza di un canale verticale,
che conduce ad altri 61 mt sotto, ed oggi risulta immerso da acqua.
In qualsiasi caso appunto potrebbe esistere la probabilità di un altro
livello sotto quello scoperto, che sicuramente eventuali addetti,
smentiranno o mai confermeranno. Aggiungo anche che in questo ultimo
periodo, ( ma non faccio nomi ) alle richiesta di mie curiosità un
po'dirette, sono stato anche, in maniera per così dire “ambigua”
minacciato da personale Militare in servizio, facendomi intendere, come
se dovessi lasciar perdere o non insistere in tal senso. Non ho sporto
denuncia, perchè per me la cosa è già finita li, o meglio, avere
notizie, fare ricerche e renderle pubbliche a tutti, è una passione. Se
fosse stato un lavoro, certo avrei reagito molto diversamente. Detto
questo, quindi, mi chiedo perché nascondere, ancor oggi un segreto,
ormai consumato negli anni '50? Qualcuno ha paura che venga a galla
qualcosa di nuovo? Sono tutte domande che forse rimarranno senza
risposte, poiché per me questa avventura termina qui, non ho risorse
disponibili per far altro. Possiamo anche dire, che grazia alla
collaborazione di Savonanews e la ditta Georender, abbiamo scoperto
cavità artificiali, anche di di grosse dimensioni, anche alla ex base
Usaf. Anche qui, personale specifico, in seguito non ha smentito ci
potessero essere delle cavità, tanto che una persona importante, ha
riferito, che sotto e in corrispondenza delle analisi, all' epoca vi
fosse un altro grosso generatore elettrico e attrezzature elettronica
poi ricoperte con cementazione. Il perchè vi fosse un generatore
sotterraneo oltre quelli sopra, non si capisce ufficialmente.. ma lascia
molti dubbi sul suo utilizzo. Dico ancora, che La pagina Facebook Savona
Sotterranea Segreta che gestisco, rimarrà aperta, con lo scopo di
socializzare con altre persone, magari facendo escursioni nelle nostre
colline e passare momenti simpatici.
Ringrazio pubblicamente anche qui, tutte le persone che in questo
periodo hanno scritto, e con le tante che abbiamo fatto amicizia, come
alcune mogli di Militari Usa, molto disponibili, simpatiche e
amichevoli, in ultimo, anche il Comune di Bormida che proprio 10 gg fa
mi ha ospitato presso la loro nuova bella biblioteca e le persone che mi
hanno accolto.
Lampedusa: in programma la costruzione di un potente
radar militare
A Cala Ponente e ad Augusta verranno realizzati due
impianti che abbracceranno l'isola con le loro
emissioni di onde elettromagnetiche
UN SISTEMA INCROCIATO DI RADAR. Gli
abitanti di Lampedusa sono già sul piede di guerra
per la costruzione da parte della marina
militare di un sistema incrociato di radar
che porterà nell’isola un’enorme quantità di onde
elettromagnetiche, con conseguenze imprevedibili per
l’ambiente. I lavori sono partiti il 15 luglio e
prevedono la realizzazione di due sistemi:
uno a Cala Ponente, l’altro nella base siciliana di
Augusta a Sigonella. La rete di ripetitori
creerà un campo magnetico attorno a Lampedusa, da
qui la preoccupazione degli abitanti che, come già
successo con il Muos di Niscemi in Sicilia, sono
pronti a dare battaglia.
UN ACCORDO MILIONARIO. Il radar di
Lampedusa fa parte di un contratto di 260 milioni di
euro tra la seconda divisione di Teledife, la
direzione generale delle Telecomunicazioni,
dell’Informatica e delle Tecnologie Avanzate del
ministero della Difesa, e il gruppo Finmeccanica. Se
tutto si sa sul piano degli affidamenti per quel che
riguarda le procedure autorizzative, l’impatto
ambientale e i dati relativi alle emissioni di onde
elettromagnetiche, rimane coperto dal segreto
militare il programma. Ciò che è dato sapere è che
la costruzione del radar di Lampedusa fa
parte di un pacchetto di altri interventi da
realizzare in Sicilia per il monitoraggio della
difesa aerea e navale.
19/07/14 - Martedì 8 luglio, si sono
conclusi presso il 21° Gruppo Radar
dell’Aeronautica Militare (Gr.R.A.M) di
Poggio Ballone (GR), i lavori di
posizionamento finale del nuovo radome
protettivo del Radar Lockheed Martin
AN/TPS117 3D Long Range in dotazione
alla base.
Il radome consiste in una sfera a base
tronca alta circa 14 metri e composta da
pannelli poligonali in materiale
composito per un peso complessivo di
quasi 8 tonnellate. La struttura
previene i possibili danni derivanti da
agenti atmosferici consentendo la
continuità di esercizio del radar in
condizioni climatiche estreme.
L’interno è dotato di una serie di
sistemi di sicurezza tra i quali quelli
dedicati al monitoraggio delle
temperature, alla prevenzione di incendi
e condense, nonché alla rimozione di
depositi di precipitazioni atmosferiche.
I lavori rientrano nelle specifiche
tecniche di un contratto - gestito dalla
Direzione Informatica, Telematica e
Tecnologie Avanzate (TELEDIFE) in
coordinamento con l’aeronautica militare
– che riguarda interventi similari
presso una serie di siti radar della
difesa aerea nazionale.
Ca’ Bianca,
ex base missilistica in vendita per 535 mila euro
Da La Nuova Venezia - 17
luglio 2014 — pagina 32 sezione: Nazionale
CAVARZERE A
qualcuno interessa una vecchia base missilistica con
tanto di hangar, bunker, torrette di guardia ed edifici
di casermaggio? Nel caso se lo può portar via con poco
più di mezzo milione. È stata fissata, infatti, a 535
mila euro la base d'asta per la vendita dell'ex base
missilistica di Cà Bianca, dismessa nel 1995
dall'aeronautica militare, poi ceduta all'Agenzia del
demanio e adesso, messa in vendita per rimpinguare le
casse dello Stato. L'area di 127.530 metri quadri è in
Comune di Cavarzere, al confine con quello di Chioggia e
comprende 13 fabbricati per un totale di 2.795 metri
quadri. Le offerte vanno presentate, per importo pari o
superiore alla base d'asta, entro il 29 settembre.
Eventuali operazioni di bonifica degli edifici e del
terreno saranno carico dell'aggiudicatario. La base era
sede dell'81 Gruppo intercettori teleguidati, ovvero
missili da guerra fredda che avrebbero dovuto servire a
respingere un eventuale attacco proveniente dall'est
Europa. Una base, denominata «Base Tuono», con dotazioni
simili a quelle ospitate a Cavarzere, è stata
appositamente ricostruita nel comune di Folgaria ed è
visitabile da chiunque lo desideri. (d.deg.)
LA MM
RIPARA IL FARO DI MONTE PORO (ISOLA D'ELBA)
Da difesaonline.it
del 9 luglio 2014
09/07/14
- Un elicottero EH 101 di Maristaeli
Luni, che trasportava personale
specializzato del servizio fari della
marina, ha trasportato materiali
importanti al faro marittimo di Monte
Poro. Il faro necessitava di un
adeguamento tecnologico e non era
funzionante per un problema al
lampeggiatore e alle batterie di
emergenza. Il faro di Monte Poro è un
faro marittimo che si trova sull'omonimo
promontorio lungo la costa meridionale
dell'Isola d'Elba. Il faro fu attivato
nella seconda metà del novecento per
l’illuminazione del tratto costiero che
chiude a sud-ovest la baia di Marina di
Campo. L'infrastruttura è costituita da
una torre a sezione circolare in
muratura bianca che poggia su un bunker
in calcestruzzo, realizzato dalla regia
marina durante la II guerra mondiale
come punto di comando e controllo della
sottostante batteria costiera posta a
difesa dell’isola. Il faro, un tempo
presidiato dal personale farista che
viveva in un casolare, oggi diroccato,
posto nelle immediate vicinanze, è da
tempo automatizzato e raggiungibile solo
dopo aver percorso uno sconnesso
tratturo di circa 3 km che, partendo da
Marina di Campo, porta sulla sommità del
monte a 160 mt. di altezza.
A seguito del sopralluogo fatto dai
faristi dell’isola d’Elba, il faro
risultava non funzionante per un
problema al lampeggiatore e le batterie
di emergenza davano tempi di scarica
tali da essere giudicate non più
utilizzabili. Inoltre il faro, non
ancora dotato di tele monitoraggio,
richiedeva un adeguamento tecnologico
generale e l’installazione del sistema
SCF per il controllo a distanza del
funzionamento. Il problema era portare
tutti questi componenti, alcuni pesanti
oltre 30 kg., sulla sommità del monte
con tutti i rischi collegati al
trasporto di materiale pericoloso come
le batterie contenenti acido. La
larghezza del tratturo e la pendenza
rendeva impossibile l’utilizzo della
motocarriola e quindi l’unica
possibilità per riparare il faro era
quella di predisporre una azione
coordinata tra il team di manutenzione
tecnica del servizio fari della marina e
il supporto di un elicottero di
Maristaeli Luni.
Valutate le condizioni meteo ed ottenute
le previste autorizzazioni da Cincnav e
Comforaer, Maristaeli Luni dava la
disponibilità di un EH 101 per
l’attività; era però necessario
addestrare prima il personale designato
per essere calato con il verricello
nelle vicinanze del faro.
L’occasione
non poteva essere persa e quindi mentre
il personale di Marifari La Spezia
predisponeva il materiale necessario in
apposite casse in plastica idonee anche
al trasporto di sostanze pericolose, il
capo tecnico Maurizio Palla si recava a
Maristaeli per il necessario
indottrinamento e un volo di
ricognizione sul Monte Poro per
individuare modalità e punto di discesa.
Completata la fase di preparazione e
addestramento, il 1° luglio il team di
intervento tecnico di Marifari partiva
di prima mattina da Marina di Campo per
raggiungere, via terra, la sommità del
monte ed iniziare le predisposizioni
necessarie e lo smontaggio dei
componenti in avaria.
Parallelamente altro personale si recava
a Luni per caricare sull’elicottero le
casse con il materiale necessario alla
riparazione. Alle 11.00 l’EH 101
raggiungeva il Monte Poro e, utilizzando
una delle vecchie postazioni di cannoni
navali, scaricava il materiale e il capo
tecnico per ridislocarsi poi nel piccolo
aeroporto di Marina di Campo. Dopo circa
due ore di intenso lavoro il faro veniva
rimesso in efficienza sostituendo tutti
i componenti elettronici in avaria ed
istallando un nuovo lampeggiatore a led.
Richiamato l’elicottero venivano
recuperate a bordo tutte le casse con il
materiale non più necessario e quindi
l’EH 101 dirigeva per Luni dove il
personale di Marifari attendeva per il
recupero e il trasporto al Comando Zona
Fari.
Nel contempo il team rimasto sul Monte
Poro completava l’installazione delle
apparecchiature per il tele monitoraggio
e procedeva con le verifiche di corretto
funzionamento di tutto il sistema e al
rassetto dell’area. Alle 16.00 il team
iniziava la discesa verso Marina di
Campo al termine di un’intensa giornata
di lavoro e di un’azione combinata
perfettamente riuscita. La sera un
brindisi tra il personale del team
festeggiava il primo lampo del rinato
faro di monte Poro.
Al Forte rivive la Grande Guerra
Da Alto Adige - 29 giugno 2014 — pagina 33 sezione: Nazionale
FORTEZZA C’è chi ha portato una cartolina, chi un
oggetto, chi solamente i ricordi tramandati in famiglia. Al Forte di
Fortezza per un giorno si è tornati indietro nel tempo, alla Prima Guerra
mondiale. Un gruppo di lavoro ha catalogato (e restituito) decine di oggetti
risalenti a cent’anni fa, arricchendo in questo modo la biblioteca europea
digitale in fase di formazione. Per il 100° anniversario della Prima guerra
mondiale, infatti, Europeana (biblioteca, museo e archivio digitale europeo)
ha intrapreso un progetto di digitalizzazione, conservazione e pubblicazione
di cimeli e testimonianze sulla guerra in grado di fornire a tutti una
migliore comprensione dell’impatto e degli effetti che la Grande Guerra ha
avuto sulla gente comune. Il progetto ha finora reso possibile la
pubblicazione sul proprio sito (europeana1914-1918.eu) di oltre 45.000 foto
di oggetti, lettere e diari storici risalenti al periodo della grande
guerra. Anche dal Forte di Fortezza c’è stata una positiva risposta e molti
altoatesine sono intervenuti per raccontare la storia dei loro parenti e per
renderla accessibile a tutta la popolazione europea. Durante la giornata
d’azione sono state raccolte esperienze di prigionieri russi, che lavoravano
pressi i masi del Renon, storie di giovani soldati caduti al fronte, storie
di giovani mogli che aspettavano a casa il ritorno dei loro uomini e
numerosi altri racconti legati alla Grande Guerra. «Ho portato dei quadri
raffiguranti la Madonna e Gesù Cristo con le cornici fatte da un giovane
russo – ci spiega la signora Franciska Kaserer di Vanga nel Renon – una
scatola di legno sempre costruita dal giovane che amava mangiare le
frittelle tirolesi che mio bisnonno gli faceva». «Io ho portato un frammento
di lamiera d’acciaio della nave dove era il papà di mio nonno – racconta una
signora venuta da Merano – ho portato anche dei fogli scritti da un medico
dove si registrano centinaia di soldati uccisi con una pallottola al ventre
e altro materiale che ho conservato con una certa emozione». Una presenza
importante al forte di Fortezza è stata quella del direttore del Centro
Russo Borodina Merano, Andrey Pruss, il quale con il sostegno della
Provincia relazionerà in una conferenza regionale presso l’università di
Bolzano il 5 luglio, sul tema: “Tracce russe della Grande Guerra nel
Tirolo”. Un progetto già avviato per far conoscere la storia di migliaia di
prigionieri russi impiegati nella costruzione di vie di comunicazioni nel
Tirolo e Alto Adige. Chiunque volesse partecipare al progetto da casa sua,
può farlo usando il sito internet per raccogliere storie e esperienze legate
alla Grande Guerra.
Sui luoghi della memoria da Caporetto a Tolmino
Da Il Messaggero Veneto - 26 giugno 2014 — pagina 42 sezione:
Gorizia
UDINE Messaggero Veneto presenta oggi in edicola
Caporetto e la valle dell’Isonzo, la quarta e ultima guida Itinerari della
Grande Guerra, la collana dedicata ai percorsi per i camminamenti, le
trincee, le fortificazioni realizzati in Friuli Venezia Giulia durante il
primo conflitto mondiale. Caporetto, dunque, Tolmino, la valle dell'Isonzo,
il Monte Nero: campi di battaglia e luoghi della memoria per tutti gli
italiani, oggi posti al di là del confine nella vicina Repubblica di
Slovenia. La guida (7,80 euro più il costo del quotidiano) s’inizia con la
descrizione di un itinerario automobilistico che tocca tutti i punti di
interesse bellico lungo la valle dell'Isonzo e prima verso il passo del
Predil e la fortezza della Chiusa di Plezzo (Bovec). Altri itinerari
illustrano il percorso storico di Caporetto con il suo Ossario e gli
splendidi scorci naturali dei dintorni, la conca di Dreznica e il Museo
all'aperto in quota con il Trincerone ai margini del Parco nazionale del
Tricorno (Triglav). Non potevano mancare le escursioni – impegnative ma non
difficoltose dal punto di vista tecnico – sul Monte Rosso e sul Monte Nero,
mentre l'ultimo itinerario si sviluppa nei dintorni di Tolmino con la
descrizione dell'altura del Mengore e della chiesa dedicata alla Madonna.
