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ALLA SCOPERTA DEL SISTEMA DI FORTIFICAZIONI IN VAL DI SUSA CON IL LIBRO DI CORINO
Da lavalsusa.it del 30 novembre 2020

Di Alberto Tessa

Camminando sulle nostre montagne capita di incontrare resti di fortificazioni, casematte, scavi in roccia; sono ciò che rimane del Vallo Alpino del Littorio sul versante italiano, un’imponente barriera difensiva smantellata in seguito al Trattato di Pace del 1947. Se si varca il confine, si trovano invece strutture quasi integre, scampate alla distruzione perché con la rettifica delle frontiere sono finite in territorio francese. In particolare, nella zona del Moncenisio restano circa 80 opere in accettabile stato di conservazione, tali comunque da costituire un “unicum” per capire come si presentava il Vallo.

Ad ottant’anni dalla campagna di guerra del giugno 1940, Pier Giorgio Corino (ricercatore, archivista e curatore del Museo Forte Bramafam di Bardonecchia) dedica al tema del sistema fortificatorio valsusino uno studio accurato, “Moncenisio. IX settore Guardia alla Frontiera” (edizioni del Capricorno, pp. 222, euro 29), nel quale le informazioni storiche si intrecciano con le schede tecniche, con gli schizzi e i rilievi progettuali, con un pregevole apparato di fotografie a colori. Dal Malamot al caposaldo Gran Croce, dalla casermetta Clapier ai blocchi d’arma dei Rivers, Corino conduce il lettore in una rivisitazione suggestiva tra batterie corazzate, ricoveri in caverna, postazioni per mitragliatrici, fossi anticarro, osservatori, magazzini, teleferiche, uno spaccato che ben documenta la centralità strategica della Valle di Susa e del valico del Moncenisio.

Servizio su La Valsusa del 26 novembre.

 

Castello di Santa Severa: storia e informazioni
Da viaggiamo.it del 28 novembre 2020

Tutte le informazioni che servono per conoscere la storia del castello di Santa Severa

Il Castello di Santa Severa è una struttura ricca di storia e di arte. Si tratta di un luogo magnifico da visitare nel coeso di una piacevole vacanza all’interno del territorio del Lazio.

Castello di Santa Severa: storia

Fare un viaggio all’interno del territorio laziale permette di ammirare splendide strutture ricche di arte e di storia.
Una delle fortezze più belle della regione è il maestoso Castello di Santa Severa. Si tratta di una  struttura che si trova lungo il litorale laziale che si affaccia sul Mar Tirreno, nel territorio settentrionale della provincia di Roma. Il nome del castello si deve alla giovane Severa, una martire cristiana uccisa il 5 giugno del 298 d.C. esattamente nel luogo in cui attualmente sorge la fortezza. La martire e i suoi fratelli sono ricordati ancora oggi attraverso la storia del luogo e le chiese che sorgono nelle vicinanze del castello.

Prima di organizzare un viaggio nel Lazio per visitare la splendida fortezza, è molto interessante conoscere le vicende storiche del luogo in cui sorge e del Castello di Santa Severa.

L’area del Castello

Il magnifico Castello di Santa Severa sorge in un’area decisamente suggestiva con una splendida vista sul Mar Tirreno. Questa zona è nota per essere stata abitata già durante l’età del Bronzo. In seguito, l’area in cui attualemente sorge la fortezza divenne un importante porto dell’Etruria. Questi avvenimenti risalgono addirittura al VII secolo a.C. La colonia romana che sorse in seguito contribuì alla costruzione di un Castrum, i cui resti fanno oggi parte del magnifico castello. Nell’area anticamente abitata dai Romani, attualmente si trova un cimitero che risale al IX secolo. Questa testimonianza storica ha un grandissimo valore e venne utilizzata fino al XIV secolo.

Storia della fortezza

La magnifica fortezza per come si presenta attualmente fu edificata a partire dal XIV secolo. Il magnifico castello presenta una pianta rettangolare dotata di torri angolari. Anticamente il Castello di Santa Severa era completamente circondato da un profondo fossato.

La struttura era inoltre collegata attraverso un ponte con un’altra torre cilindrica. Le prime testimonianze dell’esistenza della struttura risalgono a tempi molto più antichi rispetto all’edificazione del castello così come lo si può vedere oggi. Si tratta di testimonianze che risalgono all’anno 1068.

Decadenza e attualità

Il castello vide un lungo periodo di decadenza nel corso della sua lunga storia. Tra le altre cose, fu utilizzato come base segreta strategica dai tedeschi nel corso del secondo conflitto mondiale. Dal 2014 il castello è aperto alle visite e attualmente rappresenta una delle strutture antiche più belle da vedere nel corso di una vacanza all’interno del magnifico territorio laziale. Scritto da Debora Albanese

 

Quanti sono i forti di Genova?
Da genovatoday.it del 27 novembre 2020

Bellissimi e imponenti, andare in gita a vederli è sempre un'emozione unica, un viaggio tra natura e storia; sono i forti di Genova, un vero e proprio patromonio antico risalente a diverse epoche. I forti militari vennero costruiti sulle alture e alcuni anche vicino alla costa, per difendere la città, e fanno parte della complessa teoria delle sette cinte murarie che si sono sovrapposte nel tempo. Una curiosità: le mura seicentesche sono un vero record, e rappresentano la più lunga cinta muraria in Europa e la seconda al mondo dopo quella cinese. Un vero e proprio patrimonio immenso. Ma torniamo ai forti: molti di essi sono ancora visibili e visitabili (mentre di alcuni purtroppo non restano che pochi ruderi, e altri ancora sono stati demoliti), per un totale di 16 fortificazioni più alcune altre costruite a ponente, sulle alture tra Cornigliano e Sestri Ponente nella seconda metà dell'Ottocento, il bastione San Bernardino, le torri ottocentesche e le numerose batterie costiere.

Vediamo quali e quanti sono i forti di Genova:
• Forte Castellaccio
• Forte Sperone
• Forte Begato
• Forte Tenaglia
• Forte Crocetta
• Forte Belvedere
• Forte Puin
• Forte Fratello Minore
• Forte Fratello Maggiore
• Forte Diamante
• Forte San Giuliano (che oggi è sede del comando regionale dei Carabinieri)
• Forte San Martino
• Forte Santa Tecla
• Forte Quezzi
• Forte Richelieu
• Forte Monteratti
• Forte Monte Croce
• Forte Casale Erselli
• Forte Monte Guano
È possibile vedere i più famosi e meglio conservati con una gita nel "Parco delle Mura", area naturale protetta di interesse locale che tutela 617 ettari di colline a cavallo tra la Val Bisagno e la Val Polcevera. Le mura, in questo caso, sono quelle seicentesche costruite a maggior difesa della città e del suo bacino portuale: un abbraccio che cingeva la città per difenderla. In qusto caso, il Parco delle Mura e la Cerchia dei Forti propongono un giro che tocca, oltre alla bellissima cinta, Forte Crocetta, Forte Tenaglia, Forte Begato, Forte Sperone, Forte Castellaccio, Forte Puin, Fratello Minore, Forte Diamante. E altre meraviglie come la funicolare Zecca-Righi, il trenino di Casella e l'Acquedotto Storico.

 

Guida dei castelli più belli in Campania
Da napolinewstoday.it del 27 novembre 2020

Di Vincenzo Cangiano

Ecco una guida dei castelli più belli in Campania molto suggestivi che meritano di essere visitati.

I castelli più belli in Campania meritano di essere visitati. Molte di queste location sono riferimenti di importanti eventi. Ecco una guida con tutte le indicazioni.

Castello di Limatola

Limatola è un comune italiano della provincia di Benevento in Campania. Il Castello di Limatola è sito nella parte alta del centro storico, su una collina, in posizione strategica. Venne edificato dai normanni sui resti di una torre longobarda. Nel rinascimento importanti lavori di ristrutturazione lo trasformarono da architettura militare a dimora signorile, pur conservando alcune caratteristiche difensive.

Dopo decenni di abbandono l’edificio è stato restaurato nel 2010 ed ospita un albergo ristorante.

Il castello è circondato da una cinta muraria intervallata da torri circolari dotate di scarpata fino all’altezza del cornicione. La cappella palatina dedicata a san Nicola conserva un crocifisso d’epoca e il portone originale. Alcune sale sono decorate da affreschi prevalentemente del XVIII secolo. E’ molto noto per gli eventi tra i quali il famoso mercatino di Natale.

 

Castello di Faicchio

Il castello di Faicchio o castello ducale è una architettura di origine normanna sita nel centro storico del comune di Faicchio, in provincia di Benevento. Il castello venne costruito nel XII secolo per volere dei conti Sanframondo in una posizione strategica fra i monti Acero e Gioia ed in una postazione elevata rispetto al corso del fiume Titerno. Con il passare degli anni il castello continuava ad avversare in uno stato di abbandono tanto che nella torre destra della facciata principale vi fu aperto un bar, e vennero realizzati alcuni manufatti abusivi all’interno del cortile.Negli anni 1960 è stato recuperato e restaurato dalla famiglia Fragola, che lo riaprì al pubblico il 30 giugno 1966. Nel 2000 è stato acquistato da un gruppo di imprenditori locali ed attualmente è sede di un albergo ristorante.

Castello dell’Ettore

Il Castello dell’Ettore si trova sempre a Benevento risale all’ottavo secolo. Oggi è la location ideale per ospitare eventi. I giardini e le magnifiche terrazze panoramiche danno la possibilità di fare banchetti all’aria aperta creano un’atmosfera ancora più romantica.

Castello Giusso

Il castello Giusso è stata una struttura militare e residenziale di Vico Equense: costruito alla fine del XIII secolo, nel corso degli anni ha subito notevoli mutamenti che ne hanno alterato l’aspetto originario. Così chiamato dal nome di uno dei suoi proprietari, viene utilizzato per cerimonie, meeting ed esposizioni d’arte.

La tradizione vuole che il castello fosse stato edificato da Carlo II d’Angiò, con lo scopo sia di difendere il piccolo borgo di Vico Equense, sia di utilizzarlo come residenza estiva. All’interno del castello morì il 21 luglio 1788 il giurista napoletano Gaetano Filangieri, convinto che l’aria del posto avrebbe giovato alla sua salute cagionevole.

Castello Colonna

Non si tratta proprio di un castello ma di un’abbazia Benedettina che fu dimora del principe Eduardo Colonna Doria del Carretto, e si erge sui Colli di San Pietro, a Piano di Sorrento. E’ circondato da un parco con vigneti e si affaccia sul mare con un panorama splendido. Oggi ospita eventi e matrimoni.

 

Il Castello Imperiali di Francavilla Fontana da maniero a fortezza elegante
Da fanpuglia.it del 27 novembre 2020

Trasformato in fortezza, il Castello Imperiali di Francavilla in passato era un maniero, e ad oggi è simbolo della città pugliese.

Edificato come maniero, il Castello Imperiali di Francavilla venne poi trasformato in una elegante dimora e ad oggi è uno dei simboli della città pugliese. Costruito per volontà di Giovanni Antonio del Balzo orsini intorno al 1450, il castello venne edificato in origine con una torre quadrata con ponte levatoio e fossato, come era caratteristica delle fortezze militari dell’epoca. Tuttavia, attorno al 1570, il castello subì delle trasformazioni notevoli. Allora venne acquistato dalla famiglia Imperiali che modificò la fortezza e la fece diventare una dimora.

Struttura del Castello Imperiali di Francavilla

La struttura del Castello si sviluppa in tre piani distribuiti asimmetricamente. Nel pianterreno è evidente l’aspetto di fortezza, è illuminato da monofore e casematte di varie dimensioni. Sono ancora presenti gli stemmi della famiglia Imperiali agli spigoli del maniero, sormontati da corona e supportati da un mascherone. Per ogni spigolo sono delimitati da grossi grappoli in tipico stile barocco. Il castello ha un ingresso elegante, costituito da un portale ai lati del quale vi sono due colonne, costituite a loro volta da capitelli compositi sui quali si elevano abachi allungati che si mescolano alla trabeazione hce si chiude con un listello.

Splendido è il loggiato del castello

Il loggiato del Castello Imperiali di Francavilla è splendido ed è realizzato in barocco leccese. Il loggiato si compone di quattro arcate, dentro le quali vi si aprono delle porte-finestre decorate ai lati da foglione e sormontate da timpani spezzati di forma triangolare. Il castello dopo la seconda guerra mondiale è stato restaurato e alcuni spazi interni sono stati ridistribuiti. Al piano primo si trova il Museo archeologico di Francavilla Fontana, che ospita i reperti archeologici più importanti rivenuti nella zona.

 

Vent'anni fa la fortezza di Bellinzona entra nel patrimonio dell'Unesco
Da comolive.it del 27 novembre 2020

La data è di quelle che Bellinzona ricorda sul calendario a inchiostro indelebile: 30 novembre. Quel giorno, dalla città di Cairns in Australia dove l'Unesco di era riunito per la sua ventiquattresima sessione, le giunse una notizia che le fece luccicare gli occhi: la sua fortezza con i tre castelli erano stati proclamati patrimonio mondiale. 2000.

A vent'anni di distanza da quel dorato riconoscimento, a Bellinzona, l'emozione è sempre la stessa. E, nonostante l'emergenza Covid-19, di quelle da celebrare a dovere. E così, sabato 28 e domenica 29 Novembre dalle 10.30 alle 16, chi volesse apprezzare a fondo questi gioielli di storia, arte e cultura lo potrà fare.
Sarà quindi possibile inoltrarsi nel museo e nelle torri di Castelgrande, nel nuovo percorso espositivo di Montebello, alla mostra su Leonardo Da Vinci a Sasso Corbaro. Visite che consentiranno di rendersi appieno l'idea della bontà della motivazione data dall'Unesco quando decise di proclamare i castelli patrimonio mondiale e che il comune ricorda nel presentare l'iniziativa: "il complesso fortificato di Bellinzona è il solo esempio ancora visibile in tutto l'arco alpino di architettura militare medievale e costituisce così un caso eccezionale, per le dimensioni della sua architettura adattata alla topografia e conformazione del territorio, tra le grandiose fortificazioni del XV secolo, essa rappresenta una testimonianza esemplare di struttura militare difensiva, intesa a controllare un valico alpino strategico".
Parole che prendono per mano e invitano ad apprezzare tutto questo patrimonio che costituisce uno dei 1121 beni culturali su cui l'Unesco ha messo il marchio indelebile dell'eternità della bellezza. (Cri.Com.)

 

Una base nazista abbandonata nell'Artico?
Da focus.it del 26 novembre 2020

I resti di oltre 500 reperti militari tedeschi della Seconda guerra mondiale sarebbero stati rinvenuti sull'isola di Alexandra Land, nel Circolo Polare Artico.

Un gruppo di scienziati del Russian Arctic National Park avrebbe rinvenuto, sull'isola di Alexandra Land, nel Circolo Polare Artico, le tracce di quella che potrebbe essere stata una base nazista costruita su ordine di Adolf Hitler.

Lo suggerisce la presenza di oltre 500 reperti (uniformi militari, munizioni, strumenti meteorologici, latte di petrolio, documenti e resti di bunker) marchiati con svastiche e altri simboli nazisti, che devono però ancora essere esaminati con metodi più scientifici.

«Ora potremo forse sapere ancora qualcosa in più sulle operazioni militari tedesche nella regione artica durante la Seconda guerra mondiale», ha affermato Evgeny Ermolov, ricercatore del Russian Arctic National Park.

UN PRIMO RISCONTRO. 

La scoperta ha evocato i racconti su una misteriosa base della Germania Nazista nell'Artico, poi abbandonata: la Schatzgraber Treasure Hunter, la cui costruzione, documentata soltanto in un libro tedesco del 1954 - dal titolo Wettertrupp Haudegen - era stata più volte liquidata come un mito di guerra.

Secondo quella fonte, la base, che doveva servire da stazione meteorologica per aiutare i sottomarini che si avventuravano nel Mare del Nord, sarebbe entrata in servizio nel 1943 ma abbandonata un anno dopo, nel luglio 1944, quando i militari che vi abitavano contrassero la trichinellosi (infezione dell'apparato gastro-intestinale) per aver mangiato carne di orso contaminata da parassiti.

TRA STORIA E PROPAGANDA. 

Il nome dato alla base, Treasure Hunter, lasciava intendere, secondo la leggenda, anche un secondo scopo, questa volta di tipo archeologico: rinvenire nelle terre artiche testimonianze di antiche popolazioni nordiche, per giustificare la propaganda nazista. Ma qui si rischia di sfociare in speculazioni degne di Indiana Jones.

Non resta dunque che un'attenta analisi dei reperti. L'isola di Alexandra Land, dopo essere stata a lungo contesa, è oggi territorio russo, e sito prescelto per la costruzione di una base militare permanente.

 

 

Grotte del Montello: il bunker affacciato sul Piave scavato nella grotta nei pressi del Tavaron Grande
Da qdpnews.it del 25 novembre 2020

Guidati da Enrico Tirindelli, accompagnatore di media montagna iscritto al Collegio delle guide alpine, Qdpnews.it si è avventurato all’interno di una piccola grotta che, durante la Prima Guerra Mondiale, fu utilizzata come postazione di mitragliatrice. Quello che di fatto è stato trasformato in un bunker si affaccia sulla sponda destra del Piave, poco distante dalla splendida grotta del Tavaran Grande, nel Comune di Nervesa della Battaglia.
“La Grotta del Bunker - dice Tirindelli - adattata durante l’ultimo anno della Grande Guerra a postazione di mitragliatrice. È un avamposto con due punti di osservazione. La grotta era collegata da una galleria che è poi stata demolita. All’interno si può ancora osservare una sorta di scala".
Sulle pareti troviamo un paio di fregi, uno del reparto che l’ha costruita, un altro del reparto di mitraglieri che la presidiava e ancora i blocchi di cemento utilizzati per appoggiare l’arma. Ci sono molte altre postazioni militari lungo il Piave, la maggior parte ricavate artificialmente.
Esiste infatti un vero e proprio itinerario dei bunker sul Montello, segnalati da appositi cartelli apposti sugli alberi all’interno dei boschi.
Costeggiando il Piave, quando non è in piena, si raggiungono diverse ex postazioni militari, come quella della Croda dei Zateri, il masso che indicava agli zatterieri che trasportavano il legname dai boschi bellunesi l'arrivo al porto di Falzé, sulla sponda opposta del fiume. Poco più avanti troviamo il bunker accanto al Tavaron Grande.

https://youtu.be/oRyMI9CI1a8

(Fonte: Flavio Giuliano © Qdpnews.it).
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it

 

Cittadella di Torino, la fortezza emblema della città
Da mole24.it del 24 novembre 2020

La Cittadella di Torino, fu uno dei migliori esempi di fortificazione cittadina.
Anche se oggi ne rimane solo il Mastio, la torre principale della fortezza, i resti della struttura sono ancora visibili nell’area compresa tra via Cernaia e corso Galileo Ferraris.

Una nuova fortezza a difesa della città

Edificata tra il 1564 e il 1577, la Cittadella di Torino era la fortezza pentagonale che si appoggiava all’antica cinta muraria della città. Oggi ne rimane solo il Mastio (o Maschio), che accoglie il Museo nazionale di artiglieria (temporaneamente chiuso) e sale espositive.
Ma l’intera costruzione è conosciuta per gli avvenimenti legati all’assedio di Torino del 1706 e al sacrificio di Pietro Micca.
La sua nascita, invece, è connessa a Emanuele Filiberto di Savoia e all’upgrade di Torino a capitale del Ducato nel 1561.

Con l’acquisizione di un rilievo e un’importanza strategica sempre maggiore, infatti, si sentiva la necessità di rendere più moderne le difese della città.
Da qui la proposta di una fortezza in grado di difendere la capitale sabauda.
L’idea di dotare Torino di un nuovo polo militare, in realtà, fu ventilata già negli anni Cinquanta del XVI secolo dall’ingegnere Francesco Horologi, a servizio del re di Francia.
Quest’ultimo propose di edificare un forte bastionato sul lato sudovest delle antiche mura romane della città.
Fu così che, dopo il trattato di Cateau-Cambrésis, il Duca Emanuele Filiberto prese in considerazione l’idea di Horologi.

Ovvero quella di una cittadella pentagonale da collocare nel settore occidentale di Torino, a ridosso della Porta Segusina.
Nonostante il contributo dato al progetto, nel 1561 Horologi fu estromesso dai lavori alla Cittadella di Torino, molto probabilmente perché sospettato di collaborare col nemico (la Francia).
Il progetto, però, non fu abbandonato.
Tre anni dopo, infatti, l’Ingegnere militare Robilant e l’architetto Francesco Paciotto ripresero l’opera.

Robilant e Paciotto prendono le redini

Dopo aver scelto il punto in cui costruire, i lavori della Cittadella di Torino procedettero abbastanza velocemente, tanto che l’inaugurazione dell’opera avvenne nel 1566.
Tuttavia va ricordato che i lavori ai sistemi di fortificazione si conclusero effettivamente solo nel 1577. Quando, cioè, ultimarono le gallerie di contromina, ampliarono i bastioni e finirono di abbattere gli edifici civili nelle vicinanze.
Leggenda vuole che, nell’edificare le mura della Cittadella, gli operai le riempirono con rottami di monumenti, lapidi e colonne di epoca romana.
Insomma, una sorta di riciclo edilizio ante-litteram.
Fu il generale Nicolis di Robilant, esperto di difese sotterranee, ad occuparsi personalmente delle gallerie.
Insieme a Paciotto, poi, decise di estendere l’area di costruzione iniziale di 20 ettari a 40.
Difatti, il Portale fortificato che vediamo noi oggi restituisce solo in parte il senso della Cittadella militare seicentesca, che occupava diversi ettari del margine occidentale della città.
Anzi, possiamo dire che la grandezza della Cittadella di Francesco Paciotto oltrepassò persino i confini di Torino.
Le tecniche di fortificazione italiane, infatti, arrivarono fin in Nord Europa, dando vita ai progetti della Cittadella di Anversa e altri esempi altrettanto audaci.

Com’era la cittadella di Torino?

Costruita sopra il bastione San Pietro, edificato dai francesi durante l’occupazione del 1536, la Cittadella di Torino si distingueva per la sua forma a stella, la sua possanza e la presenza di cinque grossi bastioni.
L’opera di Robilant e Paciotto, inoltre, poteva vantare diversi sistemi di difesa come un ampio fossato, seppur vuoto a causa delle impervie condizioni del terreno, e altre che impedivano l’avvicinamento all’edificio.
E poi ricordiamo il Cisternone, un pozzo per il rifornimento d’acqua posto al centro delle fortificazioni, fondamentale in caso di assedio.
Ma soprattutto, vero vanto di questo sistema difensivo, sono gli oltre 20 chilometri di gallerie sotterranee, che si estendevano anche al di fuori della cittadella.
Questo vero e proprio labirinto interrato comprendeva i cunicoli, detti capitali alte e basse, che si allungavano verso l’esterno e si sovrapponevano gli uni agli altri.
E poi vi era una galleria magistrale che univa le capitali alte e costeggiava il fossato.

L’importanza della Cittadella durante l’Assedio del 1706

Al di sotto della Cittadella non mancavano reti di gallerie secondarie che si diramavano su un’area più vasta e piccoli cunicoli di altezza più contenuta.
Questi ultimi servivano a raggiungere i fornelli, o le gallerie di contromina impostate da Antonio Bertola.
Proprio durante l’assedio del 1706 la struttura e le gallerie della Cittadella di Torino, insieme al lavoro dei minatori piemontesi, svolsero un ruolo fondamentale.
Infatti, mentre i soldati francesi scavavano gallerie per far esplodere le mura cittadine, i torinesi cercavano di anticipare e rendere inutile il lavoro francese, ponendo cariche esplosive sotto l’artiglieria nemica o in corrispondenza delle gallerie.
Per riuscire a localizzare i cannoni nemici nel buio dei cunicoli, i piemontesi usavano una tecnica particolare. Disponevano dei fagioli secchi su un tamburo che, grazie alle vibrazioni delle cannonate, si spostavano indicando la direzione in cui scavare.
Quando il movimento dei fagioli era verticale, significava che i minatori si trovavano proprio sotto i pezzi di artiglieria francese.

