La Piazzaforte di Ancona |
La difesa di terza linea |
Il piano di difesa della Piazzaforte, predisposto nel 1861, prevedeva che la terza ed ultima linea fosse costituita da una muraglia continua a difesa dell’obbiettivo e cioè della città e del suo porto.
Questa si divideva in due fronti principali, quello terrestre e quello marittimo.
Sul lato di terra, l’esistente cinta muraria realizzata nella seconda metà del XIV secolo e ammodernata nel corso dei secoli, non rispondeva più alle moderne tecniche d’assalto. Si decise pertanto di costruirne una completamente nuova da realizzarsi a circa 400 metri ad est della precedente consentendo così anche l’allargamento della città che acquisiva vasti terreni edificabili.
Il percorso della nuova opera difensiva andava dal colle Cardeto, dove si collegava al vecchio forte napoleonico ivi esistente, alla lunetta di S. Stefano sull’omonimo colle dove già esisteva un precedente avamposto austriaco e da li, seguendo il crinale della collina, si congiungeva al Campo Trincerato della Cittadella.
Rilievo della nuova cinta difensiva (disegno di G. Luchetti)
L’opera era costituita da una muraglia di pietra e mattoni realizzata alla Carnot, cioè una barriera continua sulla quale ad intervalli regolari venivano praticate delle aperture per consentire l’appostamento dei fucilieri alle cui spalle correva un lungo camminamento che collegava le postazioni tra loro. Gli angoli sporgenti erano dotati di piattaforme per la sistemazione dei cannoni. Il robusto muro aveva il tetto ricoperto di terra per meglio resistere ai tiri d’artiglieria. All’esterno era protetto da un largo fossato che nella sua parte interna era rivestito di mattoni per un’ altezza di circa 7 metri. La difesa era assicurata, oltre che dalle fucilerie, dalle già citate postazioni per l’artiglieria che, partendo dal forte Cardeto, prendevano la seguente denominazione: batteria S. Francesco, batteria Calamo e Scaglioni di S. Stefano. Una serie di casematte, destinate all’alloggiamento della truppa, erano posizionate ai lati delle porte e presentavano un sistema di comunicazione completamente coperto.
La nuova cinta muraria sul lato est in una foto di fine ‘800
Lungo il percorso si aprivano due varchi principali: Porta Cavour e Porta delle
Grazie o S.Stefano.
La più importante e la più monumentale era Porta Cavour che sarebbe diventato l’accesso principale della città dal lato Est in sostituzione della medioevale Porta del Calamo, presso l’attuale Piazza Roma, che verrà poi sconsideratamente abbattuta dalla Municipalità.
Porta Cavour si trovava nella massima depressione della cinta muraria, era dotata di due ponti fissi di legno che consentivano il superamento del fossato e davano accesso all’ampia piazza attraverso due varchi voltati. Si presentava inserita all’interno della cinta muraria senza da essa sporgere; in stile neorinascimentale, offriva due differenti prospetti di diversa fattura. Quello interno era più aggraziato, mentre quello esterno era più massiccio per incutere il giusto timore all’avversario.
All’interno della costruzione erano ricavati alcuni locali casamattati per il corpo di guardia, il ricovero della truppa e i relativi servizi. Un locale viene riservato ad uso civile per il pagamento del Dazio.
Veduta esterna di Porta Cavour in una foto degli anni ’20 del XX secolo.
Porta delle Grazie o S. Stefano sorge invece nel tratto compreso tra la lunetta di S. Stefano e il Campo Trincerato della Cittadella proprio in corrispondenza dell’arrivo della strada che dal Piano S. Lazzaro conduce in città attraverso la via che porta lo stesso nome del varco. L’impianto è molto simile a quello di Porta Cavour ma meno monumentale.
Anche le dimensioni sono ridotte, vi è un unico varco che, tramite un ponte in legno, mette in comunicazione con la controscarpa.
Esterno di Porta S: Stefano nelle condizioni attuali
Tutta l’opera, nel tratto compreso tra Forte Cardeto e la lunetta di S.Stefano, fu demolita a partire dalla fine del XIX secolo, prima per la realizzazione dell’Ospedale Umberto 1° proseguendo poi con l’abbattimento della porta Cavour negli anni venti del ‘900 e per finire nel dopoguerra con gli scaglioni di S. Stefano per consentire l’urbanizzazione dell’area. Rimane invece quasi intatto il tratto compreso tra la Lunetta e il Campo Trincerato con la relativa Porta.