Nell'anno di inizio delle celebrazioni per il centenario, che ricorderanno
sofferenze ed eroismi di chi visse il conflitto, si ripresentano in edicola
quattro guide con la descrizione degli itinerari più significativi legati
alla memoria della Grande Guerra. La riedizione della collana, completamente
rivisitata su testi e immagini, a cura di Riccardo Coretti, fornisce tutte
le indicazioni utili alla scoperta di questi luoghi. Cartine, tempi di
percorrenza e focus su argomenti correlati alle escursioni caratterizzano i
volumi della collana, realizzata in collaborazione con la Regione Autonoma
Friuli Venezia Giulia e con l'editore Gaspari di Udine, specialista sulle
tematiche della Grande Guerra. Una nuova impaginazione fornisce oggi
suggerimenti più chiari sulle peculiarità dei percorsi, mentre un rinnovato
corredo di immagini – sia storiche che di attualità – aiuta a
contestualizzare le descrizioni.
Versciaco, torna alla luce un bunker del vallo alpino
Da Alto Adige - 25 giugno 2014 — pagina 41 sezione: Nazionale
BRUNICO I lavori per la realizzazione della fermata
ferroviaria di Versciaco, propedeutica alla realizzazione del collegamento
alla linea ferroviaria della Val Pusteria degli impianti di risalita di
Monte Elmo, come è già avvenuto un paio di anni orsono per quella di Perca,
sono attualmente in pieno svolgimento. Dopo l'installazione del cantiere,
avvenuta con una mossa dal sapore più politico che imprenditoriale
nell'ottobre dell'anno scorso, con appena pochi giorni d'anticipo
sull'inverno dell'Alta Pusteria ma soprattutto solo una settimana prima
delle elezioni per il rinnovo del consiglio provinciale, ora è da ormai
oltre un mese che si sta invece lavorando a pieno ritmo per giungere in
tempo, all'inizio della prossima stagione invernale, a presentare agli
sciatori quello che sarà il secondo accesso ferroviario alle piste da sci
della val Pusteria e dell'intero Alto Adige e cioè la fermata ferroviaria di
Versciaco che consentirà di raggiungere in treno anche le piste di Monte
Elmo dopo quelle del Plan de Corones. Come è noto l'opera ferroviaria, che
fornirà anche un'infrastruttura utile al proseguimento del collegamento
unico fra Fortezza e l'austriaca Lienz in programma con il prossimo orario
ferroviario invernale, sarà a carico della Provincia di Bolzano mentre le
restanti infrastrutture di collegamento, cioè la passerella cavalcavia sulla
statale 49 della Pusteria, destinata agli sciatori per raggiungere la
stazione a valle degli impianti di Monte Elmo e l'annesso centro servizi,
saranno a carico della società funiviaria Sextner Dolomiten Spa che fa capo
all'imprenditore Franz Senfter. Anche per queste opere, in parte sul
versante dell'attuale linea ferroviaria e nella gran parte sul versante
opposto, in corrispondenza della stazione a valle degli impianti di risalita
di Monte Elmo, sono già stati praticamente ultimati i lavori di sbancamento
del terreno dove dovrà sorgere il nuovo centro servizi e che hanno portato
alla luce anche una caponiera delle ex fortificazioni del "Vallo alpino del
Littorio" che faceva parte dello "sbarramento di Versciaco" smantellato
attorno alla fine degli anni '70. La vecchia fortificazione in disuso verrà
demolita con l'esplosivo nel corso di questa o della prossima settimana, per
poi poter dare inizio alle opere di costruzione vere e proprie. Più in là,
verosimilmente verso la fine dell'estate, dovrebbe invece essere montato e
collaudato il ponte a scavalco sulla Ss 49 che verrà a completare il
nuovissimo complesso, che punta ad attirare sciatori anche dalla vicina
Austria, oltre che naturalmente dall'intero asse della val Pusteria. Grazie
al collegamento Monte Elmo - Croda Rossa infine, già da quest'inverno con
gli sci ed il treno si potrà spostarsi fra Sesto Pusteria ed il Plan de
Corones in poco più di un'ora.
Plamort, alla scoperta delle difese anticarro sopra la zona di Resia
Da Alto Adige - 13 giugno 2014 — pagina 27 sezione: Nazionale
di Fernando Gardini* wBOLZANO Sopra Resia, sullo
splendido e panoramico altopiano di Plamort (Pian dei morti), si trova una
palude dichiarata monumento naturale e qui, vicino al confine di stato
italo-austriaco è stato eretto un grande e particolare impianto militare di
difesa. Posteggiamo la macchina nei pressi della chiesa di Resia e seguendo
le indicazioni "Sorgenti dell'Adige" ci portiamo nella parte alta del paese.
Imboccata la strada forestale con segnavia 2 a quota 1580 facciamo una
deviazione per raggiungere la fonte che una tabella indica essere la
sorgente del fiume Adige. Rientrati al bivio ora prendiamo la forestale che
sale in direzione sud est, passa sopra l'impianto sportivo e dopo due
tornanti, a quota 1675 intercetta il sentiero "1A Rosshütte". Lo seguiamo e,
in costante salita e con belle inquadrature sul sottostante Lago di Resia,
raggiungiamo a quota 2016 l'altipiano di Plamort, territorio paludoso dove
sono state erette numerose fortificazioni militari. Seguendo l'indicazione
Panzersperre (barriera anticarro) raggiungiamo subito il manufatto
“Drachenzähnen” (denti di drago), costituito da pali di larici alti 50-100
cm, rinforzati in cemento con una piastra di fondazione e rivestiti in
calcestruzzo. La difesa anticarro eretta nel 1938 é stata mantenuta fino al
1962. Ma questa non è l'unica opera militare del sito, infatti per un'ora
girovaghiamo fra i bunker a suo tempo dotati di cannoni e altri con
postazioni per mitragliatrici e spazi per le truppe spesso collegate da
gallerie. Tutt i fortini dominano dall'alto i "Denti di Drago". Raggiunto il
punto sommitale dell'altura di Plamort m.2083, godiamo anche di uno
splendido panorama verso l'Ortles, cima Dieci e Undici, Belpiano e il
sottostante Lago di Resia, mentre a nord, all'altezza di Pfunds, si apre la
valle dell'Inn. Bello il contrasto tra le severe postazioni militari e i
prati in fiore. Per il rientro, ci riportiamo al bivio di quota 2016 dove
riprendiamo il sentiero "1A Rosshütte/Kreuzweg" che ora cala velocemente nel
bosco per raggiungere la forestale con segnavia 2 poco prima del bacino
Grüneben. Seguendo la comoda carrareccia rientriamo a Resia. Zona: Passo
Resia Gruppo: A.Venoste, monti fra Vallelunga, val Planol e val Mazia.
Dislivello: 570 metri Durata: 3 ore e 20 (più 1 ora per la visita alle
fortificazioni). Km: 9,6 Itinerario: Resia, sorgenti Adige, sent.1A, bivio
2A, barriere anticarro, Plamourt, bivio 2A, Grüneben, Resia.
Dal 28 giugno la mostra sui trentini in guerra
Da Il Trentino - 11 giugno 2014 — pagina 12 sezione:
Nazionale
TRENTO In occasione del Centenario della Grande Guerra la
Fondazione Museo storico del Trentino inaugurerà – sabato 28 giugno alle ore
17.00 – la mostra “I Trentini nella guerra europea (1914 -1920)”. Il tema
del primo conflitto mondiale torna così alle Gallerie dopo sei anni: era
stato infatti al centro della prima esposizione che nel 2008 aveva segnato
la riapertura dei due ex tunnel stradali riconvertiti in spazio culturale.
La prima mostra ospitata nel 2008 alle Gallerie di Piedicastello era
dedicata alla Grande Guerra. La Fondazione Museo storico del Trentino
continua a puntare sullo studio e sulla divulgazione di questo importante
filone di ricerca proponendo, in occasione del Centenario, una nuova mostra.
Dal 28 giugno la Galleria bianca ospiterà “I trentini nella guerra europea
(1914-1920)”, che rimarrà aperta durante tutte le iniziative legate al
Centenario, quindi fino al 2018. Il Mart invece, Museo di arte moderna e
contemporanea di Trento e Rovereto sta preparando un’importante esposizione
dedicata alla Prima guerra mondiale in occasione del suo centenario. La
mostra fa suo il titolo dalla celebre poesia di Bertolt Brecht (La guerra
che verrà/non è la prima./Prima ci sono state altre guerre./Alla fine
dell’ultima/c’erano vincitori e vinti./Fra i vinti la povera gente/ faceva
la fame. Fra i vincitori/ faceva la fame la povera gente/ egualmente.)
L’apertura della mostra è prevista per il 3 di ottobre. La Soprintendenza
per i Beni culturali dal canto suo sta portando a compimento gli interventi
e le attività di valorizzazione avviate con il Progetto Grande Guerra,
nell’ambito del quale si sono conclusi il restauro e l’allestimento di forte
Cadine quale centro d’informazione delle fortificazioni trentine, e gli
interventi pilota di recupero di alcuni forti individuati per la loro
valenza storica, localizzazione e potenzialità (forte Dossaccio, forte Tenna,
forte S. Biagio e forte Pozzacchio).
Grande Guerra, tutte le iniziative
Da Il Trentino - 11 giugno 2014 — pagina 12 sezione:
Nazionale
Dal 2009 , 18 musei fanno parte della Rete Trentino
Grande Guerra, che riunisce soggetti pubblici e privati impegnati nel
recupero e nella valorizzazione e del patrimonio storico trentino legato
alla Prima guerra mondiale. Il circuito dei musei, il cui coordinamento è
affidato al Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, è nato per dare
forza al ruolo dei musei sul territorio e sostenere la loro offerta
culturale, favorendo la realizzazione di azioni comuni di valorizzazione e
progetti condivisi. Sul piano della comunicazione, l’attività della Rete
Trentino Grande Guerra si presenta al pubblico attraverso il portale web
www.trentinograndeguerra.it, sito di riferimento provinciale per le
iniziative legate al Centenario. Una sezione importante del sito è dedicata
proprio ai musei, alle loro proposte di visita e ai siti storici ad essi
collegati con immagini, video e suggerimenti per escursioni tematiche sul
territorio. Il centenario della Grande Guerra impegnerà tutte le istituzioni
culturali trentine e le comunità di Valle in una programmazione capillare di
eventi. Un ruolo di assoluto rilievo che le vede parte attiva nel coordinare
e promuovere molti eventi e iniziative sul territorio. Il loro è un apporto
che rimanda direttamente a quel ricco tessuto fatto anche di gruppi di
studio e di ricerca, di associazioni storiche, delle piccole realtà museali,
del decisivo ruolo del volontariato. Sono due per esempio i progetti sui
quali la Comunità Territoriale della Valle di Fiemme punta per commemorare
il Centenario: una mostra a Ziano di Fiemme, allestita a Villa Flora,
all’epoca sede del comando della tredicesima brigata da montagna, e un
docu-film che punta a ricostruire i principali avvenimenti. La Comunità di
Primiero farà invece da coordinatrice, attraverso personale specializzato e
appositi canali informatici tra cui il nuovo portale della cultura di
Primiero (www.cultura.primiero.tn.it), dei progetti legati al Centenario.
Tra questi più di 40 iniziative tra escursioni, eventi, conferenze.
Valsugana, Bersntol e Tesino ospitano poi alcuni manufatti che in questi
anni sono stati oggetto di restauri: il sentiero e le postazioni che
conducono al Forte Fornas sopra Vigolo Vattaro, la zona di Colle San Biagio
e il Colle delle Benne sopra Levico Terme, la linea Brada tra Baselga di
Pinè e Sant'Orsola, la postazione dell'obice da 30,5 al Plaz del Canon e la
sezione del Sentiero della Pace (percorso E5) che attraversa la Valle dei
Mocheni. Ancora: la Comunità della Val di Non promuove e affianca gli autori
di progetti pensati allo scopo di commemorare la Grande Guerra in occasione
del suo centenario. E questo nonostante la Valle non sia stata, direttamente
coinvolta da interventi specificatamente di natura bellica. Completamente
diversa la situazione della Val di Sole. La Val di Sole è stata scenario di
eventi tragici e rilevanti dal punto di vista storico e sociale. Il
territorio della valle (comuni di Vermiglio, Ossana, Pejo, Pellizzano,
Caldes) è cosparso di forti, villaggi militari, postazioni e ricoveri in
caverna, strade, mulattiere, percorsi trincerati, sentieri di arroccamento,
oltre a vari siti museali nati negli ultimi anni. In vista delle
commemorazioni del centenario sono stati completati e varranno avviati
numerosi progetti di restauro. Il tutto per accogliere e promuovere un nuovo
turismo di tipo culturale. Nelle Giudicarie la settimana dal 21 al 27 luglio
sarà dedicata al “Pellegrinaggio degli alpini in Adamello”. Dall’8 al 10
agosto si svolgerà in Valle del Chiese il Festival storico Altro Tempo
“Parole di Piombo. L’informazione in tempo di guerra”: manifestazione tra
letteratura, arte, storia, teatro, musica e cultura presso Forte Larino,
Forte Corno, Cimitero Monumentale di Bondo. In Vallagarina le varie
iniziative saranno invece coordinate nel “Progetto Vallagarina – Centenario
della Grande Guerra”. Evento di grande portata nel Comun General de Fascia
sarà la mostra – evento “La Gran Vera”, al Teatro Navalge di Moena dal
luglio 2014 al settembre 2015. L’estate del Centenario sull’Alpe Cimbra di
Folgaria, Lavarone e Luserna si apre con la Marcia dei Forti (29 giugno –
Folgaria), tracciata tra i forti Dosso delle Somme, Sommo Alto e Cherle. La
Comunità Rotaliana - Königsberg, nell'ambito del centenario della Grande
Guerra, partecipa al progetto “Dalla Storia al Teatro: le donne trentine
deportate durante la Grande Guerra”, promosso dall'Associazione Culturale
Lavisana di Lavis. Naturalmente anche la Valle dei Laghi con Comunità e
Comuni riuniti nella Gestione associata della Cultura partecipa e sostiene
gli eventi del suo territorio legati alla commemorazione del centenario del
Primo conflitto mondiale, ma la programmazione è ancora in fase di
definizione
Altri 120 giorni per avere il Forte
Da La Gazzetta di Mantova - 06 giugno 2014 — pagina 17
sezione: Nazionale
Firmato l'accordo di valorizzazione per il Forte di
Pietole. È il risultato della riunione di pochi giorni tra il Comune di
Borgo Virgilio e il Demanio di Milano, terminata di nuovo senza il passaggio
di proprietà del Forte, anche se questa volta è stato fatto un piccolo passo
in avanti. Adesso ci saranno centoventi giorni di tempo entro cui poter
siglare il rogito e intanto l'amministrazione ha già messo a bilancio una
prima somma (circa 100mila euro) nella speranza di riuscire ad avere le
chiavi in mano e cominciare le opere di riqualificazione entro l'anno. (ele.car)
Il Forte di Pietole verso il Comune Oggi l’ultimo atto
Da La Gazzetta di Mantova - 04 giugno 2014 — pagina 17
sezione: Nazionale
Borgo Virgilio avrà il Forte di Pietole. Il Demanio di
Milano ha fissato per oggi l’incontro con il Comune per l’acquisizione della
struttura. La firma del notaio è l’ultimo passaggio burocratico che ormai da
mesi separa l’amministrazione dall’avere in mano le chiavi della fortezza e
poter dare il via alla progettualità prevista e già approvata dalle parti in
causa nella metà del 2013. Questa volta non ci sono stati altri rinvii.