E poi vennero Napoleone e i carbonari

Dopo l’assedio del 1706, la Cittadella abbandonò progressivamente la sua utilità militare, tanto che durante l’occupazione napoleonica di Torino buona parte della costruzione venne smantellata.
L’amministrazione risparmiò solamente il Mastio per la sua buona qualità di costruzione, che ancora oggi torreggia tra corso Galileo Ferraris e via Cernaia.
Ma le vicende della Cittadella di Torino non finiscono qui. Nel 1821, nel pieno dei moti risorgimentali, l’edificio un gruppo di carbonari che volevano la cacciata degli austriaci dall’Italia occupò l’edificio. Tuttavia Carlo Felice, grazie all’aiuto delle truppe austriache, riuscì a disperdere il gruppo d’insorti.
Successivamente, con il progressivo sviluppo delle tecniche di assedio, la Cittadella perse del tutto il suo ruolo di fortificazione per divenire una semplice caserma dei carabinieri.
Venne poi predisposta l’intera demolizione del complesso, alla quale sfuggì solo il Mastio che per un periodo divenne una prigione sabauda.
Mentre al posto del complesso fortificato oggi sorge la chiesa di Santa Barbara, che custodisce la tomba e i resti del conte Pietro de la Roche, comandante della Cittadella durante l’assedio del 1706.

Un po’ di verde alla fortezza: il passeggio della Cittadella di Torino

Nonostante il suo utilizzo sia stato prettamente militare, dopo l’assedio del 1706, re Vittorio Amedeo II decise di abbellire la Cittadella di Torino incorniciandola in un viale alberato. Anche se oggi il passeggio non è più visibile, cancellato dall’espansione cittadina, secondo quanto riportato dal tipografo Onorato De Rossi doveva essere suddiviso in tre grandi viali alberati.
Il primo collegava Porta Nuova e l’odierna Porta Susa ed era adibito alla circolazione delle carrozze, mentre i due viali laterali erano riservati a chi passeggiava a piedi.
Successivamente anche Re Vittorio Amedeo III volle adornare il passeggio della Cittadella di Torino, aggiungendo delle panchine e dei canaletti in pietra.
Dell’antico percorso oggi rimane solo il giardino, conosciuto come Giardino della Cittadella, racchiuso da un’elegante cancellata e che nasconde al suo interno una grande fontana.

L‘eccezionale scoperta durante gli scavi

Quel che rimane della Cittadella, oggi, si trova più in profondità che in superficie. Tant’è che, nel 2001, quando iniziarono lavori di costruzione della metropolitana, ci fu un occhio di riguardo per preservare la struttura.
Gli operai si preoccuparono di riempire con sacchi di sabbia le gallerie della Cittadella di Torino.
In questo modo si poteva preservare l’integrità dei cunicoli che avrebbero potuto risentire delle vibrazioni prodotte dalla talpa meccanica durante il suo passaggio.
Nel 2015, invece, un altro avvenimento ha bloccato i lavori nell’area circostante alla Cittadella.
Sotto corso Galileo Ferraris, infatti, doveva sorgere un parcheggio interrato. Ma la scoperta di alcuni reperti di età risorgimentale ha sospeso tutto.
L’Area Archeologica del Rivellino degli Invalidi della Cittadella offre oggi un’inedita prospettiva sulle antiche gallerie di comunicazione con il Mastio.
Il termine Rivellino si riferisce ad una delle strutture difensive che all’epoca appoggiavano i bastioni.
Viene chiamato “degli invalidi” perché ritenuto secondario durante l’assedio e per questo presieduto da soldati con minori capacità operative.

Visitare la Cittadella di Torino

È possibile compiere un vero e proprio viaggio nella storia grazie al Museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706 che periodicamente organizza visite guidate e tour speciali.

• Indirizzo: via Francesco Guicciardini 7/A, Torino
• Tel: 011 01167580
• E-mail: info@museopietromicca.it
• Pagina Facebook: Museo Pietro Micca
• Visite guidate alle gallerie: dal martedì al sabato (ore 10.30 –
14.30 – 16.30) e la domenica (ore 10.30 – 14.30 – 15.30 – 16.30).
Per info e prenotazioni: 011546317 – mpm@biblioteche.reteunitaria.piemonte.it

 

Il partito di governo turco insiste, l'acquisto degli S-400 non è "negoziabile" con gli USA
Da it.sputniknews.com del 23 novembre 2020

Ankara ritiene che la negoziazione politica con gli Stati Uniti sull'acquisto dei sistemi di difesa aerea russi S-400 sia inaccettabile, in quanto si è procurata gli S-400 per consolidare la sicurezza nazionale, ha dichiarato Omer Celik, portavoce del Partito della Giustizia e dello Sviluppo.

In precedenza il consigliere del leader della principale forza di opposizione Partito Popolare Repubblicano Unal Cevikez aveva affermato che le autorità turche non hanno ancora schierato gli S-400 per paura delle sanzioni statunitensi. Cevikez ha aggiunto che questo argomento rimarrà all'ordine del giorno sia del partito di governo che dell'opposizione se arriverà al potere.

"Cevikoz dà la libertà d'azione alla leadership statunitense per annullare l'acquisto di S-400, che abbiamo comprato per proteggere la sicurezza della Turchia. La sicurezza del nostro Paese e la protezione della nostra madrepatria non sono oggetto di contrattazione. La contrattazione politica su questo argomento è inaccettabile", ha scritto Celik in un post su Twitter.

Il mese scorso il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha attaccato le autorità statunitensi, dicendo che "non sanno con chi hanno a che fare" ed ha esortato Washington a non esitare a introdurre le sanzioni relative all'acquisto degli S-400. Gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO si sono ripetutamente lamentati dei presunti problemi tecnici posti dall'S-400 agli aerei da guerra dell'alleanza. Alla fine di ottobre, Washington ha avvertito che ci sarebbero state "gravi conseguenze" per le "relazioni di sicurezza" tra Stati Uniti e Turchia se Ankara avesse continuato a procedere con le sue attività di test sugli S-400.

La fornitura di S-400 alla Turchia

Le consegne dei sistemi di difesa aerea dell'ultima generazione russi S-400, che hanno portato ad una crisi nelle relazioni tra la Turchia e gli Stati Uniti, sono state avviate a luglio 2019. Washington ha chiesto ad Ankara di rinunciare all'accordo e di acquistare i sistemi americani Patriot, minacciando di ritardare o addirittura annullare la vendita dei caccia F-35 alla Turchia, nonché d'imporre sanzioni in conformità con il CAATSA (la legge sul "Contrasto agli avversari dell'America attraverso sanzioni"). Ankara ha rifiutato di fare concessioni e ha continuato i negoziati su un lotto aggiuntivo di S-400.

 

Adottiamo Castel Sismondo
Da riminiduepuntozero.it del 23 novembre 2020

Di.Giovanni Rimondini

Castel Sismondo nella ricostruzione grafica ottocentesca dell’architetto riminese Guglielmo Meluzzi

Giovanni Rimondini ripercorre le vicende che hanno interessato la Rocca malatestiana, comprese le sistematiche distruzioni di cui è stato oggetto, e attraverso una ricostruzione di documenti e ipotesi dettagliate e argomentate, si sofferma sulla autoria brunelleschiana. "Lo stanno per manipolare ulteriormente", dice il professore, "dobbiamo recuperare per quanto è possibile lo splendore del castello che appare nell'affresco di Piero della Francesca".

La pianta di Castel Sismondo nella seconda metà del ‘700 in un disegno dell’architetto bolognese Gaetano Stegani, commissionato dal prino storico europeo dell’architettura medievale Jean Baptiste Seouux D’Agincourt (1730-1814).

DOCUMENTI E IPOTESI DI LAVORO SULL’AUTORIA BRUNELLESCHIANA DI CASTEL SISMONDO DI RIMINI 1437-1446

Castel Sismondo di Rimini, unica opera di architettura militare certa di Filippo Brunelleschi, recuperato agli sguardi della cultura europea dal primo storico dell’arte medievale Jean Baptiste Seroux d’Agincourt, è stato nell’800 e nel ‘900 oggetto di sistematiche distruzioni insensate. Restaurato negli anni ’70, era stato destinato negli ultimi piani regolatori, con l’apertura del grande fossato, interrato nell’800, a museo di se stesso, ma purtroppo l’attuale sindaco ha ripreso la tradizione distruttiva rinnovata nel dopoguerra dal sindaco Cesare Bianchini con la distruzione del Kursaal, e ha destinato il castello a fungere da “contenitore” del ‘terzo’ museo Fellini. Le amministrazioni ‘di sinistra’ riminesi, ben diverse da quelle di Bologna, hanno dato prova e danno prova di una mancanza assoluta e arrogante di cultura storica e di odio per la archeologia e la storia di Rimini.
Tutti i Riminesi sanno che il Tempio Malatestiano è opera in gran parte di Leon Battista Alberti, ma pochi sanno che Castel Sismondo fu progettato per Sigismondo Pandolfo Malatesta e da Filippo Brunelleschi. La ragione è che l’autoria brunelleschiana venne autorevolmente recuperata alla fine dell’800, elencata da allora nel regesto delle opere di Filippo Brunelleschi e accettata dagli studiosi di tutto il mondo.
Purtroppo gli studiosi di Rimini non riconobbero la documentazione che permetteva tale prestigiosissima attribuzione e nuovo splendore per la storia di Rimini, e rimasero fedeli alla banale attribuzione del castello allo stesso Sigismondo Pandolfo. Ancora oggi gli ‘storici’ di Rimini, quelli che contano, il pomposo e culturalmente anonimo mainstream, al massimo riconoscono una vaga “consulenza” del Brunelleschi nella progettazione del castello, senza averne fatto oggetto di ulteriori indagini. Questo assenteismo degli storici locali è responsabile degli ultimi interventi distruttivi e probabilmente illegali di politici arroganti senza cultura e di funzionari statali disattenti.
Di seguito forniremo le prove documentali e le ipotesi di lavoro relative alle distruzioni dell’800 e alla presenza del grandissimo artista fiorentino a Rimini, e infine ripubblichiamo i due Decreti ministeriali che avrebbero dovuto impedire gli scempi e le manipolazioni.
Tutti gli autori importanti che hanno pubblicato libri sulle opere di Filippo Brunelleschi hanno dedicato un capitolo a Castel Sismondo – ricordo le monografie di Eugenio Battisti Filippo Brunelleschi, Electa Milano 1976, e Arnaldo Bruschi, Filippo Brunelleschi, Electa Milano 2006 -, tuttavia in questo momento di ignoranza e arroganza politica ci proponiamo di stimolare una presa di coscienza da parte degli uomini di cultura nazionale e internazionale sul nostro sventurato castello. Ci piacerebbe che si formasse un comitato di grandi studiosi che adottasse il castello di Rimini, una sorta di pubblica agnizione, come a suo tempo facemmo per il Teatro.

1437: APERTURA DEL CANTIERE DI CASTEL SISMONDO A RIMINI. A FIRENZE GIRA LA VOCE CHE IL PROGETTISTA SIA FILIPPO BRUNELLESCHI

Consultati gli astri per il giorno e l’ora dell’inizio dei lavori e certamente con una cerimonia religiosa. Scrive Gaspare Broglio Tartaglia, guerriero e cronista del Signore di Rimini: “Nel 1437 fo principiato el castello in Arimino, chiamato castello Sighismondo, e fo a dì 20 di marzo.”
A Firenze girava la voce che a progettarlo fosse stato Filippo Brunelleschi: “Fece uno castello, fortezza mirabile, per il signor Gismondo di Arimino.” Così Antonio di Tuccio Manetti, il primo biografo del Brunelleschi, come sotto verrà documentato.
Castel Sismondo è l’unica opera militare di Filippo Brunelleschi arrivata sino a noi perché le altre opere militari attribuitegli, le fortificazioni di Pisa e le altre di castelli toscani o sono state distrutte o sono rimaste allo stadio del solo progetto. Tutti noi Riminesi che amiamo Rimini e la sua grande cultura medievale e rinascimentale, dobbiamo valorizzarlo e cercare di ridargli la completezza pensata da Filippo Brunelleschi recuperando l’area del fossato, che nelle due sponde presenta ‘scarpe’, ossia muri obliqui, che arrivano fino a metri 10 di profondità e sono parte integrante della fortezza. Dobbiamo recuperare per quanto è possibile lo splendore del castello che appare nell’affresco di Piero della Francesca.
L’affresco di Piero della Francesca non è più al suo posto, in luce dove Sigismondo Pandolfo l’aveva commissionato e Piero l’aveva dipinto, ma al buio in una cappella, dove l’avrebbe dipinto il tale che si è incaponito a farlo spostare. Rimini è una città ben strana con i suoi beni culturali.

1438: VIII-IX VIAGGIO DI FILIPPO BRUNELLESCHI A RIMINI

Sotto è documentato anche il viaggio che Filippo Brunelleschi fece alla fine dell’estate e all’inizio dell’autunno 1438 per visitare lo scacchiere dei fratelli Malatesta, Sigismondo Pandolfo signore di Rimini e Domenico detto Malatesta Novello signore di Cesena dal 28 agosto 1438 al 20 ottobre 1438. Sulla base di questi due documenti è assicurata l’autoria brunelleschiana di Castel Sismondo e si possono ipotizzare nuove prove stilistiche qui esposte di seguito.
Ma cominciamo con la tradizione distruttiva dell’800. In questo secolo però cominciarono gli studi scientifici sul Brunelleschi che scoprirono la paternità del Brunelleschi del nostro castello.
A Cesena per una simile scoperta avrebbero fatto una festa con luminarie, a Rimini non c’era più l’entusiasmo per la storia del secolo precedente.

Disegno dell’ingegnere Pacifico Barilari del 1839 che mostra una sezione dell’acquedotto praticabile della fontana di piazza all’interno del fossato, sotto il c.d. palazzo del notaio Pelliccioni. L’altezza della ‘scarpa’ è di 10 metri.

1821: CASTEL SISMONDO VIENE DESTINATO A CARCERE. IL GRANDE FOSSATO COMINCIA AD ESSERE RIEMPITO E LE DIFESE ESTERNE SONO DEMOLITE

Tralasciamo le molte e note vicende di un edificio che è destinato dalla sua finalità bellica ad essere aggiornato in continuazione. Scegliamo solo le date e gli avvenimenti interessanti per il nostro discorso immediato sia del locale processo distruttivo sia della sua agnizione culturale nazionale e internazionale. Un progetto del governo pontificio del 1821 destina la vecchia fortezza a sede del carcere. Comincia il riempimento del grande fossato, profondo 10 metri; spariscono sotto le macerie il ponte morto e le quattro torri piccole. Gran parte delle macerie di riempimento proviene dalla ex Cattedrale di Santa Colomba – secoli VI-XIII -, acquistata e demolita dal forlivese Francesco Romagnoli. Al Romagnoli che è un imprenditore edile interessano i mattoni da riutilizzare e il marmo da ridurre a calce, ma tra i rottami della cattedrale potrebbero esserci le epigrafi e gli ornamenti di monumenti ed altari in calcare di San Marino.

1839: TESTIMONIANZA GRAFICA DELLA “SCARPA” OSSIA DELLA PARTE OBLIQUA DEL MURO CHE CONTIENE IL FOSSATO DAVANTI AL C.D. PALAZZO DI ISOTTA

In occasione del rinnovamento dell’acquedotto praticabile della Fontana di piazza, la galleria nel tratto dentro il fossato si appoggia alla scarpa esterna, sotto il palazzo del notaio Pelliccioni, nei disegni dell’ingegnere Pacifico Barilari la scarpa appare alta 10 metri.

1844: DEMOLIZIONE DELLA GRANDE TORRE A SINISTRA DELLA TORRE SCALARE E COSTRUZIONE DELLA CASA DEL CUSTODE DELLE CARCERI

Continua senza problemi o interventi degli storici locali l’opera distruttiva dello Stato pontificio con la distruzione della torre a destra di chi guarda la torre scalare vicina alla porta d’ingresso. Al suo posto viene costruita la casetta del custode del carcere. Dal 1848 cominciano ad apparire i volumi con tutta la documentazione della storia di Rimini ad opera di Luigi Tonini, che mette a frutto il lavoro di ricerca di storici ed eruditi dei secoli XVII-XVIII. In teoria la conoscenza storica di Rimini dovrebbe ricominciare a  diffondersi almeno tra le classi colte e gli amministratori, ma è lo stesso Tonini giunto alla fine dei suoi giorni che lamenta col figlio Carlo la scarsa conoscenza dei suoi libri da parte dei suoi concittadini.

1887: GAETANO MILANESI PUBBLICA LA BIOGRAFIA INEDITA DI FILIPPO BRUNELLESCHI SCRITTA DA ANTONIO DI TUCCIO MANETTI

Cominciano finalmente le buone notizie, a un secolo dal riconoscimento europeo del d’Agincourt. Alle origini della formazione del regesto ‘scientifico’ delle opere di Filippo Brunelleschi, Gaetano Milanesi pubblica il volume: Operette istoriche edite ed inedite di Antonio Manetti matematico ed architetto fiorentino del secolo XV raccolte per la prima volta e al suo vero autore restituite da Gaetano Milanesi, Successori Le Monnier, Firenze 1887, p. 162: [Antonio Manetti (1423-1497)] III Uomini singolari in Firenze dal MCCCC in avanti: Filippo Brunelleschi “Edificò uno castello, fortezza mirabile, al signore Gismondo di Rimino.” Si tratta della prova letteraria di un’autoria, attestante che a Firenze alla fine della vita di Filippo Brunelleschi in ambiente sociale e umano qualificato la paternità brunelleschiana di Castel Sismondo era conosciuta.

1887: “GLI STORICI RIMINESI” RIFIUTANO L’ATTRIBUZIONE

Gaetano Milanesi, nella stessa pagina scrive una nota relativa alla “Fortezza di Rimini”: “Gli storici riminesi vogliono che lo stesso [Sigismondo Pandolfo] Malatesta ne abbia dato il disegno, affermando che egli fu assai intendente e pratico dell’architettura militare. Per mettere d’accordo le due contrarie opinioni degli storici suddetti e del nostro Manetti, si potrebbe dire che il Malatesta mandava il disegno del detto castello al Brunelleschi, richiedendogliene parere e consiglio, essendo appunto in quel tempo assai cresciuta la fama dell’architetto fiorentino per la costruzione della fortezza di Pisa e di Vico Pisano.” Purtroppo gli “storici riminesi” – che poi si trattò assai probabilmente del solo Carlo Tonini – non accettarono nemmeno la mediazione del Milanesi e lasciarono cadere il suo compromesso, che era certamente sensato. Sembra infatti ragionevole ipotizzare che nel consiglio di guerra di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468), giovane capitano di papa Eugenio IV a Firenze nel 1436 – inaugurazione della Cupola di Santa Naria del Fiore -, il Brunelleschi con Leon Battista Alberti funzionario pontificio – abbreviatore -, che assai probabilmente presentò il signore di Rimini al grande architetto, con gli interventi degli esperti di guerra – homines docti ad bellum – abbiano messo a punto il programma difensivo offensivo di Castel Sismondo il cui progetto venne affidato al grande architetto fiorentino. Il cantiere si aprì a Rimini nel 1437.
La mancanza di interesse per il castello che dura ancora ai nostri giorni, purtroppo, è stata la causa indiretta delle ultime manipolazioni dell’importante monumento, con gli interventi di superfetazioni nell’area esterna sopra il “promuralis” e il fossato, parti integranti dell’edificio brunelleschiano. L’Amministrazione comunale attuale ignora impunemente i Decreti Ministeriali di protezione dell’area del Castello e dell’area archeologica che lo circonda del 4 marzo 1915 e del 29 ottobre 1991, che vennero emessi solo per la importanza nazionale storica e artistica del castello, indipendentemente dall’autoria brunelleschiana. Ma altro deve ancora venire; purtroppo, vedremo tra poco una grande fontana che non ha buon senso alcuno, come quella delirante senza sponde che bagna la gente che entra ed esce dalla Stazione, e l’adattamento del castello a “contenitore” di un museo Fellini dei tre che l’attuale sindaco ha decretato, con uno stanziamento ottenuto direttamente dal ministro Franceschini, evidentemente tenuto all’oscuro dei Decreti di protezione.

1892: CORNELIUS VON FABRICZY SCOPRE LA VISITA A RIMINI DI FILIPPO BRUNELLESCHI NELL’ESTATEAUTUNNO DEL 1438 – 28 VIII – 20 X 1438

Lo studioso tedesco Cornelius von Fabriczy nel suo testo Filippo Brunelleschi del 1892 e in “Brunelleschiana” del 1907 pubblica una notizia desunta dalle seicentesche “Carte di Carlo Strozzi”, copie del “Giornale del Provveditore dell’Opera del Duomo dal 1438 al 1441”:
“Filippo di ser Brunellesco va al Signore di Rimini, parte da Firenze 28 agosto e torna 22 ottobre 1438.” Il fanese Gastone Petrini ha ripreso la notizia del von Fabriczy ne Indagine sui sopralluoghi e le consulenze di Filippo Brunelleschi nel 1438 per le fabbriche malatestiane in relazione a documenti inediti, in “Filippo Brunelleschi, la sua opera e il suo tempo”, I, Centro D, Firenze 1980. Il saggio è importante anche per l’utilizzo dei documenti malatestiani di Fano, gli unici che si sono conservati, che permettono di precisare in qualche giorno il luogo dove era Sigismondo Pandolfo presumibilmente con il suo ospite Filippo Brunelleschi.
Il “Giornale del Provveditore” è andato perduto, ma Lorenzo Fabbri, archivista dell’Opera del Duomo di Firenze, in una mail del 2 maggio 2011 ci comunicava che nel registro segnato B.4.14 “A c. 38 v. (28 agosto 1438) stanziamento del salario di Filippo Brunelleschi per il semestre luglio agosto 1438, ma sino al 27 agosto 1438, perché il giorno successivo era partito per Rimini. A c. 45 v. (31 dicembre 1438) stanziamento del salario per due mesi e un terzo, cioè del 20 ottobre, quando era tornato da Rimini, fino a tutto dicembre. Come vede la trasferta a Rimini è confermata, ma per il periodo 28 agosto – 20 ottobre 1438.”  E questa è la seconda bella prova documentale che conferma l’affermazione del Manetti e bisogna proprio essere in malafede o poco intelligenti a cavillare sulle “consulenze” del grande architetto.

Lo splendore di Castel Sismondo, nell’oculo ad altezza di bombardiera, di Piero della Francesca.

1451: L’AFFRESCO DI PIERO DELLA FRANCESCA NEL TEMPIO MALATESTIANO COME PROVA CRITICA

Roberto Longhi da qualche parte afferma che la prova decisiva per confermare un’autoria è la prova critica, superiore alle prove letteraria e documentale. Malgrado la presenza di documenti, infatti, un’opera potrebbe non essere all’altezza del nome citato o non inserirsi nel percorso creativo dell’artista individuato. Credo che la più bella attestazione contemporanea di bellezza di Castel Sismondo, tra le non poche celebrazioni poetiche ed epigrafiche del momento, sia la pittura di Piero della Francesca dentro l’oculo dell’affresco “Sigismondo Pandolfo Malatesta prega San Sigismondo”, sopra i levrieri bianco e nero, un ritratto del castello riminese, bello come un luminoso castello miniato dai Frères de Limbourg. Si dirà che si tratta solo di un’attestazione di bellezza non di un rilevamento stilistico.
E’ vero, ma un rilevamento stilistico dell’architettura ossidionale del Brunelleschi è tutt’altro che facile da fare, essendo sparite le fortificazioni di Pisa e il progetto per Vico Pisano famoso in quei tempi, assai lodato anche da Francesco Sforza, non è stato realizzato. La torre e il recinto superstiti di Vico Pisano sono patentemente opere del ‘300 e nemmeno avanzato, come vi potrà confermare qualsiasi castellologo. Castel Sismondo è l’unica fortificazione brunelleschiana arrivata fino ai nostri giorni, e al momento gravemente compromessa nell’area del “promurale”, del fossato e nella destinazione d’uso. Affrontiamo adesso le ipotesi di lavoro che cercano di trarre elementi significativi dalle tre immagini del castello contemporanee e commissionate da Sigismondo Pandolfo.

LE IPOTESI DI LAVORO SULLA PIANTA DI CASTEL SISMONDO E SULLE TRE IMMAGINI DEL ‘400: LA PIANTA DEL CASTELLO – ICONOGRAFIA – PRIMO DISEGNO VITRUVIANO PROGETTUALE

 

La pianta del nucleo centrale di Castel Sismondo compresa da un quadrato e da un cerchio come il vitruviano “homo ad quadratum et ad circulum” riprodotto sul verso delle monete da un euro.

