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LE
PIAZZAFORTI DEL
FRIULI-VENEZIA GIULIA |
Osservando
in una piantina d’Italia, la disposizione delle varie piazzeforti della Prima
Guerra Mondiale, si individuano
subito quelle particolarmente attive durante il conflitto.
La
loro notorietà e anche merito delle varie pubblicazioni editoriali o delle
innumerevoli citazioni in altre opere.
Se però osserviamo più attentamente la linea del vecchio confine con
l’allora Impero Austro-Ungarico, ci ricordiamo molto vagamente di
alcune piazzeforti dimenticate dalle già citate pubblicazioni specializzate.
La zona di cui si stiamo parlando è il Friuli Venezia Giulia, regione da
sempre di confine ed in parte sotto il dominio Austro-Ungarico fino alla
conclusione del conflitto. Si può fare una ulteriore suddivisione delle varie
piazzeforti:
-
Piazzaforte di Latisana,
- Piazzaforte di Codroipo,
- Testa di Ponte di Pinzano,
- Ridotto Carnico.
Le
prime due appartenevano alla cosidetta Fortezza (o settore fortificato) basso
Tagliamento,
quella di Latisana ricadeva sotto il II° settore , mentre quella di Codroipo al
I° settore; le altre due appartenevano rispettivamente alla Fortezza
medio Tagliamento e Fortezza alto Tagliamento - Fella.
Lo
scopo naturale di queste piazze, era come sempre, impedire al nemico
un’eventuale invasione della regione. Come
sappiamo bene, lo scopo non fu raggiunto e l’esercito nemico arrivò sino alla
linea del Piave.
Andiamo
ora a ricordare le varie opere che fanno parte di queste piazzeforti.
-
Piazzaforte di Latisana:
-
Piazzaforte di Codroipo:
- Testa di Ponte di Pinzano:
-
Forte di Monte Lonza ( chiamato anche Bernardia ),
- Ridotto Carnico:
-
Forte di Ospedaletto ( chiamato anche Monte Ercole ).
La zona del Friuli era quindi, almeno sulla carta (e nelle intenzioni del
l’allora generale Pollio capo di Stato Maggiore), protetta contro ogni
pericolo di invasione ma, come la storia racconta non servirono quasi a nulla.
E doveroso usare il quasi, visto che l’opera di monte Festa scrisse
pagine gloriose durante i giorni successivi alla rotta di Caporetto.
Prima di passare alla descrizione delle opere stesse, cerchiamo di capire
perché non arrestarono l’avanzata nemica, cercando di ricostruire gli
avvenimenti di quei giorni tragici in maniera cronologica.
Al comando della zona della Carnia fu ordinato di resistere fino
all’ultimo colpo con il forte di Monte Festa (che si trovava nel settore della
36a Divisione) e con i pezzi di Monte Sflincis (c’erano solo i fanti della
brigata “ Pistoia ” con pezzi di medio calibro, poiché la prevista 99a
batteria d’assedio armata con quattro cannoni da 149 A, non riuscì a giungere
nella posizione a causa delle strade rovinate dalla pioggia) per favorire la
ritirata della 2a e 3a Armata al Tagliamento. Il comando della 2a Armata, fu
avvisato che per garantire il passaggio delle truppe italiane in ritirata,
venivano concentrate due divisioni
nei dintorni di Pinzano (agli ordini del generale Di Giorgio). Quando il 29
ottobre 1917 contingenti di truppe italiane si ritirarono attraverso la valle
del Fella, il generale Cadorna ordinò al gen. Tassoni che il forte di
Chiusaforte aveva il compito di opporre una resistenza tenace fino all'ultimo
sangue. Tale ordine fu comunicato a sua volta, dal Ten. Colonnello Moccia, del
Comando di Corpo d’Armata di Tolmezzo al Comando delle truppe di Moggio
Udinese. Fu inviato il Ten.Naselli
per la consegna dell’ordine direttamente al comandante dell’opera, il
Capitano Marinelli. Si verificarono, tuttavia delle incertezze circa
l’estensione da darsi al compito assegnato, e quando giunse il succitato
preciso ordine di resistere anche nel caso di un accerchiamento nemico, era
ormai troppo tardi, perché in previsione di uno sgombero imminente erano già
stati distrutti i documenti per il tiro. Dopo un violento fuoco di sbarramento e
l'esplosione finale del giorno 29 ottobre alle ore 16, con cui si fecero saltare
le bocche da fuoco (le fotografie dell'epoca ne riproducono soltanto due).
Gli
ultimi difensori della semidistrutta opera, ancora quella sera, dopo un
brevissimo scontro si arresero ai reparti della LIX brigata austro-ungarica, che
intanto era giunta sul posto scendendo lungo la Val Raccolana.
