Di.Giovanni
Rimondini
Castel Sismondo nella ricostruzione grafica ottocentesca dell’architetto
riminese Guglielmo Meluzzi
Giovanni Rimondini ripercorre le vicende che hanno interessato la Rocca
malatestiana, comprese le sistematiche distruzioni di cui è stato
oggetto, e attraverso una ricostruzione di documenti e ipotesi
dettagliate e argomentate, si sofferma sulla autoria brunelleschiana.
"Lo stanno per manipolare ulteriormente", dice il professore, "dobbiamo
recuperare per quanto è possibile lo splendore del castello che appare
nell'affresco di Piero della Francesca".
La
pianta di Castel Sismondo nella seconda metà del ‘700 in un disegno
dell’architetto bolognese Gaetano Stegani, commissionato dal prino
storico europeo dell’architettura medievale Jean Baptiste Seouux D’Agincourt
(1730-1814).
DOCUMENTI E IPOTESI DI LAVORO SULL’AUTORIA BRUNELLESCHIANA DI CASTEL
SISMONDO DI RIMINI 1437-1446
Castel Sismondo di Rimini, unica opera di architettura militare certa di
Filippo Brunelleschi, recuperato agli sguardi della cultura europea dal
primo storico dell’arte medievale Jean Baptiste Seroux d’Agincourt, è
stato nell’800 e nel ‘900 oggetto di sistematiche distruzioni insensate.
Restaurato negli anni ’70, era stato destinato negli ultimi piani
regolatori, con l’apertura del grande fossato, interrato nell’800, a
museo di se stesso, ma purtroppo l’attuale sindaco ha ripreso la
tradizione distruttiva rinnovata nel dopoguerra dal sindaco Cesare
Bianchini con la distruzione del Kursaal, e ha destinato il castello a
fungere da “contenitore” del ‘terzo’ museo Fellini. Le amministrazioni
‘di sinistra’ riminesi, ben diverse da quelle di Bologna, hanno dato
prova e danno prova di una mancanza assoluta e arrogante di cultura
storica e di odio per la archeologia e la storia di Rimini.
Tutti i Riminesi sanno che il Tempio Malatestiano è opera in gran parte
di Leon Battista Alberti, ma pochi sanno che Castel Sismondo fu
progettato per Sigismondo Pandolfo Malatesta e da Filippo Brunelleschi.
La ragione è che l’autoria brunelleschiana venne autorevolmente
recuperata alla fine dell’800, elencata da allora nel regesto delle
opere di Filippo Brunelleschi e accettata dagli studiosi di tutto il
mondo.
Purtroppo gli studiosi di Rimini non riconobbero la documentazione che
permetteva tale prestigiosissima attribuzione e nuovo splendore per la
storia di Rimini, e rimasero fedeli alla banale attribuzione del
castello allo stesso Sigismondo Pandolfo. Ancora oggi gli ‘storici’ di
Rimini, quelli che contano, il pomposo e culturalmente anonimo
mainstream, al massimo riconoscono una vaga “consulenza” del
Brunelleschi nella progettazione del castello, senza averne fatto
oggetto di ulteriori indagini. Questo assenteismo degli storici locali è
responsabile degli ultimi interventi distruttivi e probabilmente
illegali di politici arroganti senza cultura e di funzionari statali
disattenti.
Di seguito forniremo le prove documentali e le ipotesi di lavoro
relative alle distruzioni dell’800 e alla presenza del grandissimo
artista fiorentino a Rimini, e infine ripubblichiamo i due Decreti
ministeriali che avrebbero dovuto impedire gli scempi e le
manipolazioni.
Tutti gli autori importanti che hanno pubblicato libri sulle opere di
Filippo Brunelleschi hanno dedicato un capitolo a Castel Sismondo –
ricordo le monografie di Eugenio Battisti Filippo Brunelleschi, Electa
Milano 1976, e Arnaldo Bruschi, Filippo Brunelleschi, Electa Milano 2006
-, tuttavia in questo momento di ignoranza e arroganza politica ci
proponiamo di stimolare una presa di coscienza da parte degli uomini di
cultura nazionale e internazionale sul nostro sventurato castello. Ci
piacerebbe che si formasse un comitato di grandi studiosi che adottasse
il castello di Rimini, una sorta di pubblica agnizione, come a suo tempo
facemmo per il Teatro.