Nell’intento di trovare quanto è possibile di caratteri stilistici brunelleschiani nelle opere contemporanee commissionate da Sigismondo Pandolfo Malatesta, sopravvissute a Rimini, si può lavorare sull’ipotesi che il Brunelleschi abbia eseguito i tre disegni della progettazione descritti da Marco Vitruvio Pollione nel suo De architectura – I, II, 1 -, che sono l’icnografia o pianta, l’ortografia o alzato, e la scenografia “il tracciato della facciata e dei lati che sembrano allontanarsi in prospettiva”.
La pianta dell’area centrale del castello, escluso il promurale e il fossato con le scarpe del promurale e della parte esterna del fossato, abbiamo visto che appare come un grande quadrato che contiene il tutto facendo di Castel Sismondo un “castellum ad quadratum et ad circulum”, altra particolarità vitruviana – libro II, I, 1 -, l’antica composizione antropomorfa e cosmica dei corpi e dello spazio. E’ ragionevole pensarlo, ma si dovrebbe anche dimostrare che Filippo Brunelleschi avesse letto e meditato, o meglio si fosse fatto leggere e tradurre da un amico umanista o matematico, il De architectura di Vitruvio, ampiamente presente a Firenze fin dal secolo precedente – Luigi Vagnetti. De naturali et artificiali perspectiva. Studi e documenti do architettura. Marzo 1979, n 9-10, p. 198 e ss.; Luciano Migotto, a cura di, Marco Vitruvio Pollione, De Archtectura Libri X, Edizioni Suasio tesi, Pordenone 1990, pp-xxx-xxxi -. Sappiamo che il Brunelleschi per i suoi progetti faceva uso di modellini in legno, tuttavia non credo vi siano seri impedimenti a ipotizzare che ci fossero anche delle carte disegnate.

RICOSTRUZIONE DEL TERZO DISEGNO VITRUVIANO, LA “SCENOGRAFIA” DI CASTEL SISMONDO

Le tre rappresentazioni che presentano la stessa veduta del castello con la particolarità delle coincidenze verticali dei profili delle torri, già accennate, sono la medaglia di Matteo de’ Pasti (1446), (d) l’affresco di Piero della Francesca (1451), il bassorilievo di Agostino di Duccio nella formella del Cancro del Tempio Malatestiano (primi anni ’50 del ‘400).
Fin qui mi sembra che quanto ho pubblicato sinora regga ancora. Ora devo invece demolire le mie ipotesi di “difesa anamorfica”, ipotesi in ogni caso e non affermazioni di verità oggettive, e precisare il valore di “difesa prospettica”. Non vi può essere “una difesa anamorfica” perché non vi è nelle tre immagini nessuna distorsione di figure geometriche.
I lettori che mi vogliono bene, anche in considerazione dell’età e della salute – e poi tengo famiglia e sono povero – mi perdoneranno, gli altri non mi interessa cosa pensino di me.

Il ritratto del castello di Piero della Francesca con evidenziate in rosso le coincidenze verticali.

RAPPRESENTAZIONI DI EDIFICI O DI PARTI DI EDIFICI COLLEGATI TRAMITE LINEE DI ORLI COINCIDENTI, CON L’EFFETTO DI NASCONDERE LA LORO GRANDEZZA EFFETTIVA

Queste coincidenze di linee rette verticali presenti nel mastio e due torri della medaglia e dell’affresco, e in una sola torre nel rilievo del Tempio Malatestiano, ho creduto di averle capite dopo una conferenza a Rimini di Manfredo Tafuri (1935 -1994).
Il Tafuri prendeva in esame una medaglia di Matteo de’ Pasti raffigurante la facciata del Tempio Malatestiano con dietro la cupola: la larghezza della facciata coincide con il diametro della cupola. A suo avviso, non si sarebbe trattato di una proiezione semplicemente geometrica della larghezza reale della cupola sulla larghezza della facciata, ma si era di fronte ad una piccola ma preziosa scena prospettica. In altre parole per il Tafuri bisognava ritenere che la medaglia esibisse una coincidenza prospettica della larghezza di facciata e del diametro della cupola. Le linee coincidenti del diametro della cupola e della larghezza della facciata e dei loro orli nascondevano la maggiore larghezza della cupola. Esisteva un punto di vista dal quale si coglieva questa coincidenza e si perdeva il senso della larghezza reale della cupola. Ma un ipotetico personaggio che si fosse mosso all’indietro avrebbe visto il maggiore ingombro della cupola. L’ipotesi del Tafuri mi è sembrata molto interessante per spiegare gli assi verticali delle tre immagini del castello e la loro caratteristica delle coincidenze degli orli delle torri. Rimangono da cercare altre simili prospettive, un contesto convalidante di altre simili coincidenze – non ricordo se il Tafuri ne avesse presentate o indicate -. Ricostruendo su un foglio grossolanamente il punto di vista in pianta della medaglia supposta prospettica del Tempio, si ottiene una cupola dal diametro più lungo della larghezza della facciata. Risulterebbe un edificio assolutamente fuori delle possibilità di spesa reali del Signore di Rimini, con le sue entrate troppo esigue per affrontare un simile edificio di dimensioni imperiali, che evoca per la sua forma sferica e per le stesse dimensioni il Pantheon di Roma. Tale opera imperiale era comunque consona all’ambizione smodata di Sigismondo Pandolfo, al suo narcisismo senza limite. Manteniamo ferma questa veduta prospettica, e notiamo principalmente un suo effetto: una gran parte dell’edificio dietro quella coincidenza di linee rimane nascosta. Il fenomeno sarebbe rilevante nel caso di un castello.

Ricostruzione empirica di tre piani di vedute prospettiche con assi marginali coincidenti.

Si può fare un esperimento per capire: osservate le immagini di un caso semplice di sottrazione di pareti allo sguardo, nell’effetto di una simile sovrapposizioni di linee tra L’Arengo e la Torre, in piazza Cavour. Nella prima immagine abbiamo la sovrapposizione della linea verticale che delimita l’Arengo a destra di chi guarda, esattamente sovrapposta alla linea verticale orlo della Torre verso monte. Rimane nascosta metà del muro merlato del lato mare dell’Arengo.
Fatto qualche passo a destra verso il Corso, la parte nascosta merlata appare a chi guarda. L’avvertire la differenza di queste due immagini richiede uno spostamento lungo il perimetro dell’edificio. Per avere un’idea dell’effetto psicologico, immaginate di essere un assediante, tra i merli che vi sono apparsi avete visto qualcuno che vi prende di mira con una balestra o con uno schioppo.
Nel testo di Vitruvio ci sono alcune parti relative agli inganni ottici, per esempio è notata la necessità di fare più grosse le colonne terminali di una colonnata per evitare l’effetto di assottigliamento a causa dell’aria – De Architectura, III, III, 10 – o il bisogno di fare alquanto incombere in fuori i fastigi di un edificio che altrimenti sarebbero ‘caduti’ indietro e altri. – De Architectura III, V, 5 -. Non potrebbe darsi che, nel corso delle letture e discussioni vitruviane, Filippo Brunelleschi, quando la Signoria di Firenze gli chiese di progettare le fortificazioni di Pisa e le altre avesse pensato come difesa a un effetto ottico e prospettico? Un castello capace di nascondere le sue effettive difese e di rivelarle con effetti psicologici rilevanti. La cosa avrebbe un ulteriore senso se si considerassero i divertimenti ottici per gli amici escogitati da Leon Battista Alberti, il quale però nella parte relativa agli edifici ossidionali del De re architectonica e nei Ludi matematici non parla affatto di correzioni ottiche.
Luigi Vagnetti spiega la genesi euclidea, araba e dall’opera di Leonardo Fibonacci dei problemi matematici relativi al teorema di Talete, dall’elaborazione dei quali sarebbe nata la prospettiva pittorica, però sottolinea il grande momento aurorale di questi studi a Firenze nelle botteghe di Filippo, Donato e Masaccio, che poi porterà al rinnovamento dello spazio pittorico e anche alla nascita della balistica moderna.

SI PUÒ INDIVIDUARE UNA DIFESA OTTICA-PROSPETTICA IN CASTEL SISMONDO?

Il fenomeno descritto presenta una sottrazione di volumi alla vista da un certo punto di veduta e poi la loro scoperta da un altro punto di veduta non lontano dal primo.
Nel castello come ci è arrivato, e che stanno per manipolare ulteriormente, per fare un controllo degli effett  rivelati dall’affresco e dalla medaglia e dal rilievo, mancano il mastio e la torre alla destra di chi guarda. La torre scalare, alla sinistra, è stata privata dei beccatelli dai tempi del Valentino. Ma su una pianta dell’esistente è possibile, congiungendo in un triangolo ottico i punti degli spigoli che si sovrappongono, recuperare il punto di vista dell’affresco e anche troveremo altri due triangoli di veduta simili. L’effetto visivo che si crea con queste sovrapposizioni lineari è quello di una resa compatta della veduta del castello, un suo rimpicciolimento nella parte centrale. Nelle vedute vicine invece la sovrapposizione sparisce e si vede il mastio distaccato dalle torri del secondo recinto. Sicché chi girasse intorno al fossato avrebbe sette punti di vista, per così dire, previsti e controllati, che si alternano nel presentare il castello compatto e rimpicciolito, e poi invece ingrandito e con il mastio isolato o quasi, e le torri vicine ma indipendenti nell’aria.
Apparirebbe allora una veduta che ci ricorda un modello imperiale romano: le mura teodosiane di Costantinopoli, conosciute attraverso i disegni di Ciriaco di Ancona o di altri, con le grandi e alte torri verso la città, la fila delle torri più basse e delle mura secondarie e sotto le difese basse o promurali davanti al fossato. Certamente queste fortificazioni dovevano essere presenti anche nei discorsi degli ‘homines docti ad bellum’, con il racconto dei Genovesi che avevano difeso i Bizantini ai piedi delle grandi mura di Costantinopoli, dalla marea dei Turchi nell’assedio del 1421. Ci saranno Genovesi al comando di Longo Giustiniani, come scrive lo storico bizantino Ducas, nello sfortunato assedio del 1453.

 

Fort du Mont-Alban, conosciamo Nizza stando a casa
Da montecarlonews.it del 23 novembre 2020

Montecarlonews propone un’iniziativa culturale per far conoscere luoghi simbolo della città di Nizza e della Costa Azzurra

Situato sulla collina del Mont-Boron che domina la baia di Nizza e la rada di Villefranche-sur-Mer, il forte del Mont-Alban, costruito attorno al 1560, costituiva uno dei principali presidi difensivi della contea di Nizza.

 Visitando questo forte, i cui muri testimoniano il passaggio degli artisti della Scuola di Nizza.

Visitandolo ci si immerge nella vita quotidiana dei soldati di stanza qui dal XVI al XX secolo.

 

Si tratta di una delle poche vestigia di architettura militare di quel periodo ancora in buone condizioni, in Francia.

Classificato monumento storico, conosce molti danni nel corso dei secoli, soprattutto durante la seconda guerra mondiale.

Proprietà del Ministero della Cultura nel 2006, è stato riassegnato alla città di Nice un anno dopo, e aperto al pubblico nel 2010. Può essere visitato ogni estate, tramite video è possibile ricreare la vita dei soldati che hanno prestato servizio in nel corso dei secoli.

Il forte di Monte Alban, che si trova più di 220 metri sul livello del mare, offre una vista mozzafiato sulla Baia degli Angeli dall’Esterel alla Riviera italiana.

 

Memoria sull'Altipiano: la fortezza, forte Campo e le trincee, il cimitero di Slaghenaufi
Da ladige.it del 22 novembre 2020

Da Cima Vezzena al Dosso delle Somme, delle sette fortezze austroungariche costruite dal 1907 in poi per sbarrare il passo agli italiani sugli altipiani di Folgaria e Lavarone, la sola rimasta integra - oggi un interessante museo con installazioni multimediali - è a Lavarone: Forte Belvedere Gschwent.
Negli ultimi anni, tuttavia, svariati interventi di recupero sono stati effettuati su alcuni forti - dal cosiddetto "occhio dell'altopiano" ai 1908 metri di Cima Vezzena (Spitz Levico) a Werk Lusern, ossia Forte Campo a Luserna - e una fitta rete di sentieri e piste ciclabili permette di incrociare resti di trincee, osservatori, opere difensive e vie di comunicazione. È un patrimonio storico che fa degli Altipiani, attraversati anche dal Sentiero della Pace, una delle più interessanti "zone della memoria" della Prima guerra mondiale nel Trentino.
Ma sono forse le lunghe file di croci dei cimiteri di guerra, con i nomi sbiaditi di chi cento anni fa diede la vita per la propria Patria, qualunque fosse, i più crudi testimoni del primo, grande massacro mondiale che qui, fra prati e boschi, vide combattere soldati di etnie diverse. Salendo al cimitero di Slaghenaufi, a Lavarone, l'immagine della guerra è nelle croci a ricordo di 748 giovani sepolti a pochi metri dal luogo in cui sorgeva l'ospedale militare austro-ungarico. L'altare in pietra e la croce, la vicina chiesetta e il percorso di visita dell'Ordine di Malta, che gestì l'attività ospedaliera, sono i muti testimoni del conflitto. I pannelli esplicativi posti lungo il sentiero dell'Ordine di Malta restituiscono la dimensione anche fisica dell'ospedale di Slaghenaufi, i cui edifici in legno erano disposti sui terrazzi della zona di Malga Belem e dei quali rimangono alcune tracce nel bosco. L'ospedale poteva accogliere oltre duecento pazienti di ogni nazionalità.

Grazie all'obiettivo di Edina Clama Gallas, infermiera volontaria, le fotografie dell'epoca riprodotte in grande formato ne raccontano le vicende fino al 1° novembre 1918, quando medici e infermieri se ne andarono mentre la furia del conflitto andava ormai scemando.
Oltre ai forti, siti della memoria sono pure l'Osservatorio del Monte Rust - Horstberg e il comando tattico dei Virti. Il primo, costruito fra i 1908 e il 1911 sulla sommità del Monte Rust (1282 metri), su tre livelli, garantì, con un sistema di tubi ottici, le comunicazioni fra il comando e le fortezze. Sono ancora visibili i fori nelle murature, con i tubi utilizzati per le segnalazioni ottiche in linea con i forti con cui dovevano comunicare. I fori di diametro più piccolo erano utilizzati come cannocchiali.
La Soprintendenza per i beni culturali della Provincia ha da poco messo in  sicurezza un percorso esposto sostituendo il parapetto ligneo con uno in acciaio e installando una inferriata e una cancellata a chiusura di due caverne in roccia che servivano come depositi.
La Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri, nell'ambito di un progetto di potenziamento e valorizzazione dei percorsi ciclopedonali, ha in programma un intervento di recupero e valorizzazione dell'Osservatorio. Il progetto dell'architetto Luca Valentini prevede l'installazione di una struttura metallica espositiva all'interno del rudere, autonoma staticamente, dotata di un corpo scala che permette di raggiungere il secondo livello e un piccolo belvedere.
Il Comando austro-ungarico, poco oltre l'abitato di Virti a Folgaria, era ben mimetizzato in una profonda forra naturale e provvisto di una centrale telefonica e telegrafica che ebbe un ruolo di coordinamento durante l'offensiva asburgica del giugno 1916 (la "Strafexpedition"). Ciò che ne resta sono i ruderi di un edificio e tre gallerie intercomunicanti in roccia. In occasione del Centenario della Prima guerra mondiale, il Servizio per il Sostegno occupazionale e la Valorizzazione ambientale e la Soprintendenza per i beni culturali della Provincia hanno realizzato un intervento di recupero e valorizzazione del sito, che era invaso dalla vegetazione, e la manutenzione straordinaria dei paramenti murari. Dobbiamo a Valentina Barbacovi, architetto della Soprintendenza per i beni culturali che ringraziamo, le informazioni sul Monte Rust e il comando dei Virti.

 

Denuncia di Legambiente “Prealpi Carniche”: Militari Italiani e USA si appropriano
Da friulisera.it del 21 novembre 2020

In un documento di denuncia il circolo di Legambiente “Prealpi Carniche" di Montereale Valcellina punta il dito contro l'uso militare del territorio: "I frequentatori della nostra montagna, spiegano gli ambientalisti, in particolare quelli dell’area tra Casera Rupeit, Casera di Giais e il monte Castelat si sono sicuramente accorti dei cartelli lungo la strada, in corrispondenza dell’accesso ai sentieri, che li avvertono che stanno entrando in un poligono militare e li invitano a consultare un sito internet per capire se sono in corso o meno esercitazioni militari. Nulla di strano, il poligono è attivo da decenni per cui il problema c’è sempre stato. Sì questo è vero; solo che, il Comando Militare, la Regione FVG, il Comitato Misto Paritetico e i due Comuni interessati (Aviano e Montereale Valc.) hanno pensato che il disciplinare in atto per l’uso del poligono fosse insufficiente per i militari (Italiani e USA) ed hanno deciso  di “allargarsi” sia in termini di campata di tiro che in numero di giornate di esercitazione. Il poligono ha due campate di tiro: una con uno spettro più ampio ed una ridotta. Con il disciplinare precedente poteva essere impegnata l’area di sgombero massimo nelle giornate di martedì, mercoledì e giovedì (ma avveniva raramente); lunedì e venerdì poteva essere impegnata l’area di sgombero ridotta. Nei mesi di  luglio e agosto solo l’area ridotta. Inoltre l’area di sgombero ridotta escludeva tutti i sentieri CAI a monte e quindi potevano essere percorsi i sentieri CAI 988 e CAI 986. Dal giugno del  2019, con la firma del nuovo disciplinare d’uso, la situazione è cambiata ed è peggiorata drasticamente: vengono allargate tutte due le campane di tiro e in particolare l’area di sgombero ridotta in modo  tale che praticamente è impedito l’accesso ai sentieri citati per tutta la settimana eccetto il sabato e la domenica.

Oltre a questo, in aggiunta alle giornate di esercitazione già previste, nei bimestri di gennaio febbraio e maggio giugno il poligono potrà essere utilizzato per due settimane consecutive in via prioritaria dai reparti USA utilizzando, nelle giornate da lunedì a giovedì, l’area di sgombero massimo e il  venerdì l’area ridotta. In un momento in cui, e in seguito a quanto appare chiaro dalla pandemia in corso, si invoca a gran voce un cambio di passo rispetto alle prospettive di sviluppo  e si sottolinea la necessità di una via “verde” e compatibile, non pare una scelta coerente l’aumentare delle servitù militari come risulta dai documenti firmati recentemente dalle autorità locali, dall’Esercito e dal Comitato  Misto Paritetico. La montagna deve essere intesa come bene comune e il recente aumento di un certo tipo di turismo “lento” dimostra che esiste per questo territorio una reale possibilità di sviluppo compatibile ed ecosostenibile che le aumentate attività militari e l’incremento delle aree interessate alle servitù legate al poligono, di fatto rendono difficile. Ovviamente tutto ciò è legato anche ad eventuali prospettive di aumento delle  forze armate USA ad Aviano, presenza che nel caso venisse confermata non potrà che incidere negativamente sulle scelte legate alle attività del poligono, come dimostrato dalla disponibilità concessa all’addestramento dei militari a stelle  e strisce. Slogan quali “padroni a casa nostra”, “popolo sovrano” gridate a gran voce dai molti e soprattutto da chi localmente ci governa, risultano del tutto prive di senso e dimostrano che il  detto di Vespasiano: “pecunia non olet” è il vero punto di riferimento, peraltro in questo caso illusorio, di chi è abituato a fare la voce grossa con i deboli, ma ad “abbassare  le braghe” di fronte a chi invece è abituato a comandare. Chiediamo non solo che le attività del poligono non vengano aumentate, ma che si individui un piano di sviluppo reale del territorio  montano che cozza visibilmente con la presenza di un’area che mette in pericolo chi voglia godersi quanto la natura e la montagna ci mette a disposizione.

CHIEDIAMO che venga immediatamente esclusa dall’area di  sgombero massimo la Casera Rupeit, il sentiero CAI 988 fino al bivio per Casera di Giais e il sentiero MV02 (Troi dei Vols).

CHIEDIAMO che dall’area di sgombero ridotta vengano esclusi il sentiero  CAI 988 fino alla Casera di Giais e il sentiero CAI 986 in direzione di Casera Palussa". Ma non solo disagio per l'utilizzo militare del territorio e le relative limitazioni ai civili, Legambiente  denuncia anche che il poligono sarebbe fonte di inquinamento. Secondo quanto si legge in un articolo su “Dal Militare al Civile” a cura del Comitato unitario contro Aviano 2000, al disagio psicofisico, morale,  e di limitazione della libertà che comporta la vicinanza di un poligono militare, (quello di CaoMalnisio è particolarmente vicino al entro abitato), esiste anche un’emergenza ambientale di lungo termine che viene totalmente  ignorata  ma che lascerà una pesante eredità per le future generazioni. Tale emergenza, considerata l'ormai settantennale presenza del poligono, con ogni probabilità è già attualmente in essere. L'emergenza ambientale più rilevante presente nei territori  interessati da poligoni è rappresentata dall'inquinamento da metalli pesanti.... Va considerato inoltre che il poligono di CaoMalnisio è stato per anni oggetto di esercitazione con armi pesanti e lanci perfino dai poligoni dei  magredi. Tenuto conto poi che Il poligono di CaoMalnisio, come del resto anche gli altri presenti in provincia, sussistono su un'area con caratteristiche geomorfologiche caratterizzate da una forte permeabilità del suolo, possiamo facilmente  immaginare quanto possa essere pesante il  grado di contaminazione ambientale. In merito alla normativa riguardante la gestione delle aree militari addestrative, un emendamento recepito nella legge di bilancio del 2018, ha modificato le  leggi in vigore introducendo un maggior grado di controllo civile e di tutela ambientale. Le attività di monitoraggio sono affidate a organismi civili quali le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente e l’Istituto  Superiore per la Protezione dell’Ambiente (Arpa e Ispra). Inoltre deve essere tenuto un registro del sistema d'arma e di munizionamento utilizzati, con data, luogo di partenza dello sparo e luogo di arrivo dei  proiettili. Il registro deve essere conservato per dieci anni e portato a conoscenza delle Regioni e degli istituti di Vigilanza della sicurezza sul lavoro e dell'ambiente. Entro 30 giorni i residui dovranno essere  specificamente classificati nei diversi tipi di rifiuti (da smaltire, da riciclare, speciali, tossici, ecc..) e nei successivi 6 mesi dovranno essere stati eliminati dal terreno. Dunque nel poligono di CaoMalnisio, affermano gli ambientalisti,  è urgente e necessario avviare da subito un piano di monitoraggio ambientale che verifichi il rispetto delle procedure e determini il grado di contaminazione presente e gli eventuali interventi per una bonifica del  suolo. Va inoltre avviato un  confronto tra Esercito Italiano, popolazione ed istituzioni per valutare il graduale smantellamento di una servitù militare anacronistica e, che, considerati gli ultimi ampliamenti approvati, diventa definitivamente intollerabile." 

 

Liberata dalla vegetazione e restaurata, così la batteria Valdilocchi diventerà luogo di cultura
Da cittadellaspezia.com del 20 novembre 2020

Un lungo lavoro di rilievi e pulizia, prima di entrare nella fase di recupero conservativo del forte, abbandonato dopo la guerra: sulle colline di Pagliari fra storia, natura e paesaggio.