La Val Fella era dunque aperta alle truppe austro-ungariche: il gruppo
Wieden aveva svolto brillantemente parte del compito affidatogli. Infatti, in
cinque giorni di combattimenti svoltisi in condizioni gravose, aveva provocato
l’ormai sicuro crollo delle linee italiane davanti alla 10a Armata
austro-ungarica.
Lo sbocco del Torre in
pianura doveva essere difeso
dal forte di Ospedaletto, che era stato disarmato come gli altri da tempo, ma
aveva ancora tre bocche da fuoco da 149 rivolte verso Sella Foreador.
La sera del 27 ottobre, d’ordine superiore, le bocche da fuoco furono
ritirate ed avviate oltre il Tagliamento al comando del tenente Cavallero.
Al forte con una decina di
soldati, rimase soltanto il maresciallo Bergamino con l’ordine di predisporre
per far saltare tutte le parti fortificate.
Alle ore 14 del giorno successivo ariivò l’ordine da parte del
generale Di Giorgio tramite un fonogramma recapitato a mano. Dopo alcuni
problemi di sovrapposizione di ordini con il comando della 63a Divisione, alle
ore 16, il maresciallo dava fuoco alle cinque miccie in precedenza preparate.
Dopo ciò i soldati abbandonarono i resti e transitarono per ultimi il ponte di
Trasaghis prima della sua distruzione.
Nella notte dal 28 al 29 c’erano vasti incendi al forte di Osoppo
(probabilmente appiccati dalla guarnigione prima di abbandonarlo).
Le 16 divisioni che componevano la 14a Armata Austro-Ungarica dovevano
conquistare “con rapidi colpi di mano” tutte le fortificazioni nella media
Val Tagliamento e in pianura (Monte Festa, Osoppo, Tricesimo, Fagagna e Ragogna).
Il giorno 28 ottobre, il gen. Krauss ordinava al gen. von Wieden
la conquista delle opere di Chiusaforte, Monte Festa e Ospedaletto, nonchè
della rotabile Resiutta-Gemona con i ponti di Stazione per la Carnia.
Per soddisfare quest’ultimo obiettivo, bisognava oltretutto fare i
conti con il preciso fuoco d’artiglieria che arrivava dal forte di Monte
Festa, che impediva il transito diurno dei ponti stessi.
La 22a divisione Schutzen si mise in marcia durante la notte sul 28 onde
conquistare di sorpresa la fortezza di La Bernardia ( Monte Lonza ). L’impresa
era considerata assai rischiosa, qualora l’opera fosse stata armata e
guarnita. Era infatti considerata dagli austro-ungarici un caposaldo di tutto
rispetto. Tuttavia nel 1916 era stato disarmato e cannoni e proiettili
erano stati trasportati altrove. Soltanto
nel giorno di venerdi 26 ottobre si tentò di riarmare l’opera1
, ma il nemico riuscì ad intercettare il prezioso carico e ne fece bottino.
Oltretutto gli italiani avevano trascurato di collocare un valido presidio,
cosicchè cadde quasi senza colpo ferire. Il merito era dovuto ancora una volta
dell’attività instancabile e dell’ acuta intuizione del gen. Rudolf Muller
che aggiungeva al Gruppo Krauss un altro importante successo.
Nelle
giornate del 29 e 30 ottobre, la 22a divisione Schutzen continuava ad avanzare e
conquistava le opere di Ospedaletto e Osoppo (che vennero trovate disarmate e
prontamente furono occupate da due compagnie) e stabilì infine, a Venzone il
collegamento con la divisione Edelweiss del gruppo Weiden.
Il
gen. von Weiden aveva ordinato, per il 30 ottobre, che la deutsche Jager
Division marciasse con quattro batterie da montagna su Amaro e Tolmezzo, e
quindi si portasse sul Monte S.Simeone per occupare le varie fortificazioni
mediante colpi di mano, con obiettivo primario l’opera di Monte Festa
(dal giorno 29 ottobre agli
ordini del comandante della 63a Divisione ).
Il
31 ottobre venne inviato l’VIII battaglione della sopracitata divisione Jager
con l’incarico di superare il Tagliamento e di realizzare l’agognata
conquista dell’opera di Monte Festa.
Anche per l’opera di Ragogna era stato deciso il disarmo, dato che le
operazioni si erano spostate sull’Isonzo. Nell’ottobre del 1917 non si poté
riarmarlo e Cadorna si limitò a concentrare quante truppe aveva a portata di
mano. Anche in questo luogo il
Comando Supremo aveva impartito l’ordine di resistere a qualunque costo alla
brigata “ Bologna ”. Il 30 ottobre alle ore 16, il battaglione bosniaco del
capitano Redl ed il 63° giungevano all’abitato di Muris, ma trovandosi però,
di fronte alle postazioni di Monte Ragogna furono costretti ad arrestarsi.