Mentre i tecnici incaricati andranno a Milano, il sindaco Alessandro
Beduschi sarà invece a Torino, per una riunione sull’autostrada Mantova-
Cremona. (ele.car)
Le foto dei «confini di pietra»
Da Alto Adige - 04 giugno 2014 — pagina 73 sezione: Nazionale
SAN CANDIDO Il complesso di fortificazioni noto come
"Vallo alpino del Littorio" fu realizzato a partire dal 1939 dall'allora
governo fascista a difesa del versante orientale delle Alpi da potenziali
invasioni provenienti da est. La sua costruzione suscitò però le ire
dell'alleato tedesco con il quale l'Italia strinse il famoso "Patto
d'Acciaio" e così venne "formalmente" conclusa nel 1942, quando però ormai
il grosso delle fortificazioni previste era ormai stato terminato, quasi a
tempo di record per quell'epoca. Di quel complesso di fortificazioni, ancor
oggi in Alto Adige restano circa 300 manufatti distribuiti su diverse linee
difensive, molte delle quali disseminate lungo i circa 70 chilometri della
Val Pusteria e ad esse due giovani creativi dell'Alta Pusteria, Curti Covi e
Nadja Stauder, quest'ultima coadiuvata dal padre Josef, hanno dedicato un
volume dal titolo "Steinerne Grenzen - Confini di pietra", presentato in
anteprima a San Candido, allo Spazio Arte del caffè Mitterhofer, unitamente
a una mostra fotografica realizzata con una selezione delle immagini di
Nadja e Josef Stauder che illustrano e corredano artisticamente il volume di
cui Curti Covi è l'autore. Curti Covi è nato a San Candido e, dopo aver
studiato storia contemporanea a Innsbruck, ora si occupa di relazioni
internazionali all'Università di Kiel, mentre Nadja Stauder, dopo aver
ereditato dal padre la passione per la fotografia, si occupa di diversi
progetti nel campo della ritrattistica e della fotografia naturalistica e
urbana. La mostra fotografica, nelle sale del caffè Mitterhofer, resterà
aperta fino all’11 luglio negli orari di apertura del locale, mentre il
volume si può consultare a corredo della mostra o acquisire direttamente
nelle librerie specializzate o rivolgendosi direttamente all'autore o
all'organizzatore dell'esposizione. (adp)
Museo tra le nuvole centinaia i visitatori
Da Il Corriere delle Alpi - 02 giugno 2014 — pagina 11
sezione: Nazionale
CIBIANA Quasi un assalto. Centinaia gli escursionisti
che nel primo giorno di apertura del museo fra le nuvole, sul monte Rite,
sono saliti in quota, chi in navetta, i più nuumerosi a piedi, lungo i 7
chilometri di tornanti che da passo Cibiiana portano in quota. La
giornata non era delle più invitanti e non c'era Reinhold Messner che
per l'inaugurazione ufficiale della stagione sarà presente domenica,
quando in vetta salirà per la prima volta anche la neosindaco, Luciana
Furlanis. La folla ha preso di sorpresa anche i gestori del Rifugio
Dolomites che non avevano messo in conto così numerosi clienti. Vicino
al museo e vicino al rifugio c'è ancora la neve; ben 4 i metri caduti
durante l'inverno e la primavera, tanto da costringere quanti hanno
continuato a frequentare il rifugio ad entrare dal tetto. Il museo ha
offerto nuovi allestimenti che fanno memoria delle grandi pareti scalate
da Messner sulle Dolomiti, a cominciare da quelle del Pelmo e del
Civetta. In questo modo il fondatore ha inteso rendere omaggio ai suoi
primi 70 anni, che festeggerà in settembre. E per settembre lo stesso
Messner spera che sia aperto il Taulà dei bos, dove ha predisposto una
sua esposizione. (fdm)
Rifugio antiaereo del Guasto
Da amicidelleacque.org del 1 maggio 2014
L’epopea
dei Bentivoglio e la Domus Aurea , il giardino e le gallerie del rifugio
antiaereo; storie e memorie dal 1200 al 1944. Il rifugio numero 16 dedicato
a Loris Bulgarelli e costruito sotto il rilevato del giardino del Guasto,
faceva parte della numerosa selva di ricoveri antiaerei costruiti
dall’Amministrazione comunale tra il 1943 e il 1944. I ripari in Galleria
(antibomba) furono in tutto 25 ai quali si andavano ad aggiungere una
cinquantina di trincee tubolari, quindici trincee antischegge (suddivise a
loro volta in muratura e legname) e una quantità infinita di ricoveri (di
apienza variabile tra le 30 e le 800 persone) denominati pubblici –
anticrollo ricavati praticamente sotto ogni palazzo privato o pubblico, per
un totale, secondo i documenti sino ad oggi ritrovati, di oltre 700
manufatti. Tutto iniziò, per questo singolo caso, il giorno 06 Marzo del
1944, XXII° Anno EF, esattamente 365 giorni e qualche ora dopo, l’inizio
della progettazione di un altro capiente ricovero: il Primo Lotto ricavato
nella parte Nord- Ovest del giardino pubblico della Montagnola. Ma di quest’ultimo
daremo maggiori e ulteriori precisi dettagli nel volume che si andrà a
presentare Sabato 12 Ottobre 2013, quando attraverso un convegno verranno
svelate le ultime ricerche e le nuove scoperte inerenti il terrapieno
posizionato lungo via dell’Indipendenza e che per oltre 700 anni fu uno dei
centri nevralgici di Bologna. Bene, il 06 Marzo l’ufficio preposto del
Comune e la ditta che vinse l’appalto dell’apposito bando, attuarono il
“progetto di galleria-rifugio da eseguirsi sotto il rilevato di Via Del
Guasto”. Vennero così iniziate e poi portate a termine in quasi tutta la
loro opera “una serie di gallerie formate da due rami longitudinali
collegati da quattro trasversali per uno sviluppo complessivo di circa 120
metri e una estensione di 360 mq”. I cunicoli furono costruiti con piedritti
e volte in muratura di mattoni legati assieme da malta di calce cruda con le
stuccature interne in malta di cemento. “Pure in muratura furono eseguite le
altre strutture accessorie”. Fu deciso all’unanimità dal gruppo di
progettisti, anche per rispettare il progetto iniziale mantenendo più o meno
invariati i costi preventivati, e per“ottenere la formazione di una massa
coprente maggiore”, che tutto il materiale di risulta degli scavi (e di
altro fornito dal Comune) venisse trasportato sul piano del giardino. Si
venne così a formare uno spesso strato di terra sul livello preesistente
dello spazio verde per una altezza di 4 metri che andava a proteggere
ulteriormente la costruzione da fortuiti colpi diretti. La capacità di
ricezione era conteggiata per eccesso a circa 400 persone. Il lato Sud,
quello che dà ancora oggi verso Largo Respighi e che porta il rivestimento
esterno di mattoni e selenite, avrebbe dovuto ospitare due capienti aperture
da utilizzare come uscite/entrate di sicurezza, oltre a quelle verticali di
notevole diametro. Si iniziarono i lavori ma data la mancanza dei sostegni
in muratura le volte crollarono successivamente causa il cedimento delle
strutture in legname che non vennero mai più ripristinate. Al termine del
conflitto ci fu una lunga diatriba legale tra la Prefettura, il Comune, il
Genio Civile e l’allora proprietà che voleva restituita l’area sulla quale,
per conto e nell’interesse dello Stato, venne realizzato il rifugio,
causando seri danni alle opere preesistenti**. ** ”Aposa segreto i rifugi
antiaerei”, a cura di Massimo Brunelli e Francisco Giordano, Bologna
sotterranea 2012 – Si ringrazia sentitamente l’Archivio Storico della
Regione Emilia – Romagna e tutto il personale per la disponibilità.
Costo non soci:
Costo Soci:
La visita si terrà con un minimo di 20 partecipanti.
Numero massimo partecipanti: 50.
Attrezzatura: scarpe comode, una piccola torcia.
Prenotazioni: segreteria@amicidelleacque.org / 347-
5140369, Massimo Brunelli, Bologna sotterranea®
La prenotazione si ritiene impegnativa
Donazione di due terreni per restaurare il forte
Da Il Corriere delle Alpi - 29 maggio 2014 — pagina 35
sezione: Nazionale
ARSIÈ Un’offerta che sarebbe difficile rifiutare. Il
consigliere di minoranza Dario Dall'Agnol offre al Comune di Arsiè due
terreni adiacenti al forte Tagliata della Scala alla modica – per non dire
irrisoria – cifra di un euro. «Ho deciso di farlo dopo aver scoperto che la
Regione offrirà ai Comuni la possibilità di accedere a contributi per
interventi di restauro e conservazione di beni inerenti agli eventi bellici
del Primo conflitto mondiale», spiega l'ex sindaco arsedese, «ma per
partecipare il Comune deve esserne o il proprietario, o in alternativa il
titolare di altri diritti. Io possiedo un'area di 19 metri quadrati su cui
insiste la parte terminale, lato est, del forte, che sarebbe l'ultimo tratto
della caponiera con la scalinata di accesso all'osservatorio, parzialmente
demolito negli anni Cinquanta. Possiedo inoltre altre due aree,
rispettivamente di 82,3 e 16,9 metri quadrati, su cui insiste l'ex cava
della “Perina”, ora dismessa, da cui sono state estratte all'epoca le pietre
per costruire la Tagliata e l'ampia mulattiera ad essa collegata.
L'osservatorio era in particolare l'elemento più importante del forte perché
serviva a tenere sotto controllo lo sbocco sulla Valsugana a ovest di
Primolano». Con delibera di giunta 422, la Regione vuole raccogliere le
proposte progettuali di conservazione e restauro di beni immobili sparsi nel
Veneto, tra i quali fortificazioni, forti e manufatti difensivi, in vista di
un eventuale concessione di contributi tramite mandi o con l'erogazione di
fondi di sviluppo e coesione. «Il forte è stato progettato nel 1880 ai tempi
delle artiglierie di bronzo, è stato poi adeguato per renderlo resistente
alle granate perforanti di grosso calibro, alle quali non era in grado di
far fronte neppure il forte Leone di cima Campo. La Tagliata si trova nel
punto in cui la variante commerciale di fondovalle della Via Claudia Augusta
Altinate incrocia la statale 50 bis, per non parlare della vicinanza con i
ruderi del castello medievale della Scala, baluardo di Feltre per tutto il
Medioevo», enfatizza Dall’Agnol, «perciò è non solo un sito interessante, ma
anche facilmente accessibile». «Il sistema fortificato Scala-Fontanelle è
già interessato dai lavori di recupero della ditta Gheller, finanziati
sempre dalla Regione», conclude Dall'Agnol, «ho deciso di offrire la mia
nuda proprietà per poter favorire l'arrivo di altri sostegni economici e
consentire ulteriori lavori di messa in sicurezza e valorizzazione di
un'area di inequivocabile interesse storico, culturale, e didattico».
Francesca Valente
Ecco le fortificazioni della Guerra Mondiale
Da Il Tirreno - 25 maggio 2014 — pagina 20 sezione: Lucca
Info: 339 88.54.979 – 347 00.61.124 LUCCA Nell’ambito del
programma del 70° anniversario della Liberazione, il Comitato Linea Gotica
Brancoli organizza per oggi una visita alle fortificazioni della seconda
Guerra Mondiale. Parteciperanno i gruppi di rievocazione storica
Associazione Culturale Poseidone, Linea Gotica della Lucchesia, Ultimo
Fronte1945, Linea Gotica Tirrenica. La partenza, in gruppi organizzati, sarà
alle 9 dal piazzale della chiesa di San Giusto di Brancoli. Saranno presenti
guide locali che forniranno informazioni sulle fortificazioni, piazzole e
trincee che ancora sono conservati lungo un percorso di alto valore storico
e paesaggistico. All’inizio del percorso sarà possibile visitare una
riproduzione originale di un accampamento americano con esposizione di
materiale risalente alla seconda Guerra Mondiale. La vista inizierà
camminando lungo la “Via di San Bartolomeo in Grotta” come era chiamata in
passato questa strada, nome che deriva dall’omonima Chiesa costruita sui
ruderi dell’antico Castello di Cotrozzo che dominava il territorio da una
posizione strategica. Dalla chiesa di San Bartolomeo sarà possibile vedere
solo alcuni resti in quanto gran parte della sue pietre furono prese per
costruire le fortificazione della “Linea Gotica”. Lungo il percorso sarà
possibile incontrare rievocatori con le uniformi originali tedesche che
renderanno la passeggiata un vero e proprio contatto con la storia. Alla
fine del percorso il Comitato sarà lieto di offrire ai partecipanti un
pranzano con prodotti tipici a della zona.
Una difesa all'avanguardia
Da rbth.it del 19 maggio 2014
Tecnologia
ed efficienza.
Sono queste le due
coordinate su cui si muove l'impegno della Federazione nella costruzione di
sistemi di difesa antiaerea.
Ecco le principali
innovazioni degli ultimi anni.
Il sistema di difesa
missilistica russo è noto per essere tra i migliori al mondo. E le forze di
difesa aerospaziale russe sono dotate di strumenti a lungo raggio in grado
di individuare contemporaneamente più obiettivi.
Ecco quelli principali.
Igla-S
Questo sistema missilistico
antiaereo trasportabile a spalla ha una struttura piuttosto semplice (consiste
in un tubo di lancio e un missile) ed è pensato per ingaggiare aeroplani,
elicotteri e droni ad altitudini basse e in condizioni di rumore termico sia
naturali che prodotte artificialmente. L’Igla-S è praticamente impossibile da
rilevare attraverso apparecchi di ricognizione, e vanta un alto livello di
accuratezza. Molti esperti ritengno che questo Manpad sia superiore a tutti i
modelli analoghi attualmente esistenti. Ha dimostrato la sua capacità di
combattimento in occasione di diversi conflitti, come nella ex- Jugoslavia e in
Siria. I Manpad Igla-S sono stati forniti a Paesi del Sud-est asiatico,
dell’Asia centrale, del vicino e medio Oriente, dell’Europa centrale,
dell’America latina, dei Caraibi e dell’Africa.
S-300VM
“Antey-2500”
Il sistema portatile
anti-missile e anti-aereo S-300 VM “Antey-2500” è un mezzo di difesa
missilistica e aerea universale, in grado di ingaggiare missili balistici sino a
una distanza massima di 2.500 km, o di intercettare obiettivo aerodinamico di
ogni tipo.
Il sistema avionico
dell’S-300VM è dotato di due radar: uno a scansione circolare e uno basato su un
programma informatico.
Il primo scansiona lo spazio
circostante, ed è pensato soprattutto per individuare aeroplani ed elicotteri,
mentre il secondo è adatto a cercare missili.
Attualmente l’S-300 VM è il
più potente sistema di difesa missilistica antiaerea disponibile per
l’esportazione. L’S-300 VM è in dotazione all’esercito del Venezuela.
Pantsir
S-1
Questo sistema è disegnato
per la difesa a corto raggio di obiettivi civili e militari da tutti i mezzi
esistenti e potenziali di assalto aereo, e fornisce inoltre protezione contro i
sistemi di difesa contraerea a lungo raggio. Può anche difendere un obiettivo
protetto da minacce originanti da terra o navali.
Il Pantsir S-1 è attualmente
in fase di collaudo in Siria, dove gli esperti militari ne stanno valutando la
portabilità (il dispiegamento richiede solo cinque minuti), la potenza massima
di capacità fuoco e l’accuratezza.
Il Pantsir è in grado di
abbattere qualsiasi obiettivo, da un passerotto a un aeroplano, ed è considerato
senza pari dagli esperti.
Il sistema è attualmente in
dotazione in Algeria, Iran, Eau e Oman.
RS S-400
Triumf
L’RS S-400 Triumf è stato
pensato per ingaggiare obiettivi aerei aerodinamici (aerei tattici e strategici
e aerei di disturbo (jamming), come gli Awacs e i Kr), compresi quelli dotati di
tecnologia stealth entro un raggio di circa 400 km.
È in grado inoltre di
intercettare missili balistici, obiettivi supersonici e altri mezzi esistenti e
potenziali di assalto aereo.
Rispetto al suo
predecessore, l’S-300 Triumf, l’RS S-400 presenta una frequenza di sparo
superiore di 2,5 volte.