La Spezia - La batteria Valdilocchi diventerà un luogo di cultura con uno spazio museale 'smart', zone interne ed esterne alla fortificazione militare recuperata dedicate ad attività culturali di varia natura, come spettacoli all'aperto, eventi musicali, ricreativi e di svago ma anche conferenze e riunioni, attività lavoratoriali e d'artigianato. Si va a concretizzare un lavoro iniziato un paio d'anni fa quando l'amministrazione comunale spezzina ha iniziato a mettere in atto un organico disegno di valorizzazione dell'enorme patrimonio storico militare del Golfo dei Poeti. L'approvazione del progetto di fattibilità tecnico-economica per la riconversione ad usi civici della batteria di Pagliari giunge dopo il placet della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio con la quale non è mai mancato il dialogo sin dalle prime mosse del progetto.
La fortificazione ottocentesca era praticamente scomparsa o per meglio dire sommersa dalla vegetazione infestante dopo essere stata minata dalle truppe tedesche in ritirata nel '45: da quel momento ha vissuto un totale abbandono, letteralmente inghiottita da una boscaglia avventizia. Considerando la sua prossimità alla città, rispetto alle altre costruzioni militari decisamente più fuori mano, si è subito ipotizzato un intervento di parziale musealizzazione del manufatto per esaltarne tanto il valore storico e documentale quanto per narrare una parte importante della storia del golfo e della trasformazione del paesaggio. Spiega l'assessore ai lavori pubblici Luca Piaggi: "Si tratta di una piacevole scoperta visto che la struttura è emersa piano piano con il taglio della vegetazione: un forte che rimane staccato dalle altre batterie del futuro Parco delle Mura ma è parte della stessa filosofia che passa dalla rivalutazione del patrimonio storico. In zona ci sono sentieri che andranno recuperati. I tempi? Penso entro il 2021 potremmo vederlo aperto e visitabile. Il quartiere di Pagliari in questo momento è protagonista di una serie di progetti e relativi cantieri che riguardano non solo questo intervento ma anche la strada ex fusione tritolo, la palazzina Tarros che verrà riconvertita nel sociale, l'area camper e il Miglio blu".
Da luogo dimenticato della periferia levantina a frammento seppur piccolo ma condiviso di una coscienza collettiva. Dietro al progetto di recupero di un'area ai più sconosciuta c'è l'architetto e paesaggista Ludovica Marinaro, da anni attiva in città su temi progettuali complessi, di cui ricordiamo il waterfront, e recentemente parte del team progettuale della Via dell'Amore: “Si è pensato ad un progetto lungimirante e concreto, concepito per attivarsi in fasi successive, capace di accogliere funzioni molteplici tra loro complementari per garantire nuovi usi compatibili ed economicamente sostenibili che lo riscattino e ne assicurino la cura da parte della cittadinanza nel tempo”. All'architetto Marinaro si affianca un team multidisciplinare di esperti: dall'ammiraglio Silvano Benedetti, già direttore del Museo Navale, a Stefano Danese, profondo conoscitore di storia militare, fino al professore universitario Giorgio Verdiani, che ha curato il prezioso lavoro di rilievo digitale (per approfondire basta loggarsi alla pagina), gli ingegneri associati Balbi, Ferrari e Vergassola per la parte di consolidamento strutturale, il geologo Andrea Argenti e la paesaggista Denise Reitano. Senza dimenticare l'ingegnere Gianluca Rinaldi, dirigente tecnico del comune della Spezia, che segue ogni fase del progetto.
Rigenerare un intero brano di paesaggio (ecco la batteria ripulita dalla vegetazione), consentire la fruibilità pubblica del bene, preservarne l'integrità e la consistenza scongiurando ulteriori crolli e proteggendolo da usi illeciti, promuovere nuovi itinerari turistici- ulturali imperniati sulla storia militare per generare valore. “Questa prima fase di rigenerazione della batteria – riprende Marinaro – agisce sul sistema di relazioni che essa intrattiene con il contesto territoriale. Il progetto realizzerà un complesso di interventi minimi ma essenziali per reintrodurre non solo l'architettura ma anche l'intera collina di Valdilocchi nel circuito di luoghi vissuti della città, senza preclusioni per eventuali interventi futuri”.
Le opere di consolidamento strutturale e i nuovi inserti valorizzano i caratteri originari dell'edificio con un linguaggio ispirato alla sobrietà e all'innovazione. Il progetto che non intende cancellare le tracce delle varie fasi che questa architettura ha attraversato fonde spazi esterni ed interni in un percorso di visita unitario e dinamico, arricchito dalla presenza di un servizio di ristoro, che potrà fungere da ulteriore punto di attrazione ad elevata panoramicità. A ciò si aggiunge un lavoro sulle connessioni per l'accessibilità dei luoghi: la sistemazione della strada militare, oggi Via Pagliari, che giunge fino al forte, la creazione di una piccola area parcheggio e la riattivazione di un sistema di viabilità dolceche dalla piana giunga sino alla cima.

Fabio Lugarini

 

Emergenza per la Torre Varano ad Ischitella. La torre del ‘200 è in pericolo
Da ilsipontino.net del 20 novembre 2020

Insieme a Torre Varano piccola, Torre Varano ad Ischitella rappresenta la torre costiera più antica del Gargano, probabilmente della fine del Duecento.

Lo testimonia la diversa struttura architettonica più arcaica con base cilindrica e merli a coda di rondine, molto rari nelle torri pugliesi.

La pianta circolare la contraddistingue dalle altre torri costiere del Gargano, tutte a base quadrangolare. Insieme alle torri costiere del Regno di Napoli costituiva il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo la fascia costiera.

Purtroppo però la Torre Varano è in totale abbandono e presenta segnali di cedimento strutturale ed essendo la torre di proprietà privata pare addirittura difficile l’indicazione del reale proprietario.

Prima che sia troppo tardi, il giornalista e scrittore Giuseppe Laganella ha lanciato da molto tempo l’allarme e un appello per il salvataggio di questa torre, così come la Torre Varano piccola, fotografando quasi giornalmente lo stato dell’alzato.

Testo del giornalista Giuseppe Laganella

 

Sulle montagne della Granda segni di guerra
Da gazzettadalba.it del 19 novembre 2020

CARTA Novant’anni della storia d’Italia riassunti in 152 punti di una carta escursionistica dedicata alle fortificazioni costruite in Valle Stura fra il 1874 e il 1940-41. A portare a termine l’impresa è stato un gruppo di appassionati che nel 2014 ha dato vita all’Asfao, acronimo dell’Associazione per lo studio delle fortificazioni alpine occidentali: Matteo Grosso, 30 anni di Savigliano, uno dei soci fondatori ci parla del progetto, fresco di stampa:

«Ci abbiamo lavorato per due anni con continue ispezioni e rilievi fotografici delle opere per ultimare il georeferenziamento.

Ogni punto, raffigurato sulla cartina, ha un sistema di tracciamento Gps che permette di raggiungerlo con un margine d’errore di pochi metri». La mappa, sviluppata in collaborazione con l’azienda turistica di Cuneo e la comunità montana Valle Stura è stata pubblicata in tarda estate dalla casa editrice Fraternali: «La pandemia purtroppo non ci ha permesso di presentarla».

 

Indirizzare le escursioni in quota verso un patrimonio storico troppo spesso sottovalutato: questo è lo scopo. «La Valle Stura era, dopo la Val Roya, la più fortificata del Piemonte: dimensioni e accessibilità la rendevano importante. In questi anni abbiamo censito un migliaio di punti: da ricoveri e trincee fino all’ultima delle buche; troppi perché fossero accessibili al pubblico, così li abbiamo sfrondati». La base grafica sono le cartine, in scala 1 a 25mila, della casa editrice. Sette simboli classificano le diverse strutture: «Per ciascuna è stato indicato anno di costruzione, armamento, presidio e alcune curiosità». Così si scopre che, in valle, c’erano tre teleferiche: la più importante lunga 12 chilometri, riforniva di munizioni, con sette stazioni, le postazioni sul Colle della Lombarda (percorrendo un dislivello di 1.400 metri).

Decine le batterie di artiglieria. Tra queste, «nei pressi del santuario di Sant’Anna di Vinadio, una piazzola in cemento armato sulla quale erano alloggiati due pezzi da 305 millimetri. Un obice da 380 si trovava a Ponte Bernardo, sopra Pietraporzio: quando scoppiò la guerra c’erano i proiettili, ma non le cariche di lancio». Bunker, caverne, casermaggi e trune, «un ricovero per pastori prestato all’uso militare: due pareti e una volta ad arco, parzialmente interrate. Sull’altipiano della Gardetta ce ne sono un centinaio, abbandonate perché troppo umide». Ogni struttura compone una pagina di storia iniziata all’indomani dell’unità d’Italia, che ha reso la valle una gigantesca caserma fino alla campagna di Francia del giugno 1940. «Le linee fortificate risalgono a due diverse fasi: la prima, detta triplicista, coincide con l’alleanza fra Regno d’Italia e gli imperi di Germania e Austria-Ungheria, contro la Francia; la seconda inizia con la circolare 200 del 6 gennaio 1931», spiega Grosso.

 

I primi cantieri sono antecedenti il 1861: il forte albertino di Vinadio è degli anni ’30 dell’Ottocento, quando la tattica militare si basava sul cannone, per mantenere lontane le batterie avversarie. «Le prime opere tripliciste risalgono al 1874, le ultime, i forti di Sampeyre, costruiti nel 1905, si trovano in Val Varaita». Nella Valle Stura sono gli anni della “corsa verso le vette”. Un esempio su tutti è «il forte di Vinadio: piazzato nel fondovalle, è rafforzato con una serie di batterie d’appoggio sui crinali laterali.

È il caso delle postazioni Sarziere e Neghino». Il progresso tecnologico, nell’Europa della Belle époque, rende più accessibili le vette alle truppe: gli stati maggiori corrono ai ripari portando in quota i presidi, «fino ai 2.500 metri di Testa Rimà nel vallone di Riofreddo».

I massacri della Grande guerra stravolgono gli scenari tattici, l’avvento del Fascismo fa il resto e, negli anni ’20, riprendono le sperimentazioni sul confine occidentale. «La mitragliatrice sostituisce il cannone: le nuove postazioni assomigliano alle caverne dell’Adamello. La lezione del forte Verena, completamente distrutto dalle artiglierie austriache, non è andata perduta». Attorno al 1934, nella bassa Val Roya, sono portate a termine le prime fortificazioni di quello che, la propaganda fascista, battezza come Vallo Alpino. «La distensione dei rapporti con la Francia, a metà decennio, ritarda la prosecuzione dei lavori. Quando, nel 1937, ricominciano mancano i soldi: i cantieri procedono al risparmio».

Lo stesso anno dal Regio Esercito viene staccato un corpo destinato a occupare le linee montane: «Nasce la Guardia alla frontiera. L’organizzazione si basa sul settore, equivalente a un reggimento». La valle costituisce il terzo settore, esteso anche a parte della Val Maira: «La Gardetta si poteva raggiungere solo dalla Valle Stura, attraverso il Colle Fauniera». Due le linee a raddoppio avanzato o arretrato: «Cioè con avamposti o opere arretrate. Erano studiati perché tutte le armi potessero battere, con il tiro di difesa, le posizioni.

Gli stessi bunker permettevano il fuoco d’infilata». Il 10 giugno 1940, con due armate, l’Italia invade la Francia: «I fanti dormirono nelle caserme e in linea solo durante quei 15 giorni, fino al 25. In tempo di pace c’erano presidi solo nel fondovalle» conclude Matteo Grosso. L’ultimo capitolo si consuma l’8 settembre 1943: «Alcune batterie, come quelle del Monte Vaccia vengono poste in allarme, allineano i pezzi e li abbandonano poco dopo. Durante il rastrellamento dell’estate 1944 i cannoni vengono fatti saltare». Concluso il trattato di pace, nel 1947, i confini alpini vengono arretrati e parte delle linee finisce in territorio francese: «In questo modo bunker come quelli del vallone di Castiglione, si sono salvati dalla rovina».

Davide Gallesio

 

I nuovi sistemi d'artiglieria lanciafiamme Tosochka difenderanno la Russia meridionale
Da it.sputniknews.com del 19 novembre 2020

© Sputnik . Ekaterina Chesnokova

I nuovi sistemi d'artiglieria lanciafiamme TOS-2, meglio noti come Tosochka, inizieranno a essere schierati nella Russia meridionale. Le truppe del distretto militare meridionale dell'esercito russo saranno le prime a ricevere il nuovo sistema d'artiglieria, ha informato il ministero della Difesa del paese, scrive il portale Izvestia.
I nuovi sistemi d'artiglieria dovrebbero sostituire completamente i vecchi modelli in servizio in circa 3 o 4 anni, ha indicato la fonte del dipartimento militare. Il nuovo pezzo d'artiglieria è gommato a differenza dei suoi predecessori, il TOS-1 Buratino e il TOS- A Solntsepiok. Pertanto, è in grado di spostarsi ad alta velocità per centinaia e migliaia di chilometri. Inoltre, possono essere facilmente trasportati in aereo.
Le munizioni termobariche utilizzate dal Tosochka, al momento della deflagrazione, creano una potente onda d'urto e una temperatura molto elevata. Si tratta di un sistema pensato per il combattimento contro fortificazioni, strutture e fanteria protetta, il che risulta più efficace dei tradizionali missili e proiettili a frammentazione ad alto potenziale esplosivo.
I TOS-2 sono stati ufficialmente mostrati per la prima volta il 24 giugno di quest'anno durante la Parata della Vittoria nella Piazza Rossa di Mosca. L'esercito russo ha testato il nuovo sistema lanciafiamme durante le esercitazioni Caucaso 2020, avvenute a settembre.
Lo scorso agosto, il ministro della Difesa russo Sergey Shoyigu ha annunciato che il primo Tosochka sarebbe stato consegnato alle truppe già alla fine di quest'anno. Secondo l'alto funzionario, il sistema dovrebbe aumentare la capacità di combattimento delle truppe nelle regioni russe strategicamente importanti.

L'importanza della Russia meridionale

L'area di responsabilità del distretto militare meridionale comprende il Mar Nero, la Crimea, il Caucaso e altri importanti territori della Russia. L'invio di grandi quantità di moderni sistemi d'arma consente di mantenere una riserva militare rapida e agile nella regione.
"Il sud del paese è ora strategicamente in uno stato di tensione. Gli americani stanno costruendo un sistema di difesa missilistica in Romania. Diverse navi da guerra con missili da crociera entrano ed escono dal Mar Nero. C'è una situazione difficile nel Mar Nero, al confine con l'Ucraina, e nel Caucaso. Non sarei sorpreso se in futuro sorgessero anche dal lato afghano", ha detto ai media l'ex vice segretario generale dell'Onu Sergey Ordzhonikidze.

 

Sermoneta, quel castello che domina l'agro pontino (a un'ora e mezza da Roma)
Da romatoday.it del 18 novembre 2020

Cosa vedere a Sermoneta. Dove mangiare, dove dormire e come raggiungere da Roma. La guida completa

Di Francesca Demirgian

A spasso per i borghi del Lazio, RomaToday fa tappa a Sermoneta, uno dei borghi medievali più belli del Lazio, in provincia di Latina.
Sermoneta domina la pianura Pontina. A lungo è stata la residenza della famiglia Caetani ed è proprio questa signoria ad aver fatto fiorire il borgo del Lazio, sede dell'omonimo castello, ancora oggi meta di numerosi turisti. La città di Sermoneta è circondata da una cinta muraria, laddove si trovava, un tempo, la città dei Volsci Sulmo, poi divenuta colonia romana con il nome di Sora Moneta, fino a diventare, appunto, Sermoneta.
In passato importante centro urbano, oggi Sermoneta è uno dei borghi più frequentati e amati del Lazio. Per il suo castello, per il vicino Giardino di Ninfa e per i frequenti eventi, manifestazioni culturali e folkloristiche (momentaneamente annullate dal Covid). Nel 2010 la cittadina è stata anche eletta "Destinazione europea d'eccellenza".

Cosa vedere a Sermoneta

Il Castello Caetani domina il borgo ed è motivo di numerose visite guidate annuali (al momento il sito storico-culturale è chiuso nel rispetto del dpcm del 3 novembre). Si tratta di una fortezza risalente al XIII secolo, con maschio e baluardi, molto suggestivo e che ha il potere di immergere i visitatori in una fiaba. Vale la pena il viaggio anche per ammirarlo da fuori, in questo periodo di emergenza Covid.
All'interno del Castello sono state girate anche alcune scene del film "Non ci resta che piangere" con Roberto benigni e Massimo Troisi.
A Sermoneta meritano, inoltre, una visita la Collegiata di Santa Maria, la Chiesa di San Giuseppe che conserva al suo interno un ciclo di affreschi del pittre Siciolante, la loggia dei Mercanti, la Porta degli Annibaldi, il convento di San Francesco e la cinta muraria rinascimentale ancora oggi conservata perfettamente.
Da Sermoneta, in 15 minuti di macchina, si raggiungono inoltre il bellissimo Giardino di Ninfa che apre in primavera e con alcune aperture speciali durante l'anno.

Cosa mangiare a Sermoneta

Sermoneta è famosa per la polenta. Nel mese di gennaio c'è il tradizionale appuntamento con la Sagra della polenta (non si sa se sarà possibile svolgere l'edizione 2021) famosa in tutto il Lazio. Rinomate anche le cosiddette "Serpette" dei dolci tipici del luogo caratterizzati dalla loro forma a "S". Sermoneta, inoltre, fa parte della strada dei vini della provincia di Latina, in una zona in cui è molto conosciuto l'olio di oliva delle colline pontine Dop, il carciofo romanesco Igp, i kiwi di Latina Igp.
Alcuni ristoranti dove mangiare a Sermoneta: Il Giardino del Simposio, Simposio al Corso, Il Pomarancio, Antico Emporio Stivali Fraschetta, Al Castello, Trattoria Ghost

Dove dormire a Sermoneta

Non mancano le soluzioni per dormire a Sermoneta in hotel, b&b o agriturismo nelle zone limitrofe.
Tra queste segnaliamo "Aurora Medieval House", "Casale Cavatella" e "Lelive Bed & Breakfast".

Come arrivare a Sermoneta da Roma

Sermoneta dista da Roma 86 km circa, per una percorrenza di 1 ora e mezza. Percorrendo via Pontina, proseguire fino a Latina. Prendere poi strada della Chiesuola, Via Dormigliosa e Via Sermonetana in direzione di Via della Valle/Via Sotto il Forte fino a raggiungere Sermoneta.

 

Ritornano gli euromissili nucleari
Da antimafiaduemila.com del 17 novembre 2020

Di Manlio Dinucci

Il missile SM-6 della raytheon da cui la lockheed martin deriverà il missile balistico nucleare a medio raggio da installare in europa

Oltre cinque anni fa titolammo sul Manifesto (9 giugno 2015) «Ritornano i missili a Comiso?». Tale ipotesi fu ignorata dall’intero arco politico e liquidata da qualche sedicente esperto come «allarmistica». L’allarme, purtroppo, era fondato.
Pochi giorni fa, il 6 novembre, la Lockheed Martin (la stessa che produce gli F-35) ha firmato un primo contratto da 340 milioni di dollari con lo US Army per la produzione di missili a medio raggio, anche a testata nucleare, progettati per essere installati in Europa.
I missili di tale categoria (con base a terra e gittata tra 500 e 5500 km) erano stati proibiti dal Trattato Inf, firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan: esso aveva eliminato i missili balistici nucleari Pershing 2, schierati dagli Stati uniti in Germania Occidentale, e quelli nucleari da crociera Tomahawk, schierati dagli Stati uniti in Italia (a Comiso), Gran Bretagna, Germania Occidentale, Belgio  e Olanda, e allo stesso tempo i missili balistici SS-20 schierati dall’Unione Sovietica sul proprio territorio.

Nel 2014, l’amministrazione Obama accusava la Russia, senza alcuna prova, di aver sperimentato un missile da crociera (sigla 9M729) della categoria proibita dal Trattato e, nel 2015, annunciava che «di fronte alla violazione del Trattato Inf da parte della Russia, gli Stati uniti stanno considerando lo spiegamento in Europa di missili con base a terra».
Il testimone è quindi passato all’amministrazione Trump, che nel 2019 ha deciso il ritiro degli Stati uniti dal Trattato Inf, accusando la Russia di averlo «deliberatamente violato».
Dopo alcuni test missilistici, è stata incaricata la Lockheed Martin di realizzare un missile da crociera derivato dal Tomahawk e uno balistico derivato dallo SM-6 della Raytheon. Secondo il contratto, i due missili saranno operativi nel 2023: quindi pronti tra due anni ad essere installati in Europa.
Va tenuto presente il fattore geografico: mentre un missile balistico nucleare Usa a medio raggio, lanciato dall’Europa, può colpire Mosca dopo pochi minuti, un analogo missile lanciato dalla Russia può colpire le capitali europee, ma non Washington. Rovesciando lo scenario, è come se la Russia schierasse missili nucleari a medio raggio in Messico.
Va inoltre tenuto presente che lo SM-6, specifica la Raytheon, svolge la funzione di «tre missili in uno»: antiaerea, anti-missile e di attacco. Il missile nucleare derivato dallo SM-6 potrà quindi essere usato dalle navi e installazioni terrestri dello «scudo» Usa in Europa i cui tubi di lancio, specifica la Lockheed Martin, possono lanciare «missili per tutte le missioni».
In una dichiarazione del 26 ottobre 2020, il presidente Putin riafferma la validità del Trattato Inf, definendo un «grave errore«» il ritiro statunitense, e l’impegno della Russia a non schierare missili analoghi finché gli Usa non schiereranno i loro a ridosso del suo territorio. Propone quindi ai paesi Nato una «reciproca moratoria» e «reciproche misure di verifica», ossia ispezioni nelle reciproche installazioni missilistiche.
La proposta russa è stata ignorata dalla Nato. Il suo segretario generale Jens Stoltenberg ha ribadito, il 10 novembre, che «in un mondo così incerto, le armi nucleari continuano a svolgere un ruolo vitale nella preservazione della pace». Nessuna voce si è levata dai governi e parlamenti europei, pur rischiando l’Europa di trovarsi in prima linea in un confronto nucleare analogo o più pericoloso di quello della guerra fredda. Ma questa non à la minaccia del Covid e quindi non se ne parla.
L’Unione Europea, di cui 21 dei 27 membri fanno parte della Nato, ha già fatto sentire la sua voce quando, nel 2018, ha bocciato alle Nazioni Unite la risoluzione presentata dalla Russia sulla «Preservazione e osservanza del Trattato Inf», dando luce verde alla installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa.
Cambierà qualcosa una volta che Joe Biden si sarà insediato alla Casa Bianca?
Oppure, dopo che il democratico Obama ha aperto il nuovo confronto nucleare con la Russia e il repubblicano Trump lo ha aggravato stracciando il Trattato Inf, il democratico Biden (già vice di Obama) firmerà l’installazione dei nuovi missili nucleari Usa in Europa?

(il manifesto, 17 novembre 2020)

 

A caccia di bombe nella polveriera
Da ilrestodelcarlino.it del 17 novembre 2020

A caccia di ordigni o residui bellici nel terreno dove si trovava la polveriera.

Le operazioni di bonifica sono partite, ma non sarà una cosa breve. Il Comune ha affidato i lavori ad un’azienda specializzata, la Gap Service srl di Padova. La stessa azienda ha prima realizzato uno studio della superficie, procedendo in seguito con un’analisi al metal scandaglio, e infine curerà la bonifica bellica.

Sul materiale prelevato e sul terreno saranno effettuati test chimici per l’eventuale contaminazione da piombo. Al termine dei lavori sarà il 5° Stormo di Padova procederà al collaudo dell’area. La Gap Service ha iniziato le operazioni di scavo sulla viabilità interna alla ex polveriera.

L’area è ampia 55mila metri quadrati ed era a supporto dell’attività militare dell’aeroporto prima che venisse dismessa. Le stradine interne subiranno uno scavo di 3 metri per la bonifica del terreno. Nel resto della superficie lo scavo si limiterà a un metro di profondità. Il lotto è oggi di proprietà comunale, acquisito con decreto dell’Agenzia del Demanio nel 2015. Al termine della bonifica la zona diventerà un nuovo polmone verde.

 

Missili balistici cinesi “carrier-killer” colpiscono un bersaglio in movimento
Da aresdifesa.it del 17 novembre 2020

Di Giacomo Cavanna

Due missili balistici, progettati per colpire le portaerei statunitensi, sarebbero stati lanciati in Cina ad agosto come “messaggio agli Stati Uniti”.

Dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri avrebbero colpito con successo una nave bersaglio in movimento vicino le Isole Paracel nel Mar Cinese Meridionale.

E’ la prima volta che la Cina rilascia qualche dettaglio su questi missili e le autorità statunitensi hanno confermato la veridicità della notizia.

Se in un primo momento sembrava che i missili fossero caduti in mare, secondo una fonte interna all’Esercito di Liberazione Popolare, due vettori avrebbero colpito con successo una nave bersaglio in movimento.

Tanto si è dibattuto sull’impiego di questo particolare tipo di missili. Essendo balistici la loro possibilità di manovra nei confronti di bersagli in movimento è limitata.

Per Pechino si tratta di uno strumento di deterrenza nei confronti dello strapotere aero-navale che gli Stati Uniti posseggono.

Il contesto

Il lancio è avvenuto il 27 agosto, il giorno successivo al sorvolo di un Lockheed U-2 “Dragon Lady” all’interno di una no-fly-zone durante una esercitazione militare dell’Esercito Popolare cinese.

Ad inizio luglio, due Carrier Strike Group dell’US Navy guidati dalle super portaerei USS Nimitz e USS Ronald Reagan, avevano condotto manovre di difesa tattiche nelle acque disputate del Mar Cinese Meridionale.

A settembre il Boeing RC-135S “Cobra Ball”, velivolo da ricognizione specializzato nel rilevare ed analizzare il lancio di missili balistici, si è avvicinato molto allo spazio aereo cinese per la prima volta.