L’ordine di resistere a tutti i costi fu ribadito
alle ore 21 del 31 ottobre. Il successivo attacco della XV brigata
austriaca, appoggiato da sei batterie il cui munizionamento però risultava
assai scarso, procedette con molta lentezza.
Il risultato fu una parziale occupazione del monte
(una parte dei versanti est e sud).
Malgrado tutti gli italiani resistevano ancora.
Anche
nella giornata del 31 non fu possibile la conquista totale di Monte Ragogna, che
cedette però nella giornata successiva dopo che i suoi difensori ebbero sparato
fino all’ultimo colpo. Prima di
essere catturati dal nemico (dieci volte superiore numericamente), spezzarono le
armi e tentarono la fuga gettandosi
nel fiume.
Alla
data del 31 ottobre si conservavano sulla sinistra del Tagliamento solo le teste
di ponte di Pinzano e Latisana, ma saranno perdute il giorno dopo.
A
Ciconico il 29 ottobre, la cavalleria tedesca attaccò più volte reparti
italiani che cercavano di raggiungere il ponte di Dignano. Alcuni proiettili
d’artiglieria diretti al forte di Fagagna colpirono delle case
del paese.
Durante l’avanzata nemica tra Udine e Codroipo si poteva
sperare nell’intervento dei forti di Beano e Rivolto ma anch’essi erano
stati disarmati sin dall’autunno del 1915 a causa della deficienza di
artiglierie di medio calibro che affliggeva l’esercito italiano e non poterono
quindi rappresentare quella tenaglia, assieme con le altre opere della zona di
San Daniele (Santa Margherita, Fagagna e Col Roncone), che avrebbe dovuto
consentire di fronteggiare il nemico. Solo all’ultimo momento si provvide a
fortificare alcuni tratti sulla sponda destra del Tagliamento in corrispondenza
dei vari ponti allora esistenti. A causa di ciò, le truppe italiane
abbandonarono Fagagna la sera del 28 ottobre assieme a buona parte della
popolazione. Una storia a
parte fu quella dell’opera di Monte Festa.
Il
26 ottobre 1917, durante la ritirata successiva ai fatti di Caporetto, il
capitano di complemento ingegnere
Riccardo Noel Winderling, in esecuzione ad un ordine del Comando d’Artiglieria
del XII Corpo d’Armata lasciava il comando d’un Gruppo d’Artiglieria sul
Pal Piccolo per assumere quello del Forte di Monte Festa con l’incarico di
porlo rapidamente in stato di efficienza per opporre la massima resistenza
all’avanzata nemica. Il personale
dell’opera era composto da:
-
3 ufficiali dell’VIII Regg. Artiglieria Fortezza (Ten. Amedeo Mingardi, Ten.
Mario Cavallini, Ten. Umberto Tomei);
-
1 ufficiale medico ( Ten. Domenico del Duca );
-
2 marescialli ( Giovanni Segato e Bernardino Fidenzoni );
-
120 soldati della VII Compagnia VIII Fortezza );
-
30 soldati della IV Sez. Antiaerei;
-
20 soldati del 150 Batt. Milizia Territoriale;
-
5 eligrafisti del III Genio;
-
2 telefonisti del I Regg. Fanteria.
Come
primo atto, il neo-comandante richiese i mezzi adatti per riparare in parte alle
deficienze del forte. Naturalmente il personale del forte dovette far fede solo
su ciò che avevano già e non sperare in aiuti.
Si
dispose tuttavia un trasporto su muli in un unico viaggio di munizioni da 149,
pervenute da Interneppo. Il
maggiore Micheletti, comandante del 19° gruppo, affondò nel lago di Cavazzo le
munizioni che non furono portate al forte onde evitare che il nemico ne entrasse
in possesso.
Il
30 ottobre il forte apre il fuoco sulla base dei dati teorici in suo possesso
(naturalmente non erano mai stati aggiornati, dato che non ebbe mai avuto un
ruolo attivo nel conflitto), essendo impedito ogni tiro diretto a causa della
nebbia. Gli obbiettivi principali
sono il ponte sul Fella, il ponte di Caneva nei pressi di Tolmezzo, Stazione per
la Carnia, la stretta di Sompave e La Maina.
Oramai il forte si trovava in primissima linea. Il giorno successivo, il
forte riesce a rettificare i suoi tiri. Alternativamente
viene fatto fuoco con tutti i pezzi, in modo che ognuno possa fare gli
aggiustamenti opportuni. Le
comunicazioni con il fondo valle sono al limite dell’impossibilità: mancano
linee telefoniche dirette, gli eliografi si possono usare solo in assenza di
nebbia, altrimenti non restano che le staffette.
Il
forte poteva contare su due osservatori d’artiglieria, uno alla forcella
Amariana ed uno sul San Simeone. Ma
il giorno 1 novembre il nemico, si impossessa dell’osservatorio di forcella
Amariana e non resta che quello sul San Simeone.