Potrà essere esportato dopo
il 2016.
RS S-500
Il più promettente sistema
missilistico di difesa contraerea L’RS S-500 appartiene all’ultima generazione
di sistemi missilistici contraerei, che presumibilmente si baseranno sul
concetto di “split decision” per distruggere simultaneamente obiettivi multipli,
sia balistici che aerei. L’S-500 è stato progettato soprattutto per il
combattimento a medio raggio e per ingaggiare missili intercontinentali a medio
raggio. Stando al suo creatore, il più recente sistema di difesa sarà
addirittura in grado di raggiungere i satelliti che occupano un’orbita bassa,
armi spaziali e piattaforme orbitali. L’S-500 è attualmente in fase di sviluppo
e potrebbe essere disponibile già a partire dal 2017.
L’ex base
missilistica passa gratis al Comune
Da La
Nuova Venezia - 11 maggio 2014 — pagina 34 sezione:
Nazionale
PESEGGIA L’ex
base missilistica di Peseggia passa al Comune di Scorzè
a costo zero. La notizia è arrivata in municipio il 28
aprile dal Ministero della Difesa e già il sindaco
uscente Giovanni Battista Mestriner pensa a un’area
verde. Intanto il Movimento 5 Stelle, con in testa
Flavio Berton, sarà domani proprio nella ex base per
fare un sopralluogo. Di contro, la pretendente a guidare
la città Gigliola Scattolin (Pd, lista civica con
Gigliola Scattolin sindaco ed Energia nuova per… una
Scorzè viva) chiede di fare una nuova scuola elementare.
Dunque il tema ambiente è sempre più al centro della
campagna elettorale, a due settimane esatte dal voto.
Base missilistica. Dismessa ancora nel 2009 con attorno
duemila famiglie che hanno percepito per anni delle
indennità, l’ex area di Peseggia finirà al Comune. Il
Ministero ha dichiarato che i 18 ettari non hanno alcun
interesse ai fini istituzionali della difesa del paese.
Via libera, dunque, ad assegnare la superficie a Scorzè,
con Mestriner e l’assessore alla Protezione civile,
Francesco Tranossi che hanno spiegato cosa fare.
«Collegare Peseggia», dicono, «all’ex base missilistica
con una pista ciclabile su via Verdi e una rotatoria tra
la stessa via Verdi e via Moglianese. Pensiamo a un
percorso ciclopedonale di tipo naturalistico a est del
comune come lungo il fiume Dese a Scorzè. È una zona che
costituiva un limite per migliaia di persone e diventerà
un punto importante per la vivibilità del territorio.
Pensiamo di farci all’interno anche un percorso-vita che
sarà gestito dalle associazioni». Lo stesso Mestriner fa
presente che non occorre bonificare l’ex base e si farà
uno stato di consistenza dei luoghi. Movimento 5 Stelle.
Il candidato sindaco Berton aveva annunciato nei giorni
scorsi un sopralluogo per domani alle 9.30. Con lui ci
saranno anche gli onorevoli Emanuele Cozzolino e Marco
Da Villa. «Abbiamo saputo della notizia di Mestriner»,
afferma Berton, «ma ci andremo comunque. Vogliamo far
luce su quanto c’è all’interno. Anche noi puntiamo alla
riqualificazione della ex base». Scattolin. E in tema di
vivibilità e di lotta allo smog, il centrosinistra
propone di fare una nuova elementare. «Il governo»,
spiega, «sta lavorando per escludere le spese per
l’edilizia scolastica dai vincoli del patto di
stabilità. Serve un edificio degno di questo nome, al
riparo dai danni alla salute per i bambini. In cassa ci
sono due milioni di euro vincolati proprio per questo
settore. La Marconi è fatiscente, in mezzo alle polveri
sottili e ai rumori. Gli studenti e chi ci lavora
meritano di meglio». Alessandro Ragazzo
Pozzacchio sul Giornale dell’Architettura
Da Il Trentino - 11 maggio 2014 — pagina 32 sezione:
Nazionale
TRAMBILENO Due pagine dal titolo “Cosa resta della Grande
Guerra” e un bel servizio sul Forte Pozzacchio e il suo restauro. Questo lo
spazio che il trimestrale «Il giornale dell’Architettura» dedica al
centenario del primo conflitto mondiale, dando ampia pubblicità al Forte di
Pozzacchio e alla nostra provincia. Il Giornale dell’Architettura è una
importante rivista specialistica italiana dedicata agli architetti. Quello
in edicola in primavera è l’ultimo numero cartaceo. D’ora in poi la rivista
uscirà solo in digitale. Luca Gibello cura un ampio servizio dedicato alla
Grande Guerra. In un articolo viene ripercorso da est a ovest tutto il
fronte italiano, regione per regione, evidenziando lo stato dei preparativi
per il centenario con grande attenzione ai manufatti, (forti, trincee e
sacrari) e al loro recupero. In Trentino si parla di Adamello ma anche e
soprattutto della linea del Pasubio, dello Zugna, dei progetti in Vallarsa e
dell’altopiano di Lavarone. Si parla del Trincerone dello Zugna su progetto
di Alessandro Andreolli e Giorgio Campolongo, ma anche del Forte Pozzacchio
e del restauro firmato Francesco Collotti, Valentina Fantin e Giacomo
Pirazzoli. Un secondo articolo parla delle iniziative per celebrare il
centenario del conflitto. Iniziative indisciplinate secondo la giornalista
Veronica Rodenigo che fa notare come le regioni stiano lavorando da più o
meno tempo, ma che mancando un coordinamento statale è difficile seguire una
linea organica e coordinata. Per la nostra provincia si parla della rete
“Trentino Grande Guerra” e si fa molto riferimento al Museo storico italiano
della guerra intervistando anche il direttore Camillo Zadra. A corredo del
servizio, è pubblicato un box dedicato a Pozzacchio. Delle scorse settimane
l'apertura del cantiere della strada di accesso che renderà il forte
visitabile già dal corso della prossima estate. (m.p.)
Grande Guerra, finanziamenti in arrivo
Da Il Corriere delle Alpi - 10 maggio 2014 — pagina 32
sezione: Nazionale
di Walter Musizza wCADORE/COMELICO Già da tempo enti e
comitati impegnati a redigere programmi e progetti per l’imminente
Centenario della Grande Guerra manifestavano perplessità e preoccupazioni
per la mancanza di notizie certe sui finanziamenti regionali in questo
settore. In un contesto in cui i Comuni sono in grande difficoltà a
destinare risorse a piani di valorizzazione delle memorie storiche presenti
sul territorio, tante iniziative da tempo in cantiere anche nella provincia
bellunese attendevano con ansia entità e tempi di un aiuto concreto per
mettersi finalmente in moto. Dopo l’approvazione, esattamente un anno fa,
della proposta del Masterplan regionale firmato dall’architetto Mangione e
dall’ingegner Pivato molte erano state le proposte avanzate dal comitato dei
soci partecipanti. Si pensi che, nell’allegato B del documento, erano
presenti già 75 tra proposte e suggerimenti, la maggior parte dei quali
recepiti. Tra di essi alcuni riguardavano l’area delle Dolomiti bellunesi ed
apparivano alquanto impegnativi, come ad esempio il recupero della
cosiddetta “strada del Genio”, alle falde dell’Antelao, proposta dalla
Comunità Montana Valboite; l’allestimento del museo di Monte Ricco sostenuto
da tempo dal Comune di Pieve; o ancora il recupero del campo di volo di
Casel de Spin avanzato dal Comune di Santa Giustina. Negli ultimi tempi
ulteriori proposte ed idee sono state avanzate da amministratori e gruppi di
volontari, come nel caso di Auronzo, dove un comitato guidato da Stefano
Muzzi (e comprendente tra gli altri ANA, CAI e Consorzio Turistico) si è
fatto promotore di varie progetti ambiziosi, come ad esempio il rinnovo del
locale museo della Grande Guerra fondato da Ottavio Molin. Presso il rifugio
Auronzo, la locale sezione CAI vorrebbe realizzare inoltre una sorta di
terrazza panoramica destinata ad illustrare, anche con appositi pannelli, il
teatro degli scontri avvenuti all’ombra delle Tre Cime. Tutti a questo punto
guardano all’articolo 9 della legge finanziaria regionale per l’esercizio
2014 (n. 11 del 2 aprile scorso) che autorizza la giunta regionale a
sostenere interventi distinti in 5 tipologie: restauro e manutenzione dei
beni, realizzazione di apparati esplicativi permanenti, valorizzazione dei
beni e promozione della conoscenza delle vicende storiche, promozione di
manifestazioni, convegni, eventi culturali e progetti educativi e formativi
ed infine promozione di progetti di studio e ricerca sulla prima guerra
mondiale. A questo punto bisogna attendere criteri e procedure per la
concessione dei contributi a sostegno degli interventi suddetti, sapendo
comunque che gli oneri di natura corrente per l’applicazione sono
quantificati in euro 500.000, cui si farà fronte con le risorse destinate
per le manifestazioni ed istituzioni culturali nel bilancio di previsione
2014, mentre gli oneri d’investimento sono quantificati in euro 7.000.000,
cui si farà fronte con le risorse stanziate per edilizia, patrimonio
culturale ed edifici di culto. Se poi il sito regionale dell’Ecomuseo della
Grande Guerra (www.ecomuseograndeguerra.it), come pare, verrà riversato in
un portale della Regione Veneto riacquistando così il dinamismo smarrito per
strada, c’è da credere che, anche grazie ad esso, si accenderà una bella
competizione tra le diverse cronoaree e i tanti ambiti che le compongono.
Non mancheranno competizioni e magari polemiche, ma la speranza è che il
Bellunese nel suo complesso possa attingere a finanziamenti proporzionati
all’estensione ed ubicazione dei suoi innumerevoli beni e non resti
penalizzato, come accade in tanti altri campi, rispetto alla pianura.
Poggio Rasu, il piano Sacco per il forte
Da La Nuova Sardegna - 04 maggio 2014 — pagina 25
LA MADDALENA Una lezione speciale su un argomento molto
caro alla comunità. L'architetto Valentina Sacco, giovane professionista, ha
tenuto a La Maddalena, nei locali della biblioteca del circolo ufficiali,
un'interessante conferenza ai soci dell'università della terza età sul tema
“Le fortificazioni di difesa dell'arcipelago di La Maddalena. Un piano di
recupero per la batteria di Poggio Rasu Inferiore”, uno studio approfondito,
molto documentato, frutto di una lunga e rigorosa ricerca. Dopo un breve
preambolo, durante il quale Sacco ha illustrato le diversità tra i materiali
utilizzati e i concetti costruttivi che erano alla base della realizzazione
dei forti della fine del settecento e di quelli costruiti alla fine
dell'Ottocento, la conferenza si è incentrata sulle possibilità di
recuperare la batteria di Caprera. Duplice l’obiettivo della proposta di
restyling, non solo il restauro e della conservazione del bene demaniale ma
anche il recuperare della struttura per destinarla a un uso pubblico.
«L'intento – ha spiegato la giovane professionista – sarebbe anche quello di
assicurare, nel contempo, il rispetto della vegetazione che, oramai sta
invadendo ciò che resta del poderoso complesso difensivo» Per supportare la
sua tesi Sacco ha mostrato numerose fotografie hanno consentito di
evidenziare molti dettagli delle sistemazioni della batteria, mentre con
accurati disegni tecnici sono state esposte le diverse soluzioni ideate per
realizzare il progetto. (a.n.)
Back Yard
Da fatti-su.it del 2 maggio 2014
Back Yard ("Giardino dietro
casa") era il nome in codice militare della NATO del bunker segreto del Comando
Forze Terrestri Alleate del Sud Europa situato a Grezzana in provincia di
Verona.
Contents
1 Cenni storici
2 Struttura
3 Bibliografia
4 Collegamenti esterni
Cenni storici
Scavato nella roccia del Monte Vicino, in una ex miniera, a circa 300 metri di
altezza, precisamente in località Slavino in via Carrara numero 5, il bunker fu
progettato, come quello di West Star di Affi, tra il 1958 e il 1960, costruito
tra il 1960 e il 1966, anno dell'inaugurazione operativa, rimase in funzione
fino al 2000 quando fu dismesso da parte del Comando NATO di Verona. Mantenuto
in prontezza operativa 24 ore su 24 anche in tempo di pace, era presidiato dal
Gruppo misto telecomunicazioni di sostegno con il comando a Verona presso la
caserma A. Li Gobbi. Fungeva da posto comando controllo di riserva per
l'organizzazione e la direzione delle esercitazioni NATO nello scacchiere nord
occidentale italiano nel caso il sito principale di Affi fosse stato reso
inefficiente nel corso di un ipotetico conflitto con il patto di Varsavia.
Struttura
Il bunker era costruito su
un unico piano con tre tunnel a forma di tre ipsilon, possedeva tre entrate,
Porta 1, 2 e 3, una centrale e due laterali, e si accedeva all'ingresso
principale del sito da via Carrara tramite una strada sterrata. Superato il
posto di controllo e una fornice si entrava nella galleria d'accesso, al cui
lato destro vi era la centrale elettrica con un gruppo elettrogeno per
alimentare autonomamente il bunker in caso di emergenza per l'indisponibilità di
un collegamento alla rete nazionale dell'ENEL. Sul lato sinistro era situata
invece la centrale di climatizzazione dell'aria con i condizionatori per la
ventilazione interna e i sistemi di filtraggio che potevano all'occorrenza
impedire l'ingresso dell'aria esterna contaminata da agenti batteriologici. Il
nucleo principale della struttura era formato da due sale comando e controllo a
due piani contrassegnate con i numeri B15 e B16 e una sala operativa S68. A
supporto del sistema vi era la cucina, sala mensa, servizi igienici, una
cisterna per l'acqua potabile e dormitori. I tre tunnel principali lunghi circa
80 metri erano collegati da altri tunnel trasversali ognuno di 6 metri di
larghezza e 4 metri di altezza, tutti in cemento armato a cupola.
Il perimetro dell'area
esterna non era recintato ma delimitato da cartelli con scritto "Comune di
Grezzana Zona soggetta a servitù militare". Presso l'ingresso principale vi era
un parcheggio, un edificio presumibilmente adibito al ricovero del corpo di
guardia, dei cani di sorveglianza e la vetta del monte Vicino era sormontata da
ponti radio. In caso di attacco convenzionale, nucleare o batteriologico Back
Yard era in grado di garantire una possibilità di sopravvivenza ai suoi
occupanti anche se l'80% della protezione del sito era garantito dalla sua
segretezza e il restante 20% dalla protezione artificiale. Il bunker era stato
progettato con lo scopo di proteggere i suoi sistemi di comunicazione dalle
interferenze elettromagnetiche e anche se l'interno delle gallerie erano in
cemento armato a cupola non era in grado di resistere ad un attacco con bombe
penetranti di ultimo modello, come le GBU-28, usate per la prima volta nella
prima guerra del Golfo.
Back Yard era in
collegamento con la stazione militare trasmittente di Monte Tondo di Soave,
detto comunemente in codice Site C, realizzata in connessione diretta con West
Star e con Palazzo Carli, sede del Quartier Generale della Comando Forze
Terrestri Alleate del Sud Europa. Oggi tutta l'area secondo quanto previsto dal
Piano regolatore generale del comune di Grezzana "viene pertanto
conseguentemente individuata una nuova area di idonee dimensioni, come
precedentemente citato, ubicata in direzione Nord rispetto al capoluogo a
confine con la frazione Stallavena, sul lato sinistro della strada che conduce
alla frazione. L'area era gravata da un vincolo militare revocato di recente con
Decreto n. 2 del 27.08.2004 del Comando RFC Regionale Veneto. La destinazione
dell'area viene così a modificarsi: - da Zona agricola Sottozona E2 ed
individuazione di Servitù militari; - a Zona F- Aree attrezzate a parco, gioco e
sport". L'ingresso principale (Porta 1) è stato riempito di materiale e i due
ingressi laterali (Porta 2 e Porta 3) murati.