1437: APERTURA DEL CANTIERE DI CASTEL SISMONDO A RIMINI. A FIRENZE GIRA
LA VOCE CHE IL PROGETTISTA SIA FILIPPO BRUNELLESCHI
Consultati gli astri per il giorno e l’ora dell’inizio dei lavori e
certamente con una cerimonia religiosa. Scrive Gaspare Broglio
Tartaglia, guerriero e cronista del Signore di Rimini: “Nel 1437 fo
principiato el castello in Arimino, chiamato castello Sighismondo, e fo
a dì 20 di marzo.”
A Firenze girava la voce che a progettarlo fosse stato Filippo
Brunelleschi: “Fece uno castello, fortezza mirabile, per il signor
Gismondo di Arimino.” Così Antonio di Tuccio Manetti, il primo biografo
del Brunelleschi, come sotto verrà documentato.
Castel Sismondo è l’unica opera militare di Filippo Brunelleschi
arrivata sino a noi perché le altre opere militari attribuitegli, le
fortificazioni di Pisa e le altre di castelli toscani o sono state
distrutte o sono rimaste allo stadio del solo progetto. Tutti noi
Riminesi che amiamo Rimini e la sua grande cultura medievale e
rinascimentale, dobbiamo valorizzarlo e cercare di ridargli la
completezza pensata da Filippo Brunelleschi recuperando l’area del
fossato, che nelle due sponde presenta ‘scarpe’, ossia muri obliqui, che
arrivano fino a metri 10 di profondità e sono parte integrante della
fortezza. Dobbiamo recuperare per quanto è possibile lo splendore del
castello che appare nell’affresco di Piero della Francesca.
L’affresco di Piero della Francesca non è più al suo posto, in luce dove
Sigismondo Pandolfo l’aveva commissionato e Piero l’aveva dipinto, ma al
buio in una cappella, dove l’avrebbe dipinto il tale che si è incaponito
a farlo spostare. Rimini è una città ben strana con i suoi beni
culturali.
1438: VIII-IX VIAGGIO DI FILIPPO BRUNELLESCHI A RIMINI
Sotto
è documentato anche il viaggio che Filippo Brunelleschi fece alla fine
dell’estate e all’inizio dell’autunno 1438 per visitare lo scacchiere
dei fratelli Malatesta, Sigismondo Pandolfo signore di Rimini e Domenico
detto Malatesta Novello signore di Cesena dal 28 agosto 1438 al 20
ottobre 1438. Sulla base di questi due documenti è assicurata l’autoria
brunelleschiana di Castel Sismondo e si possono ipotizzare nuove prove
stilistiche qui esposte di seguito.
Ma cominciamo con la tradizione distruttiva dell’800. In questo secolo
però cominciarono gli studi scientifici sul Brunelleschi che scoprirono
la paternità del Brunelleschi del nostro castello.
A Cesena per una simile scoperta avrebbero fatto una festa con
luminarie, a Rimini non c’era più l’entusiasmo per la storia del secolo
precedente.
Disegno dell’ingegnere Pacifico Barilari del 1839 che mostra una sezione
dell’acquedotto praticabile della fontana di piazza all’interno del
fossato, sotto il c.d. palazzo del notaio Pelliccioni. L’altezza della
‘scarpa’ è di 10 metri.
1821: CASTEL SISMONDO VIENE DESTINATO A CARCERE. IL GRANDE FOSSATO
COMINCIA AD ESSERE RIEMPITO E LE DIFESE ESTERNE SONO DEMOLITE
Tralasciamo le molte e note vicende di un edificio che è destinato dalla
sua finalità bellica ad essere aggiornato in continuazione. Scegliamo
solo le date e gli avvenimenti interessanti per il nostro discorso
immediato sia del locale processo distruttivo sia della sua agnizione
culturale nazionale e internazionale. Un progetto del governo pontificio
del 1821 destina la vecchia fortezza a sede del carcere. Comincia il
riempimento del grande fossato, profondo 10 metri; spariscono sotto le
macerie il ponte morto e le quattro torri piccole. Gran parte delle
macerie di riempimento proviene dalla ex Cattedrale di Santa Colomba –
secoli VI-XIII -, acquistata e demolita dal forlivese Francesco
Romagnoli. Al Romagnoli che è un imprenditore edile interessano i
mattoni da riutilizzare e il marmo da ridurre a calce, ma tra i rottami
della cattedrale potrebbero esserci le epigrafi e gli ornamenti di
monumenti ed altari in calcare di San Marino.