 

Forte San Felice, tra speranze e intoppi
Da lapiazzaweb.it del 16 novembre 2020

Visitatori al Forte con Erminio Boscolo Bibi

L’anno era iniziato nel migliore dei modi per il Forte San Felice quando alla fine di gennaio 2020 partiva il restauro del portale monumentale, un progetto che comprendeva anche la realizzazione di percorsi di visita lungo il perimetro dei bastioni, con l’eliminazione della vegetazione infestante, con previsione di 9 mesi di lavori. Con l’esplosione della pandemia ai primi di marzo il cantiere si è bloccato con il lockdown di tutte le attività produttive. E così è avvenuto anche per il fitto programma di visite in primavera e in estate, comprese quelle previste per le scuole e i gruppi e per il convegno dell’11 maggio organizzato insieme all’Istituto Italiano dei Castelli. Bloccati pure i lavori del Tavolo Tecnico tra gli Enti (convocato solo a distanza), con discussioni su come procedere con il secondo stralcio, essendo insufficienti gli altri 5 milioni di euro previsti, e sull’approvazione di un accordo di valorizzazione che prefiguri la gestione definitiva del sito.
Il Comitato del Forte San Felice ha manifestato in agosto tutta la sua preoccupazione per lo stato di immobilismo poiché il fattore tempo è essenziale se si vuole davvero evitare il degrado di strutture secolari. Solo nel mese di settembre Comune e Comitato hanno ottenuto l’autorizzazione speciale per visite al Forte in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio il 26 e 27 settembre scorso, pur con rigide modalità antiCovid in quanto a numero partecipanti, distanziamento, mascherine… I gruppi di visitatori, che non dovevano essere superiori a 10 persone, invece dei 20 richiesti per ciascuno dei 6 turni di visita previsti, sono andati in poco tempo già esauriti. Il Comitato ha dovuto rivedere l’organizzazione, raddoppiando il numero delle guide per effettuare comunque un percorso di visita completo per 12 turni. L’assistenza dentro il Forte è stata garantita dai volontari dell’Associazione Nazionale Bersaglieri e dalla consueta collaborazione del farista Diego Nordio.

Un magnifico tramonto ha salutato gli ultimi visitatori di sabato 26 settembre, ma il “diluvio” di domenica 27 settembre ha presto interrotto le visite ed anche la contemporanea iniziativa di pulizia intorno al forte organizzata dall’associazione Amico Giardiniere.

 

LA MALEDETTA SECONDA GIOVINEZZA DELLA BASE USA E NATO DI AVIANO
Da stampalibera.it del 14 novembre 2020

di Antonio Mazzeo - Nell’attesa di sapere se la nuova amministrazione USA confermerà la decisione di Donald Trump di trasferire in Italia i cacciabombardieri F-16 del 52nd Fighter Wing dell’US Air Force attualmente schierati in Germania a Spangdahlem, la grande base aerea di Aviano (Pordenone) di certo non se ne sta con le mani in mano. Le pesanti restrizioni alla mobilità di persone e mezzi riservate ai cittadini italiani in tempi di pandemia non sembrano assolutamente valere per i militari statunitensi presenti nello scalo aereo friulano. Così, specie nelle ultime settimane, ad Aviano si assiste a un continuo via vai di caccia, grandi aerei cargo, velivoli spia e armamenti pesanti e leggeri destinati alle forze armate Usa che operano in diversi teatri di guerra.

Il sito specializzato Aviation Report ha dato notizia che il 30 ottobre 2020 sono giunti nella base di Aviano tre aerei “Pilatus” U-28A forniti di sofisticate apparecchiature ISR (Intelligence, Sorveglianza e Riconoscimento), appartenenti al 492nd Special Operations Wing dell’U.S. Air Force Special Operations Command, il comando delle forze speciali dell’Aeronautica USA con quartier generale a Hurlbult Field, Florida.
Provenienti dalla base di Souda Bay, Creta, i velivoli sono poi ripartiti per Ramstein (Germania) e successivamente per Prestwick (Regno Unito). I tre “Pilatus” hanno poi attraversato l’oceano Atlantico per rientrare alla base di Hurlburt Field. Attivato il 10 maggio 2017, il 492nd Special Operations Wing svolge operazioni di guerra “irregolare” per conto dell’Aeronautica militare statunitense. E’ costituito da cinque gruppi di volo: il 319th, il 34th, il 318th e il 5th e il 19th Special Operations Squadron che fungono pure come unità da addestramento per le forze aeree “speciali” impiegate in ogni parte del mondo.
L’aereo impiegato dal reparto di punta dell’U.S. Air Force Special Operations Command, il “Pilatus”, è un velivolo monomotore ad ala bassa, progettato e prodotto dall’azienda aeronautica svizzera “Pilatus Aircraft”. Con una lunghezza di 14,4 metri e un’apertura alare di 16,28 m., esso ha una velocità di crociera di 519 km/h e un’autonomia di volo di 2.890 km. Normalmente viene utilizzato per compiti di trasporto leggero, pattugliamento marittimo, ricognizione e piattaforma di comando e controllo nelle missioni di guerra elettronica. La versione U-28A acquistata in 28 esemplari da U.S. Air Force è dotata di sistemi di comunicazione comprendenti data link, video e data voice, mentre alcuni aerei hanno ricevuto sensori elettro-ottici per svolgere missioni d’intelligence. Cosa ci facevano i “Pilatus” del 492nd Special Operations Wing nelle acque del Mediterraneo orientale a fine ottobre? E sono state informate le autorità italiane del transito dei tre velivoli spia dalla base aerea di Aviano o sulle segretissime operazioni militari svolte fuori dal contesto e dalle catene di comando NATO?
Ancora Aviation Report fa sapere che sempre il 30 ottobre2020, oltre ai velivoli USA sono atterrati nello scalo friulano due cacciabombardieri F-16 “Fighting Falcon” dell’Aviazione militare della Romania. Quattro giorni prima invece avevano fatto rientro ad Aviano i sette cacciabombardieri F-16 del 555° Squadrone del 31st Fighter Wing di US Air Force provenienti dalla base aerea di Graf Ignatievo, Bulgaria.
Il distaccamento aereo statunitense, permanentemente schierato ad Aviano con i suoi cacciabombardieri a capacità nucleare, era stato inviato in Bulgaria a metà settembre per partecipare all’esercitazione Thracian Viper insieme agli uomini e ai mezzi del 435th Air Ground Operations Wing e del 86th Airlift Wing di stanza nella base tedesca di Ramstein e ai velivoli d’attacco dell’Aeronautica bulgara, greca e rumena. “L’esercitazione è servita alle nostre forze aeree a condurre operazioni di guerra aria-aria e aria-superficie, testare la nostra capacità a dislocarci rapidamente in luoghi remoti e assumere il comando e controllo dell’area”, ha spiegato il capitano Alexander Lodge del 555th Fighter Squadron di U.S. Air Force. “Thracian Viper ha permesso a tutto il nostro team di piloti di affinare la conduzione della letale potenza aerea con maggiore efficienza in qualsiasi parte del mondo”. Dopo i giochi di guerra i cacciabombardieri F-16 di Aviano hanno operato per un mese intero da Graf Ignatievo con la missione NATO di controllo dello spazio aereo alleato in Europa orientale e nella regione del Mar Nero.
Nella prima decade di settembre, i “Fighting Falcon” del 555th Fighter Squadron avevano partecipato a una complessa esercitazione aeronavale nelle acque del Mare del Nord (Point Blank 20-4), coordinata dal Comando di U.S. Air Forces per l’Europa e il continente africano. All’esercitazione erano presenti anche una cinquantina di velivoli delle forze armate britanniche e dei Paesi Bassi e del 211st Fighter Attack Squadron del Corpo dei Marines Usa (F-15E “Strike Eagle”, F-16 “Fighting Falcon”, F-35A “Lighting”, aerei da rifornimento KC-135 “Stratotanker”, finanche un bombardiere strategico B-52 “Stratofortress” a capacità nucleare). Dal 28 agosto al 29 settembre 2020, il 510th Fighter Squadron (altro reparto di volo USA con cacciabombardieri F-16 di stanza ad Aviano) e il 31st Aircraft Maintenance Squadron (reparto impiegato nella base friulana per la manutenzione dei velivoli) erano stati schierati nello scalo aereo di Lakenheath (Regno Unito) per esercitarsi all’uso di munizioni teleguidate e missili aria-superficie.
“Abbiamo effettuato 292 sortite per un totale di 472 ore di volo di cui una decina a supporto dell’esercitazione Point Blank, utilizzando 90 armi di precisione e sparando 11.944 colpi di mitragliera da 20mm”, ha dichiarato il capitano Benjamin Kern del 510th Fighter Squadron. Per il trasferimento di una parte dei militari da Aviano a Lakenheath, il Comando del 31st Fighter Wing ha usufruito pure degli aerei cargo Airbus A400M dell’Aeronautica spagnola, appositamente inviati in Italia dalla penisola iberica.
A metà ottobre il 724th Air Mobility Squadron di Aviano ha partecipato invece  all’esercitazione di pronto intervento Nodal Lightning condotta dal 521st Air Mobility Operations Wing, il reparto per le operazioni di mobilità e trasporto aereo di U.S. Air Force con quartier generale a Ramstein. “Nodal Lightning ha visto la partecipazione di differenti unità mobili che l’Aeronautica statunitense schiera in Europa a supporto di ogni tipo di scenario di guerra”, ha riferito il portavoce del Pentagono. “L’esercitazione della durata di una settimana ha incluso pure la simulazione di un intervento di assistenza medica a favore di militari feriti in un incendio nella loro caserma”.
Importantissimi impegni out-of-area pure per uno dei reparti ricollocati meno di  quattro anni fa ad Aviano dalla base tedesca di Spangdahlem, il 606th Air Control Squadron (nome in codice Primo,), l’unico reparto mobile di comando e controllo aereo che l’U.S. Air Force schiera fuori dagli Stati Uniti d’America. Composto da 380 avieri, il 606th ha a sua disposizione sofisticate apparecchiature elettroniche per un valore di 173 milioni di dollari che possono essere trasportate ovunque in tempi rapidissimi. Attivo principalmente nello scacchiere di guerra mediorientale, il 10 ottobre scorso il 606th Air Control Squadron ha inviato propri team in sei differenti località (non specificate) del Sud-est asiatico a supporto delle missioni aeree dell’U.S. Air Forces Central Command.
Dal 13 al 25 settembre, lo squadrone mobile di Aviano era stato inviato presso la base aerea di Malbork, Polonia, per prendere parte all’esercitazione di “difesa missilistica” Astral Knight 20 insieme ad altri reparti di pronto impiego di Stati Uniti, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Svezia (quest’ultimo paese non appartenente alla NATO). “Quest’esercitazione ha lo scopo di favorire l’integrazione dei centri di comando e controllo, il coordinamento e l’interoperabilità delle capacità aeree, terrestri e marittime e di difesa missilistica aerea”, riporta la nota del Comando di U.S. Air Force per l’Europa e l’Africa.
In occasione di Astral Knight 20 il team del 606th Air Control Squadron hanno sperimentato l’uso in uno scenario di conflitto simulato del Theater Operationally Resilient Command and Control System (TORCC), un nuovo sistema C2 dotato di radar TPS-75 che consente di captare e inviare informazioni “vitali” al centro di comando dello squadrone ad Aviano e ai piloti impiegati operativamente, “chiamati ad assumere decisioni cruciali nella gestione della battaglia”.

 

Ex Polveriera, ecco il progetto. Il rilancio vale 6 milioni di euro
Da bresciaoggi.it del 11 novembre 2020

Una veduta dell’ex Polveriera. Pronto il piano di rilancio che vale sei milioni di euro

Il futuro dell’area dell’ex Polveriera di Mompiano «costa» 6 milioni di euro. Dopo anni di bonifiche, discussioni e idee, si è arrivati al primo progetto di fattibilità per il grande polmone verde che sorge nella Valle di Mompiano, porta d’ingresso per il Parco delle Colline: la sintesi del nuovo progetto, curato dagli architetti dello Studio Dodici di Brescia, è stata presentata ieri nel corso di una seduta della Commissione Ambiente della Loggia, presieduta da Anita Franceschini. L’ASSESSORE all’Ambiente del Comune, Miriam Cominelli e gli architetti hanno mostrato il progetto, diviso in quattro fasi che si succederanno temporalmente, elaborato sulla base del confronto tra le quattro realtà che hanno preso parte alla manifestazione d’interesse per la gestione dell’area: i Gnari de Mompià, Andrea Friggi, la Fondazione San Giorgio e la partnership tra la Società escursionisti bresciani Ugolini e Gialdini Srl. (...)

 

Rocche e castelli delle Marche, un viaggio tra storia e leggenda
Da magazinepragma.com del 11 novembre 2020

Marche – Un viaggio indietro nel tempo. E’ quello che si può fare visitando alcune delle tante fortificazioni disseminate nel territorio marchigiano

Le Marche sono una Regione ricca di rocche, castelli e borghi cinti da mura, che costituiscono un immenso patrimonio storico, artistico e culturale. Una delle prime fortezze erette é la Rocca Malatestiana. Edificata da Matteo Nuti per volere di Sigismondo Malatesta, signore della città di Fano, fra il 1438 e il 1452, è di forma quadrangolare con torrioni ai fianchi. La più famosa, invece, è la Rocca di Gradara, quella che la leggenda vuole da sfondo al tragico amore tra Paolo e Francesca, moglie di Gianciotto Malatesta, fratello di Paolo, cantato da Dante nella Divina commedia. Costruita attorno al 1150 dalla famiglia dei De Griffo in una posizione strategica e con una vista mozzafiato, se durante il periodo medioevale la fortezza è stata uno dei principali teatri degli scontri tra le milizie fedeli al Papato e le turbolente signorie marchigiane e romagnole, oggi è teatro di eventi museali, musicali ed artistici. Nel centro di Pesaro spicca la mole di Rocca Costanza, eretta nella seconda metà del Quattrocento dalla potente signoria degli Sforza; progettata da Luciano Laurana ha pianta quadrata, torri cilindriche e un ponte che scavalca l’ampio fossato.

Il sodalizio tra il Duca di Urbino Federico da Montefeltro e l’architetto senese Francesco di Giorgio ha lasciato nel marchigiano mirabili realizzazioni di architettura militare, oggetto dell’ultima creazione firmata Confcommercio Marche Nord, l’Itinerario delle Rocche, ampiamente illustrata da Marchenews24.it (https://www.marchenews24. it/). Alcune di queste rocche sono andate distrutte o smantellate, altre rappresentano le realizzazioni più significative del Martini e del suo ingegno. A Sassocorvaro sorge la Rocca Ubaldinesca, che, ridisegnata nel 1475 su un impianto del 1060, si distingue per la forma a tartaruga. A Montecerignone la fortificazione, strutturata su tre piani, é detta addirittura “Rocca e Casa”, per sottolinearne l’importanza. La Rocca di Mondavio, costruita per commissione di Giovanni della Rovere, risale con ogni probabilità alla fase più tarda dell’attività del progettista toscano, probabilmente al decennio 1482-1492. La costruzione rimase incompiuta per il ritorno dell’architetto Francesco di Giorgio Martini nella natia Siena e per la successiva concomitante morte sia del committente Giovanni della Rovere sia dell’architetto.

Nel Montefeltro tutti i paesi sfoggiano un castello. Frontone ne vanta uno sorto a sorveglianza del territorio che i romani attraversavano per raggiungere l’Adriatico. A Piandimeleto c’é il castello concesso in feudo da Papa Gregorio IX ai conti Oliva; a Belforte dell’Isauro quello edificato nel tardo medioevo su un precedente insediamento Longobardo. A Piobbico il Castello Brancaleoni , la cui costruzione è iniziata nel 1200 come fortezza, ha finito per assumere nel corso degli anni, l’aspetto e la leggiadria di un palazzo rinascimentale, ricco di affreschi e stucchi.

Scendendo nella Provincia di Ancona, a Senigallia si trova la Rocca Roveresca, uno dei monumenti più importanti della Regione, articolato in due rocche, l’una inglobata dentro all’altra. Altro importante esempio di architettura militare é la Rocca di Offagna, eretta per volere degli anconetani fra il 1454 e il 1456 contro la vicina Osimo. Si presenta come un massiccio quadrilatero con mastio centrale, posto in posizione dominante su una rupe tufacea, anch’essa fortificata. A Falconara il Castello di Rocca Priora, eretta a partire dal XIII secolo, presenta ancora le strutture medievali: la pianta è di forma ellittica, delimitata da alte mura con tre torri allineate e circondata da un fossato. Nell’entroterra Corinaldo vanta un cinta muraria, tra le più complete e meglio conservate della Regione.

Ad Arcevia, in frazione Loretello, sorge l’omonimo castello del 1200, le cui mura esterne sono tuttora percorribili con camminamenti. Alcuni tra i castelli più belli (https://magazinepragma.com/viaggi/lauro-castello-lancellotti-suggestiva-dimora-storica/) della Regione si trovano in provincia di Macerata. A Tolentino appare il Castello della Rancia; nel luogo sorgeva già nel XII secolo una fattoria-granaio fortificato, che tra il 1353 e il 1357 venne trasformato nel castello attuale per volere dei Da Varano, Signori di Camerino. Si presenta come un edificio di forma quadrangolare composto da una cinta merlata rafforzata da tre torri angolari. Da Tolentino é facile raggiungere la Rocca di Urbisaglia è una fortificazione militare dell’inizio del Cinquecento, costruita nglobando resti di precedenti strutture medievali; ha pianta trapezoidale, con il fronte più esteso rivolto verso l’esterno, al fine di meglio proteggere il castello in caso di attacco.

A Caldarola si trova il Castello Pallotta, che conserva ancora intatta la cinta muraria, il cammino di ronda, le merlature guelfe ed il ponte levatoio. La Rocca Borgesca, è un imponente fortificazione di Camerino, che venne fatta erigere a da Cesare Borgia su disegno di Ludovico Clodio nel 1503 per controllare la città dal versante sud-ovest: i torrioni cilindrici e il possente mastio sono begli esempi di architettura militare del primo Rinascimento. In provincia di Fermo il Castello Moresco sorge sulla sommità di un colle, in posizione suggestiva; le sue prime notizie risalgono al 1086. Nell’ascolano si affaccia l’imponente Forte Malatesta (https://it.wikipedia.org/wiki/Forte_Malatesta) un’opera fortificata di difesa urbana della città di Ascoli Piceno, costruita nel 1349 da Galeotto I Malatesta e ristrutturata nel 1500 da Antonio Sangallo il Giovane su incarico di Papa Paolo III Farnese: possiede una pianta stellata di forma irregolare e un mastio ottagonale. Acquaviva delle Fonti, invece, conserva una cinta muraria e una maestosa fortezza, dichiarata monumento nazionale dal 1902. Castel di Luco é una fortificazione che si eleva nel territorio comunale di Acquasanta Terme e che conserva intatto il suo aspetto medievale, particolarmente originale per la sua forma ellittica; attualmente è sede di una struttura ricettiva.

La Rocca di Arquata del Tronto è una fortezza medioevale eretta come caposaldo preposto al controllo del territorio, con funzioni tattiche e difensive: ha mura merlate, torrione e mastio. Secondo la tradizione popolare la Rocca di Arquata fu la residenza della regina Giovanna d’Angiò, negli anni compresi tra il 1420 ed il 1435; la leggenda vuole anche che il fantasma della sovrana si aggiri, ancora oggi, all’interno della fortezza.

A cura di Marina Denegri

 

IL CASTELLO-FORTEZZA DEI VENEZIANI A LEFKADA, ANCHE I CANNONI DI BRONZO DELL’ANTICA FONDERIA CAMOLLI DI BERGAMO SONO UN’ATTRAZIONE
Da turismoitalianews.it del 11 novembre 2020

Giovanni Bosi, Lefkada / Grecia

A due passi dal ponte mobile che unisce Lefkada alla terraferma non si può non notare il Castello che documenta una volta di più l’antico dominio veneziano sulle Isole Ionie, secondo quello straordinario “sito seriale” di fortificazioni costruite nei secoli a partire dal periodo prebizantino nel Mediterraneo.

In passato chiamato Leukàs, Lèucade e Leuca, questo lembo di Grecia adagiato sullo Jonio ha avuto anche la denominazione di isola di Santa Maura, tanto che le vestigia che la vigilano sono chiamate Kastro Agia Mavra. Non andarlo ad esplorare sarebbe un delitto…

La voglia di arrivare quanto prima a Lefkada dopo essere atterrati a Preveza e aver noleggiato un’auto (la soluzione migliore per godersi questo bellissimo territorio), che quando passiamo davanti al castello di Santa Maura e averne intuito possenza e ruolo storico, mi riprometto di tornare con più calma, per studiarlo meglio ed esplorarlo. E così faccio.

L’accesso alla fortezza è libero e una volta dentro mi rendo conto che il colpo d’occhio su Lefkada e sul mare che la circonda è a dir poco meraviglioso. La posizione rialzata mi consente di guardare a 360 gradi verso la città di Leucade, sulla costa orientale di Lefkada, di intuire in lontananza la silhouette dell’isoletta di Meganisi e di guardare indietro verso la stessa Preveza.

Gli occhi indugiano su un pezzo di mare dove la storia racconta moltissimo di italici prima e italiani poi: alle spalle di Lefkada, infatti, guardando da nord a sud, ci sono Cefalonia, Itaca, Zante… Nomi che ricorrono praticamente dalla notte dei tempi e che richiamano mitologia, poemi ed eroi della tradizione greca.

Dalla stessa posizione si comprende anche che questa fortezza medievale, circondata da un fossato, è stata realizzata sul cordone litoraneo con l’intento di proteggere il braccio di mare tra Lefkada e la costa opposta di Akarnania, che consentiva l’accesso alla laguna di piccole imbarcazioni.

 

Comincio a gironzolare all’interno della fortezza e mi imbatto in qualcosa di straordinario dal punto di vista della documentazione storica: cannoni di bronzo su cui campeggia il nome della fonderia Carlo Camolli di Bergamo. Avranno almeno trecento anni, se si considera che da queste parti il possedimento veneziano è andato dal 1684 al 1797 (con una pausa nel 1715-16 per la temporanea occupazione ottomana).

Gli storici raccontano che a volere fortemente la sua edificazione è stato il veneziano Giovanni Orsini nei primi anni del quattordicesimo secolo e che ha preso il nome dalla preesistente piccola chiesa di Agia Mavra, ovvero quella Santa Maura molto venerata da queste parti. Di qui poi sono passati praticamente tutti: dopo i Veneziani, i Francesi, poi i Russi, di nuovo i Francesi e infine gli Inglesi. Il castello nel tempo ha subìto rimaneggiamenti ma nel complesso si è conservato molto bene: all’interno, oltre alla chiesina dedicata ad Agia Mavra, si individua l’articolazione degli spazi necessari al funzionamento della struttura, dai locali per l’amministrazione alle cisterne.

 

“Attraverso la forza della sua flotta, la ricchezza mercantile e una serie di azioni politiche, Venezia, ottenuto il dominio dell’Adriatico, giunse a monopolizzare le rotte con l’Oriente e a divenire, con la IV crociata, il fulcro di un esteso dominio marino. Dal XIII secolo, quindi, lo Stato di mare si ampliò all’Istria, alla Dalmazia e al Levante, con il controllo di gran parte dell’Egeo e di Creta” annota Elena Zanardo nella sua tesi di laurea al Politecnico di Torino “Il patrimonio fortificato della Repubblica di Venezia come emblema di identità interculturale: per un’ipotesi di riformulazione della candidatura Unesco”.

Va ricordato infatti che le opere di difesa veneziane tra il XVI e XVII secolo sono già un sito seriale transnazionale che si articola in sei strutture dislocate in Italia, Croazia e Montenegro, estendendosi per oltre mille km tra Bergamo, Palmanova e Peschiera del Garda per l’Italia, Zara e Sebenico per la Croazia, Cattaro per il Montenegro. L’organizzazione e le difese dello Stato da Terra, che proteggeva la Repubblica di Venezia dalle altre potenze europee a nordovest, e lo Stato da Mar, che proteggeva le rotte marittime e i porti nel Mar Adriatico verso Levante, erano necessarie per sostenere l’espansione e il potere di Venezia.

Con l’introduzione della polvere da sparo a scopi bellici avvennero cambiamenti significativi nelle tecniche e nell’architettura militare che portarono alla progettazione di fortificazioni definite “alla moderna”, o bastionate. Queste ampie e innovative reti difensive stabilite dalla Repubblica di Venezia hanno un eccezionale valore storico, architettonico e tecnologico e contribuiscono alla configurazione del paesaggio, rafforzando la qualità del campo visivo delle sei strutture, nonché le strutture urbane e difensive risalenti a periodi storici precedenti (medievali) e più recenti (come le modifiche e le aggiunte del periodo napoleonico e ottomano).