Bibliografia: Gianni Viola,
Il soave profumo dell'imperialismo, 2010. What the Russians know already and the
Italians must not know, a cura dell'Istituto di recerche per il disarmo, lo
sviluppo e la pace (IRDISP), 1984.
La "Biciclettata del 1° maggio" tra i vecchi forti
Da La Nuova Venezia - 30 aprile 2014
CAVALLINO. Biciclettata del 1 maggio visitando i forti austriaci ed italiani
presenti a Cavallino- Treporti fino ad ammirare la Batteria Pisani appena resa
accessibile dopo i recenti lavori di pulizia da parte del comune utilizzando 100
mila euro dell’imposta di soggiorno. «Questa giornata di festa ha un duplice
significato», dice il sindaco Claudio Orazio, «vuole essere il primo
significativo contributo alle prossime celebrazione dedicate al Centenario della
Grande Guerra, poi vogliamo riportare alla luce questi “pezzi” di storia che
grazie alla collaborazione di privati potremo rendere fruibili ed apprezzabili
in tutta la loro bellezza ai nostri residenti ed ai milioni di turisti».
La partenza del tour è fissata alle ore 10 da Punta Sabbioni. Dopo aver fatto
visita al Forte Treporti ed alla Batteria Amalfi. Successivamente si farà visita
alla Batteria San Marco con la sua torre telemetrica in mattoni faccia vista
eretta nel 1915. L’ultimo momento del tour sarà dedicato alla Batteria Vettor
Pisani.
L’intera visita durerà circa un’ora ed è aperta a giovani e famiglie che
potranno prendere parte a questo tour gratuito utilizzando le proprie city bike.(f.ma.)
Polveriera di Listincheddu, Ozieri - Un tranquillo angolo di campagna
dove un tempo venivanocustodite pericolose armi chimiche
Da
sardegnaabbandonata.it del
26 aprile 2014
Un
grande complesso di edifici ottocenteschi immersi nel verde, in uno
scenario più simile a un campo di boy-scout che a una struttura
militare.
Capannoni con
gli ornamenti semplici ma eleganti tipici dell’epoca, oculi sulle
facciate e finestre incorniciate di giallo, persino un riposante angolo
bucolico con una sorgente.
Riesce difficile immaginare che, in questa valle a due passi da Ozieri,
la polveriera di Listincheddu fosse uno dei principali depositi di armi
chimiche nel territorio italiano fino al 1976.
Anche il nome
della zona, piccolo lentischio, non lascia presagire nulla del suo
passato. La natura infatti continua il suo corso, riprendendo lentamente
possesso di caserme e magazzini: muschi e felci conquistano i muri e le
travi corrose dall’umidità, rovi e cespugli invadono gli stanzoni che
fino a qualche decennio fa custodivano carichi di morte e distruzione di
massa.
Edificata
alla fine dell’Ottocento ai piedi del monte Littu, entrò ufficialmente
in funzione dopo il regio decreto del 1896 che ne stabiliva la funzione
di deposito di esplosivi da guerra. Una polveriera come tante, con una
decina di caratteristici edifici prudentemente distanti tra loro,
circondati da un alto muro di cinta e sormontati ancora oggi da
un’inquietante torretta di guardia sulla sommità della collina.
La svolta si
ebbe tra gli anni Trenta e Quaranta, quando la dittatura fascista
intraprese la produzione su vasta scala di armi chimiche, e anche qui
sarebbero state depositate tonnellate di barili di sostanze tra cui i
famigerati fosgene, iprite, arsenico e cloro. Durante il secondo
conflitto mondiale, complice il segreto militare ben custodito,
Listincheddu non fu bersaglio dei bombardieri alleati. Difficile e
spaventoso immaginare le conseguenze in caso contrario.
Nel
dopoguerra la sua attività di stoccaggio sarebbe proseguita, con
l’aggiunta di ulteriori quantità di armi chimiche provenienti da altri
depositi. Solo nel 1976
questo pericolo chimico si allontanò definitivamente da Ozieri: la base
venne dismessa e bonificata, e tutto il contenuto trasferito a
Civitavecchia e in altre località per il teorico smaltimento. Così
Listincheddu è uscita della storia militare, ma in attesa della sua
riconversione sembra che alcuni nostalgici non abbiano compreso la
lezione e gli piaccia ancora giocare alla guerra, come spesso accade nei
luoghi abbandonati.
Nel 2006
l’Esercito ha ceduto il terreno alla Regione, e da allora Listincheddu
aspetta paziente un recupero che preveda la creazione di un parco, e di
un’area d’addestramento per i Vigili del fuoco, in quest’angolo di
campagna tornato alla vita. Perfetta ironia della sorte per un regime
nazifascista che intendeva usare gli Italiani come cavie da laboratorio
.
Dove si trova:
nei
pressi di Ozieri, ai piedi del monte Littu.
L’Allied
Rapid Reaction Corps al 4° “Peschiera”
Da difesaonline.it del
24 aprile 2014
Ieri,
una rappresentanza dell’Allied
Rapid Reaction Corps (ARRC)
ha fatto visita al 4°
reggimento artiglieria
controaerei “Peschiera”.
La delegazione, capitanata
dal brigadier generale
Andrew Harrison (UK), è
stata ricevuto dal
comandante di reggimento
colonnello Franco Fabi il
quale, dopo una breve
presentazione della storia
del reparto ed una
illustrazione della missione
e dei possibili impieghi
operativi del reggimento, ha
accompagnato gli ospiti
presso lo schieramento di
una batteria SAMP/T
impegnata in esercitazione.
Il 4° reggimento artiglieria
controaerei ha da poco
acquisito la piena capacità
operativa con il nuovo
sistema d’arma missilistico
SAMP-T, capace di operare
sia contro minaccia aerea
che contro minaccia
missilistica.
Grazie a questa duplice
capacità, il Reggimento,
oltre a contribuire alla
difesa aerea nazionale e
NATO, è in grado di
assicurare una capacità ATBM
(Anti Tactical Ballistic
Missile) nell’ambito del
programma NATO ALTBMD (Active
Layered Theatre Ballistic
Missile Defence).
Al termine della visita, la
delegazione ha espresso
l’auspicio di poter
collaborare con il
reggimento nelle prossime
attività addestrative ed
operative che vedranno
impegnato il comando ARRC.
Fonte: Comando delle Forze
Operative Terrestri
Ladri al Forte di Pietole Caricano il ferro sul furgone
Da La Gazzetta di Mantova - 23 aprile 2014 — pagina 21
sezione: Nazionale
BORGO VIRGILIO Il cancello è stato semi sfondato e sono
stati rubati alcuni ferri e forse qualche oggetto. Poche notti fa qualcuno è
entrato nel Forte di Pietole, probabilmente alla ricerca di rame. Il Comune
di Borgo Virgilio ha presentato una denuncia contro ignoti: la struttura,
che però non è ancora di proprietà comunale a causa dei rallentamenti nella
procedura per l'acquisizione cominciata nel 2013. «Con un automezzo è stato
rotto il cancello principale - riferisce il commissario prefettizio Angelo
Araldi - è stata portata via della ferraglia, anche perché non c'è molto
altro e comunque non c'è una catalogazione degli oggetti che si trovano nel
Forte». Secondo i rilievi delle forze dell'ordine, i ladri sono arrivati con
un furgone. Il vice prefetto è ancora in attesa del nulla osta da parte dei
dirigenti del Demanio di Roma, senza il quale la sede del capoluogo lombardo
non può procedere con le pratiche burocratiche per cedere al Comune le
chiavi della fortezza. Araldi la scorsa settimana ha scritto alle autorità
competenti per sollecitare il trasferimento, «dato l'interesse da parte
della popolazione». (ele.car)
Visite interattive nelle fortezze, si parte sabato prossimo
Da L'Adige - 16 aprile 2014
CADINE-LAVARONE - Il Centenario della Grande Guerra prende
il via con la riapertura di due fortezze trentine: da sabato prossimo 19 aprile
saranno visitabili Forte Cadine e Forte Belvedere a Lavarone. Da non scordare
anche l'inaugurazione di due percorsi espositivi presso le Gallerie di
Piedicastello: "I trentini nella guerra europea" si stabilirà nella Galleria
bianca a partire da sabato 28 giugno, mentre la mostra "La Grande guerra sul
grande schermo" prenderà il via con domenica 28 luglio nella Galleria nera.
"Per tipologia architettonica e d'impiego durante la prima
Guerra mondiale si tratta di due fortificazioni molto diverse - spiega il
direttore della Fondazione museo storico Giuseppe Ferrandi - Forte Belvedere è
una struttura che combatte e resiste all'esercito italiano durante la Grande
Guerra".
Il Forte di Cadine riapre ai visitatori
Da
L'Adige - 15 aprile 2014
Con l'arrivo delle festività di Pasqua il Forte
di Cadine torna ad aprire le porte e sarà visitabile dal pubblico: a partire da
sabato, il 19 aprile, la Tagliata stradale edificata al tempo dell'Impero
austroungarico per sbarrare l'asse stradale che portava a Trento accoglierà i
visitatori, tra storia ed allestimenti tecnologici.
Ma la possibilità di visitare questa importante testimonianza della storia
trentina è limitata al fine settimana, così almeno fino a domenica 22 giugno:
l'orario di apertura è compreso tra le 10 e le 18 e le visite guidate sono
programmate ogni sabato pomeriggio alle 17. Per i tre mesi estivi (da domenica
28 giugno a domenica 28 settembre) il Forte «Strassensperre Buco di Vela»,
invece, dovrebbe essere accessibile ogni giorno, fatta salva la chiusura
prevista il lunedì.
Strumenti interattivi ed installazioni sensoriali, pannelli esplicativi e tavoli
multimediali sono pronti a guidare i visitatori nel ripercorrere le tappe
significative della Grande Guerra in Tren tino(quest'anno ricorre il centesimo
anniversario dall'inizio del conflitto), oltre a fornire un quadro completo del
sistema di fortificazioni a inizio Novecento.
La batteria Vettor Pisani in sicurezza
Da La Nuova Venezia - 30 marzo 2014
CAVALLINO. Partiranno
in questi giorni i lavori di messa in sicurezza alla batteria Vettor Pisani di
Cavallino-Treporti. Si tratta di uno dei tasselli che l’amministrazione metterà
verso la fruizione dei forti e delle batterie del litorale in vista del
centenario della Grande Guerra in programma per il 2015 e il 2018.
«L’investimento si
aggira sui 95 mila euro», spiega l’assessore ai lavori pubblici Roberto Vian, «e
riguarderà all’esterno la pulizia del cortile, la manutenzione del verde interno
alla fortificazione, l’installazione di una nuova recinzione. All’interno
procederemo alla stuccatura e alla messa in sicurezza della struttura ex
militare per cominciare a renderla fruibile attraverso una iniziale bonifica del
fabbricato». Complimenti all’amministrazione sono giunti anche dalle famiglie di
via Amalfi, strada comunale che ripropone le vestigia della vecchia strada
ferrata, ferrovia che nella seconda guerra mondiale collegava le strutture
militari del litorale recentemente recuperata nel decoro. «In via Amalfi abbiamo
abbattuto alcune piante malate», conclude Vian, «potandone altre che portavano
insetti e roditori. La strada entrerà nel percorso storico nel nostro
litorale». (f.ma.)
SIAMO ALL'INIZIO DI UNA NUOVA GUERRA FREDDA (INTERVISTA A
GIULIETTO CHIESA)
Da comedonchisciotte.org del 27 marzo 2014
Sta
alla Russia agire in modo responsabile dimostrandosi disponibile a rispettare le
norme internazionali: se non lo farà dovrà aspettarsi costi ulteriori”. Le
parole sono di Barack Obama, intervenuto in conferenza stampa a margine del
summit internazionale sulla sicurezza nucleare circa gli sviluppi della crisi in
Ucraina. Dopo l’esclusione dal G8, il presidente americano ha annunciato che se
Mosca continuerà a mostrare i muscoli verrà colpita da sanzioni energetiche,
finanziarie e commerciali.
Ma per Giulietto Chiesa – ex inviato a Mosca per l’Unità e La Stampa, oltre che
per diversi tg nazionali, fondatore nel 2010 del movimento politico-culturale
Alternativa – è l’Occidente a tirare la corda: è andata a calpestare l’erba del
giardino altrui, facendo saltare gli assetti geopolitici europei (e non solo) e
mettendo a rischio la sicurezza del Vecchio Continente.Obama a muso duro: “Se
la Russia va avanti, ci saranno conseguenze”, come la possibile adozione di
sanzioni energetiche, finanziarie e commerciali. È una minaccia reale: gli
Stati Uniti hanno modo di influire, anche pesantemente, sulla situazione
economica-finanziaria russa. Tuttavia, credo che abbia ragione Putin quando dice
che, poi, ci sarà un prezzo da pagare. La Russia può reggere, ha alternative e
ha un forte credito nei confronti dell’Ucraina (2 miliardi di dollari): agirà
con le leve a disposizione. Non so chi ne uscirà “vincitore”, ma il fatto
chiarissimo è che l’Occidente, dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine
dell’Unione Sovietica, si trova per la prima volta di fronte un interlocutore
non più disposto ad accettare le sue regole. E questo è uno smacco.
La Russia è stata esclusa dal G8, da oggi G7. È una mossa che avrà effetti
concreti?
Onestamente non credo che il G8 fosse il vero luogo della decisione; da due o
tre anni il vero punto di riferimento per la consultazione internazionale è il
G20. Certo, fino a che il G8 veniva considerato il cenacolo ristretto
dell’Occidente, il fatto che la Russia ne fosse membro, dava e conferiva un
certo prestigio a Putin. Nello stesso tempo, però, era un’arma a doppio taglio
visto che l’Occidente non è ben visto in Russia, meno che mai dopo le attuali
vicende ucraine. Tutto sommato l’uscita dal G8 contribuirà semplicemente ad
allontanare la Russia dal percorso fin qui dettato a livello internazione.
Con quali conseguenze?
Potrebbero essere dure. L’unico vantaggio collettivo che il G8 rappresentava era
che vi potessero essere, al suo interno, delle consultazioni-cuscini per
attenuare i conflitti. Adesso i rapporti, senza mediazioni, si faranno più
aspri.
Non è quindi così sbagliato parlare di nuova Guerra Fredda?
Mi pare che siamo molto vicini a un ritorno della Guerra Fredda. In questo
stesso momento vi sono numerosi segnali di analogia: il blocco occidentale si
compatta isolando la Russia. La differenza (gigantesca) rispetto alla cold war
del passato è che oggi c’è di mezzo la Cina, che cambia completamente gli
assetti mondiali. C’è una tripartizione di forze e in questo quadro la Cina
rende molto meno potente la capacità dell’Occidente di premere sulla Russia.
Nell’ottica di questa vecchia-nuova contrapposizione tra blocchi, qual è il
ruolo della Nato? Il Patto di Varsavia si sciolse, la Nato no…
Quando ci fu la caduta del muro di Berlino e la Russia di Gorbacëv ritirò le sue
truppe dalla Germania, le fu promesso che non vi sarebbe stato nessun
allargamento della Nato. E invece, una volta sciolto il Patto di Varsavia, la
Nato – oltre a essere rimasta in vita – ha continuato a estendersi, circondando
pian piano la Russia, manifestando, diciamolo chiaramente, una volontà
aggressiva. Questo se lo dimenticano tutti, ma è molto importante; ora gli
equilibri della sicurezza europea sono stati completamente spezzati. La
conquista dell’Ucraina da parte dell’Occidente ha cambiato totalmente gli
assetti geopolitici: gli effetti li misureremo presto. In merito…
Prego.