Dalle demolizioni sono scampate tuttavia alcune testimonianze che si possono vedere sul colle Cardeto alle spalle dell’ex ospedale e nel tratto compreso tra via Redipuglia e via Oslavia. Inoltre, particolare significativo di quello che erano i locali casamattati di porta Cavour, si trova nel piano interrato dell’edifico che ospita il Genio Civile OO.PP. dove sono stati ricavati gli archivi di quell’Ente. Infine, ulteriori tracce della vecchia cinta sono emerse recentemente durante gli scavi per la realizzazione del nuovo complesso edilizio nell’area dell’ex ospedale.
La difesa del fronte terrestre veniva completata dal vecchio tratto di mura settecentesche che dalla Cittadella scendeva verso Porta Pia che rappresentava il principale accesso alla città per chi proveniva da Nord ovvero dalla “strada di Francia”.
Anni ’20 – Porta Pia con i bastioni.- Oggi si presenta intatta ma isolata dal contesto per motivi di viabilità urbana.
Da questo punto in poi iniziava il fronte marittimo che si estendeva per tutto l’arco portuale inglobando le precedenti fortificazioni già presenti fin dal XII secolo.
I vertici della difesa erano rappresentati, da un lato dal Rivellino del Lazzaretto, dall’altro dalla batteria della Lanterna.
Il Lazzaretto era stato costruito tra il 1733 e il 1743 su progetto di Luigi Vanvitelli che curò anche il potenziamento dell’intero porto di Ancona. L’edificio, di forma pentagonale, aveva un ruolo sanitario di quarantena per le merci e le persone che sbarcavano al porto ma rivestiva anche una funzione militare. Il suo avancorpo (rivellino) prevedeva infatti la sistemazione di otto bocche da fuoco “casamattate” e di postazioni di fucileria lungo tutto il camminamento.
Mole Vanvitelliana o Lazzaretto – Postazioni di artiglieria come si
presentano oggi
Il Lazzaretto ebbe un ruolo strategico nella difesa durante l’assedio del 1860 e fu conquistato dai piemontesi solo dopo aspri combattimenti.
Presa del Lazzaretto da parte delle truppe piemontesi (28 settembre 1860)
Dopo il depotenziamento militare della Piazza, persa la sua funzione sanitaria, l’edificio fu trasferito al Comune che lo trasformo in magazzini generali del porto. Ultimata anche questa funzione, fu trasformato in zuccherificio prima e manifattura tabacchi poi, uso che mantenne fino a metà anni ’70 del ‘900. Attualmente è oggetto di una progressiva opera di recupero che ha consentito di trasformarlo in un contenitore culturale. Sede di mostre e spettacoli, a breve ospiterà anche il “Museo Statale Omero” che si rivolge alle persone non vedenti.
Il Rivellino è occupato da una società sportiva che lo ha adibito a propria sede nautica. Proprio qui dove ora stazionano le barche a vela, durante la 1^ Guerra Mondiale erano ormeggiati i MAS di Luigi Rizzo che partirono per la gloriosa impresa di Premuda del 10 giugno 1918 durante la quale affondarono la corazzata austriaca Szent Istvan (Santo Stefano).
Da Porta Pia partivano le mura del porto che correvano ininterrotte fino all’Arsenale e al Molo Nord. La cinta era intervallata da 3 bastioni (S. Lucia, S. Agostino e S. Primiano) su cui era possibile piazzare postazioni di artiglieria, mentre un certo numero di aperture (portelle) davano accesso al mare per consentire il passaggio delle merci.
Si trattava di una cortina continua realizzata in mattoni esistente fin dal XI secolo che poco si prestava alla difesa del fronte marittimo che infatti fu rinforzato con la realizzazione di un grosso forte presso l’Arsenale Militare e di alcune batterie sulle colline sovrastanti il porto e la falesia.
Porto di Ancona – Bastione di S: Agostino prima della demolizione avvenuta negli anni ’30.
Durante il periodo d’armamento ospitava ben 6 postazioni con cannoni da 9 BR Ret che battevano sia l’imboccatura del porto che l’unica banchina allora esistente.
Anche gli altri bastioni di S. Lucia e di S. Primiano sono stati demoliti nel corso degli anni per facilitare la viabilità portuale mentre rimangono ancora tratti delle mura e 4 delle antiche portelle.
Porto di Ancona – Portella Pallunci con tratti di mura medioevali dopo i
recenti restauri.
All’estremità nord del porto, Luigi Vanvitelli progettò e realizzo quella che veniva chiamata, a similitudine di quella di Genova, “ la Lanterna”.