Malgrado
tutto, il forte riesce a decimare e disperdere una colonna nemica di circa
trecento uomini con carriaggi, diretta verso Tomezzo.
Il
giorno 2, durante la notte, sulla riva sinistra del Tagliamento all’altezza di
Amaro, il nemico ha iniziato i lavori ed accumulato materiali con l’intento di
gettare un ponte, ma l’artiglieria del forte manda all’aria il progetto.
Sempre nella stessa giornata, una comunicazione tramite eliogramma,
ordina al forte di colpire l’artiglieria nemica che si è postata ad Osoppo.
L’osservazione di questo obbiettivo non era possibile neppure tramite
l’osservatorio di San Simeone, ma il Festa riesce a dirigere lo stesso dei
tiri indiretti.
Arrivano
poi ad aggiungersi alla guarnigione, inviati dal Comando d’Artiglieria della
63a Divisione, i Tenenti Icilio Fanelli e Alfredo Ferrari, destinati al Comando
della Batteria 149 A il primo, al Comando della Batteria 149 G il secondo.
Il
giorno 3 novembre i tiri sono indirizzati alla distruzione di un ponte riattato
con travi di legno sul Fella e a quello che si tentava di costruire ad Amaro.
Il
giorno 4 novembre arrivano al forte, nella notte, altri 25 soldati del 280
Fanteria, inviati dal Comando della 63a Divisione, guidati dall’Aspirante
Luigi Santini e subito vengono distribuiti. Assieme a loro, vennero inviate
anche 10 casse di cartucce ma non giunsero a destinazione. La passerella di
legno già citata, viene abbattuta e il ripiegamento della 63a Divisione
italiana verso per la Forcella Armentaria viene protetto con tiri di
interdizione dinanzi alla piana d’Alesso. Ripiegano anche la 36a e la 26a. Ora il forte era completamente isolato ed era l’unica
presenza italiana sul Tagliamento.
Il
5 novembre, il forte è battuto dall’artiglieria nemica (proiettili da 105) e
sorvolato da aerei a bassa quota, anche le munizioni cominciano a scarseggiare.
Durante la notte viene sferrato un attacco sul lato orientale della
posizione, ma fu prontamente respinto (si trattava della 5a compagnia d’alta
montagna austro-ungarica e del distaccamento germanico Pappritz).
Il
6 novembre, si tentava disperatamente di ingannare il nemico spostando
continuamente gli uomini, con lo scopo di far credere su scorte abbondanti di
munizioni. Alle ore 9 si pronuncia
un secondo attacco nemico sul ciglio occidentale.
Si concentrano i tiri di fucile e di mitragliatrice ma s’inceppa.
A questo punto i soldati usano dei blocchi di roccia da far rotolare
addosso agli attaccanti che si arrestano e alzano bandiera bianca.
Tre ufficiali (della 5a compagnia d’alta montagna) sono portati
all’interno del forte e consegnano un messaggio del Comando della X Armata
Austriaca che intimava la resa. Naturalmente
il comandante Winderling da loro una risposta negativa e li rimanda fuori del
forte. Dopo di ciò, il comandante
raduna gli uomini ed illustra la situazione. Viene deciso l’abbandono alle 18
del forte da parte del comandante stesso e di 100 uomini. Gli altri restano per
distruggere i documenti, consumare tutte le munizioni e distruggere le bocche da
fuoco e tutto ciò che poteva essere utile agli occupanti. Il Tenente Paradiso
ricevette l’ordine di gettare gli otturatori dal pendio, nello stesso momento
vengono fatti esplodere tutti i pezzi da 149.
Subito
dopo inizia l’abbandono del forte ma scesi di quota ed avanzando
nell’oscurità, si imbattono nel nemico.
Solo il Capitano Winderlig, il Ten. Tomei, il Maresciallo Fidenzoni, un
sergente e tre soldati riescono a guadagnare la fuga attraverso le montagne, il
resto della colonna rimane prigioniero2
.
L’odissea
dei fuggitivi finisce dapprima per il maresciallo e due soldati tra Erto e
Cimolais. Gli altri fuggitivi resistono alla cattura fino al 15 dicembre 1917.
Finiva così un’episodio eroico inserito nei giorni tragici di
Caporetto e della ritirata al Piave.
Dopo aver sommariamente narrato gli avvenimenti, andiamo ad analizzare le
varie opere fortificate. La
costruzione di tutte queste opere era iniziata nei primi anni del secolo (dopo
il 1904) fatta eccezione di quella di Osoppo, visto che si trattava di un sito
già in passato usato militarmente e riadattato alle esigenze belliche dei primi
anni del secolo.
Il forte di Monte Festa fu anch’esso costruito intorno al 1909 così
come quelli di Tricesimo, Ragogna, Fagagna e Bernardia.