Chiariamo bene una cosa. Chi ha invaso l’Ucraina? Tutti i giornali italiani e
occidentali continuano a ripetere, sistematicamente, che la Russa ha invaso
l’Ucraina. Niente di più falso. La Russia ha semplicemente replicato
all’occupazione del Paese da parte dell’Occidente. Questo è quello che è
avvenuto. Oltre alla questione della Crimea, c’è il problema – non da poco – dei
10 milioni di russi che vivono in terra ucraina. In tutto questo, poi, i missili
della Nato verranno posizionati 300 km più a Nord di dove erano prima.
C’è dunque in gioco la sicurezza europea?
Sì, e stiano attenti gli occidentali perché se pensano che la Russia accetti
questo fatto come irreversibile e non evitabile si sbagliano, e di grosso. Putin
prenderà le opportune misure di sicurezza. Bisognerà ridiscutere completamente
l’intera fisionomia della sicurezza europea. I casi sono due…
Quali?
Se la cosa principale è misurare l’avversario, chi non è capace di farlo o è un
incompetente o è un irresponsabile. L’Europa si è comportata da irresponsabile:
ha cambiato le regole e adesso deve rimettere insieme, se possibile, i cocci di
quello che ha rotto. E dico l’Europa, non certo la Russia che, dal canto suo, ha
subito una sconfitta: si è presa la Crimea, ma ha perduto i gasdotti
dell’Ucraina (che portano il gas russo nel Vecchio Continente).
Obama dice che Kiev non deve scegliere fra Est e Ovest. Obiettivo della Nato è
portarla sotto la propria sfera d’influenza?
Ma l’Ucraina, sostanzialmente, è già membro della Nato. L’Europa guida il
governo di Kiev come un cagnolino. Siamo alla fine di marzo: entro la fine del
2014 entrerà ufficialmente. Le cose stanno così. La Russia si è legittimamente
presa un pezzo (piccolissimo) dell’Ucraina perché i russi hanno paura di quello
che può accadere. In Crimea, Putin ha colto l’occasione di toglierli dalla
tutela di un governo che al suo interno ha tre ministri nazisti, con una polizia
nazista. Io, al posto loro, sarei molto preoccupato.
Nella testa di Putin che progetti ci sono?
Putin non ha in mente nessuna invasione militare di nessun Paese dell’ex Unione
Sovietica. È alla guida di una grande potenza nucleare che ha la forza per
potere dire la sua. Se si va a punzecchiarlo nel suo cortile di casa è normale
che si ribelli, ringhiando.
Come commenta l’intercettazione di Julija Tymošenko, in cui l’ex primo ministro
ucraino dice che bisogna prendere le armi in mano per andare a far fuori i
russi, insieme con il loro capo?
È una cosa che dovrebbe preoccupare – e molto – Barack Obama. Se la signora
Tymošenko si augura che i russi in Ucraina vengano liquidati con l’arma atomica
e che la Russia venga trasformata in una terra senza vita, è sbagliato forse
parlare di dichiarazione di guerra? Poi si dice di Putin…. E se la Tymošenko
diventasse presidente dell’Ucraina? Io inviterei tutti a stare molto, molto
attenti a quello che sta facendo l’Europa in questo momento: l’Occidente si sta
preparando alla guerra. Fabio Franchini Il Sussidiario Link: Giulietto Chiesa:
siammo all’inizio di una nuova Guerra Fredda
La base
USAF di Monte Nardello come l’Area 51
Da
civonline.it del
1 marzo 2014
Sembra
che gli Stati Uniti hanno intenzione di
riaprire il sito militare, ovvero un
avamposto nell’Aspromonte importanza
critica per l’esercito del futuro degli
Stati Uniti. Era il marzo del 1959
quando Arthur G. Trudeau, generale
dell’Esercito degli Stati Uniti, proferì
queste parole. Il Trudeau fu messo a
capo di una task force finalizzata allo
sviluppo di una progetto per
l’installazione di un “avamposto
militare con equipaggio”, destinato a
“proteggere i potenziali interessi degli
Stati Uniti nel Mediterraneo”. Quella
che sta dietro a questo studio segreto,
denominato ‘Aspromont Horizon’,è la
completa realizzazione della militare a
partire dal 1965, che non ha mai visto
la sua completa realizzazione… almeno
ufficialmente.
Il piano prevedeva la costruzione di una
base di montagna autosufficiente che
sarebbe servita come avamposto completo
controllo del Mediterraneo e ulteriori
delicate sperimentazioni scientifiche
top secret. Essa avrebbe un equipaggio
di 100-200 persone, tra scienziati,
tecnici e militari. La tesi era che l’Aspromont
Horizon avrebbe avere un iter simile a
quella del Progetto Manhattan, il piano
segreto per lo sviluppo dell’ordigno
nucleare durante seconda guerra
mondiale. Così, l’8 giugno del 1959, un
gruppo di studio del Ballistic Missile
Agency Army (ABMA) consegnò all’esercito
americano uno studio di fattibilità
denominato ‘Aspromont Horizon‘. Lo
studio contemplava la dislocazione del
razzo multistadio Saturn II, all’epoca
ancora in fase di sviluppo, e
l’installazione di laboratori
scientifici, per sperimentazioni
genetiche batteriologiche. Il costo
orientativo dell’operazione fu stimato
in circa 2 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda l’ubicazione della
base, lo studio prese in considerazione
Nardello una splendida aspromontana
incontaminata e difficile da
raggiungere. I tecnici scelsero questo
luogo perché ricco di cavità naturali
grotte, utili a proteggere la base da
sbalzi termici e da eventi meterologici.
Inoltre la particolare geologia del
luogo la possibilità di realizzare delle
strutture cilindriche sepolte e di
collocare la base in una posizione
capace di ottimizzare la luce solare. La
notizia ancora più riservata, da sempre
sulla bocca dei curiosi, è che la base
di Nardello venga ancora impiegata
concepire velivoli non convenzionali,
funzionanti con generatori ad
antimateria asportati da alcune
extraterrestri catturate in seguito a
crash, che permetterebbero di
attraversare le barriere
spazio-temporali a uguali o superiori a
quelle della luce! Giacomo Figurella, un
fisico italiano che ebbe modo di
lavorare all’interno affermò di aver
visto all’interno degli esseri ibridi
con caratteristiche sorprendenti: non
erano esseri umani, avevano e piedi
palmati e respiravano attraverso
branchie poste sotto il collo. A ciò si
aggiungono le testimonianze di
dipendenti, che affermerebbero di aver
lavorato a contatto con esseri alieni
per lo sviluppo di armi batteriologiche.numerosi
avvistamenti giornalieri che i turisti e
le equipe televisive di tutto il mondo,
hanno immortalato con le loro
videoriprese e foto, confermerebbero che
la base di Nardello funziona e nasconde
segreti che farebbero impallidire i più
accaniti appassionati ed esperti di UFO.
Foto inedite e straordinari racconti
d’epoca, quando l’ex base USAF di Monte
Nardello era il dell’Aspromonte
tratto da strettoweb.com
Nel cuore dell’Aspromonte, a circa 1.750
metri di altitudine, sorge l’ex base
U.S.AF. di Monte Nardello costruita
insieme con quella di Catania e di
Trapani per il controllo delle
telecomunicazioni nell’area del
Mediterraneo. satelliti, poi, determinò
la fine dell’operatività della Base USAF
di Monte Nardello nela seconda metà
degli anni ’è ubicato a circa 10
chilometri dalla frazione di Gambarie,
rinomato centro turistico e sciistico
del comune Stefano in Aspromonte. L’ex
base sorge nel territorio del Comune di
Roccaforte del Greco, fa parte del
dell’Aspromonte, e oggi, si trova in uno
stato pessimo di conservazione, tanto da
costituire una vera e propria
ambientale.
Ma una volta non era così. Qualche
decennio fa, la base USAF era un centro
ricco di vita e d’interesse, come
raccontato Jim Hoose, ex militare
dell’USAF che oggi vive in Florida e che
a Nardello era Sergente Maggiore. Jim in
Italia per ben 6 anni, dapprima nella
base del Monte Paganella, sulle
Dolomiti, dal 1973 al 1976, poi a
Nardello novembre 1976 al dicembre 1977
e infine sul Monte Cimone dal gennaio
1978 al 1979. Nella sua carriera è stato
Corea del Sud, Olanda, Germania e Gran
Bretagna, ma in Aspromonte e soprattutto
in Italia ha lasciato alcuni ricordi più
belli che oggi vuole fare rivivere sul
nostro giornale.
Raccontandoci
della sua esperienza italiana, non può
che partire dalle Dolomiti: “ero sul
Monte Paganella con americani, non
potevamo usare l’uniforme perchè
dovevamo prendere la funivia per andare
al lavoro e il governo voleva che i
turisti vedessero militari, quindi
avevamo abiti civili, eravamo in
incognito. Vivevamo a Lavis, in un
locale, e lì ci siamo divertiti
tantissimo. Per raggiungere la base
dovevamo spostarci, ma la gran parte
della nostra era con la popolazione
locale, con cui ci siamo trovati a
meraviglia. Lì ho imparato molto della
cultura italiana, ho ad amare grappa e
polenta. Il mio cuore è diventato
italiano, tutto mi è piaciuto molto, e
mi sono innamorato musica. Sono
diventato un grande fan di Marcella,
Mina, e soprattutto Adriano Celentano.
In questo momento, oggi Florida, il mio
lettore MP3 ha canzoni italiane: da
Montagne Verde e Piccola e Fragile fino
a Bella senz’anima, 24000 e Per Averti.
A Nardello, in Aspromonte, sono arrivato
nel 1976. Lì era tutto molto diverso.
Stavamo nella dormivamo e vivevamo a
dieci metri dal posto di lavoro, e
raramente ci muovevamo da lì. Avevamo
abitazione, intrattenimento tutto sul
posto. Eravamo in 40 a lavorare alla
base, 25 americani e 15 italiani. Per
mesi non sono uscito dalla base, poi
abbiamo acquistato un veicolo che ci ha
aiutato a muoverci un pò. Gli italiani
erano Stefano e Gambarie, lavoravano per
un tot. di ore e poi tornavano nella
loro casa: sono diventato amico con
molti ma purtroppo non ho più nessun
contatto. Che peccato che all’epoca non
esistesse internet!!! Avessi avuto
internet quegli anni, avrei visitato
molto meglio l’Italia e avrei mantenuto
molti più contatti con gli amici fatti
in quali invece adesso mi sono perso“.
Piuttosto se qualcuno si ricorda di Jim
e volesse contattarlo, può inviare un’email
nostra Redazione!
“Molto spesso, quando posso andare in
vacanza, vorrei tornare dai miei vecchi
amici di Lavis e Gambarie. Erano gentili
e cordiali … di Nardello ricordo
benissimo il primo giorno in cui sono
arrivato, sbarcando all’Aeroporto di
Sono venuti a prendermi un paio di
ragazzi con un pick-up americano e per
arrivare alla base mi hanno spiegato
strada era semplicissima: bisognava
proseguire sempre dritti e ogni bivio
che si incontrava, bisognava svoltare
monte, dove la strada saliva. Siamo
passati da Santo Stefano che era sera,
era già buio. La strada era molto piena
di curve soprattutto negli ultimi
chilometri. In quei mesi ho guidato
molte volte dalla base all’aeroporto,
macchine comuni ma anche ambulanze e
grandi camion. Potete immaginare cosa
significa guidare quei camion strade
così piccole e tortuose.
In poco tempo sono diventato uno dei
migliori piloti dell’Aspromonte, eheh!
Mi ricordo che andavo a Villa San dove
prendevo spesso il traghetto per
Messina, da dove poi dovevo raggiungere
Sigonella per i rifornimenti. anche di
aver percorso l’A3 Salerno-Reggio
Calabria per arrivare a Napoli,
un’autostrada bellissima, con tanti
ponti alti, davvero affascinante. Di
Reggio mi ricordo le palme e i cactus.
In Florida queste piante sono note a
tutti, pensavo di trovarle in Italia,
anche perchè venivo da un’esperienza in
Trentino Alto Adige. Di Reggio mi
ricordo territorio ricco di storia e
cultura, con tanti millenni di vita alle
spalle. Ma il mio ricordo più bello è
quello di Nardello, un posto
meraviglioso per ambiente e natura. Da
lì guardavo l’Etna ogni sera, ed era
bellissimo! I giorni erano quelli con
tante nubi intorno a noi: da Nardello si
poteva vedere solo la vetta
dell’Aspromonte, Montalto, che
spiccavano su un mare di nuvole. In quei
giorni mi sembrava di essere in un posto
diverso, con queste “isole” potevano
vedere da lassù.
L’inverno era bellissimo, nevicava
davvero molto. La strada d’accesso alla
base era difficoltosa da percorrere,
sporgenti dei faggi facevano un arco
intorno al manto stradale ed era davvero
meraviglioso. Dovevo mettere le alle
autovetture ma lo facevo con piacere,
tanto era suggestivo quello scenario! Mi
ricordo un giorno che mentre uscendo di
casa, la porta si chiuse dietro di me e
fece crollare un sacco di neve dal tetto
proprio sul sentiero dove transitando.
Se fossi stato più lento, sarei rimasto
sotto. Tutti i ragazzi che erano dentro,
uscirono convinti di sepolto dalla neve,
ma per fortuna stavo camminando
velocemente“. Non ci resta che
ringraziare Jim per questa straordinaria
storia d’uomini, di natura e di emozioni
che ci ha appassionato facendoci
rivivere i tempi in cui l’ex base USAF
di monte Nardello era il cuore pulsante
dell’Aspromonte.
Le tre fortezze di Pieve di Cadore nel libro di Musizza e De Donà
Da Il Corriere delle Alpi - 21 marzo 2014 — pagina 31
sezione: Nazionale
PIEVE DI CADORE Nell’ambito delle giornate di Primavera
del Fai (Fondo Ambiente Italiano), domani alle 18 nella sala dell’Auditorium
Cos.Mo a Pieve di Cadore, gli scrittori Walter Musizza e Giovanni De Donà
presenteranno la storia dei tre impianti fortificati di Pieve di Cadore: un
percorso dal medioevo ai giorni nostri. Alla presentazione saranno presenti
anche il sindaco di Pieve, Maria Antonia Ciotti e l'architetto Luigi
Girardini. Il Forte di Monte Rricco non è stato ancora recuperato
completamente e la strada per trasformarlo in museo virtuale e centro di
accoglienza per tutti i turisti in arrivo in Cadore, come vorrebbe il
progetto presentato dall’architetto Gerardini sarà lunga. Intanto, per il
forte di Monte Ricco, arriva una pubblicazione che passa in rassegna le sue
credenziali storiche. Questo nuovo libro dei due storici Walter Musizza e
Giovanni De Donà, voluto per il Centenario della Grande Guerra 2015 – 18 e
sostenuto dal Comune di Pieve di Cadore, dimostra come il forte di fine ‘800
sia l’erede dell’antico castello medievale, ossia di quello che fu il
baluardo, morale prima che militare, dell’intero Cadore contro ogni
tentativo d’invasione dal Tirolo. In dieci capitoli e con il supporto di
foto e documenti in parte inediti sono presentati i fatti salienti che
interessarono l’antico castello e la sua decadenza nel ‘700, i grandi lavori
del Genio Militare di fine ‘800 con l’organizzazione del campo trincerato di
Pieve di Cadore e la sua utilizzazione durante la Grande Guerra. I tre
forti, strettamente complementari: Batteria Castello, Monte Ricco e Col
Vaccher sono presentati nel contesto delle esigenze politiche ed economiche
dell’Italia del tempo e con l’aiuto di molti documenti e foto tratti da
archivi pubblici e privati, alcuni dei quali provenienti dal servizio
informativo austro-ungarico. Con questo primo libro inizia un lungo e
paradossale racconto, quello della fortificazione del Cadore, che ha negli
impianti del campo trincerato di Pieve di Cadore il suo paradigma ideale.