1839: TESTIMONIANZA GRAFICA DELLA “SCARPA” OSSIA DELLA PARTE OBLIQUA DEL
MURO CHE CONTIENE IL FOSSATO DAVANTI AL C.D. PALAZZO DI ISOTTA
In occasione del rinnovamento
dell’acquedotto praticabile della Fontana di piazza, la galleria nel
tratto dentro il fossato si appoggia alla scarpa esterna, sotto il
palazzo del notaio Pelliccioni, nei disegni dell’ingegnere Pacifico
Barilari la scarpa appare alta 10 metri.
1844: DEMOLIZIONE DELLA GRANDE TORRE A SINISTRA DELLA TORRE SCALARE E
COSTRUZIONE DELLA CASA DEL CUSTODE DELLE CARCERI
Continua senza problemi o
interventi degli storici locali l’opera distruttiva dello Stato
pontificio con la distruzione della torre a destra di chi guarda la
torre scalare vicina alla porta d’ingresso. Al suo posto viene costruita
la casetta del custode del carcere. Dal 1848 cominciano ad apparire i
volumi con tutta la documentazione della storia di Rimini ad opera di
Luigi Tonini, che mette a frutto il lavoro di ricerca di storici ed
eruditi dei secoli XVII-XVIII. In teoria la conoscenza storica di Rimini
dovrebbe ricominciare a diffondersi almeno tra le classi colte e
gli amministratori, ma è lo stesso Tonini giunto alla fine dei suoi
giorni che lamenta col figlio Carlo la scarsa conoscenza dei suoi libri
da parte dei suoi concittadini.
1887: GAETANO MILANESI PUBBLICA LA BIOGRAFIA INEDITA DI FILIPPO
BRUNELLESCHI SCRITTA DA ANTONIO DI TUCCIO MANETTI
Cominciano finalmente le buone
notizie, a un secolo dal riconoscimento europeo del d’Agincourt. Alle
origini della formazione del regesto ‘scientifico’ delle opere di
Filippo Brunelleschi, Gaetano Milanesi pubblica il volume: Operette
istoriche edite ed inedite di Antonio Manetti matematico ed architetto
fiorentino del secolo XV raccolte per la prima volta e al suo vero
autore restituite da Gaetano Milanesi, Successori Le Monnier, Firenze
1887, p. 162: [Antonio Manetti (1423-1497)] III Uomini singolari in
Firenze dal MCCCC in avanti: Filippo Brunelleschi “Edificò uno castello,
fortezza mirabile, al signore Gismondo di Rimino.” Si tratta della prova
letteraria di un’autoria, attestante che a Firenze alla fine della vita
di Filippo Brunelleschi in ambiente sociale e umano qualificato la
paternità brunelleschiana di Castel Sismondo era conosciuta.
1887: “GLI STORICI RIMINESI” RIFIUTANO L’ATTRIBUZIONE
Gaetano Milanesi, nella stessa pagina scrive una nota relativa alla
“Fortezza di Rimini”: “Gli storici riminesi vogliono che lo stesso
[Sigismondo Pandolfo] Malatesta ne abbia dato il disegno, affermando che
egli fu assai intendente e pratico dell’architettura militare. Per
mettere d’accordo le due contrarie opinioni degli storici suddetti e del
nostro Manetti, si potrebbe dire che il Malatesta mandava il disegno del
detto castello al Brunelleschi, richiedendogliene parere e consiglio,
essendo appunto in quel tempo assai cresciuta la fama dell’architetto
fiorentino per la costruzione della fortezza di Pisa e di Vico Pisano.”
Purtroppo gli “storici riminesi” – che poi si trattò assai probabilmente
del solo Carlo Tonini – non accettarono nemmeno la mediazione del
Milanesi e lasciarono cadere il suo compromesso, che era certamente
sensato. Sembra infatti ragionevole ipotizzare che nel consiglio di
guerra di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468), giovane capitano di
papa Eugenio IV a Firenze nel 1436 – inaugurazione della Cupola di Santa
Naria del Fiore -, il Brunelleschi con Leon Battista Alberti funzionario
pontificio – abbreviatore -, che assai probabilmente presentò il signore
di Rimini al grande architetto, con gli interventi degli esperti di
guerra – homines docti ad bellum – abbiano messo a punto il programma
difensivo offensivo di Castel Sismondo il cui progetto venne affidato al
grande architetto fiorentino. Il cantiere si aprì a Rimini nel 1437.