E’ possibile raggruppare le varie opere in gruppi:
1)
- OPERE A
DUE PIANI FUORI TERRA DOTATE
DI QUATTRO CUPOLE:
-
Fagagna |
-
Col Roncone |
-
Monte Lonza ( Monte Bernardia ) |
-
Santa Margherita |
-
Tricesimo |
|
2)
- OPERE A UN PIANO FUORI TERRA DOTATE DI QUATTRO CUPOLE:
-
Precenicco |
-
Rivarotta |
-
Beano |
|
3)
- OPERE A UN PIANO FUORI TERRA DOTATE DI SEI CUPOLE:
-
Rivolto |
|
4)
- OPERE A PIANTA E
SCHEMA VARIO:
- Chiusaforte |
-
Monte Festa |
-
Pinzano |
-
Ragogna |
-
Ospedaletto ( Monte Ercole ) |
-
Osoppo |
- Sedegliano |
Come già detto, quasi tutte queste opere erano di costruzione moderna e
la loro costruzione non pose i problemi relativi alle fondazioni3.
Ma altri problemi furono rappresentati dalla difficoltà di trasporto dei
materiali necessari alla costruzione. Si
dovettero costruire dal nulla delle strade d’accesso lunghe diversi chilometri
e con pendenze non lievi (Monte
Festa, Monte Lonza); in altri casi, il compito fu inferiore
(Ragogna, Ospedaletto, Chiusaforte); o addirittura lievissimo (tutte le
altre opere), vista la vicinanza delle opere stesse dai centri abitati4.
Alcune caratteristiche sono comuni per almeno i tre primi gruppi di
opere:
-
fossato di gola totale o parziale, con o senza acqua;
-
presenza di feritoie laterali per battere il fossato in caso di tentativo di
penetrazione nemica;
-
dimensioni dei locali e tipologia degli stessi;
Per tutte queste opere
possono essere significative le piantine allegate e le foto di alcune di esse.
Naturalmente gli stati di conservazione non sono uguali.
Per le opere del quarto gruppo è necessario anche una descrizione
individuale per ognuna di esse, vista la tipologia del sito e le diverse
caratteristiche costruttive.
Lo stato di conservazione dell’opera è buono e sono presenti gli
infissi su tutte le porte e finestre. Naturalmente le cupole sono state
asportate dalla struttura e al loro posto sono presenti delle tettoie che
coprono il pozzo. L’ esercito italiano ha usato l’opera come polveriera
militare e quindi, è stata applicata una gabbia di Faraday sulla struttura come
parafulmine. Tale gabbia è tutt’oggi presente ma non deturpa eccessivamente
il tutto. Sono anche presenti dei numeri sui muri esterni per identificare i
livelli di pericolosità dei materiali contenuti.
Per raggiungere l’opera, si esce dall’autostrada A4 al casello di
Latisana e si procede in direzione Lignano. Dopo qualche chilometro si trova un
semaforo e si gira a sinistra seguendo l’indicazione Precenicco. Raggiunto
l’abitato si gira a destra e dopo aver percorso circa un chilometro si avvista
sulla destra una zona militare dove all’interno si trova l’opera. Tuttavia
la zona è ancora sotto il demanio militare e sono presenti i cartelli di
divieto d’accesso. La visita
all’interno della zona dell’opera è a proprio rischio e pericolo.
L’opera si presenta su quattro piani (compreso quello della batteria
corazzata). All'esterno del forte si può vedere la postazione delle
mitragliatrici per il fiancheggiamento del forte. La visita all'interno non
comporta pericoli. Il fronte di gola benché in progressivo deperimento da
l'impressione di un edificio da abitazione, in quanto esistono ampie balconate.
Dall’ingresso del forte, dopo aver superato la guardiola, tramite il cortile,
si accede ad una postazione per il combattimento a distanza ravvicinata dotato
di feritoie e subito dopo alla galleria dei fucilieri dove si arriva al cofano
frontale grande ed a quello piccolo.
Raggiungendo
poi il corridoio della batteria, si vedono le rotaie per il trasporto delle
munizioni e i resti di un elevatore inclinato con scaletta e rotaia che partiva
dai relativi depositi. Scendendo negli altri piani, si trovano gli alloggiamenti
per le truppe, per gli ufficiali, gli uffici, l’officina e la centrale
elettrica. Tramite una scala si accede al deposito delle polveri. Il fronte di
gola era protetto da un muro con feritoie. A protezione del fianco destro del
muro stesso, v’è un bastione a forma di cofano. E’ da notare, che attorno
al forte, tranne poche trincee non esisteva alcuna opera difensiva.