Una lezione esemplare, fatta di strategia e di architettura militare, ancor
più attraente e viva grazie al confronto, oggi possibile, tra rudere
fatiscente e forte restaurato, tra il già fatto e l’ancora da farsi. (v.d.)
La difesa del Cadore attraverso i tre forti
Da Il Corriere delle Alpi - 28 febbraio 2014 — pagina 47
sezione: Nazionale
BELLUNO Dieci capitoli per raccontare i tre forti la cui
storia è indissolubilmente legata alle vicende della prima guerra mondiale
nelle Dolomiti. Le motivazioni strategiche che portarono alla loro
realizzazione sono descritte nel libro di Walter Musizza e Giovanni De Donà
«I Forti di Monte Ricco, Batteria Castello e Col Vaccher con le altre difese
del campo trincerato di Pieve di Cadore 1866 – 1918». Un volume, edito Dbs
Zanetti con il sostegno del Comune di Pieve di Cadore, in edicola oggi
insieme al Corriere delle Alpi. I due autori, nell’anno in cui ricorre il
centenario della Grande Guerra, ripercorrono gli eventi connessi alla
costruzione dei tre grandi impianti, avvenuta tra il 1881 e il 1896, dopo
che negli anni immediatamente seguenti alla III Guerra d’indipendenza era
stata organizzata la cosiddetta “Stretta di Treponti” sui colli di Vigo. I
fatti descritti vanno dalla presenza dell’antico maniero alla sua decadenza
nel 1700, dai grandi lavori del Genio militare di fine 1800 fino alla sua
utilizzazione a partire dallo scoppio della prima guerra mondiale. I tre
forti costituivano una costruzione accompagnata da un complesso organico di
difese complementari che disseminò sulle alture alla confluenza del Piave e
del Boite una rete di strade, postazioni e osservatori in grado di impedire
ogni penetrazione nemica da Misurina, dal Comelico, dal Passo della Mauria e
da Cortina. Superbi palazzi di guerra destinati alla difesa del fronte
contro la paura secolare di invasioni dal Tirolo e rivelatisi invece inutili
fortezze. I due capitoli sono arricchiti da fotografie e documenti in parte
inediti. Monte Ricco, Batteria Castello e Col Vaccher rappresentano uno
spaccato straordinario delle concezioni e degli esiti della scienza
fortificatoria europea della fine del Diciannovesimo secolo, vale a dire dei
criteri costruttivi legati ancora a parametri medievali (ponte levatoio,
caponiera, caditoie) e a mezzi ossidionali di gran lunga inferiori (ad
esempio cannoni da 149 in ghisa) a quelli che il progresso avrebbe imposto
solo pochi anni dopo. Il libro si sofferma inoltre su uno dei personaggi più
rappresentativi della costruzione del forte di Monte Ricco, l’ingegnere
Giovanni Ivanoff, patriota di origine russa e già suddito austro-ungarico,
fuggito da Trieste a Venezia per mettersi a disposizione della causa
italiana. Non mancano poi specifici capitoli dedicati all’utilizzo delle
fortificazioni di Pieve durante il conflitto, alla distruzione finale a
opera delle truppe nemiche nell’ottobre 1918, ai recenti lavori di restauro
diretti da Luigi Girardini e ai possibili itinerari di visita, comprese le
postazioni sussidiarie disseminate nel comprensorio (S. Dionisio, Monte
Tranego, Col Pecolines, S. Anna e Damos). Tra l’altro il recente recupero di
Monte Ricco ha già attirato parecchi visitatori. Un aspetto che contribuisce
all’obiettivo postosi con il restauro: fare di Monte Ricco un luogo di
conoscenza e conservazione della memoria. Non a caso il libro di Musizza e
De Donà anticipa l’attesa inaugurazione del forte quale museo virtuale della
Grande Guerra e centro di accoglienza per tutti i turisti in arrivo in
Cadore. Martina Reolon
Roncegno, partono i nove incontri sulla Grande Guerra in Valsugana
Da Il Trentino - 15 febbraio 2008 — pagina 40 sezione:
Provincia
VALSUGANA.Nuovo
appuntamento con la storia della Grande Guerra in Valsugana, nove incontri
che toccheranno altrettanti paesi. Tutte le serate cominceranno alle 20.30.
Si inizia oggi al teatro parrocchiale di Roncegno con la proiezione del film
“Nach Dresden” in cui Vittorio Curzel ripercorre la storia di Dresda dal
1930 ad oggi. Si prosegue venerdì 22 nella sala polivalente di Novaledo con
Nicola Fontana che parlerà di “Forti obsoleti a confronto: il forte di Tenna
e quello di San Biagio” mentre venerdì 29 nella palestra delle ex elementari
di Carzano Tiziano Bertè interverrà su “Caporetto: una nuova
interpretazione”. Venerdì 7 marzo la sala riunioni di Telve ospiterà lo
storico Luca Girotto in “24 ottobre-14 novembre 1917: fuga dal Lagorai. Il
ripiegamento italiano dal fronte Valsugana-Val Cismon dopo Caporetto” mentre
il 14 marzo tocca a Paolo Pozzato che in sala Corropoli a Telve di Sopra
parla di “La battaglia d’arresto sul Grappa e sul Piave nel
novembre-dicembre 1917”, il 28 marzo tappa al teatro parrocchiale di
Scurelle Tiziano Bertè spiegherà “L’artiglieria italiana nella Grande
Guerra: un vero “boom” di tecniche e tattiche”. “La battaglia del solstizio
(giugno 1918) sul Grappa e sul Piave” con Paolo Pozzato affronterà venerdì 4
aprile al Centro Lagorai Natura di Torcegno mentre l’11 aprile alla sala
rossa del Comprensorio di Borgo “Fronte Greco-Albanese 1941: nuova ‘guerra
di trincea’ in montagna per gli Alpini” con Guido Aviani e musica di Nello
Pecoraro. Infine venerdì 18 aprile al teatro di Tezze di Grigno Luca Girotto
presenta il libro “Forti obsoleti a confronto: forte Tombion, la sentinella
del Canal di Brenta”. (m.c.)
Forte Carpenedo ora si allarga
Da La Nuova Venezia - 02 febbraio 2014
Duemila firme erano state raccolte in fretta dopo l’annuncio dei volontari:
senza convenzione ce ne andiamo. Una minaccia che ora può rientrare e salva dal
degrado il forte ottocentesco di Carpenedo. Venerdì scorso negli uffici del
Patrimonio, alla Carbonifera di Mestre, è stata firmata da Francesco Cavallin e
dai tecnici dell’assessorato la nuova convenzione per la gestione del forte
Carpenedo, uno dei gioielli del campo trincerato di Mestre, gemello del Tron e
del Gazzera. Forti che sono diventati una realtà importante della città, che
grazie all’impegno di tanti volontari sono vissuti e conosciuti dai cittadini.
Dopo due anni di “vuoto”, è stata firmata tra Comune e l’associazione Forte
Carpenedo Onlus una convenzione della durata di 9 anni, che sarà replicata anche
per la gestione di forte Mezzacapo, e con durate inferiori per le altre realtà
del c campo trincerato mestrino. Viene ristabilita una “pace” nei rapporti tra
volontari che gestiscono le strutture del campo trincerato e l’amministrazione
comunale veneziana, dopo il fermo di due anni che ha rischiato di far saltare
sia la collaborazione che tanti progetti. Soddisfatta la Forte Carpenedo Onlus
che si assicura così il prosegio della gestione del forte per altri 9 anni. «Una
convenzione così lunga ci permette finalmente di dire che restiamo a forte
Carpenedo con un progetto di utillizzo e sviluppo dell’area importante. Abbiamo
avuto in affidamento anche le casette esterne all’ingresso del forte dove
realizzeremo degli atelier per artisti, un progetto di ricezione turistica
legato ai luoghi storici di guerra, un punto sosta per i camper e anche un
micro-campeggio. Puntiamo anche ad ampliare lo spazio del museo che ospitiamo
nel forte e pure di prolungare il percorso di visita. Un progetto che punta
anzitutto sull’autosostenibilità del progetto». Ricavi quindi da reinvestire
nello spazio storico del forte militare di Carpenedo, oggi centro di visite ma
anche di interessanti mostre di arte contemporanea e di feste, nel periodo
estivo in particolare. Il Comune si impegna ad intervenire in interventi
strutturali, condizionati sempre dalla necessità di reperire risorse per i
forti, come precisa l’assessore al Patrimonio Alessandro Maggioni. «Andremo ora
a firmare le convenzioni per tutti gli altri forti, rinnovandoli per lunghi
periodi, anche di nove anni come è stato per forte Carpenedo», precisa
l’assessore. La notizia della firma della convenzione è stata accolta da un coro
di consensi da molti cittadini e associazioni che collaborano con la ”truppa”
del forte.
Monte Brione, è iniziato il recupero delle fortificazioni
Da Il Trentino - 26 gennaio 2014
— pagina 34 sezione: Nazionale
RIVA Sono cominciati sul monte
Brione i lavori di recupero di forte Garda, della Batteria di Mezzo e del
punto di osservazione e tiro. Opere ordinate dal Comune di Riva grazie a un
finanziamento della Provincia nell'ambito del "piano" Grande Guerra in
occasione del centenario del primo conflitto mondiale. Per quanto riguarda
forte Garda, una volta eliminata la vegetazione infestante si eseguirà un
intervento di consolidamento e di conservazione degli elementi lapidei e
degli intonaci, per metterli in sicurezza dal degrado in corso causato
soprattutto da infiltrazioni d'acqua e dall'azione meccanica delle radici.
Inoltre saranno eliminati i tamponamenti realizzati nel corso degli anni e
si riapriranno finestre, sfiati, porte, punti di tiro e di osservazione;
saranno sostituiti tutti i manufatti in ferro installati nel corso degli
anni per impedire l’accesso al forte, con nuove inferriate ed elementi per
la sicurezza dei visitatori. Si puliranno pietre e pareti dalle scritte e
dai graffiti, si rimuoveranno i depositi di materiali estranei e si
metteranno in sicurezza i percorsi di accesso, i luoghi e l’edificio stesso
dai rischi di caduta e scivolamento. La filosofia dell'intervento è ispirata
al minimo per ottenere una parziale visitabilità del presidio bellico.
Rispetto a forte Garda, la Batteria di Mezzo si presenta in condizioni
migliori, grazie anche al Gruppo Alpini di Riva: la manutenzione lo ha
preservato dall'infestazione della vegetazione e alcuni interventi
d’emergenza hanno scongiurato danni gravi alle strutture portanti, già
compromesse dalla guerra e dalle demolizione eseguite in passato per
recuperare il ferro, oltre che dall'abbandono. La pulizia da macerie e da
piante e arbusti sarà significativa solo nella parte dove un tempo erano
collocati i quattro cannoni rivolti verso passo San Giovanni e verso la
stazione ferroviaria di Mori: qui le demolizioni hanno fatto sì che l'azione
della pioggia e del vento fosse causa di accumuli di terriccio e ghiaia, con
la crescita di cespugli e piante. Tutta questa parte è quindi da bonificare
e ripulire, prima degli interventi di consolidamento e la sistemazione della
copertura e la sua impermeabilizzazione, la messa in sicurezza dell’edificio
con parapetti e con la chiusura di punti pericolosi, la sostituzione dei
cancelli d'ingresso, delle inferriate antintrusione delle finestre e dei
blocchi di cemento posati a rinforzo della struttura con elementi e profili
metallici normalizzati. Il costo di partenza dell’intervento era di 710.000
euro, di cui 563.750 euro a base d'asta, con l’Impresa Edilux srl di
Cavedine che si è aggiudicata l’appalto con un ribasso del 14,329%. (m.cass.)
Bezzecca e Tagliata per la Grande Guerra
Da Il Trentino -
24 gennaio 2014 — pagina 33
sezione: Nazionale
ALTO GARDA Nel 2014 verrà
ricordato il secolo dall’inizio di una delle più grandi tragedie che causò
10 milioni di morti, la Prima guerra mondiale. E il Trentino in
quest’anniversario assumerà un ruolo centrale a livello nazionale, e questo
è l’annuncio che ha fatto l’assessore provinciale alla cultura Tiziano
Mellarini, presso la sala della Comunità di valle di Riva davanti ad una
quarantina di amministratori, associazioni e rappresentanti dell’Apt.
L’incontro è servito un po’ per chiarire il ruolo di coordinamento generale,
e soprattutto per la promozione, che la Provincia si assume in pieno, come
ha ribadito Chiara Bassetti di Trentino Marketing. Ma il ruolo della
Provincia non vuole sovrapporsi a quanto sta facendo la Comunità di valle,
che già da un paio di anni ha raccolto varie proposte da associazioni e
studiosi e di cui ha stilato una specie di graduatoria, senza però metterci
una lira visto che dalla Provincia non è arrivato ancora nulla. Altro
concetto ribadito dall’assessore è che il coordinamento a livello
scientifico sarà svolto dal Museo della guerra di Rovereto, ma questo non
vuol dire che tutte le altre istituzioni siano messe in ombra, come ha
ricordato Gianni Pellegrini del Museo Alto Garda. Mellarini ha chiarito che
i finanziamenti su progetti di qualità verranno decisi a partire da maggio e
potranno arrivare al 50% della copertura. Per quanto riguarda l’Alto Garda e
Ledro due sono le peculiarità su cui puntare: la prima è che l’esito della
campagna garibaldina del 1866 innesca, o comunque peggiora, le cause
scatenanti della Prima guerra e quindi per luglio 2016 a Bezzecca sono
previste manifestazioni a ricordo del 150° della Battaglia con l’intenzione
di riportare l’originale dell’Obbedisco che attualmente è all’Archivio di
Stato di Torino. La seconda è che nell’Alto Garda sono presenti tutte le
cinque generazioni di fortificazioni austroungariche, a partire dal 1860.
Per il primo aspetto l’assessore si è riservato di approfondire; per il
secondo aspetto e anche su una forte sollecitazione dell’assessore alla
cultura di Riva, Flavia Brunelli che ha chiesto un intervento risolutivo
sull’apertura della Tagliata del Ponale, Mellarini ha promesso che
l’istruttoria geologica è quasi finita e quindi che darà una risposta.
Perché è ben vero che abbiamo tutte le generazioni di forti, ma è anche vero
che dopo una decina di anni di proposte e progetti faraonici, finora non
sono praticamente visitabili. L’unica certezza sarà che in autunno potremmo
entrare finalmente nel forte Garda e, forse, nella Batteria di Mezzo sul
Brione, ma, ne sono tutti consapevoli, la Tagliata del Ponale è tutt’altra
cosa. Un ultimo interessante accenno ai forti e alla loro tutela è uscito da
Mellarini su sollecitazione di Graziano Riccadonna della Pinter: la pratica
Unesco per la loro tutela è un po’ in stallo viste le reticenze da parte
dell’Austria.
