LORINI, Buonaiuto (Bonaiuto). - Non si conosce con esattezza l'anno di nascita di questo ingegnere militare nato a Firenze, da nobile e illustre famiglia, tra il 1537 e il 1538 (Writing on architecture() o, come sembra più plausibile, poco dopo il 1540 (Promis).

La notizia di una sua consulenza sulle difese dell'isola d'Elba, offerta a Cosimo I nel 1547 (Lombardi), che farebbe retrodatare la data di nascita di parecchi anni, non ha trovato riscontri ed è stata giudicata dalla maggioranza degli studiosi del tutto infondata. Opinabile sembra poi essere l'età del L. inserita a mo' di epigrafe nella cornice che circonda il ritratto dell'autore nelle due edizioni del suo trattato sulle fortificazioni ("Buonaiuto Lorini nobile fiorentino aetatis suae anno L" nell'edizione del 1597 e "anno LX" in quella del 1609): la prima indicazione farebbe individuare l'anno di nascita nel 1547; la seconda, nel 1549. I due dati, oltre a non coincidere del tutto, sembrerebbero essere smentiti dalle notizie fornite dallo stesso L.: nella prima edizione (nella dedica e nel proemio) ribadisce che la materia trattata è frutto di trent'anni di attività di cui gli ultimi sedici al servizio di Venezia; nella seconda sostiene invece che sono quaranta gli anni di esperienze consumate direttamente sul campo, di cui trenta trascorsi al servizio della Serenissima. Nel proemio del 1609 precisa poi di essere stato introdotto alla professione a ventidue anni, il che farebbe desumere ancora due date di nascita diverse, il 1545 o il 1547. Il problema è dunque lontano dall'essere risolto, anche perché l'età citata dal L. quale inizio della propria attività (ventidue anni) potrebbe indicare più plausibilmente il momento di inizio della formazione e non quello di avvio della professione vera e propria, con la possibilità che, prevedendo un tirocinio di almeno due o tre anni, si arrivi a collocare la data di nascita al 1542 o al massimo al 1544 (cfr. Promis, p. 638 n. 1).

Il Lorini iniziò la sua attività di "inzegnero" all'età di ventidue anni, entrando a far parte della cerchia di tecnici al soldo di Cosimo I de' Medici, cui spettò il merito di averlo introdotto nella bottega di Bernardo Buontalenti (Galluzzi).

La frequentazione del maestro, tra i maggiori architetti militari al servizio del granduca, e lo studio attento dei suoi lavori lasciarono ampie tracce negli schemi urbani del L.: dalla forma del circuito bastionato, alla disposizione dei cavalieri lungo le cortine murarie; dal tracciamento della rete viaria interna, alla disposizione delle piazze di servizio alla gola dei bastioni e dei cavalieri del fronte di terra; dalla frequenza variabile del numero di assi stradali, spostandosi dal centro della città fortezza verso il perimetro, al rapporto tra strade radiali, porte urbane e bastioni.

Tra il 1568 e il 1572 fu nell'esercito cattolico stanziato da Filippo II nelle Fiandre per reprimere il movimento indipendentista protestante. Fu in quella circostanza che ebbe modo di arricchire le proprie conoscenze in materia di architettura della fortificazione, con l'osservazione diretta e lo studio di diversi progetti in corso di realizzazione per lo più su disegni di architetti italiani. È il caso, per esempio, della costruzione della discussa cittadella di Anversa, cominciata nell'ottobre del 1567 seguendo scrupolosamente le prescrizioni di Francesco Paciotto, sostituito nel 1569 da Bartolomeo Campi, nuovo direttore dei lavori nonché soprintendente alle fortezze nei Paesi Bassi (Fara, 1993).

Negli anni immediatamente successivi al ritorno in Italia, il L. operò a Firenze e soprattutto nei territori della Repubblica veneta, dove era stata avviata dalla metà del Cinquecento una massiccia opera di adeguamento e trasformazione delle piazzeforti, per lo più sotto la direzione di ingegneri esterni, molti dei quali provenienti dal Granducato di Toscana (Promis). Le prime notizie certe riguardanti la presenza del L. a Venezia sono databili al 1579, anno in cui entrò in contatto con i maggiori responsabili della Repubblica in materia di fortificazioni, tra cui il soprintendente alle fortezze Giulio Savorgnan e Sforza Pallavicino, capitano generale delle milizie in Terraferma sin dal 1559. Il 7 febbr. 1581 il L. presentò una "supplica" al Senato chiedendo di essere assunto come ingegnere della Repubblica e il 21 ottobre successivo, grazie all'appoggio di Savorgnan e Pallavicino, fu emanato il decreto di assunzione (Hale; Marchesi; Manno).