Si trattava di una struttura con funzioni di ausilio alla navigazione ma anche militari. Nel basamento su cui poggiava l’alta torre, erano sistemati in casamatta postazioni per artiglieria mentre altre si trovavano in barbetta. Durante l’assedio del 1860 , l’armamento era costituito da ben 12 cannoni creando una linea avanzata contro ogni forzamento del porto. Tuttavia l’Ammiraglio Albini, al comando della corazzata “Vittorio Emanuele”, con una manovra audacissima per l’epoca, scaricò i suoi pezzi colpendo in pieno le casematte attraverso le cannoniere. Colpita la polveriera, il basamento e la lanterna saltarono in aria provocando la morte del personale (circa 100 soldati austriaci). L’azione fu determinante per convincere il Generale Lamoriciere, comandante delle forze assediate, a chiedere la resa della città.
L’audacia dell’azione dell’Albini consistette nel provare per la prima volta durante un assedio navale il tiro delle artiglierie con la nave in movimento. Fino ad allora, le operazioni di bombardamento avvenivano sempre con mezzo fermo. La cosa ebbe una così vasta eco che poco tempo giunsero in Ancona emissari della Marina Inglese per studiare “in loco” la tecnica usata dall’ammiraglio italiano.
Per i danni subiti, nel 1862 la lanterna fu completamente demolita mentre il basamento fu restaurato cosi da poter mantenere la sua funzione di postazione d’artiglieria e tale rimase fino alla fine della 1^ guerra mondiale. Successivamente sopra vi fu costruito un immobile adibito a Sanità Marittima che, lesionato dai bombardamenti della 2^ guerra mondiale, fu ricostruito ed ora è adibito a sede distaccata della Capitaneria di Porto e dei Vigili del Fuoco.
Assedio di Ancona – Lo scoppio della Lanterna – 28 settembre 1860
Porto di Ancona – Il basamento della Batteria della Lanterna o del Molo allo stato attuale
Presso l’Arsenale aveva sede il Comando del 3° Compartimento Militare Marittimo che aveva giurisdizione su tutto l’Adriatico ragion per cui fu necessario rinforzare le difese sul lato mare proprio in corrispondenza della fine del promontorio del Colle Guasco. Nel 1860 si mise subito mano alla realizzazione di un nuovo forte a cui si diede il nome di Forte Marano. La nuova struttura difensiva, di aspetto imponente, venne compiuto con precedenza sulle altre opere della Piazza, considerata l’inadeguatezza in cui versava il settore. Era una costruzione a due piani con pianta semicircolare con il piano superiore in barbetta e quello inferiore casamattato.
Forte Marano – Ricostruzione
Questa postazione fu la prima ad essere disarmata dopo che il Dipartimento Militare fu trasferito a Venezia entrata a far parte del Regno d’Italia nel 1866. Venduto alla Ditta Cattro che aveva acquistato l’intero Arsenale, fu trasformato in fonderia. Scomparve completamente quando fu deciso di ingrandire il cantiere navale.
Il fronte a mare era completato da una serie di batterie disposte lungo la falesia, che con i suoi 70/80 metri di altezza protegge la città sul lato N/E. Queste erano le batterie S. Luigi e S. Augusto immediatamente sopra il forte Marano, le batterie del Semaforo, S. Teresa Inferiore e S. Teresa Superiore sul colle Cappuccini e le batterie S. Giuseppe Inferiore e S. Giuseppe Superiore sul colle Cardeto. L’armamento complessivo delle batterie era di ben 22 pezzi che tenevano sotto tiro sia l’ingresso del porto che le acque prospicienti.
Le batterie del Semaforo con i locali casamattati per il deposito delle munizioni sono state oggetto di restauro ed oggi sono perfettamente visibili. Anche la batteria S. Giuseppe Inferiore è ancora visibile anche se è stata manomessa nel tempo poiché è stata usata come postazione della contraerea fino alla 2^ guerra mondiale con il nome di Batteria E. Cialdini. Delle altre vi sono solo resti sul terreno che ne specificano la posizione.
Batterie del Semaforo sul colle Cappuccini con i locali casamattati per lo stoccaggio delle munizioni.
Infine, per coprire l’imboccatura del porto nel settore Nord, venne realizzata sulle alture di Posatora sulla via che conduce “in Francia” un’altra postazione d’artiglieria che per la sua importanza venne chiamata Forte Savio. Si trattava di 6 postazioni d’artiglieria munite di deposito munizioni e di locale per il confezionamento dei proiettili.
Il nome Alfredo Savio è stato imposto in memoria del Capitano d’Artiglieria eroicamente morto durante l’assedio di Ancona del 1860 così come a Gaeta si trova Forte Savio in onore del fratello Emilio anch’egli morto eroicamente durante l’assedio del 1861 della città laziale.
Attualmente la struttura è in mediocri condizioni, l’area è di proprietà demaniale ma in concessione alla Telecom che ne impedisce l’accesso.
Batteria Alfredo Savio – Le postazioni con la traversa in pietra e terra.