 

Lavori alla palazzina di guardia Diventerà spazio a uso pubblico
Da larena.it del 10 novembre 2020

Una struttura all’interno dell’ex base aeronautica di Bovolone

Tornerà a nuova vita la palazzina di guardia all’entrata della ex base militare di Bovolone, un tempo adibita a zona lancio dei missili intercettori dell’Ex 72° Gruppo I.T. C’è infatti, sulla palazzina, un progetto, già definitivo, per 300 mila euro, elaborato dallingegner Antonio Rudella, passato dalla Giunta, completo anche di cronoprogramma. Gli uffici hanno fatto partire, sulla piattaforma che gestisce il mercato elettronico della pubblica amministrazione, la procedura per l’assegnazione dei lavori di riqualificazione. L’immobile, che misura 250 metri quadri al piano terra, sarà destinato a usi collettivi, nuovi spazi per associazioni del paese e per il gestore dell’area che si estende su 380mila metri quadri. «La ricerca di gestori continua», precisa il sindaco Emilietto Mirandola, «tuttavia il Comune va avanti nella ristrutturazione. Abbiamo raccolto alcune manifestazioni di interesse a gestire la base e stiamo predisponendo un bando per raccogliere proposte più precise». La palazzina avrà sale riunioni, vari locali di servizio e bagni. Una parte sarà a disposizione dell’associazione Arma Aeronautica Aviatori d’Italia, sezione di Bovolone, che ha per soci molti militari che hanno prestato servizio nella ex base militare aeronautica. L’opera è stata inserita il 28 settembre scorso nel piano triennale dei lavori pubblici 2020/2022, approvato in Consiglio comunale ed è finanziata. L’immobile in questione fa parte di un gruppo di edifici realizzati all’interno della base nel 1959, anno in cui la Nato ha sviluppato il programma di difesa missilistica e si è insediata a Bovolone.

Pur non avendo valenza da un punto di vista architettonico, l’edificio rappresenta una «memoria storica» per molti cittadini di Bovolone, che hanno effettuato il servizio di leva o la successiva carriera militare, nella Base missilistica. Da qui la decisione di salvaguardane la memoria. Il progetto prevede una sala riunioni per circa 30 persone e tre locali da adibirsi a sede sociale, un ufficio, con potenziale funzione di futura guardiola di sorveglianza per l’accesso all’area comunale e due bagni, uno dei quali idoneo per disabili, un ripostiglio e una centrale termica ed infine c’è un ripostiglio esterno. I bagni potranno essere utilizzati anche in occasione di manifestazioni esterne, ovvero durante le manifestazione in cui si usano solo aree verdi, come ad esempio per la periodica Festa degli Aquiloni. Su una parte dell’edificio verrà installato un solaio in legno mentre all’interno è prevista la realizzazione di pareti in cartongesso, la sostituzione dei serramenti e un cappotto perimetrale che ne garantisce l’isolamento termico. Avrà una pompa di calore ad inverter che alimenta dei convettori in grado sia di riscaldare che di rinfrescare i locali. C’è inoltre il margine, da un punto di vista finanziario, per ulteriori migliorie esterne come il marciapiede perimetrale e una recinzione in muratura. Il cronoprogramma prevede 27 settimane per terminare il tutto, ovvero 190 giorni dall’inizio lavori. Opere che sarebbero dovute partire il primo di settembre ma c’è un ritardo: la speranza per l’amministrazione è di poter aprire il cantiere entro la fine dell’anno.

Roberto Massagrande

 

Augusta città-museo: collezioni ampliate e recupero delle fortificazioni
Da ecostiera.it del 10 novembre 2020

Di Massimo Ciccarello

AUGUSTA – “Augusta si riappropria della sua storia”. E’ racchiuso in questa sintetica osservazione di Antonello Forestiere, l’ultimo risultato dello sforzo di chi cerca nella cultura il riscatto dall’immagine della città come “terra dei veleni”. Il commento che arriva dal direttore del Museo della Piazzaforte, si riferisce alla più recente acquisizione nella collezione di cimeli militari. Si tratta di due “pietriere da braga”, recuperate e restaurate dalla Marina nei fondali immediatamente antistanti la costa dello Sbarcatore dei turchi. La coppia di cannoncini, risalenti a un periodo compreso fra il XV e il XVI secolo, verrà sistemata nell’ingresso di rappresentanza del Municipio. Il Rotary club ha provveduto alle delicate operazioni di collocazione davanti lo scalone monumentale che si apre su piazza Duomo, provvedendo anche ai supporti in metallo necessari per l’esposizione permanente. Il trasferimento ufficiale al patrimonio museale cittadino avverrà il 13 novembre, nel corso di una sobria cerimonia a Palazzo di città dove lo storico co-fondatore della raccolta darà tutti i dettagli.

La Marina cede al museo due cannoni del XV secolo.

Le restrizioni anti-Covid impediscono l’usuale enfasi nella consegna dei due cimeli carichi di secoli, la cui storia passata è ancora avvolta nel mistero e quella recente ricca di tribolazioni. Sono stati scoperti all’inizio del nuovo Millennio da un sub augustano, che insieme a un compagno di immersioni ha effettuato i primi rilievi. Le segnalazioni alle autorità hanno poi messo in campo il nucleo di carabinieri specializzati e la Guardia costiera. Recuperati dal basso fondale dove erano adagiati, a poche decina di metri dalla scogliera impervia, per una decina di anni sono rimasti in custodia nella base di Marisicilia. Dove è stato effettuato anche il loro restauro, secondo le indicazioni scientifiche del Museo regionale del Mare. Ultimati gli ultimi interventi di conservazione, le tenaci richieste per esporli pubblicamente sono arrivate in porto con la nuova amministrazione comunale.

Armi perse dai turchi messi in fuga da San Domenico?

Il contrammiraglio Andrea Cottini cederà i due cimeli nella mani del sindaco Peppe Di Mare, nel corso di una breve cerimonia a Palazzo di città fissata a mezzogiorno, e alla quale sono ammessi solo i giornalisti. Una consegna sobria nelle forme, ma non nei contenuti. Innanzitutto perché sarà occasione per il direttore Forestiere di approfondire gli aspetti storici delle nuove acquisizioni, con il carico di suggestivi interrogativi che le “pietriere da braga” si portano dietro. Si tratta di cannoncini di piccolo calibro, ma micidiali alla corta distanza su truppe ed equipaggi nemici. Armi adatte a dare copertura di fuoco anche uno sbarco, e qui la fantasia degli amanti di storia locale corre veloce. L’assenza di indicazioni sulla loro provenienza, infatti, non fa escludere a priori una loro origine ottomana. E il tratto di costa dove sono state rinvenute, è lo stesso che la tradizione indica come il luogo dove l’apparizione miracolosa di San Domenico impedì ai pirati turchi la loro sanguinosa scorreria. Tuttavia è più probabile che fossero il carico di una nave da trasporto, perso durante una tempesta. Ipotesi supportata dal fatto che le ricerche subacquee intorno il sito non ha portato ad alcun ritrovamento.

L’assessore: si coordineranno le istituzioni culturali.

Probabilmente non si saprà mai di cosa sono state testimoni secoli fa le due “pietriere da braga”. E’ più facile invece recuperare e tramandare le testimonianze della storia più recente. Quasi in contemporanea con il comunicato del sindaco sulla cerimonia con la Marina, ne è arrivato un altro dell’assessorato alla Cultura sul rilancio del Museo della Piazzaforte. “L’amministrazione comunale intende promuovere un modello di sviluppo anche attraverso una gestione coordinata delle istituzioni culturali della città, con particolare attenzione alle realtà museali che meritano la necessaria attenzione”, scrive l’assessore Pino Carrabino. Ha cominciato incontrando proprio il direttore Forestiere. “Ripartire dall’orgoglio dell’identità facendo leva sulla storia e la tradizione locale: una storia che si esprime nella raccolta del Museo della Piazzaforte, con testimonianze che illustrano dalla fondazione della città ai giorni nostri”. Hanno discusso dei nuovi spazi, più idonei di quelli al piano terra del Municipio dove ora si trovano le teche, che fra l’altro consentano di riprendersi “quella parte di collezione temporaneamente ospitata presso il Museo delle Ciminiere a Catania”. Ma l’aspetto più interessante del comunicato sono “quelle iniziative che nei prossimi mesi vedranno l’amministrazione sostenere un programma finalizzato a far conoscere la struttura museale con specifici incontri rivolti anche al mondo della scuola”.

L’idea dell’assessorato è quella di ”identificare alcuni siti del territorio legati a vicende storiche e ad alcuni personaggi, che si sono distinti onorando il nome della città. Con questo progetto intendiamo creare un itinerario di ampio respiro che superi i confini locali grazie anche al supporto dell’associazionismo di settore”. I luoghi della memoria dovrebbero essere quelli legati allo sbarco alleato del 1943. In particolare si pensa al recupero di una parte del sistema di batteria contraeree, che difendevano la piazzaforte. Un centro di osservazione e avvistamento, con annessa postazione di artiglieria, si trova in perfetto stato di conservazione all’interno del comprensorio scolastico del Monte. Proprio accanto dove un tempo c’erano le caserme con le sirene d’allarme, e dove ora si trova una chiesa all’aperto aperta in estate per celebrare messa e a Natale per inscenare il presepe vivente. Il restauro di questa struttura militare proprio dentro un istituto scolastico avrebbe una grande valenza educativa ai valori della pace, visto che questo periodo tragico ormai solo pochi augustani ultra ottantenni lo ricordano direttamente. Ma l’avvio di un circuito museale all’aperto sulle vestigia della Seconda guerra mondiale, non potrebbe fare a meno delle fortificazioni praticamente intatte di Punta Izzo. Dove la Marina militare vorrebbe farci un moderno poligono di tiro, e le associazioni ambientaliste un parco naturale smilitarizzato. E così potrebbe accadere che attraverso la conservazione della memoria sul passato, la politica del presente potrebbe far cambiare idea alla Difesa. Chi ha detto che lo studio della storia patria è solo un colto passatempo?

 

Restauro delle Mura di Barga, si prosegue con il secondo lotto di lavori
Da giornaledibarga.it del 9 novembre 2020

BARGA – Dopo il bel lavoro concluso a luglio sul Piazzale del Fosso con la ristrutturazione e la valorizzazione del tratto di mura castellane che va da Porta Reale fino al Bastione del Fosso, sono attualmente in corso gli interventi che riguardano un’altra storica e preziosa porzione delle mura di Barga, quella che va da Porta Macchiaia, l’altra porta di ingresso all’antico castello, fino all’antico acquedotto.

Il tutto fa parte del progetto “Restauro conservativo e riqualificazione del sistema delle fortificazioni di Barga”
Come già avvenuto per le mura del Fosso anche qui si sta procedendo alla ripulitura delle mura stesse ed al loro protezione, per consolidare la tenuta e la difesa delle pietre
I lavori sono eseguiti, come per il piazzale del Fosso, dalla ditta Lorenzini Pietro.

Il risultato, anche se non siamo ancora alla conclusione, è già notevole e le foto dei lavori scattate dai barghigiani si sprecano sui social.
“A che punto siamo? Siamo al 70% dei lavori – dice in proposito assessore ai lavori pubblici Pietro Onesti – E’ un intervento atteso e che darà risalto alla bellezza del centro storico. Anche il restauro del vecchio acquedotto sta procedendo bene e contiamo di aver ultimato anche questa seconda tranche entro la fine dell’anno”
I lavori, sono finanziati interamente dal ministero Beni Culturali nell’ambito del progetto Rocche e Fortificazioni, che in Valle del Serchio ha permesso il recupero di importanti monumenti. Alla fine costeranno per l’intero intervento riguardante le due porzioni di mura castellane, circa 600 mila euro.
“Vorrei ringraziare – dice ancora Onesti – per questa opportunità di valorizzazione dei monumenti barghigiani il senatore Andrea Marcucci per quanto fatto per il sostegno al Progetto Rocche e fortificazioni, quando era sottosegretario ai beni culturali”

 

Il Castello Normanno-Svevo di Gioia del Colle e lo spettro di Bianca Lancia
Da ilcorrieresalentino.it del 8 novembre 2020

Di Cosimo Enrico Marseglia

Splendido gioiello legato al Puer Apuliae, il Castello di Gioia del Colle si erge nel centro storico cittadino. Il nucleo più antico risale al IX secolo, in pieno dominio bizantino, ed era costituito da una recinzione rettangolare fortificata entro cui doveva rifugiarsi la popolazione in caso di necessità. La struttura occupava l’attuale ala settentrionale. Sotto la dominazione normanna degli Hauteville il castello venne rinforzato ed ingrandito, come risulta da un atto del 1108, ad opera dell’architetto Riccardo Siniscalco che allargò il cortile a sud cingendolo con una cinta muraria ed elevando un mastio allo spigolo sudoccidentale, successivamente chiamato Torre De’ Rossi. Ulteriori aggiunte furono effettuate dal Re di Sicilia Ruggero II de Hauteville che aggiunse due torri agli angoli nordorientale e nordoccidentale ma che adesso non esistono. Il castello, insieme alla città, fu distrutto dalla furia devastatrice di Guglielmo I il Malo, figlio e successore del suddetto Ruggero II, durante la campagna contro i baroni ribelli e che costò la distruzione di molte città pugliesi, alcune delle quali mai più ritornarono in vita..

Fu Federico II di Svevia a rifondare il castello intorno al 1230 con l’elevazione di una torre, detta Torre Imperatrice, all’angolo sudorientale, e la costruzione di cortine nel cortile, ricavando magazzini, scuderie, stalle al piano terra e locali residenziali al piano nobile. La fortezza assunse così una pianta quadrangolare con quattro torri angolari. In tale epoca il castello fu sede di presidio militare anche se probabilmente Federico vi soggiornò spesso per le sue battute di caccia. Secondo una leggenda, l’imperatore avrebbe chiuso per gelosia in questo castello la sua amante Bianca Lancia, madre di Manfredi, secondo la leggenda nato proprio a Gioia del Colle. Un’altra storia racconta che la stessa Bianca Lancia, in fin di vita, avrebbe chiesto a Federico, per la terza volta vedovo, di riconoscere i loro figli e questi l’avrebbe sposata rendendola imperatrice per pochi giorni. Un’altra leggenda racconta che la povera Bianca, richiusa in una delle torri a causa della gelosia dell’imperatore, dopo la nascita di Manfredi si sarebbe mutilata tagliandosi il seno e mettendolo insieme al bambino su un vassoio d’argento da offrire quale pegno di fedeltà al dubbioso monarca, prima di suicidarsi. Leggende …
Subentrati gli Angioini sul trono di Napoli, il castello divenne proprietà dei Principi di Taranto sino al XV secolo, quindi dei Conti di Conversano che lo tennero sino al XVII secolo e da qui passò alla famiglia degli Acquaviva d’Aragona, Signori di Conversano, che lo tennero sino agli inizi del XIX secolo. Tutti questi nuovi proprietari a poco a poco trasformarono il castello da roccaforte militare a residenza signorile, pur mantenendo quasi intatta la sua originale struttura.
Dopo ulteriori passaggi di proprietà, finalmente il castello è stato rilevato dal Comune che ha provveduto in diverse fasi al restauro ed oggi può essere ammirato come monumento ma anche può essere utilizzato per manifestazioni culturali. Il castello ha una pianta rettangolare con un cortile interno, intorno al quale sorgono vari locali su due piani.

Agli angoli sudorientale e sudoccidentale si ergono due delle quattro torri originarie, le già citate Torre De Rossi a sud-ovest e Torre Imperatrice a sudest. Esteriormente è possibile notare i differenti stili architettonici che si sono succeduti nel corso dei secoli, con una predominanza tuttavia di quelli relativi all’epoca sveva con le notevoli varianti inclusi i riferimenti all’architettura moresca. Sulle torri e sulle cortine si presentano diverse finestre monofore, bifore ed anche una trifora, oltre a varie feritoie disposte apparentemente a caso.

Come nelle migliori tradizioni, un simile maniero non poteva ovviamente essere privo di storie relative a fantasmi. Tuttavia in questo caso si tratta di uno di autorevole importanza, quello di Bianca Lancia, che il castello divide anche con quello di Monte Sant’Angelo, in Provincia di Foggia. Pare infatti che lo spettro, nelle sue apparizioni, si divida fra queste due fortezze. Comunque, ritornando al nostro argomento, diversi testimoni, specialmente fra gli anziani di Gioia del Colle, giurano di aver intravisto visto di notte la figura evanescente di Bianca Lancia che, terribilmente bella ed affascinante da far impazzire gli uomini, tra rumori e raccapriccianti gemiti, si muove in maniera furtiva fra le stanze del castello.

 

Olbia, nel vecchio bunker di Mogadiscio trovano casa i senzatetto
Da galluraoggi.it del 8 novembre 2020

Il bunker a Olbia in zona Mogadiscio.

Nella casamatta di Mogadiscio, proprio sul mare di Olbia ci sono rifiuti di ogni tipo. Un materasso, stracci e alcune sedie. La sera c’è anche chi trova riparo e ci passa la notte. I residenti hanno segnalato più volte la situazione di degrado alle forze dell’ordine. Ma nulla è cambiato.

Non è la prima volta che quel bunker, risalente alla seconda guerra mondiale, viene utilizzato da sfollati e senza fissa dimora. Addirittura negli anni Cinquanta era stato abitato per diverso tempo da una famiglia. Con il passare degli anni tanti altri hanno trovato dalle intemperie all’interno del bunker. Ora tra i rifiuti e le feritoie si vede nuovamente la presenza dei senzatetto.

 

A Fiumicino manifestazione contro la demolizione di un bunker
Da agi.it del 8 novembre 2020

Si tratta di un piccolo bunker italiano della Seconda guerra mondiale che dovrebbe essere demolito per fare posto ad un'abitazione di edilizia privata

AGI - Il Network italiano bunker e rifugi antiaerei ha lanciato un appello perché siano immediatamente fermate le ruspe che nei giorni scorsi hanno iniziato la demolizione di un piccolo bunker italiano della Seconda guerra mondiale a Focene (Fiumicino) per fare posto ad un'abitazione di edilizia privata.

"La demolizione, che ha già danneggiato la parte posteriore della struttura bellica in cemento, e' stata avviata nonostante una diffida inviata dalla Soprintendenza per l'Area metropolitana di Roma, che ha segnalato l'assenza nella procedura di autorizzazione della preventiva verifica di interesse del bene. Ad oltre 75 anni dalla loro costruzione, infatti, i bunker sono tutelati "ope legis" dal Testo unico dei Beni culturali", informa l'associazione in una nota.
Questa mattina a Focene (Fiumicino) si è svolta una manifestazione dei residenti in difesa del "fortino" e del suo valore di memoria storica. Si tratta della prima protesta pro bunker che si sia mai svolta in Italia. "Il bunkerino di Focene - ricorda Lorenzo Grassi, coordinatore del Gruppo Ipogei bellici dell'Associazione Sotterranei di Roma - non è un semplice rudere di cemento da bonificare e togliere di mezzo, ma un tassello dell'importante sistema difensivo dei Caposaldi realizzato nei primi anni Quaranta per prevenire un eventuale sbarco sul litorale romano con attacco alla Capitale. Va dunque preservato, al limite con un suo trasloco e una musealizzazione. E' ciò che sta avvenendo in molte altre parti d'Italia. Ci auguriamo che le ruspe siano fermate immediatamente".

 

Scopriamo i cunicoli scavati nella Colline du Château durante la Guerra
Da montecarlonews.it del 8 novembre 2020

L’interessante storia dell’eterna incompiuta: la sua storia iniziò in pieno conflitto, nel 1938. Quell'anno iniziarono delle opere di difesa per scongiurare eventuali bombardamenti della costa attraverso la presenza della contraerea, ma...

Un filmato, curato dai servizi culturali della città di Nizza, consente ai più di scoprire le gallerie scavate, durante la Seconda Guerra Mondiale, all’interno della collina del castello.
Avevano una funzione militare e, al loro interno, si trova anche l’unico “pezzo” rimasto della Jetée-Promenade, il Casino “in mezzo al mare” demolito dai tedeschi durante la guerra.

A Rauba Capeu, un tempo vi erano i “Bains de la police” che ora sono “parte” del Castel Plage: la loro “storia” inizia nel 1938 quando la Francia scende in guerra dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche.
In pieno conflitto la città di Nizza, in accordo con le autorità militari, decide di iniziare delle opere di difesa per scongiurare eventuali bombardamenti della costa attraverso la presenza della contraerea. Viene individuato, per la sua posizione strategica, il sito posto a ridosso del mare all’altezza di Rauba Capeu e i lavori iniziano, ma non vengono portati a compimento perché nel giugno del 1940 la Francia “firma” l’armistizio e il cantiere rimane incompiuto.
Giunge, però, a Nizza la Regia Marina Italiana che installa il suo quartier generale all’Hotel de Suisse, proprio sopra il cantiere incompiuto. La marina italiana “rispolvera” il progetto di realizzare in quel punto un sistema contraereo, ma…giunge l’8 settembre del 1943 e i lavori, che andavano un po’ a rilento (…), vengono nuovamente interrotti.
Al posto degli italiani s’installa allora, sempre all’Hotel de Suisse, lo stato maggiore della Kriegsmarine, la marina militare tedesca, e…l’idea riprende forza. Il problema, secondo gli strateghi tedeschi, per assicurare la piena funzionalità alla casamatta di Rauba Capeu, è data dal Casino de la Jetée-Promenade che ostruisce la totale copertura della Baia degli Angeli, si cominciano infatti a temere anche gli sbarchi. Così il celebre Casinò, che rappresentava uno dei simboli della città, viene smantellato e alcuni suoi “pezzi” vengono riutilizzati per completare il dispositivo contraereo e di difesa da eventuali sbarchi di Rauba Capeu.
Ecco il motivo per cui ai “Bains de la police” vi era una scala che ricordava la Belle Époque: proveniva dal Casino della Jetée-Promenade. Il sistema di difesa da eventuali sbarchi prevede la realizzazione, per una lunghezza di un migliaio di chilometri, di casematte, nidi di mitragliatrici, casematte: tutto inutile, nel 1944 le truppe alleate sbarcano nei pressi di Cannes e…la casamatta di Rauba Capeu viene nuovamente abbandonata al suo destino.
Ormai la guerra sta finendo e di installazioni militari nessuno ne vuole più sentir parlare. Così la Prefettura delle Alpi Marittime, nel 1947, assegna la “casamatta”, perché diventi uno stabilimento balneare, alla Polizia in considerazione dell’eroico comportamento tenuto nel corso durante la Liberazione della città.
Si tratta di 400 metri quadrati che rivivono in uno dei punti più panoramici della città. Poi, man mano, il degrado e l’incompiuta diviene luogo di ritrovo per generazioni di ragazzi che utilizzano gli scogli e le strutture per i loro tuffi in mare. Il degrado avanza e ci pensa pure una violenta mareggiata a rendere sempre più precari i “Bains de la police”: i suoi gestori non hanno la possibilità di assicurare interventi di manutenzione molti cari e complessi, da qui la rinuncia alla concessione. Viene pubblicato allora un primo bando andato deserto, mentre il secondo, all’inizio di quest’anno, ha finalmente consentito a questa “incompiuta” di scrivere una nuova pagina.

 

Ok i lavori al Bastione. Al via altri due cantieri
Da ilrestodelcarlino.it del 8 novembre 2020

Mondolfo, il sindaco Barbieri fa il punto. In settimana l’intervento per la fermata del bus sulla Statale e per l’illuminazione sulla Cesanense

Stanno proseguendo secondo la tabella di marcia i lavori di restauro e di miglioramento sismico del Bastione Sant’Anna, iniziati nel mese di giugno.

Una struttura, il Bastione, risalente alla seconda metà del 16esimo secolo realizzata nel settore lungo le mura perimetrali di Mondolfo in cui sorgeva la torre abbattuta durante l’assedio del 1517 ad opera di Lorenzino de’ Medici.

Insomma, un baluardo a ridosso della cinta muraria, che poi, intorno al 1650, divenne il giardino del monastero che era stato edificato nell’adiacente piazza...

 

Avesa, l'ex Polveriera di Monte Arzan rivive grazie ai volontari
Da daily.veronanetwork.it del 7 novembre 2020

L’ex Polveriera di Monte Arzan, ad Avesa, torna a "vivere" grazie al patto di sussidiarietà firmato stamattina: presto gli Alpini di Avesa, il gruppo Scout Verona 10, l’associazione Angeli del Bello e Swan Team Verona Soft Air si metteranno al lavoro per bonificare, recuperare e valorizzare lo storico poligono di tiro militare.