La mancanza di interesse per il castello che dura ancora ai nostri
giorni, purtroppo, è stata la causa indiretta delle ultime manipolazioni
dell’importante monumento, con gli interventi di superfetazioni
nell’area esterna sopra il “promuralis” e il fossato, parti integranti
dell’edificio brunelleschiano. L’Amministrazione comunale attuale ignora
impunemente i Decreti Ministeriali di protezione dell’area del Castello
e dell’area archeologica che lo circonda del 4 marzo 1915 e del 29
ottobre 1991, che vennero emessi solo per la importanza nazionale
storica e artistica del castello, indipendentemente dall’autoria
brunelleschiana. Ma altro deve ancora venire; purtroppo, vedremo tra
poco una grande fontana che non ha buon senso alcuno, come quella
delirante senza sponde che bagna la gente che entra ed esce dalla
Stazione, e l’adattamento del castello a “contenitore” di un museo
Fellini dei tre che l’attuale sindaco ha decretato, con uno stanziamento
ottenuto direttamente dal ministro Franceschini, evidentemente tenuto
all’oscuro dei Decreti di protezione.
1892: CORNELIUS VON FABRICZY SCOPRE LA VISITA A RIMINI DI FILIPPO
BRUNELLESCHI NELL’ESTATEAUTUNNO DEL 1438 – 28 VIII – 20 X 1438
Lo
studioso tedesco Cornelius von Fabriczy nel suo testo Filippo
Brunelleschi del 1892 e in “Brunelleschiana” del 1907 pubblica una
notizia desunta dalle seicentesche “Carte di Carlo Strozzi”, copie del
“Giornale del Provveditore dell’Opera del Duomo dal 1438 al 1441”:
“Filippo di ser Brunellesco va al Signore di Rimini, parte da Firenze 28
agosto e torna 22 ottobre 1438.” Il fanese Gastone Petrini ha ripreso la
notizia del von Fabriczy ne Indagine sui sopralluoghi e le consulenze di
Filippo Brunelleschi nel 1438 per le fabbriche malatestiane in relazione
a documenti inediti, in “Filippo Brunelleschi, la sua opera e il suo
tempo”, I, Centro D, Firenze 1980. Il saggio è importante anche per
l’utilizzo dei documenti malatestiani di Fano, gli unici che si sono
conservati, che permettono di precisare in qualche giorno il luogo dove
era Sigismondo Pandolfo presumibilmente con il suo ospite Filippo
Brunelleschi.
Il “Giornale del Provveditore” è andato perduto, ma Lorenzo Fabbri,
archivista dell’Opera del Duomo di Firenze, in una mail del 2 maggio
2011 ci comunicava che nel registro segnato B.4.14 “A c. 38 v. (28
agosto 1438) stanziamento del salario di Filippo Brunelleschi per il
semestre luglio agosto 1438, ma sino al 27 agosto 1438, perché il giorno
successivo era partito per Rimini. A c. 45 v. (31 dicembre 1438)
stanziamento del salario per due mesi e un terzo, cioè del 20 ottobre,
quando era tornato da Rimini, fino a tutto dicembre. Come vede la
trasferta a Rimini è confermata, ma per il periodo 28 agosto – 20
ottobre 1438.” E questa è la seconda bella prova documentale che
conferma l’affermazione del Manetti e bisogna proprio essere in malafede
o poco intelligenti a cavillare sulle “consulenze” del grande
architetto.
Lo splendore di Castel
Sismondo, nell’oculo ad altezza di bombardiera, di Piero della
Francesca.
1451: L’AFFRESCO DI PIERO DELLA FRANCESCA NEL TEMPIO MALATESTIANO COME
PROVA CRITICA
Roberto Longhi da qualche parte afferma che la prova decisiva per
confermare un’autoria è la prova critica, superiore alle prove
letteraria e documentale. Malgrado la presenza di documenti, infatti,
un’opera potrebbe non essere all’altezza del nome citato o non inserirsi
nel percorso creativo dell’artista individuato. Credo che la più bella
attestazione contemporanea di bellezza di Castel Sismondo, tra le non
poche celebrazioni poetiche ed epigrafiche del momento, sia la pittura
di Piero della Francesca dentro l’oculo dell’affresco “Sigismondo
Pandolfo Malatesta prega San Sigismondo”, sopra i levrieri bianco e
nero, un ritratto del castello riminese, bello come un luminoso castello
miniato dai Frères de Limbourg. Si dirà che si tratta solo di
un’attestazione di bellezza non di un rilevamento stilistico.