Facchin riscopre i caduti dimenticati della battaglia di Resia
Dal Messaggero Veneto - 23
gennaio 2014 - sezione Udine
UDINE. Una battaglia ancora sconosciuta ai piú, che però ha coinvolto oltre
30 mila soldati. Oggi se ne saprà di più su quella che è stata ribattezzata
la “battaglia di Resia”, combattuta alla fine dell’ottobre 1917 tra Uccea,
Sella Carnizza e le cime circostanti, grazie alla presentazione del romanzo
storicoEroi
senza vittoria, scritto dal carnico Emanuele Facchin (edito da La Nuova
Base). L’appuntamento è per le 17 a palazzo Belgrado, a Udine, quando
l’autore e lo storico Marco Pascoli parleranno di un avvenimento rimasto per
decenni nell’oblío. Tra i protagonisti della serata ci sarà anche il sindaco
di Resia Sergio Chinese, che con il Comune ha avviato un progetto per far
riemergere le testimonianze della Grande Guerra nella valle patria degli
arrotini. Il libro racconta le vicissitudini del colonnello Emilio Alliney,
chiamato a difendere la Val Resia dall’avanzata dell’esercito
austro-ungarico. Tra il 25 e il 30 ottobre 1917, 10 mila soldati italiani
del regio-esercito cercarono di stoppare la discesa di 20 mila bavaresi, che
come obiettivo avevano quello di tagliare la ritirata dei nemici sugli altri
fronti. «Una battaglia tanto dimenticata quanto nevralgica nell’economia
strategica del conflitto – commenta il sindaco Chinese – che merita di
essere riscoperta non solo per consegnarla alla storiografia, ma anche per
rendere onore alla memoria dei militari italiani e imperiali, oltre che ai
civili della vallata, molti dei quali subirono sofferenze morali e
materiali, finendo sfollati addirittura in Campania. Il progetto “La Grande
Guerra in Val Resia” – aggiunge Chinese – intende riscoprire in modo
scientifico tali vicende, puntando anche e soprattutto sulla valorizzazione
turistica dei siti e dei resti del conflitto». La scelta dell’esercito
austro-ungarico di sfondare proprio in Val Resia nasceva dalla mancanza di
fortificazioni di un certo peso tra i paesi all’ombra del Canin. Non si
aspettava però la strenua resistenza degli uomini comandati dal colonnello
Emilio Alliney, che vanificarono il tentativo di tagliare la ritirata dei
soldati provenienti dalle valli del Fella. Sul campo restarono 110 morti,
cifra calcolata per difetto. di Alessandro Cesare
Stanziati 400 mila euro per la Grande Guerra
Da La Nuova Venezia -
22 gennaio 2014 — pagina 11
sezione: Nazionale
VENEZIA Ammontano a 400 mila euro
gli stanziamenti che la giunta regionale, su proposta del vicepresidente
Marino Zorzato, ha deliberato per sostenere il programma d’iniziative varato
ricordare il centenario della Grande Guerra. Il finanziamento più cospicuo
(80 mila euro) riguarda il progetto di una lezione-spettacolo che
l’associazione ArteVen porterà da febbraio a dicembre (con 200
rappresentazioni nelle scuole) in tutte le province del Veneto. La Regione
si propone, entro il 2018 (anniversario della stipula dell’armistizio e
della fine del conflitto), di presentare la candidatura del patrimonio della
Grande Guerra alla commissione Unesco. In vista di questo appuntamento
l’immobiliare Marco Polo, che gestisce Villa Contarini di Piazzola sul
Brenta, ha proposto di ospitare questo evento e altre iniziative di
valorizzazione del centenario, alle quali Palazzo Balbi contribuirà con
17.250 euro. Tra i progetti che la Regione ritiene meritevoli di
finanziamento risulta anche il percorso rievocativo in dieci tappe, primosso
dal Cai, “Da Asiago alla Marmolada. Nei luoghi della memoria della Grande
Guerra”. Al piano la giunta Zaia contribuirà con 21 mila euro. Ottime
ricadute di visibilità per il patrimonio e il territorio veneti produrrà il
fim documentario “Fango e Gloria”, che sarà realizzato dall’Istituto
Luce-Cinecittà di Roma. Al lavoro (che comporterà una spesa complessiva di
545.475 euro) la Regione parteciperà con 50 mila euro. Uno stanziamento di
40 mila euro premierà il progetto dell’associazione temporanea delle
Comunità montane del Brenta, Feltrina e del Grappa, che punta alla
valorizzazione del patrimonio storico legato alla memoria della Grande
Guerra nel comprensorio del Monte Grappa. La Regione intende sostenere la
realizzazione di una carta topografica del Massiccio del Grappa e altre
iniziative collegate. Palazzo Balbi intende infine sostenere con 10 mila
euro il progetto di messa in rete di musei, monumenti e luoghi della Grande
Guerra promosso dal Comune di Padova.(c.bac.)
Cavallino chiede i forti storici
Da La Nuova Venezia - 21 gennaio
2014 — pagina 42 sezione: Nazionale
CAVALLINO Il Comune dopo la presa
in gestione della batteria Pisani ha chiesto all’agenzia del Demanio che
renda disponibili gli altri forti storici e batterie del litorale per
manifestazioni e attività comunali. Il Demanio ha tempo 60 giorni dalla data
della richiesta per rispondere, termine che scadrà a fine mese. Si avvicina
infatti l’appuntamento con il centenario della Prima Guerra Mondiale fra il
2015 e il 2018 in occasione del quale la Regione riceverà dall’Europa 60
milioni di euro per il restauro delle fortificazioni militari, testimonianza
di quel passato. Il Comune non vuole farsi trovare impreparato in vista di
un’eventuale destinazione di fondi visto il complesso di forti, batterie e
torri telemetriche che comprende tra gli altri il Forte Vecchio, le batterie
Amalfi, Vettor Pisani e San Marco. «Sulla base di una recente legge»,
conferma il sindaco Claudio Orazio, «abbiamo richiesto per l’ennesima volta
al Demanio la disponibilità delle altre fortificazioni. Al momento abbiamo
infatti la disponibilità solo della batteria Vettor Pisani per la quale
abbiamo stanziato 98.000 euro della tassa di soggiorno per metterla in
sicurezza, e consentire che si possa aprirla al pubblico, visitarla,
organizzare all’interno degli spettacoli». Solo quest’estate infatti il
Comune era riuscito, dopo ben 20 anni di trattative, a firmare con il Genio
civile il verbale di presa in consegna della batteria Pisani in attesa di
completare l’iter di acquisizione per la gestione pluriennale della batteria
con annessi gli spazi adiacenti. (f.ma.)
ECCO DOVE
VERRANNO PROBABILMENTE STOCCATE LE ARMI SIRIANE
Da
alfredodecclesia.com del 17 gennaio 2014
Situata
a 1800 metri sul livello del mare, sulla cima del monte Nardello, l’ex
Base Militare USAF occupa circa 3,5 ettari del Comune di Roccaforte del
Greco; nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte.
La base fu costruita nel 1965
dall’esercito americano per il controllo radar dei cieli del
mediterraneo, insieme a quella di Catania.
Il complesso era costituito da
una serie di capannoni con all’interno enormi generatori di energia
elettrica che servivano per alimentare le imponenti antenne radar alte
più di 10 metri.
Fornita di alloggi e di tutti i
servizi necessari per la permanenza dei militari sul posto, la
delimitazione dell’area era (ed è ancora oggi) affidata ad una massiccia
recinzione alta più di 2 metri con in cima del filo spinato.
Quando una nazione
ricca installa una discarica di rifiuti chimici o nucleari in un paese
povero sta saccheggiando il futuro di quell’agglomerato umano, perché se
i rifiuti sono, come dicono, “inoffensivi”, per quale ragione non hanno
installato la discarica sul proprio territorio? (Luis Sepúlveda, Il
mondo alla fine del mondo)
Cedas,
il restyling della casa dei pescatori
Da Il Piccolo - 15 gennaio 2014 —
pagina 22 sezione: Nazionale
Il cantiere non può certo passare
inosservato: un po' per la sua collocazione nel bel mezzo della passeggiata
sul lungomare barcolano, un po' per le caratteristiche decisamente
particolari del sito in questione. Stiamo parlando dell'edificio in pietra
arenaria situato al numero 291 di viale Miramare, esattamente di fronte al
porticciolo del Cedas: una struttura in completo stato di abbandono ormai da
più di trent'anni, ma che custodisce un passato ricco di storia. Alla fine
del 2012, in seguito a un'ordinanza del Comune, sono iniziati i lavori per
il recupero edilizio dell'area che vengono eseguiti a lotti: proprio in
questi giorni le macchine scavatrici sono tornate all'opera, mentre una
squadra di operai sta intervenendo all'interno della struttura. La zona è
completamente cantierizzata: la costruzione si sviluppa su due piani, per
una metratura totale di circa 120 metri quadrati, cui si aggiunge un'ampia
area esterna. I lavori riguardano principalmente la messa in sicurezza del
sito, vittima nel corso di questi anni di cedimenti strutturali, in
particolare del crollo di parte del tetto, ma non ci sono certezze al
momento su quale potrebbe essere la destinazione del luogo. La sensazione
però è che si possa pensare in futuro alla creazione di un'area commerciale,
mentre nell'ampio spazio esterno potrebbe essere ricavata tutta una serie di
parcheggi. «Le opere riguardano essenzialmente la messa in sicurezza della
struttura - spiega Mario Bucher, progettista e direttore dei lavori -. Siamo
già intervenuti sul tetto con il rifacimento del solaio, adesso ci stiamo
concentrando sul consolidamento dei muri perimetrali: nulla però è stato
ancora deciso riguardo alla destinazione d'uso del sito». A commissionare
l'intervento di recupero edilizio è stata la Shadey srl, società di capitale
che si occupa della locazione immobiliare di beni propri o in leasing,
mentre la ditta che sta eseguendo i lavori è la Edil Alpi di Arta Terme. Se
rimane incerto il futuro dell'area, la stessa cosa non si può dire per il
passato della struttura, che ha scritto pagine importanti della storia di
Trieste. La costruzione infatti, della quale è conservata ancora integra la
facciata esterna, nel corso dell’Ottocento faceva parte della batteria di
fortificazioni allestite dall'esercito austro-ungarico che avevano il
compito di proteggere la città e il suo porto. Una sorta di vero e proprio
presidio militare: a testimonianza di questo si notano ancora le
caratteristiche finestrelle adibite al posizionamento delle armi usate a
difesa del porticciolo, mentre spicca, incastonata nel mezzo della facciata
principale, una raffigurazione della “Madonna con Bambino”. Successivamente
la struttura si trasformò nella cosiddetta “Casa dei pescatori”: un luogo
adibito a dimora e deposito delle reti e dei vari materiali a disposizione
degli uomini di mare triestini. Poi gli anni dell'abbandono e del degrado,
cui ora potrebbe seguire una nuova rinascita. Pierpaolo Pitich
Contributi alle associazioni
Dal Messaggero Veneto - 7 gennaio
2014
PALMANOVA. Ammonta a
16.000 euro la somma stanziata dal Comune di Palmanova alle associazioni che
svolgono attività di promozione culturale e turistica. Sono una dozzina i
sodalizi che hanno presentato istanza di contributo, mentre sei (Circolo
fotografico, Circolo filatelico, Pro loco Jalmic, Gruppo micologico,
Associazione Pro Museo e Pro Palma) non hanno presentato domande. La determina
che stanzia i contributi precisa che è stata stabilita una quota base di 250
euro visto che ogni associazione contribuisce alla valorizzazione della comunità
e alla promozione dell’immagine di Palmanova. In base, poi, all’attività svolta
nel 2013, sono stati ripartiti i fondi disponibili. La cifra maggiore, pari a
5800 euro, è andata al Gruppo storico che, quest’anno, ha raddoppiato gli
sforzi, proponendo accanto alla tradizionale manifestazione di luglio anche la
Rievocazione di settembre. Riconosciuta anche la presenza dei figuranti alle
varie manifestazioni, convegni, riprese televisive. Una cifra di 1700 euro è
andata agli “Amici dei Bastioni” per il proprio impegno nella pulizia delle
fortificazioni e per le iniziative di promozione della cinta bastionata. Alla
banda cittadina sono stati concessi 1500 euro per le tante iniziative proposte
in occasione del proprio 115° di fondazione e per la presenza in tante
manifestazioni istituzionali. Hanno ottenuto un contributo di 1100 euro ciascuno
Accademia musicale (per la scuola di musica, il concorso musicale e pianistico e
le serate di musica dei Tre confini) e il Circolo Trevisan (per le iniziative
2013, dai “Rinnegati” ai tre appuntamenti di “Musica nelle corti”). Ammontano a
800 euro gli stanziamenti a favore di LiberMente, per le iniziative di
promozione della lettura, 700 euro ciascuno a Nuova esperienza teatrale, Ute,
Coro Pavona e Famigliattiva. Al Caffè Palmarino è stata assegnata una cifra di
250 euro per la mostra “Scatti contemporanei del tempo”. Un contributo di 950
euro è stato riconosciuto al gruppo Sbandieratori. Monica Del Mondo
Difesa, collaudati nuovi missili
Da rbth.com del 2 gennaio 2014
La
Russia ha effettuato il primo lancio
di prova del missile RS-24 dalla
base sotterranea del poligono Kura,
in Kamchatka
Funzionalità, efficacia, sicurezza e
precisione. Simulando una situazione di
guerra. Il 24 dicembre scorso nel
cosmodromo Pleseck nella regione di
Arkhangelsk è stato effettuato
il primo lancio di collaudo del missile
balistico strategico del complesso Jars (RS-24,
oppure SS-29, secondo la classificazione
della Nato) dalla base sotterranea del
poligono Kura, dislocato sulla penisola
della Kamchatka. Le testate del missile
(secondo alcuni dati erano tre o
quattro) hanno centrato perfettamente
gli obiettivi, così come ha confermato
il rappresentante delle Forze
Missilistiche Strategiche, il colonnello
Igor Egorov.
Stando alle parole dell’ufficiale, lo
scopo principale del collaudo era quello
di verificare “la funzionalità,
l’efficacia, la sicurezza, le
caratteristiche tecniche del volo e la
precisione del complesso missilistico in
condizioni molto vicine a quelle di
guerra”.
Quali siano state esattamente le condizioni create per il collaudo, non è stato chiarito dal colonnello. Ma bisogna comprendere che contro il missile “lavoravano”, naturalmente con fini di collaudo e perfezionamento, vari sistemi di contrasto radio-elettronico: i reparti di difesa del complesso hanno simulato di far fronte a un attacco terroristico. E l’ordine di lanciare il missile è stato relativamente improvviso.
Le stazioni mobili Jars fanno parte della divisione missilistica Ivanovskaja. Nelle divisioni Novosibirskaja e Tagilskaja le Jars sostituiranno le stazioni mobili di terra Topol. Dal 2014 avrà inizio il riarmo complessi missilistici a Nizhnij Tagil e a Novosibirsk con i complessi mobili Jars.
Gli RS-24 entreranno nell’armamento della divisione missilistica Kozelskaj nella regione Kaluzhskaja. Sostituiranno i complessi missilistici RS-18 con sei testate a rientro indipendente (secondo la classificazione della NATO SS-19 Stiletto).
Secondo le parole del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, le forze armate hanno di fronte a sé un compito importante, non permettere l’infrangersi del sistema degli equilibri strategici. Per tal ragione uno dei principali orientamenti delle costruzioni militari rimane il sostegno e il puntuale ammodernamento delle forze militari strategiche. L’inserimento dei missili balistici intercontinentali RS-24 negli armamenti è motivato dalla necessità di rafforzare le possibilità del complesso missilistico di aggirare il sistema di difesa antimissilistico, rafforzando anche il potenziale nucleare della RVSN. Presto insieme alle già adottate MBR RC-12M2 (complesso missilistico Topol-M o SS-27) il complesso missilistico Jars sarà alla base delle forze missilistiche strategiche nazionali. Tuttavia, come di recente ha comunicato ai giornalisti il generale-colonnello Sergei Karakaev, comandante dell’RVSN, l’ RS-24 non è l’ultima novità russa in fatto di costruzione di missili. Nei prossimi anni (2018-2020) nelle forze armate missilistiche strategiche russe farà il suo ingresso il missile balistico pesante denominato Sarmat (che sostituirà il più grosso missile al mondo nelle basi militari, dotato di 10 testate nucleari, l’RS 20V anche conosciuto come Voevoda o Satana, secondo la classificazione della Nato SS-18 Satan). Inoltre in Russia verrà ripreso il lancio del complesso missilistico su binari (BZHRK) con un nuovo missile balistico. Tutto ciò dovrebbe compensare le perdite legate alla dismessa dei missili che hanno esaurito il periodo di garanzia. di Viktor Liktovin