Per i prossimi tre anni puliranno l’area e sfalceranno l’erba, cureranno il bosco, recupereranno gli immobili, come il corpo di guardia e i manufatti presenti. Il tutto permetterà alla cittadinanza di fruire degli spazi pubblici e di partecipare alle iniziative che verranno organizzate. I volontari, infatti, si sono resi disponibili a ideare eventi storico-culturali legati al territorio, alla Polveriera e all’ambiente circostante, da programmare non appena sarà possibile.

Questa mattina, sulle colline di Avesa, è stata organizzata una piccola cerimonia per il passaggio delle consegne. A firmare il patto di sussidiarietà l’assessore al Decentramento Marco Padovani. Era presente anche la presidente della seconda Circoscrizione Elisa Dalle Pezze, oltre ai rappresentanti dei gruppi di volontariato.

«Questa è la vera cittadinanza attiva – ha detto Padovani -. I veronesi, grazie ai patti di sussidiarietà, possono prendersi cura dei beni pubblici, proponendo piccoli e medi interventi. Un supporto al lavoro dell’Amministrazione comunale che rende possibile la riqualificazione di angoli meravigliosi della nostra città, ricca di siti storici così come di pregio ambientale. Tra i lavori che verranno realizzati, infatti, anche la bonifica di tutta l’area circostante. Tra qualche mese i cittadini potranno godere di questo luogo, al quale Avesa è particolarmente affezionata».

 

Via il bunker a Focene, cade l’ultimo baluardo
Da qfiumicino.com del 5 novembre 2020

Da ieri le ruspe sono al lavoro nell’area che si trova tra viale di Focene e via delle Acque Basse a Focene, proprio dove si trovava lo storico bunker costruito in tempi di guerra, che da oggi non ci sarà più in quanto sarà demolito.

Per tutti era il “fortino”, dove ci sono cresciute tre generazioni. Era il luogo dove poter socializzare negli orari extrascolastici, visto che Focene non ha mai avuto centri di aggregazione.
Ma aveva anche una grande valenza storica, era il simbolo della località. Ma adesso l’ultimo baluardo deve lasciare posto a una nuova edificazione.

“I bunker della seconda guerra mondiale – si legge nella nota del ‘Nuovo Comitato Cittadino Focene’ – sono considerati dagli storici come patrimonio culturale da preservare come pure per le comunità in cui si trovano un valore da mettere a sistema per essere valorizzato.

Furono realizzati dall’esercito tedesco e italiano dopo il 1943 per contrastare l’avanzata degli alleati lungo le coste italiane. Risulta veramente incomprensibile e odiosa l’autorizzazione concessa ad un privato per la sua demolizione. Per chi a Focene è cresciuto è ‘il Fortino’ e molti ricordi ci legano a questo cimelio”.

 

A nulla sono servite le proteste dei Comitati e di numerosi cittadini, perché i lavori hanno tutte le autorizzazioni necessarie. E a Focene perde l’ultimo baluardo.

“Un pezzo di storia che se ne va – dice Alessandro Spagnolo, presidente del Comitato ‘Fare Focene’ – per lasciare spazio all’edilizia privata. Una struttura della seconda guerra mondiale che sta per essere abbattuta con regolari permessi e autorizzazioni rilasciate. Una struttura che poteva essere restaurata e donata alla città oggi verrà demolita. Mi dispiace per me quanto sta accadendo risulta essere questo l’ennesimo fallimento di questa amministrazione.

Grazie a chi è stato utile affinché questo accadesse”.

 

Castro, nel vecchio maniero il Castello delle idee e della biblioteca di comunità
Da piazzasalento.it del 4 novembre 2020

Di Maria Rosaria De Lumè

Castro – Sono iniziati al Castello aragonese i lavori di restauro per potenziare la Biblioteca esistente destinata a diventare una “Biblioteca di comunità: un Castello di idee presso il Castello di Castro”, all’interno del progetto finanziato dalla Regione Puglia per un importo complessivo di 433.762,04 euro. Il Castello, completamente restaurato negli ultimi anni, dispone di una sala convegni e ospita, nelle sale e nel torrione angolare di levante, il Museo civico “Antonio Lazzari” con la mostra archeologica permanente “Castrum Minervae: tra Greci e Messapi”, che permette di ammirare i numerosi e vari reperti provenienti dalle recenti campagne di scavo nel centro storico.

Cosa prevede il progetto

Il progetto, promosso dall’Amministrazione comunale guidata da Luigi Fersini e condiviso con la comunità all’interno della programmazione partecipata “Ripensiamo Castro”, ha l’obiettivo di creare una Biblioteca come “luogo aperto alle famiglie grazie alla vasta scelta di servizi che si rivolgono a tutte le fasce d’età”. Luogo aperto, quindi per i genitori e i figli, un “grande centro culturale polifunzionale”, un “castello di idee” come suggerisce il titolo del progetto. Prevista una nuova area in cima alla torre, attualmente all’aperto, che amplierà notevolmente la superficie della biblioteca. Ci saranno due grandi finestroni che permetteranno di allargare lo sguardo fino a Leuca. L’area in questione si potrà raggiungere sia con una rampa di scale esterna che con un ascensore interno.

Tacnologia innovativa e arredi sicuri

La Biblioteca si avvarrà di tutti gli arredi e servizi tecnologici a vantaggio dei più giovani e di chi ha qualche difficoltà visiva e motoria. Completeranno il progetto la digitalizzazione della biblioteca esistente e l’acquisto di nuovi libri. La progettazione esecutiva e la direzione dei lavori è affidata all’ architetto Gaetano Leopizzi di Parabita; la ditta esecutrice dei lavori è Edilcostruzioni srl di Santa Cesarea Terme. La durata prevista dei lavori è di 180 giorni naturali e consecutivi.

 

Torre Olevola, al Comune arriva la svolta
Da latinaoggi.eu del 4 novembre 2020

San Felice Circeo - Accordo con la Fondazione Gaslini per il comodato d’uso gratuito: durerà 15 anni. Ora messa in sicurezza e riqualificazione

Svolta all'orizzonte per Torre Olevola, a San Felice Circeo. La Giunta ha infatti deliberato di accettare l'offerta con cui la Fondazione Gerolamo Gaslini è intenzionata a cedere in comodato d'uso gratuito la struttura al Comune per quindici anni. Ora spetterà al responsabile del settore Patrimonio il compito di sottoscrivere l'atto. A portare avanti l'iter è stato il delegato ai Beni Archeologici Angelo Guattari, che ha relezionato sul tema durante la seduta di Giunta. L'obiettivo di acquisire la torre è stato espresso più volte, anche con una nota indirizzata alla "Gaslini" nell'aprile del 2018. L'intoppo è stato chiaramente di natura economica e il Comune, almeno per ora, ha deciso di procedere con una soluzione sostanzialmente a costo zero, anche se poi dovrà farsi carico dei lavori di manutenzione e di messa in sicurezza. Torre Olevola, infatti, è ormai abbandonata da tempo e versa in condizioni tutt'altro che ottime.

L'immobile ha però enorme valenza storica, riconosciuta anche con un decreto del ministero per i Beni Culturali risalente a luglio del 1982. «Rappresenta – si legge nel decreto con cui il sito è stato dichiarato di interesse – un rilevante esempio di architettura militare del secolo XVI. Fu fatta costruire da Papa Pio V intorno al 1560 per rafforzare il sistema difensivo costiero dello Stato Pontificio nel tratto tra Terracina e Nettuno. Essa fu completamente riedificata nel 1701 per ordine di Papa Clemente, come testimoniato dall'iscrizione posta sull'architrave della porta». Dal punto di vista architettonico rappresenta anche una novità per l'architettura militare della zona, «in quanto di pianta quadrata con base a scarpa e orientata di spigolo verso il mare al fine di ridurre l'effetto delle artiglierie».

Nel documento del comodato, si legge anche che «la prima documentazione storica della Torre Olevola si trova in una mappa del 1469 realizzata da Leonardo da Vinci raffigurante le zone paludose delle quali Leonardo progettava la bonifica al tempo di Papa Leone X». Considerata l'importanza storica e architettonica, atteso che dalla riedificazione l'edificio non ha subito interventi di modifica, il Comune di San Felice Circeo ha interesse a salvaguardare e valorizzare la torre, che, inutilizzata da tempo, «è stata depredata dei serramenti, dei pavimenti e delle relative travi di sostegno in tutti i piani di cui è composta, fatta eccezione per il terrazzo e il piano terra». Via libera dunque alla sottoscrizione del comodato d'uso gratuito per quindici anni. Ora, terminate le formalità, si dovrà cominciare a pensare alla messa in sicurezza e alla riqualificazione.

 

Spa e hotel di lusso in riva al mare tra i bunker dell’Asse, dall’ex Tiro a Volo sopralluogo di Guardia Costiera e Regione
Da riviera24.it del 3 novembre 2020

Di Luca Simoncelli

L'oggetto della visita è stato sostanzialmente una quello di fare una "fotografia" della situazione demaniale dell'area dove nelle intenzioni della società O.i.t. srl, stessa ditta proprietaria del confinante campeggio, si dovrebbe costruire

Sanremo. Una volta ospitavano armi, strumenti di morte di una (non troppo) vecchia tecnologia bellica, in un futuro essere destinati a far parte integrante del centro benessere di un albergo di lusso. La zona dove sorge la rete di bunker della seconda guerra mondiale, vicino all’ex Tiro al Volo di Pian di Poma, all’epoca base navale segreta ed ultra avanzata dell’Asse, stata stamane oggetto di sopralluogo da parte di tecnici della Regione, Demanio e militari della Guardia Costiera.

L’oggetto della visita è stato sostanzialmente una quello di fare una “fotografia” della situazione demaniale dell'area dove nelle intenzioni della società O.i.t. srl, stessa ditta proprietaria del confinante campeggio, dovrebbe essere costruito un’albergo di lusso con relativa spa.

Parte della zona dove si vorrebbe edificare dovrebbe essere quindi prima sdemanializzata, e stamane la delegazione sarebbe stata lì anche per capire quali pratiche sono necessarie per questa procedura burocratica.

Sicuramente, se il progetto andasse a buon fine (si parla di un investimento di quasi cinque milioni da parte della Oit) sarà interessante vedere che fine faranno le installazioni belliche.

Rimuoverle sarebbe un impresa da titani. Si inseriranno quindi nell’esclusivo ambiente di un resort della Costa Azzurra, tra saune, idromassaggi e bagni termali? Se non addirittura ne diventeranno parte integrante, con i clienti immersi nel vapore acqueo, dentro una cupola di cemento armato dove prima, una volta, c’era magari un siluro a lenta corsa.

 

Nuova vita per l’Ottagono Ca’ Roman nella Laguna di Venezia
Da requadro.com del 3 novembre 2020

Di Danilo Premoli

L’Ottagono Ca’ Roman è un’isola artificiale della laguna veneta situata presso Pellestrina con una superficie di circa 2.000 mq con lati di circa venti metri. Realizzata nel 1500 dalla Repubblica Veneta a difesa della città fu utilizzata anche nella Seconda Guerra Mondiale e attualmente sono ancora presenti i resti di una torretta usata come postazione di guardia e un bunker semicircolare a ridosso delle mura alte circa quattro metri e mezzo. Dopo anni di completo abbandono, l’Ottagono è stato inserito dall’Agenzia del Demanio all’interno del progetto Valore Paese Fari e preso in gestione per 50 anni da un imprenditore marchigiano che realizzerà un residence.

Il progetto, soggetto a bando pubblico, è stato affidato dall’aggiudicatario allo Studio di Architettura e Restauro Tommasi di Padova, fondato alla fine degli Settanta da Gianni Tommasi, ora affiancato dal figlio architetto Tommaso, uno studio strettamente legato al territorio veneto specializzato nel recupero e nel restauro di edifici vincolati con spiccata attenzione al contesto e al dettaglio, cura dei particolari e ricerca materica in una proficua fusione tra creatività e artigianalità.

La riqualificazione dell’Ottagono coniuga l’assoluto pregio di una location unica nel suo genere con l’intenzione di attrarre pubblico e turisti a tutto vantaggio dell’intero territorio veneziano con il quale sarà connesso tramite la compartecipazione con tutte le attività di servizio quali trasporti (sarà possibile raggiungere l’Ottagono da Chioggia e da Venezia), catering, agenzie di promozione turistica.
Il recupero prevede il consolidamento delle mura originarie senza alterare il loro aspetto estetico e al tempo stesso valorizzando con appropriati interventi le mancanze strutturali, il restauro del bunker nel quale verranno costruite tre suite, la ricostruzione della torretta di avvistamento e del piccolo annesso ad uso foresteria che negli anni ha subito diversi interventi e riadattamenti. Dopo la sistemazione delle parti originarie sarà realizzata una struttura amovibile al fine di ricavarne altri sette alloggi adatti a ospitare un massimo di 15 persone, seguendo un alto standard qualitativo e di comfort in materiali ecocompatibili, e un’altra struttura sempre amovibile in legno e vetro che ospiterà il bistrot e il ristorante.

Le suite saranno raffreddate e riscaldate da un sistema di condizionamento che rispetta i canoni ecosostenibili, con alimentazione che sfrutta l’acqua della laguna stessa. Attualmente sul terreno non è presente una flora autoctona da preservare, ma solo cespugli infestanti e rovi. Dopo i lavori sul terreno verrà creato un nuovo manto erboso su cui verranno piantumati alberi facenti parte della flora marittima. Per creare zone di passeggio saranno realizzati dei sentieri con palladiana in pietra locale.

 

8 NOVEMBRE 2020 | PORTO ERCOLE – Con Antico Presente alla scoperta dei forti spagnoli dell’Argentario
Da eventidellatuscia.it del 3 novembre 2020

Esiste una muraglia che nulla ha da invidiare a quella cinese, a parte la lunghezza. La posizione però ed il panorama sono assolutamente migliori! Si trova a Porto Ercole, ed è proprio da lì che inizieremo la nostra scoperta del territorio, conosciuto da molti per la bellezza delle sue insenature e la limpidezza delle acque, ma pochi si sono soffermati ad ammirare i forti spagnoli, con le originali ed imponenti architetture, che lo circondano. I tre forti, Forte Filippo, Forte Stella e la Rocca sono stati, per secoli, i baluardi difensivi del piccolo porto contro chiunque volesse effettuare razzie e scorribande, sia dal mare che da terra, e per la loro posizione strategica godono di una vista e sentieri mozzafiato.

La nostra visita inizierà con il Forte Filippo costruito da quattro bastioni e profondamente incassato in un fossato scavato nella roccia. L’unico punto di accesso è rappresentato da un ponte levatoio posizionato nel lato est. La potenza di fuoco delle artiglierie del Forte, era completata dalla Batteria di Santa Caterina, una struttura edificata poco più in basso, che permetteva di far fuoco con tiri radenti e precisi. Sia Forte Filippo che la Batteria di Santa Caterina sono di proprietà privata ma noi cammineremo lungo i profondi bastioni che delimitano il forte da cui si gode uno stupendo panorama.
Ridiscendendo per i sentieri profumati della macchia mediterranea, attraverseremo il piccolo borgo marinaro di Porto Ercole che si svelerà ai nostri occhi come un caratteristico porticciolo dagli odori antichi, con le reti appoggiate sui caratteristici gozzi e con le facce dei pescatori segnate dal vento e dal mare.
Superato il porto saliremo nel cuore antico di Porto Ercole attraverso la porta Pisana; da qui si diramano un dedalo di vicoli e la cinta muraria, che abbracciando l’intero abitato e conducono alla Rocca. In Piazza Santa Barbara, da cui si ammira un bel panorama sul porto, si trova il palazzo del Governatore con la facciata in stile rinascimentale. La Chiesa più antica invece si trova sulla sommità del paese, di origine settecentesca, è stata in parte ricostruita dopo l’ultima guerra ed al suo interno sono conservate le lapidi dei governatori spagnoli dell’antico Stato dei Presidi. Sarà proprio dentro l’antico borgo che percorreremo le tracce di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, conosciuto come il Caravaggio. La morte di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio viene definita uno dei grandi gialli della storia dell’arte. Tra le poche certezze sembra esserci la data, il 1610, e località della morte, che viene identificata con Porto Ercole. Il Caravaggio stava scappando perché, accusato della mote di Ranuccio Tomassoni durante una partita al gioco della pallacorda, era stato condannato a morte. La sua fuga durò 4 anni e si concluse proprio a Porto Ercole, sul Monte Argentario, dove ammalato, morì.

Risaliremo sull’altro versante fino ad arrivare alla Rocca, complesso fortificato che non rappresenta il frutto di un unico progetto a differenza dell’altro forte. La sua struttura è lo specchio di numerose ristrutturazioni fatte da uomini diversi in un arco di tempo che va dal XIII al XIV secolo. In basso, in direzione del porto, sono tutt’ora visibili i resti di un bastione poligonale che apparteneva alla batteria di Santa Barbara, che, come nel caso della batteria di Santa Caterina, completava le potenzialità di fuoco della Rocca.
Dalla sommità della Rocca si scorge uno dei più bei panorami del centro Italia, con tutta la costa dell’Argentario e delle piccole calette di fronte ad una piccola isola chiamata appunto Isolotto. Vogliamo con questo itinerario fare il pieno di bellezza e sentirci forti e potenti, non per possedere i forti, ma per avere il privilegio che tutto il mondo ci invidia, di poterci andare a passeggiare tutte le volte che vogliamo. Andarci al tramonto però, è un occasione per pochi.

Escursione a cura di Antico Presente

Guida
Sabrina Moscatelli, Guida Turistica Abilitata e Guida Ambientale Escursionistica A.I.G.A.E e Giuseppe Di Filippo Guida Ambientale Escursionistica A.I.G.A.E

Dati tecnici
Il Percorso di media difficoltà è lungo circa 7 km, dislivello 350 mt. Durata 4 ore.

Appuntamento
Domenica 8 novembre 2020 alle ore 9.30 all’entrata di Porto Ercole nei parcheggi liberi in via Fosso dell’Aiaccia (una traversa di fianco alla chiesa). Per il luogo preciso CLICCA QUI.

Equipaggiamento
Abbigliamento sportivo, scarponcini da trekking, pantaloni lunghi, repellente per insetti, cappello per la testa, acqua. Utili i bastoncini.

Condizioni
Prenotazione obbligatoria alla quale si riceverà conferma sulla disponibilità e tutte le informazioni riguardo i DPI e il rispetto delle regole e che dovrete firmare per conoscenza in nostra presenza. Con la prenotazione i partecipanti dichiarano di avere la giusta preparazione per l’escursione.

Quota individuale
€ 10,00 comprensiva di polizza professionale RC con massimale di Euro 5.000.000. I ragazzi fino a 16 anni non pagano mai la quota di partecipazione ma solo gli ingressi ove richiesti.

Informazioni e prenotazioni
Sabrina 339.5718135, info@anticopresente.it, www.anticopresente.it

 

Mura medicee, al via la riqualificazione della Cavallerizza: diventerà un parco
Da grossetonotizie.com del 3 novembre 2020

La Giunta comunale ha approvato il progetto esecutivo, denominato “Ristrutturazione del bastione La Cavallerizza: palingenesi delle Mura di Grosseto la Cavallerizza”
Un’idea che nasce dalla precedente adesione del Comune di Grosseto, in qualità di partner, al bando ‘Un passo avanti’, un progetto selezionato da “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

Il progetto, che vede la cooperativa Uscita di Sicurezza capofila di una partenariato che coinvolge soggetti pubblici e del privato, prevede la realizzazione di opere di riqualificazione nella porzione della cinta muraria, sul Bastione Cavallerizza.

L’obiettivo è quello di facilitare l’accesso dei minori alla cultura e all’arte, attraverso il divertimento. Il Bastione, dunque, sarà trasformato in un parco che avrà il compito di coinvolgere ed integrare i ragazzi delle scuole, poiché il finanziamento è mirato al contrasto della dispersione scolastica e alla riduzione della povertà educativa minorile.

“Possiamo dire – dichiara Antonfrancesco Vivarelli Colonna, sindaco del Comune di Grosseto – che uno dei grandi obiettivi di questa amministrazione è stato raggiunto. La ristrutturazione, con la riqualificazione di una parte delle mura medicee, è uno degli obiettivi cardine che ci siamo da sempre prefissati. Inoltre, dal fatto che dal recupero del nostro patrimonio artistico e storico ne possa derivare un beneficio per i nostri ragazzi, riducendo così la povertà educativa minorile, promuovendo il gioco per avvicinare i più giovani all’arte e alla cultura, è veramente un qualcosa di cui andare fieri. Finalmente, dopo tanti anni di incuria e degrado, le nostre meravigliose Mura medicee stanno tornando nella quotidianità dei grossetani e non solo. Il mio ringraziamento va a tutti coloro che hanno contribuito al successo dell’iniziativa, come, tra gli altri, il segretario generale, Luca Canessa, gli assessori e la cooperativa Uscita di Sicurezza“.

“Attraverso la riqualificazione dell’area, in cui verranno inserite anche quattro grandi strutture gioco e un’area playground, avverrà una rivalutazione netta dello spazio storico, ottenendo così sia l’integrazione sociale, sia il recupero della realtà giovanile – spiegano Luca Agresti, vicesindaco ed assessore con delega alle Mura medicee, Riccardo Ginanneschi, assessore con delega al reperimento di finanziamenti straordinari, e Riccardo Megale, assessore con delega ai lavori pubblici -. Il tutto avverrà, inoltre, nel pieno rispetto della salute dell’ambiente, infatti verranno utilizzati materiali eco-compatibili per il restauro, in linea con le esigenze ambientali relative alla riqualificazione dell’area verde e sociale. Infine, un ruolo chiave lo giocheranno le attività didattiche, che saranno organizzate da Uscita di Sicurezza, con particolare attenzione ai bambini. Riconsegnare le Mura medicee alla città, e soprattutto ai membri più giovani della nostra comunità, è una vittoria bellissima”.

*Il progetto è stato selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il Fondo nasce da un’intesa tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Governo. Sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Per attuare i programmi del Fondo, a giugno 2016 è nata l’impresa sociale Con i Bambini, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata dalla Fondazione CON IL SUD. www.conibambini.org .

 

Pesaro, viaggio tra i capolavori di Francesco di Giorgio Martini
Da cronachemarche.it del 2 novembre 2020

Pesaro 2 novembre.- I capolavori, tra rocche, palazzi e fortificazioni, più importanti e significativi del grande architetto senese Francesco di Giorgio Martini sono protagonisti dell’ultima creazione firmata Confcommercio Marche Nord: l’Itinerario delle Rocche. E il nuovo progetto di promozione turistica, all’interno del più vasto Itinerario della Bellezza nella provincia di Pesaro Urbino di cui fanno parte ben 12 comuni: Urbino, Gradara, Pesaro, Fano, Pergola, Fossombrone, Mondavio, Cagli, Gabicce Mare, Terre Roveresche, Sant’Angelo in Vado, Colli al Metauro.
Lungo l‘Itinerario della Bellezza, l’architetto realizzò o trasformò diversi palazzi ad uso civile e religioso ma, soprattutto, rocche e fortificazioni militari. Molte di queste sono state smantellate, distrutte o ve ne rimangono poche tracce, come i ruderi della Rocca di Pergola. Altre, rappresentano le realizzazioni più significative dell’opera del Martini e del suo ingegno: Cagli, Mondavio, Sassocorvaro, Fossombrone oltre, naturalmente, al Palazzo Ducale di Urbino. Nella guida turistica c’è spazio anche per la Rocca di Gradara, seppur in quest’ultima non vi è nessun riferimento circa la presenza e l’opera dell’architetto.

«L’Itinerario della Bellezza di Confcommercio Pesaro e Urbino/Marche Nord – evidenzia il direttore Amerigo Varotti – è un grande contenitore dall’interno del quale, periodicamente, estraiamo nuove suggestioni, nuove proposte. Così è, ora, per l’Itinerario delle Rocche di Francesco di Giorgio Martini e il Palazzo Ducale di Urbino. Un viaggio – all’interno dell’Itinerario della Bellezza – alla ri-scoperta delle rocche progettate e costruite dall’architetto senese che Federico da Montefeltro chiamò alla Sua corte di Urbino nel 1477 e che realizzò capolavori assoluti dell’architettura militare e civile del Rinascimento. Non poteva mancare, in questo percorso turistico il Palazzo Ducale di Urbino, senz’altro l’architettura più significativa del Rinascimento marchigiano. L’itinerario è anche un viaggio alla scoperta della bellezza di luoghi da cui trae origine la nostra storia e la nostra cultura. Come l’Itinerario della Bellezza, l’Itinerario Romantico, l’Itinerario Archeologico – conclude il direttore – sarà uno strumento prezioso per valorizzare questo territorio. La promozione sta dando ottimi risultati, con tanti visitatori e agenzie di viaggio interessati ai luoghi dell’itinerario. Appena possibile lo presenteremo nelle fiere più importanti. E in cantiere abbiamo tanti altri progetti, dai luoghi del silenzio e della fede all’Itinerario dei sapori e del gusto».