E’ vero, ma un rilevamento stilistico dell’architettura ossidionale del
Brunelleschi è tutt’altro che facile da fare, essendo sparite le
fortificazioni di Pisa e il progetto per Vico Pisano famoso in quei
tempi, assai lodato anche da Francesco Sforza, non è stato realizzato.
La torre e il recinto superstiti di Vico Pisano sono patentemente opere
del ‘300 e nemmeno avanzato, come vi potrà confermare qualsiasi
castellologo. Castel Sismondo è l’unica fortificazione brunelleschiana
arrivata fino ai nostri giorni, e al momento gravemente compromessa
nell’area del “promurale”, del fossato e nella destinazione d’uso.
Affrontiamo adesso le ipotesi di lavoro che cercano di trarre elementi
significativi dalle tre immagini del castello contemporanee e
commissionate da Sigismondo Pandolfo.
LE IPOTESI DI LAVORO SULLA PIANTA DI CASTEL SISMONDO E SULLE TRE
IMMAGINI DEL ‘400: LA PIANTA DEL CASTELLO – ICONOGRAFIA – PRIMO DISEGNO
VITRUVIANO PROGETTUALE
La pianta del
nucleo centrale di Castel Sismondo compresa da un quadrato e da un
cerchio come il vitruviano “homo ad quadratum et ad circulum” riprodotto
sul verso delle monete da un euro.
Nell’intento di trovare quanto
è possibile di caratteri stilistici brunelleschiani nelle opere
contemporanee commissionate da Sigismondo Pandolfo Malatesta,
sopravvissute a Rimini, si può lavorare sull’ipotesi che il Brunelleschi
abbia eseguito i tre disegni della progettazione descritti da Marco
Vitruvio Pollione nel suo De architectura – I, II, 1 -, che sono
l’icnografia o pianta, l’ortografia o alzato, e la scenografia “il
tracciato della facciata e dei lati che sembrano allontanarsi in
prospettiva”.
La pianta dell’area
centrale del castello, escluso il promurale e il fossato con le scarpe
del promurale e della parte esterna del fossato, abbiamo visto che
appare come un grande quadrato che contiene il tutto facendo di Castel
Sismondo un “castellum ad quadratum et ad circulum”, altra particolarità
vitruviana – libro II, I, 1 -, l’antica composizione antropomorfa e
cosmica dei corpi e dello spazio. E’ ragionevole pensarlo, ma si
dovrebbe anche dimostrare che Filippo Brunelleschi avesse letto e
meditato, o meglio si fosse fatto leggere e tradurre da un amico
umanista o matematico, il De architectura di Vitruvio, ampiamente
presente a Firenze fin dal secolo precedente – Luigi Vagnetti. De
naturali et artificiali perspectiva. Studi e documenti do architettura.
Marzo 1979, n 9-10, p. 198 e ss.; Luciano Migotto, a cura di, Marco
Vitruvio Pollione, De Archtectura Libri X, Edizioni Suasio tesi,
Pordenone 1990, pp-xxx-xxxi -. Sappiamo che il Brunelleschi per i suoi
progetti faceva uso di modellini in legno, tuttavia non credo vi siano
seri impedimenti a ipotizzare che ci fossero anche delle carte
disegnate.
RICOSTRUZIONE
DEL TERZO DISEGNO VITRUVIANO, LA “SCENOGRAFIA” DI CASTEL SISMONDO
Le tre rappresentazioni che
presentano la stessa veduta del castello con la particolarità delle
coincidenze verticali dei profili delle torri, già accennate, sono la
medaglia di Matteo de’ Pasti (1446), (d) l’affresco di Piero della
Francesca (1451), il bassorilievo di Agostino di Duccio nella formella
del Cancro del Tempio Malatestiano (primi anni ’50 del ‘400).
Fin qui mi sembra che
quanto ho pubblicato sinora regga ancora. Ora devo invece demolire le
mie ipotesi di “difesa anamorfica”, ipotesi in ogni caso e non
affermazioni di verità oggettive, e precisare il valore di “difesa
prospettica”. Non vi può essere “una difesa anamorfica” perché non vi è
nelle tre immagini nessuna distorsione di figure geometriche.
I lettori che mi
vogliono bene, anche in considerazione dell’età e della salute – e poi
tengo famiglia e sono povero – mi perdoneranno, gli altri non mi
interessa cosa pensino di me.