Nel 1582 ottenne i primi incarichi come direttore dei lavori negli interventi di adeguamento e ristrutturazione di alcune fortezze dislocate tra la Terraferma e le isole della costa dalmata, che costituiva il fronte veneziano più esposto alle avanzate dei Turchi. Prove documentarie attestano la sua presenza a Cittanova d'Istria, l'odierna Novigrad (in questa circostanza stese una relazione: Manno) e nel cantiere di Possederia (Biral - Morachiello). Nel triennio 1583-86 il L. soggiornò a Corfù, inviatovi dalla Repubblica di Venezia per affiancare il soprintendente Savorgnan, responsabile delle piazzeforti nei possedimenti veneti del Mediterraneo, come Cipro, Creta e, appunto, Corfù che dal 1386 costituiva uno dei più importanti baluardi a difesa del "Mare veneziano".

Nel biennio 1587-89, forte delle sua esperienza e delle sue competenze in materia di ingegneria idraulica, il L. si recò a Legnago per realizzare il collegamento tra l'Adige e il fossato della piazzaforte, la cui ristrutturazione era stata avviata nel 1525, secondo le concezioni urbanistiche dell'allora capitano generale della Repubblica di Venezia, Francesco Maria I Della Rovere.

Tra il 1587 e il 1588 (Manno) o nel biennio 1588-89 (Biral - Morachiello) il L. fu nuovamente impiegato in Dalmazia, per sovrintendere ai lavori di adeguamento delle fortificazioni di Arbe (l'odierna Rab) e, più in particolare, delle difese di Zara dove, oltre a occuparsi del restauro di alcune caserme della fortezza, curò la sistemazione dei fondali e la fortificazione del porto, "che cinse di muri fondati in casse di sua invenzione" (Promis, p. 640). Intervenne, con ogni probabilità, anche nella cittadella, realizzando una serie di opere in terra, più economiche e sicure rispetto a quelle in muratura, scavate in massima parte nella viva roccia.

La prima opera che lo impegnò in forma continuativa fu la realizzazione, nel 1590 e sotto la supervisione di Sforza Pallavicino, del nuovo circuito delle mura di Bergamo, di cui il L. potrebbe avere curato non solo l'esecuzione ma gli stessi sviluppi progettuali (Salvioni).

A partire dal 1591 fu coinvolto nella realizzazione del circuito difensivo della fortezza di Brescia la cui ristrutturazione, avviata negli anni Venti del secolo, aveva finalmente trovato un orientamento definitivo nel progetto redatto da Giulio Savorgnan tra il 1587 e il 1588.

Costretto a lasciare il cantiere subito dopo l'avvio dei lavori, per effettuare una serie di sopralluoghi nei domini "da Mar" della Repubblica veneta, Savorgnan decise di affidare la direzione dei lavori al nipote, Mario, e al L. (Maggiorotti). L'opera eseguita fu essenzialmente un basso muro di controscarpa difeso da un fossato che correva lungo due dei cinque fronti della cortina muraria. La scarsa altezza della difesa permetteva alle artiglierie, posizionate sulla sommità del monte, di controllare l'intero declivio che in questa fase fu spianato ricorrendo all'asportazione di tutte le rocce sporgenti e al riempimento delle parti cave, così da consentire ai difensori la maggiore visibilità possibile del territorio circostante (Promis). Nel 1591 i provveditori alle Fortezze richiesero sia al L. sia all'architetto Francesco Malacrida, uno dei maggiori esperti di tecniche militari dell'epoca, una relazione tecnica dettagliata ai fini di una prosecuzione dei lavori. Tra le due proposte fu scelta quella del L. che garantiva, pur con qualche miglioria, di procedere in perfetta coerenza e continuità con gli assunti progettuali di Savorgnan.

Pur rispettando un impianto progettuale non suo, il L. riuscì a porre in essere le sue teorie, garantendo quei miglioramenti legati all'evoluzione formale delle fronti difensive e alla valutazione aggiornata delle dimensioni e delle caratteristiche costruttive delle cortine che contraddistinsero l'opera di adeguamento e ristrutturazione dei circuiti difensivi intrapresa, nella seconda metà del Cinquecento, in molti centri dello spazio euromediterraneo. Nel complesso dell'opera loriniana, le difese di Brescia sono, come è stato più volte sottolineato, l'unico intervento del tutto rispondente alle teorie enunciate nel trattato sulle fortificazioni. Per tale ragione, il ruolo del L. in questa circostanza sarebbe stato di gran lunga più importante di quello generalmente riconosciuto a un semplice esecutore o a un direttore dei lavori (Manno).