L’armamento del forte era composto da quattro cannoni da 120 G sotto
una corazza del tipo "Ispettorato" che qui aveva uno spessore di soli
40 mm. (Portata con granate km.7,7 circa e con shrapnel km.6,8 circa). Era anche
presente una mitragliatrice Gardner su torretta corazzata a scomparsa.
Per accedere all’opera si può uscire dall’autostrada Udine-Tarvisio
a Tolmezzo e seguendo la SS. 13 Pontebbana si arriva al paese di Chiusaforte.
Poco prima del paese, fra il km. 182 ed il 183 si stacca il sentiero per il
forte che può essere percorso solo a piedi o da motociclette. Si consiglia di
parcheggiare nello spiazzo fra la rotabile e la ferrovia, che si trova tra le
due gallerie della ferrovia stessa.
Si tratta di un opera senza
cupole, dove l’artiglieria era all’aperto. Dopo aver imboccato la stradina
d’accesso si trova una galleria con dei locali, probabilmente adibiti a
polveriera. Salendo poi all’opera vera e propria si trova dapprima sulla
sinistra, un ingresso incassato con un corridoio ed un locale e dopo l’ultima
curva il sito della batteria all’aperto.
L’armamento dell’opera era composto da alcuni pezzi in posizione
campale.
Per
accedere all’opera ci si porta dapprima a Spilimbergo, e poi ci si dirige a
Pinzano. Dal centro del paese di Pinzano si prende una strada in salita e alla
prima curva sulla sinistra si parcheggia l’automezzo. Uno steccato di legno
sbarra la strada al forte. Girando attorno si entra e si risale la stradina
sterrata che con alcuni tornanti porta all’opera.
Trattasi di opera molto diversa dal solito. In questa costruzione
esistono ancora degli accenni architettonici. Le caserme sono costruite in
mattoni e pietra mentre per la batteria vera e propria
è stato usato un conglomerato cementizio senza però nessun apporto di
armatura di ferro. Lo stesso dicasi per la galleria della fucileria. Un primo
portone conduce all’ingresso della parte bassa dell’opera dove si trovano il
primo corpo di guardia e gli stabili a due piani dedicati agli alloggi ed ai
servizi. Sempre nella parte bassa si trovano tre gallerie: la prima conduce dopo
pochi metri ad un locale di m.5 x 5 e successivamente ad un secondo locale m.5 x
10. Entrambi i locali sono totalmente isolati dalle pareti della galleria,
infatti sono state costruite delle pareti ed il soffitto a circa 50 cm. dalle
pareti della galleria. La seconda galleria e interrotta dopo alcuni metri e non
si esclude che potesse collegare la parte superiore dell’opera. La terza
galleria ha un unico locale di m.2,5 x 10. Continuando nella parte bassa troviamo la strada che porta
alla parte superiore, sbarrata da un’altro cancello ( ora non più in loco )
con a fianco una postazione angolare che permetteva di battere la stradina
stessa. Prima del cancello sulla destra un locale di m.4 x 10.
Oltrepassato questo secondo ingresso, troviamo sempre sulla destra un
locale di m.4 x 7 comunicante con quello precedente; di fronte l’ingresso alla
postazione angolare. Più avanti sulla destra si arriva all’ingresso della
galleria della fucileria. Tale galleria avvolgeva la batteria per tre quarti.
Vediamo più in dettaglio il suo sviluppo: dopo un po' di metri sale leggermente
ma senza gradini e si arriva alla prima delle uscite che danno sul camminamento
esterno. Procedendo si trovano sempre innumerevoli feritoie orizzontali e si
arriva alla seconda uscita e più avanti ad una postazione d’angolo per
mitragliatrice su affustino.
Ora
la galleria corre lungo la parte più lunga della batteria ed oltre alle già
citate feritoie troviamo altre uscite sul camminamento fino all’angolo e si
arriva all’ultimo tronco che porta alla fine ad una postazione angolare ma,
diversa dall’altra, in quanto è formata da una continuazione di galleria di
alcuni metri. Poco prima di questa,
un’uscita da sul camminamento e da qui all’ingresso dell’opera.