Francesco di Giorgio Martini

Francesco di Giorgio Martini nasce a Siena il 23 settembre 1439. È stato uno degli artisti più versatili e creativi nel mondo dell’arte tra il Quattrocento e il Cinquecento. Inizialmente attivo come pittore e scultore, è ricordato, principalmente, come Architetto e teorico della architettura militare. Di fondamentale importanza fu il soggiorno ad Urbino, presso la Corte del Duca Federico da Montefeltro, iniziato nel 1474 con l’incarico di portare a compimento il Palazzo Ducale, già disegnato ed avviato dall’Architetto dalmata Luciano Laurana, di cui Francesco ne sviluppò la già eccellente filosofia urbanistica.
Lungo l’Itinerario della Bellezza l’Architetto senese realizzò o trasformò diversi palazzi ad uso civile e religioso ma, soprattutto, rocche e fortificazioni militari. Molte di queste sono state smantellate, distrutte o ve ne rimangono poche tracce (come i ruderi della Rocca di Pergola). Altre, rappresentano le realizzazioni più importanti e significative dell’opera del Martini e del suo ingegno: Cagli, Mondavio, Sassocorvaro, Fossombrone oltre, naturalmente, al Palazzo Ducale di Urbino. Ma non possiamo non citare il Palazzo Ducale – Corte Alta – di Fossombrone e il palazzo Vescovile, il Palazzo Comunale di Cagli, il Convento di Santa Chiara e il Mausoleo dei Duchi – Chiesa di San Bernardino a Urbino.

 

L’Itinerario delle Rocche nella provincia di Pesaro Urbino: viaggio tra i capolavori di Francesco di Giorgio Martini
Da tmnotizie.com del 2 novembre 2020

URBINO – I capolavori, tra rocche, palazzi e fortificazioni, più importanti e significativi del grande architetto senese Francesco di Giorgio Martini sono protagonisti dell’ultima creazione firmata Confcommercio Marche Nord: l’Itinerario delle Rocche. E l’ennesimo progetto di promozione turistica, all’interno del più vasto Itinerario della Bellezza nella provincia di Pesaro Urbino di cui fanno parte ben 12 comuni: Urbino, Gradara, Pesaro, Fano, Pergola, Fossombrone, Mondavio, Cagli, Gabicce Mare, Terre Roveresche, Sant’Angelo in Vado, Colli al Metauro.

Lungo l’Itinerario della Bellezza, l’architetto realizzò o trasformò diversi palazzi ad uso civile e religioso ma, soprattutto, rocche e fortificazioni militari. Molte di queste sono state smantellate, distrutte o ve ne rimangono poche tracce, come i ruderi della Rocca di Pergola. Altre, rappresentano le realizzazioni più significative dell’opera del Martini e del suo ingegno: Cagli, Mondavio, Sassocorvaro, Fossombrone oltre, naturalmente, al Palazzo Ducale di Urbino. Nella guida turistica c’è spazio anche per la Rocca di Gradara, seppur in quest’ultima non vi è nessun riferimento circa la presenza e l’opera dell’architetto.

«L’Itinerario della Bellezza di Confcommercio Pesaro e Urbino/Marche Nord – evidenzia il direttore Amerigo Varotti – è un grande contenitore dall’interno del quale, periodicamente, estraiamo nuove suggestioni, nuove proposte. Così è, ora, per l’Itinerario delle Rocche di Francesco di Giorgio Martini e il Palazzo Ducale di Urbino. Un viaggio – all’interno dell’Itinerario della Bellezza – alla ri-scoperta delle rocche progettate e costruite dall’architetto senese che Federico da Montefeltro chiamò alla Sua corte di Urbino nel 1477 e che realizzò capolavori assoluti dell’architettura militare e civile del Rinascimento.

Non poteva mancare, in questo percorso turistico il Palazzo Ducale di Urbino, senz’altro l’architettura più significativa del Rinascimento marchigiano. L’itinerario è anche un viaggio alla scoperta della bellezza di luoghi da cui trae origine la nostra storia e la nostra cultura. Come l’Itinerario della Bellezza, l’Itinerario Romantico, l’Itinerario Archeologico – conclude il direttore – sarà uno strumento prezioso per valorizzare questo territorio. La promozione sta dando ottimi risultati, con tanti visitatori e agenzie di viaggio interessati ai luoghi dell’itinerario. Appena possibile lo presenteremo nelle fiere più importanti. E in cantiere abbiamo tanti altri progetti, dai luoghi del silenzio e della fede all’Itinerario dei sapori e del gusto».

Francesco di Giorgio Martini

Francesco di Giorgio Martini nasce a Siena il 23 settembre 1439. È stato uno degli artisti più versatili e creativi nel mondo dell’arte tra il Quattrocento e il Cinquecento. Inizialmente attivo come pittore e scultore, è ricordato, principalmente, come Architetto e teorico della architettura militare. Di fondamentale importanza fu il soggiorno ad Urbino, presso la Corte del Duca Federico da Montefeltro, iniziato nel 1474 con l’incarico di portare a compimento il Palazzo Ducale, già disegnato ed avviato dall’Architetto dalmata Luciano Laurana, di cui Francesco ne sviluppò la già eccellente filosofia urbanistica.

Lungo l’Itinerario della Bellezza l’Architetto senese realizzò o trasformò diversi palazzi ad uso civile e religioso ma, soprattutto, rocche e fortificazioni militari. Molte di queste sono state smantellate, distrutte o ve ne rimangono poche tracce (come i ruderi della Rocca di Pergola). Altre, rappresentano le realizzazioni più importanti e significative dell’opera del Martini e del suo ingegno: Cagli, Mondavio, Sassocorvaro, Fossombrone oltre, naturalmente, al Palazzo Ducale di Urbino. Ma non possiamo non citare il Palazzo Ducale – Corte Alta – di Fossombrone e il palazzo Vescovile, il Palazzo Comunale di Cagli, il Convento di Santa Chiara e il Mausoleo dei Duchi – Chiesa di San Bernardino a Urbino.

URBINO

Dal 1998 il suo centro storico è patrimonio dell’umanità UNESCO. E’ la Città che ha dato i natali, nel 1483, a Raffaello Sanzio. E’ la Capitale del Rinascimento italiano; sede di una delle più antiche Università degli Studi d’Europa (fondata nel 1506). Nella seconda metà del ‘400 Urbino diventa sede della potente signoria del duca Federico Da Montefeltro (1422- 1482). Federico, amante della cultura umanistica chiama a corte letterati, matematici, artisti (Giovanni Santi, padre di Raffaello, Piero della Francesca, Luciano e Francesco Laurana, Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martini). Federico, signore del Ducato dal 1444 al 1482, volle la realizzazione di quella che è considerata una delle più belle opere del Rinascimento: il Palazzo Ducale. Il nuovo Palazzo è il vero fulcro della Città ed alla sua costruzione vi parteciparono alcuni fra gli artisti più grandi dell’epoca (tra i quali il fiorentino Maso di Bartolomeo, il dalmata Luciano Laurana e il senese Francesco di Giorgio Martini). Il Palazzo Ducale fu costruito in più fasi.
Nel 1474 Francesco di Giorgio Martini assunse la direzione del cantiere del Palazzo, cui sovrintese fino al 1485. L’architetto portò a termine intere zone del palazzo, ne creò di nuove e rifinì la decorazione interna di numerose stanze. In particolare progettò le logge sul cortile del Pasquino, il giardino pensile, gli ambienti e tutto il complesso impianto idraulico dei sotterranei all’avanguardia per l’epoca. L’architetto senese realizzò anche la Data, le antiche stalle ducali capaci di 300 cavalli con magazzini e locali per gli stallieri e la vicina rampa elicoidale che, dal sottostante piano del Mercatale, poneva in comunicazione la residenza dei Montefeltro con le stalle della Data e l’esterno delle mura. Nel 1912 viene istituita all’interno del Palazzo Ducale la Galleria Nazionale delle Marche che ospita opere di Raffaello, Piero della Francesca, Tiziano e un vasto patrimonio di opere d’arte.

CAGLI

La città di Cagli ha origini antichissime: nella Grotta delle Nottole, appartenente allo scenografico complesso dell’Arco di Fondarca, è stata accertata una frequentazione già dall’età del bronzo antico (1800 a.C.). È nel periodo tardo medievale e rinascimentale, con l’alleanza con Urbino ed i Montefeltro, che Cagli si sviluppa notevolmente. Federico da Montefeltro favorì i lavori di ristrutturazione e abbellimento di molti palazzi cittadini tra cui il medievale Palazzo Pubblico (oggi sede del Comune e del Museo Archeologico) affidandone il compito a Francesco di Giorgio Martini. Ma Federico intuisce le necessità di creare un sistema difensivo del Ducato con rocche potentissime e fortilizi capaci di garantire anche sicurezza contro le nuove armi da fuoco. E Cagli è strategica nella politica difensiva di Federico che affida pertanto all’architetto senese il compito di realizzare ex novo il complesso difensivo composto da una poderosa rocca sul colle dei Cappuccini e da un torrione ovoidale dabbasso, nel centro cittadino anticamente allacciato alle mura urbane. Le due strutture erano collegate tramite un “lungo cunicolo sotterraneo”, il “SOCCORSO COVERTO”, ancora interamente percorribile, articolato in oltre 360 gradini che dal Torrione risalivano la collina per aprirsi all’interno della Fortezza.
La rocca, in costruzione nel 1481, fu smantellata nel 1502. Di essa sopravvivono alcune rovine da cui è oggi possibile visitare i ruderi del fabbricato e del puntone della rocca. Il Torrione (definito da Francesco di Giorgio Martini nei trattati come una seconda rocca) è invece giunto fino a noi in ottime condizioni di conservazione, recentemente restaurato e destinato a funzioni museali. Il complesso architettonico progettato da di Giorgio Martini e contenuto con dovizia di particolari nel suo “Trattato di architettura civile e militare”, è considerato uno dei più importanti ed innovativi tra quelli realizzati dall’architetto.

FOSSOMBRONE

La città di Fossombrone, maggior centro della media vallata del Metauro, deriva le proprie origini dalla romana Forum Sempronii, antica Città sulla consolare Flaminia che si trova a circa 2 km dall’attuale centro cittadino. Ma anche Forum Sempronii non sfuggì – come tutte le Città romane – alla decadenza determinata da pestilenze, carestie o dalle tante invasioni che si abbatterono sul nostro Paese. È con i Malatesta, ma ancor di più con Federico da Montefeltro, che Fossombrone si sviluppa dal punto di vista economico, culturale, urbanistico e architettonico con la costruzione di bellissimi palazzi ed un moderno sistema difensivo.
La rocca, situata sulla sommità del Colle di Sant’Aldebrando, entro il recinto della «cittadella», è stata edificata prima dai Malatesta. Ebbe, poi, varie modifiche sino all’intervento di Federico da Montefeltro che incaricò, infine, Francesco di Giorgio Martini per un adeguamento della fortezza alle nuove esigenze difensive. E ciò nell’ambito di un progetto di ristrutturazione difensiva di tutto il territorio del Montefeltro. Nel 1502 la rocca fu smantellata da Guidobaldo da Montefeltro, insieme ad altre fortificazioni, per non lasciarla, intatta, nelle mani del Valentino e tra le sue mura venne successivamente eretta la Chiesetta di Sant’Aldebrando. Cadde nel dimenticatoio fino al 1968, quando un gruppo di volontari iniziò il lavoro di «riscoperta» della rocca riportando alla luce i muri di scarpa del lato occidentale, la parte sepolta del caput carenato, i cunicoli di collegamento ed altre parti della fortezza che, a seguito di ulteriori interventi di recupero dall’alto della collina, domina sulla Corte Alta e la città di Fossombrone.

MONDAVIO

La storia di Mondavio è legata alle vicende dei Malatesta, dei Montefeltro e dei Della Rovere. Nel 1462 Federico da Montefeltro alla testa delle truppe pontificie sconfisse e segnò la fine del dominio dei Malatesta. Nel 1471 fu eletto Papa Sisto IV Della Rovere che favorì l’avvicinamento della sua famiglia ai Montefeltro: elargì il titolo di Duca a Federico da Montefeltro e il Signore di Urbino acconsentì al matrimonio di sua figlia Giovanna con il nipote del papa, Giovanni Della Rovere.
Questi, ottenuta la signoria di Mondavio e Senigallia, fece costruire da Francesco di Giorgio Martini – tra il 1482 e il 1492 – una imponente rocca, da molti ritenuta il capolavoro dell’opera martiniana e comunque, una delle più interessanti testimonianze della attività e dei progetti dell’Architetto senese. Il progetto di Francesco di Giorgio Martini prevedeva un complesso fortificato molto più articolato ma l’opera rimase incompiuta, forse, per la morte sia di Giovanni della Rovere che del Martini.  La maestosa fortezza in ottimo stato di conservazione – si presenta come un monumento all’arte fortificatoria, costruito con prospettive sfuggenti ai micidiali colpi di bombarda. La rocca è visitabile e meta di turisti e scolaresche che possono ammirare, nelle varie stanze, scene di vita rinascimentale, la sala delle torture (la rocca fu utilizzata come carcere), la sala del forno, il deposito delle munizioni ed una pregevole collezione di armature e strumenti di uso militare originali, realizzate tra l’VIII e il XVII secolo, nel piano più alto del mastio.
La Rocca Roveresca di Mondavio è arrivata ai giorni nostri sostanzialmente immutata negli anni, non avendo mai subito assedi o attacchi ed anche perché l’essere praticamente a ridosso del borgo abitato ne ha evitato lo stato di abbandono in cui versano molte altre fortezze. Mondavio è Bandiera Arancione del Touring Club italiano, è Bandiera Verde “Agricoltura” ed è inserita tra “I Borghi più belli d’Italia”.

PERGOLA

Terra abitata da Umbri, Etruschi e Galli Senoni, fu dominazione romana al centro dei municipi di Sentinum (Sassoferrato), Suasa Senonum (Castellone di Suasa) e Forum Sempronii (Fossombrone). Non lontano dalla Consolare Flaminia, furono rinvenuti, il 26 luglio 1946, i Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola ora conservati nel Museo della Città.
Dopo un travagliato periodo di lotte tra varie dinastie (Visconti, Medici, Sforza e Malatesta) con la sconfitta di Sigismondo Malatesta ad opera di Federico da Montefeltro, fu annessa al Ducato di Urbino. Federico incaricò Francesco di Giorgio Martini di costruire una possente rocca su una preesistente fortezza. È situata su un’altura adiacente al centro storico, circondata da una zona boscosa, che sovrasta l’intera Città. Della rocca, demolita per ordine di Guidobaldo I Duca di Urbino nell’ambito delle azioni di contenimento del potere di Cesare Borgia “Il Valentino”, sono rimasti due torrioni diroccati e coperti d’edera, la Cappella Gentilizia, parte delle mura perimetrali e dei sotterranei con volta a botte. Sui resti della rocca fu costruito (sec. XVI-XVIII) il Palazzo della Rocca o Palazzo Fulvi-Cittadini. La Città è oggi inserita tra “I Borghi più belli d’Italia”.

SASSOCORVARO

Sassocorvaro (capoluogo del Comune di Sassocorvaro Auditore dal 1° gennaio 2019) è un borgo, sviluppato attorno alla Rocca Ubaldinesca, che si erge su un colle che domina la Valle del fiume Foglia. Federico da Montefeltro e Ottaviano degli Ubaldini si adoperarono dapprima a trasformare Urbino, capitale del ducato, in una città rinascimentale di primo livello; poi l’interesse si rivolse a rendere più sicuri i confini affidando l’incarico di fortificare il territorio a Francesco di Giogio Martini che costruì nel Montefeltro ben 136 edifici tra rocche, edifici pubblici, chiese.
Siamo nel periodo di transizione dall’arma bianca all’arma da fuoco; Francesco di Giorgio Martini fu il protagonista di una vera e propria rivoluzione nel modo di costruire le fortificazioni che dovevano ora resistere agli effetti distruttivi della nuova terribile arma: la bombarda. I castelli medievali, costruiti per opporsi agli attacchi portati con balestre e frecce, erano ormai del tutto superati; occorreva trovare un nuovo modo di costruire e il Martini lo sperimentò per la prima volta nella Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro (intorno al 1475), che diventa quindi la prima costruzione militare realizzata per opporsi agli effetti della bombarda.
A ben studiare la fortificazione – che rende proprio l’idea di una tartaruga – pare che la maggiore preoccupazione fosse quella di offrire una superficie sfuggente ai colpi di artiglieria (il guscio). Era così garantita l’efficacia della “difesa passiva”; ma la “difesa attiva” presentava serie complicazioni. Già in fase di costruzione il Martini dovette accorgersi che la soluzione non era militarmente valida in quanto dall’interno la difesa risultava difficile perché la forma curva consentiva alle sentinelle un limitato angolo di visuale.
Lo stesso Martini considerò un fallimento sul piano militare quella progettazione che è però considerata un esemplare unico, un “magnifico errore”, reputato tra i massimi capolavori dell’architettura del Rinascimento. La Rocca di Sassocorvaro non è soltanto un innovativo, incredibile strumento bellico ma molto di più, perché la sua realizzazione è il risultato del contributo di più personaggi, tutti straordinari. La visita guidata alla rocca, che viene fatta con i bravi volontari della Pro Loco, si sviluppa intorno ai quattro principali temi di interesse che la contraddistinguono: l’architettura, l’aspetto esoterico, la storia del Salvataggio delle opere d’arte, la pinacoteca. Una sala del Castello è dedicata alla storia di Francesco di Giorgio Martini e della Rocca di Sassocorvaro: “Il magnifico errore”. Una straordinaria “chicca”, inaspettata all’interno di una rocca, è il Teatrino ottocentesco, l’ultima significativa modifica all’interno della rocca, che ha trasformato il salone d’onore per le esigenze della cittadinanza.

GRADARA

Non v’è nessun riferimento scientifico e storico circa la presenza e l’opera di Francesco di Giorgio Martini nella Rocca di Gradara. Solo sul web, in un paio di siti, si fa genericamente riferimento all’architetto senese a cui Sigismondo Pandolfo Malatesta avrebbe affidato l’incarico di riadattare la fortezza a seguito dell’invenzione della bombarda. In realtà è assai improbabile che ciò sia avvenuto: non ci sono riscontri storici e, soprattutto, Francesco di Giorgio Martini era l’architetto chiamato anche per rafforzare militarmente il Ducato di Urbino da Federico da Montefeltro, acerrimo nemico dei Malatesta, signori di Gradara. Ma un Itinerario di rocche e Castelli all’interno dell’Itinerario della bellezza non può tralasciare la Rocca di Gradara.

Il Castello di Gradara ed il suo borgo rappresentano una delle strutture medievali meglio conservate d’Italia. Le due cinte murarie che proteggono la fortezza la rendono una delle più imponenti della nazione. Furono i Malatesta a decidere il completamento del Castello e l’edificazione di due cinte di mura (tra il XIII e il XIV secolo). La rocca venne acquistata nel 1920 dalla famiglia Zanvettori che finanziò il restauro del Castello e delle mura che erano ridotti a ruderi. Nel 1928 fu venduta allo Stato italiano con diritto di usufrutto da parte della vedova di Zanvettori fino al 1983. Secondo la tradizione la rocca ha fatto da sfondo al tragico amore tra Paolo Malatesta e Francesca da Rimini cantato da Dante nella Divina Commedia. Gradara è bandiera Arancione del Touring Club ed è stata eletta Borgo dei Borghi 2018 dalla Associazione “I borghi più belli d’Italia”. È oggi una delle mete turistiche più visitate della Regione Marche.

le fortificazioni medievali
abato 07 ore 17.00 appuntamento con l’itinerario “Le fortificazioni Medievali – La città dalle possenti mura”. E’ fortificata da mura nella parte che guarda verso la terra ferma e da un castello.[…](Da Giovanni Adorno, Itinerarium Terrae Sanctae). ”Scopriremo insieme le grandiosi fortificazioni di Bari”.
Costo: 10 euro
Porta Nova
Mura Aragonesi
Baluardo di Sant’Antonio
Corte Catapano
Baluardo di Santa Scolastica
Punto di incontro: Piazza del Ferrarese c/o scavi archeologici all’aperto
Prenotazioni a info@pugliarte.it o tramite whatsapp al 3403394708



 

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Costo: 10 euro
Porta Nova
Mura Aragonesi
Baluardo di Sant’Antonio
Corte Catapano
Baluardo di Santa Scolastica
Punto di incontro: Piazza del Ferrarese c/o scavi archeologici all’aperto
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Le fortificazioni medievali
Da baritoday.it del 2 novembre 2020

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Porta Nova
Mura Aragonesi
Baluardo di Sant’Antonio
Corte Catapano
Baluardo di Santa Scolastica
Punto di incontro: Piazza del Ferrarese c/o scavi archeologici all’aperto
Prenotazioni a info@pugliarte.it o tramite whatsapp al 3403394708

le fortificazioni medievali
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Costo: 10 euro
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Baluardo di Sant’Antonio
Corte Catapano
Baluardo di Santa Scolastica
Punto di incontro: Piazza del Ferrarese c/o scavi archeologici all’aperto
Prenotazioni a info@pugliarte.it o tramite whatsapp al 3403394708



 

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le fortificazioni medievali
abato 07 ore 17.00 appuntamento con l’itinerario “Le fortificazioni Medievali – La città dalle possenti mura”. E’ fortificata da mura nella parte che guarda verso la terra ferma e da un castello.[…](Da Giovanni Adorno, Itinerarium Terrae Sanctae). ”Scopriremo insieme le grandiosi fortificazioni di Bari”.
Costo: 10 euro
Porta Nova
Mura Aragonesi
Baluardo di Sant’Antonio
Corte Catapano
Baluardo di Santa Scolastica
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Un “caveau” nelle Mura: la Cannoniera di San Giacomo e la storia del rifugio antiaereo
Da bergamonews.it del 1 novembre 2020

Nuova puntata della rubrica domenicale di BGY che fa tappa in Città Alta

Di Mirco Cangelli

Porta San Giacomo rappresenta forse uno dei punti meglio conosciuti di tutta le Mura Veneziane.
Lo splendore conferitogli dal marmo bianco di Zandobbio consente alla struttura di esser visibile in buona parte della città, divenendo così un vero e proprio simbolo della fortezza di Bergamo.
In pochi sanno che l’imponente edificio nasconde ai suoi piedi una struttura fondamentale per la difesa del capoluogo come l’omonima cannoniera.
Posta a difesa della cortina compresa fra il baluardo di San Giacomo e la piattaforma di Sant’Andrea, lo stabile ricoprì soltanto in parte il proprio ruolo originario, venendo adibita già alla fine del Settecento ad altri scopi.
L’attenzione sulla cannoniera tornò a crescere durante la Seconda Guerra Mondiale quando, nel 1942, essa venne sottoposta a una serie di lavori che avrebbero consentito alla Banca Mutua Popolare di Bergamo di creare una sorta di rifugio antiaereo.
Secondo una convenzione stipulata fra l’amministrazione comunale e l’istituto di credito, quest’ultimo avrebbe potuto usufruire del locale per depositare e salvaguardare i propri beni durante il conflitto e per i successivi quattro anni dalla fine dello stesso.
Ad esser maggiormente interessati dall’intervento furono la bocca della cannoniera, chiusa con uno spesso muro di cemento armato da cui venne ricavata una stretta apertura adibita come ingresso; e la sala di manovra nella quale venne creata un’intercapedine in muratura utile a limitare l’umidità. Durante il periodo bellico quello spicchio di Mura fu al centro da un altro imponente piano di difesa riguardante il vicino baluardo di San Giacomo.

Alla fine del 1943 il Comune di Bergamo stilò un progetto di realizzazione di una serie di ricoveri tubolari, fra i quali spiccava una galleria che avrebbe percorso il lato sud-occidentale del bastione.
Lungo 128 metri, quest’ultimo avrebbe potuto ospitare sino a 1100 persone e sarebbe stato dotato di servizi igenici oltre che di un piccolo locale ad uso deposito.
La costruzione del ricovero di Santa Grata spinse l’istituzione cittadina a rinunciare al disegno, lasciando intatto lo stabile.

Fonti

AA.VV.; Le Mura di Bergamo; Bergamo; Azienda Autonoma del Turismo; 1977

Massimo Glazer, I rifugi antiaerei progettati e costruiti a Bergamo durante la Seconda Guerra Mondiale; Bergamo; Gruppo Speologico Bergamasco “Le Nottole”; 2018

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