Nel 1592, in collaborazione con Giulio Savorgnan e Antonio Martinengo, il Lorini collaborò alla progettazione della città militare di Palmanova (nel territorio di Udine), eretta dalla Repubblica di Venezia, a partire dal 1593, contro Turchi e Imperiali. Impiantata su un sito attentamente selezionato dai provveditori alle Fortezze su indicazione degli stessi architetti, Palma concluderà, insieme con la città olandese di Coevorden (1597), "la parabola cinquecentesca delle città militari di nuova fondazione" (Fara, 1993, p. 76).

La città fortezza, dichiarata nel 1960 monumento nazionale, è a pianta stellare, circondata da un circuito bastionato di nove lati, con una grande piazza centrale esagona, dai cui lati hanno inizio strade radiali che conducono a tre porte urbane e a tre bastioni, e un profondo

 

La pianta della città di Coevorden

 

fossato al quale fu aggiunta, nel Seicento, una seconda cerchia esterna. Nel progetto originario le porte erano collocate in prossimità dei bastioni, ma successivamente, per ragioni prettamente militari, si decise di spostarle al centro delle cortine. Diverse soluzioni progettuali - tra cui, per citare le più importanti, i cavalieri posizionati presso gli angoli o la predisposizione, in otto dei nove bastioni, di due piazze per l'artiglieria - sono tipiche della fortificazione del L. che in questa impresa, quindi, dovette svolgere un ruolo importante, come è testimoniato, per altro verso, da numerose "scritture" autografe, datate tra il 1592 e il 1594, aventi per oggetto la costruzione della fortezza. Indirizzati alle magistrature della Repubblica, questi scritti sono oggi custoditi presso l'Archivio di Stato, la Biblioteca nazionale Marciana e la Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia (Olivato; Ghironi - Manno).

Nel 1594, forse in dissenso con le scelte e gli orientamenti ufficiali per Palma, il L. raggiungeva Venezia abbandonando senza alcun permesso il cantiere e provocando, con ciò, la reazione risentita del provveditore Marcantonio Barbaro che, con apposita istanza inoltrata alla Signoria, ne avrebbe ottenuto l'allontanamento. Il Lorini, tuttavia, con diverse lettere inviate da Venezia, continuò a rilasciare pareri e a fornire la sua consulenza in merito al cantiere dove, nel 1595, fece ritorno per effettuare un sopralluogo.

Nel maggio del 1597 tornò a Firenze dove ottenne dal granduca l'incarico di compiere una visita ispettiva presso la fortezza nuova di Livorno e descriverne lo stato in un'accurata relazione. Nel novembre successivo era nuovamente a Venezia, forse per essere presente all'uscita, per i tipi di Giovanni Antonio Rampazzetto, della prima edizione del suo trattato in cinque libri sulle fortificazioni (Delle fortificazioni( libri cinque(, Venetia 1597).

Anticipato, l'anno precedente, da una tiratura di sole quindici copie a stampa (Jordan; Writing on architecture(), inviate, con apposite dediche, a governanti e membri delle maggiori famiglie educati allo spirito dell'umanesimo, tra cui Ferdinando I de' Medici (Poggiali), Alfonso II d'Este (Riccardi) e Vincenzo Gonzaga (Cockle), il trattato ebbe una notevole diffusione, tanto che nel 1607 fu tradotto in lingua tedesca e stampato a Francoforte da Theodor de Brys. Nel 1609 Rampazzetto stampò la seconda edizione, più ampia della precedente per l'aggiunta di un sesto libro dedicato al granduca Cosimo II (Le fortificazioni( nuovamente ristampate corrette e ampliate di tutto quello che mancava per la loro compita perfettione con l'aggiunta del sesto libro, Venetia 1609). L'importanza di questo nuovo volume è da riferire non tanto alle note teoriche preliminari sui sistemi difensivi quanto all'illustrazione, da parte del L., dei principi metodologici alla base delle operazioni di rilievo dei luoghi condotte con criteri scientifici. Conservata in due versioni, una dedicata "alli Serenissimi Principi d'Italia" e l'altra "alla Illustrissima Signoria di Venezia", questa edizione fu tradotta in lingua tedesca e stampata a Oppenheim, una prima volta, nel 1616 e, una seconda, nel 1620.

Per l'attività teorica del Lorini si rimanda a F. Malacrida - B. Lorini, Due pareri sulle fortificazioni di Udine e Palma nel secolo XVI, a cura di S. Beretta-Manin - G.L. Manin, Udine 1868.