L’ingresso della batteria avviene da un breve passaggio non molto largo
dove troviamo dapprima un locale sulla sinistra adibito a servizio igienico dopo
di che si entra nel corridoio e si incontra sulla sinistra un locale di m.3 x 8
con comunicante in profondità ad un’altro locale delle stesse dimensioni,
probabilmente adibiti a polveriera o deposito proiettili. Da quest’ultimo
parte un binario con scartamento m. 0,40 che comunica con il corridoio della
batteria che da sulle rampe dei pezzi. E’ da notare che questo binario è
posizionato ad circa m.1 da terra all’interno
di una apertura di m. 0,50 x 0,60 tra due aperture più piccole. Anche nel primo
locale esistono altrettante aperture. Tornando nel primo breve corridoio si
arriva a dei gradini che portano al corridoio principale. Da qui si può
accedere alle rampe dei pozzi (ora murate) e alle riservette
(m. 2,5 x 4) che sono posizionate tra le rampe e ai lati di esse (m. 1,8
x 4 ). In corrispondenza della torre di sinistra, arrivavano i binari dal locale
già citato e si dirigevano nella prima riservetta e da qui alle altre
riservette. Alla fine del corridoio, sono presenti una finestra nella parte
destra ed un foro d’aerazione di circa m. 0,40 di diametro nella parte
sinistra (che sbocca all’esterno sul camminamento). Tutti i soffitti sono a
volta e intonacati come anche le pareti. Il
citato camminamento, permetteva la difesa ravvicinata dell’opera, visto che la
sua posizione geografica non la rendeva inattaccabile da eventuali fanterie
nemiche. Era infatti questo, il
limite maggiore dell’opera, che aveva quindi bisogno di molta fanteria per
guarnire la galleria ed il camminamento in caso di attacco.
L’armamento era composto da quattro cannoni da 149 A sotto corazza del
tipo "Grillo". Portata con granate km.10,1 circa e con shrapnel
km.10,4 circa. (secondo altre fonti, vennero destinati all’opera, quattro
cannoni da 149 Armstrong da montagna, che erano diretti allo Chaberton).
Erano presenti anche alcune mitragliatrici Gardner cal. 10,35.
Per accedere all’opera bisogna giungere, tramite strada statale o
autostrada, a Gemona, si procede verso Tarvisio fino all’abitato di
Ospedaletto. Da qui si prende via Priorato e la si percorre passando dapprima
sotto alla ferrovia e poi costeggiando sulla destra una palizzata di legno. Alla fine
di quest’ultima, mantenendo la destra, si passano due colonne e si procede
fino ad un bivio. A questo punto conviene parcheggiare l’automezzo e
proseguire a piedi sulla sinistra. La strada sterrata porta nel giro di dieci
minuti circa all’ingresso dell’opera.
Era
collegato telefonicamente con il paese di Bordano e disponeva di tre
eliografi. Poteva sfruttare due osservatori: uno sulla vetta del San
Simeone e l’altro alla forcella Amariana, sulla sinistra del
Tagliamento. Tramite
una teleferica era invece collegato con Amaro. Dopo la guerra il forte subì
un forte smantellamento delle sue strutture in ferro e solo la batteria
allo scoperto rimase in buono stato di conservazione. Ora l’opera sta
andando progressivamente in rovina. E’ comunque possibile accedere
all’interno del forte. Particolarmente interessanti sono le caverne con
gli ex depositi delle polveri delle munizioni, perché al loro interno
sono stati costruiti dei locali che presentano una muratura in mattoni
forati con rivestimento impermeabile e pavimenti in legno per evitare tra
l’altro il formarsi di scintille tra il pavimento e gli scarponi
chiodati dei soldati. A
mezza altezza fra le caverne inferiori e la batteria corazzata c’è un
cunicolo che attraversa la roccia ed a metà circa presenta una caverna
per i due ascensori delle munizioni e relativi motori.
La
batteria corazzata si raggiunge percorrendo la strada d’accesso girando
attorno al monte. Tra un pozzo dei cannoni e l’altro, esiste un
magazzino munizioni. Siccome nell’ala sinistra il pavimento del
corridoio della batteria è stato sfondato nelle fasi dei recuperi delle
strutture di ferro, qui e nel sotterraneo è bene usare molta cautela. Si può raggiungere il tetto del forte attraverso
l’accesso alla postazione IV dei cannoni oppure lungo la scala a destra
dell’ingresso del forte. Nonostante l’asporto delle strutture in
ferro, la batteria permanente allo scoperto presenta uno stato di
conservazione sostanzialmente buona. |
Vicino alla batteria allo scoperto, c’era la centrale elettrica. Il
complesso dimostra un miglioramento della tecnica edilizia in fatto di
fortificazioni dell’epoca (rispetto il vicino forte Chiusaforte ) ma non era
comunque in grado di sopportare i colpi del mortaio austriaco da 305 o di
cannoni ancor più pesanti.
L’armamento era composto da quattro cannoni da 149 A in cupole
corazzate tipo d’alta montagna ( secondo altre fonti quattro cannoni da 149 G
sotto corazza del tipo “Ispettorato” ). Alla data del 26 ottobre 1917
disponeva di 2.600 colpi. Erano
inoltre presenti quattro cannoni da 149 G su affusto con sottoaffusto
trasformato a perno centrale. La gittata di questi cannoni
era di km. 8,3 per le granate e di km. 7,6 per gli shrapnel.
Una sezione antiaerea da 75 A e una mitragliatrice Perino. Alla data del
26 ottobre 1917 disponeva di 300 colpi per i 149 G e di 400 colpi per la
contraerea.
Per accedere all’opera ci si stacca dalla SS.13 Pontebbana e attraverso
i paesi di Cavazzo, Somplago e Interneppo ci si porta a Bordano. Arrivati ad un
dosso si trova un cartello con le indicazioni Monte Festa
e Monte Simeone. Percorrendo
questa strada non asfaltata si arriva presto ad una biforcazione, seguire
l’indicazione Monte Festa. Conviene
lasciare l’automobile qui, perché la strada
è franata in diversi punti e non si avrebbe più lo spazio per girarsi.
Procedendo quindi a piedi o con una motocicletta si arriva dopo km. 11 dalla
prima indicazione al forte.
L’opera non è altro che una posizione campale con una costruzione
frontale dotata di diversi ingressi.
L’armamento era composto da alcuni pezzi in posizione campale.
Per arrivare all’opera ci si porta a San Daniele del Friuli e si prende
la strada che porta all’abitato di Ragogna. A questo punto ci si dirige in
direzione Muris seguendo le indicazioni Monte di Ragogna. Dopo circa 1,5 Km si
arriva quasi alla sommità del monte e a lato di un bar-ristorante si può
vedere l’opera.
Trattasi di caso atipico di fortificazione che diventa tutt’uno con il
colle. Essendo in posizione sovrastante, si può considerare un isola. Era
dotata di tutti i servizi per renderlo autonomo. Salendo lungo la strada
d’accesso ( costruita durante l’occupazione Napoleonica ), si incontra il
corpo di guardia. Superate le mura si procede e si incontra il casotto degli
esplosivi. Ancora più avanti si arriva al centro del colle, dove esisteva una
batteria in barbetta, il magazzino della sussistenza, il magazzino della
polvere, un’altra batteria in barbetta e una riserva munizioni. Continuando
verso sud si arriva al ridotto e tramite delle gallerie al forte sotterraneo con
la batteria sud.
Dal
centro del colle, proseguendo verso nord, si trova una polveriera in caverna, il
serbatoio dell’acquedotto, le caserme, la stazione radiotelegrafica, la
scuderia, la batteria nord e altra batteria in barbetta. Molti dei lavori
eseguiti, sia dagli Austriaci che dagli Italiani,
ignorarono il sistema fortificatorio già esistente nel colle e configurarono un
nuovo “ sistema difensivo “, costituito da manufatti in gran parte
sotterranei, connessi da una rete di gallerie e di strade in trincea.
L’armamento era composto dalla batteria Sud composta da 4 cannoni da
149 A sotto corazza del tipo Grillo. Una ulteriore batteria era posizionata a
nord del colle e una posizione in barbetta sempre a nord e altre due, una ad
ovest e una ad est.
Dal paese di Osoppo seguire le indicazioni per il forte. E' possibile
arrivare anche in automobile in pochi minuti, visto che sovrasta il paese
stesso.
Sembra che dopo la guerra vi
furono ancora a lungo degli alloggiamenti di truppe e conservò ancora una certa
efficienza, comprese le reti metalliche di
protezione.
Anche
nel caso della piazzaforte del Friuli, si assiste ad uno stato di completo
abbandono (ad esclusione dell’opera di Osoppo). La maggior parte di queste
opere è stato in uso dall’esercito italiano fino a pochi anni fa e, malgrado
tutto le strutture erano salvaguardate. Oggigiorno sono invece opera di vandali che dopo averle depredate di
tutto ciò era possibile, le usano come deposito di immondizie o per riunioni
sataniche od altro ancora.
Anche
in questo caso, c’è solo da sperare che l’iniziativa dei comuni o delle
associazioni locali, riesca a fermare questo ennesimo scempio e, che si riesca a
riutilizzare questi meno gloriosi manufatti, in maniera sensata.
Trattasi di batteria simile a quelle presenti nella provincia di Venezia. Si tratta di una realizzazione caratterizzata dall'assenza di cupole girevoli, sostituite da cannoni scudati installati all'esterno. Non ha subito alcun danno alla struttura ed è stato tenuto in buono stato dall'esercito, che lo ha tenuto in efficienza sino pochi anni fa.
Non è attualmente in uso anche, se sono tuttora presenti i cartelli di Zona Militare.
Non si prevede al momento nessuna iniziativa di riuso.
BIBLIOGRAFIA
SPECIFICA
1
La signora Vincenza Gobessi profuga da Tarcento, vide i soldati italiani
intenti a trasportare verso il forte i cannoni e le munizioni.
2
Nel suo diario, il generale tedesco Otto von Below, parla di una compagnia
che prese d’assalto il forte e che ne catturò la guarnigione.
3
Vedi “ La piazzaforte di Venezia ”, su Notizie ai soci N°26, 1996
4 Come già accennato nel testo, tale vicinanza ai centri abitati, fece correre dei rischi alla popolazione civile durante l’avanzata austro-ungarica.