Il 6 nov. 1599 il L. era di nuovo a Palmanova, questa volta in veste di ingegnere addetto al cantiere (Ghironi - Manno); ma l'attività al servizio dei Veneziani non gli impedì di tenere ben saldi i suoi legami con il Granducato di Toscana come testimonia l'incarico, ottenuto nel 1603, della realizzazione del "modello per l'arsenale e ponte a mare di Pisa" (Promis, p. 647).

Divenuto primo ingegnere della Serenissima, negli ultimi anni della sua vita effettuò diversi sopralluoghi in qualità di supervisore nell'opera di adeguamento delle fortificazioni veneziane, tra cui quelle di Crema e "Orci Nuovi" (Orzinuovi), citate nel suo trattato (libro VI, c. 291), o quelle del Polesine, che ispezionò nel 1606 (Promis).

Le ultime notizie relative alla sua attività risalgono al 1611, allorquando fu interpellato da Cosimo II perché esaminasse un progetto per un nuovo molo a Livorno, redatto dall'ingegnere Claudio Cogorano.

Nel corso della sua vita professionale il Lorini ampliò la sua attività di ingegnere militare occupandosi di sistemazioni idrauliche, come testimoniano sia le due consulenze in merito al riassetto dell'area di Rialto, del 1587, e alla costruzione del canale di collegamento tra l'Adige e la fortezza di Legnago, del 1588, sia la nomina a membro della commissione tecnica incaricata di vagliare le condizioni di fattibilità di una possibile deviazione del corso del Po (Manno).

Fu anche un abile inventore sia di macchine per scavare canali e buche, per realizzare i terrapieni delle fortezze o per frantumare le pietre, sia di casseformi speciali con cui fondare le murature, come quelle impiegate nel cantiere del porto di Zara descritte nel trattato a cc. 188 e 191.

Il Lorini è il perfetto esponente di quegli "inzenieri" militari ai quali, nella seconda metà del Cinquecento, fu affidata la responsabilità di tradurre, sul piano concreto delle scelte operative, gli schemi delineati, con finalità tutte strategiche, da sovrintendenti e provveditori. A differenza di questi ultimi, preoccupati essenzialmente della rilevanza politico-militare della macchina territoriale, gli ingegneri come il L. furono essenzialmente dei tecnici, con chiare e distinte competenze professionali. Nello scorcio del XVI secolo la sua opera non solo rifletteva la separazione sempre più netta tra architettura militare e architettura civile, ma testimoniava lo iato, foriero di conflitti e momenti critici, tra attività direzionale e di coordinamento, propria degli alti funzionari, e attività operativa degli ingegneri.

Nel 1561 la Repubblica di Venezia decise la costruzione di una nuova cinta fortificata che difendesse la città di Bergamo, di importanza strategica perché al confine con lo stato di Milano. Le mura furono ideate dall’architetto militare Buonaiuto Lorini come fortificazione a bastionate e l’esecuzione dei lavori fu diretta dal governatore generale, conte Sforza Pallavicino. Paolo Berlendis seguì i lavori che, iniziati nel 1561, furono completati nel 1588. Furono realizzate quattro porte: S. Alessandro, S. Giacomo, S. Agostino e S. Lorenzo, munite di portoni, saracinesche, ponti levatoi e cancelli.
Una quinta porta, detta “del Soccorso”, è aperta nel forte di San Marco ad uso esclusivo dei soldati. La porta S. Lorenzo è la minore tra le aperture nelle mura di Bergamo; fu la prima ad essere costruita e prese il nome dalla chiesa che sorgeva sul sito, demolita per la costruzione delle mura.

Nel 1615 la porta fu chiusa perché ritenuta poco controllabile da eventuali attacchi dalle valli Brembana e Imagna; fu riaperta nel 1627 a seguito delle richieste degli abitanti della Val Brembana e delle terre di Ponteranica e Sorisole. Sotto l’arco della porta una lapide ricorda il capitano Giovanni Antonio Zen che, nel periodo in cui la peste infuriava e la città era allo sbando, rappresentò l’autorità pubblica. Fu posta nell’agosto 1631 quando il comandante terminò la sua reggenza.Dal 1907 è detta “Porta Garibaldi” perché da qui Giuseppe Garibaldi entrò l’8 giugno 1859 in Bergamo con i Cacciatori delle Alpi.
Giuseppe Locatelli Milesi racconta che il generale giunse presso la porta di S. Lorenzo verso le sette del mattino; l’impiegato del dazio aprì la porta e lo accolse come glorioso liberatore, mentre le guardie presentavano le armi. Una lapide, posta nel 1907, ricorda questo avvenimento.

Il Lorini morì probabilmente a Venezia nel 1611.