Il ritratto del castello di
Piero della Francesca con evidenziate in rosso le coincidenze verticali.
RAPPRESENTAZIONI DI EDIFICI O DI PARTI DI EDIFICI COLLEGATI TRAMITE
LINEE DI ORLI COINCIDENTI, CON L’EFFETTO DI NASCONDERE LA LORO GRANDEZZA
EFFETTIVA
Queste coincidenze di linee
rette verticali presenti nel mastio e due torri della medaglia e
dell’affresco, e in una sola torre nel rilievo del Tempio Malatestiano,
ho creduto di averle capite dopo una conferenza a Rimini di Manfredo
Tafuri (1935 -1994).
Il Tafuri prendeva in
esame una medaglia di Matteo de’ Pasti raffigurante la facciata del
Tempio Malatestiano con dietro la cupola: la larghezza della facciata
coincide con il diametro della cupola. A suo avviso, non si sarebbe
trattato di una proiezione semplicemente geometrica della larghezza
reale della cupola sulla larghezza della facciata, ma si era di fronte
ad una piccola ma preziosa scena prospettica. In altre parole per il
Tafuri bisognava ritenere che la medaglia esibisse una coincidenza
prospettica della larghezza di facciata e del diametro della cupola. Le
linee coincidenti del diametro della cupola e della larghezza della
facciata e dei loro orli nascondevano la maggiore larghezza della
cupola. Esisteva un punto di vista dal quale si coglieva questa
coincidenza e si perdeva il senso della larghezza reale della cupola. Ma
un ipotetico personaggio che si fosse mosso all’indietro avrebbe visto
il maggiore ingombro della cupola. L’ipotesi del Tafuri mi è sembrata
molto interessante per spiegare gli assi verticali delle tre immagini
del castello e la loro caratteristica delle coincidenze degli orli delle
torri. Rimangono da cercare altre simili prospettive, un contesto
convalidante di altre simili coincidenze – non ricordo se il Tafuri ne
avesse presentate o indicate -. Ricostruendo su un foglio
grossolanamente il punto di vista in pianta della medaglia supposta
prospettica del Tempio, si ottiene una cupola dal diametro più lungo
della larghezza della facciata. Risulterebbe un edificio assolutamente
fuori delle possibilità di spesa reali del Signore di Rimini, con le sue
entrate troppo esigue per affrontare un simile edificio di dimensioni
imperiali, che evoca per la sua forma sferica e per le stesse dimensioni
il Pantheon di Roma. Tale opera imperiale era comunque consona
all’ambizione smodata di Sigismondo Pandolfo, al suo narcisismo senza
limite. Manteniamo ferma questa veduta prospettica, e notiamo
principalmente un suo effetto: una gran parte dell’edificio dietro
quella coincidenza di linee rimane nascosta. Il fenomeno sarebbe
rilevante nel caso di un castello.
Ricostruzione empirica di tre piani di vedute prospettiche con assi
marginali coincidenti.
Si può fare un esperimento per
capire: osservate le immagini di un caso semplice di sottrazione di
pareti allo sguardo, nell’effetto di una simile sovrapposizioni di linee
tra L’Arengo e la Torre, in piazza Cavour. Nella prima immagine abbiamo
la sovrapposizione della linea verticale che delimita l’Arengo a destra
di chi guarda, esattamente sovrapposta alla linea verticale orlo della
Torre verso monte. Rimane nascosta metà del muro merlato del lato mare
dell’Arengo.
Fatto qualche passo a
destra verso il Corso, la parte nascosta merlata appare a chi guarda.
L’avvertire la differenza di queste due immagini richiede uno
spostamento lungo il perimetro dell’edificio. Per avere un’idea
dell’effetto psicologico, immaginate di essere un assediante, tra i
merli che vi sono apparsi avete visto qualcuno che vi prende di mira con
una balestra o con uno schioppo.
Nel testo di Vitruvio ci
sono alcune parti relative agli inganni ottici, per esempio è notata la
necessità di fare più grosse le colonne terminali di una colonnata per
evitare l’effetto di assottigliamento a causa dell’aria – De
Architectura, III, III, 10 – o il bisogno di fare alquanto incombere in
fuori i fastigi di un edificio che altrimenti sarebbero ‘caduti’
indietro e altri. – De Architectura III, V, 5 -. Non potrebbe darsi che,
nel corso delle letture e discussioni vitruviane, Filippo Brunelleschi,
quando la Signoria di Firenze gli chiese di progettare le fortificazioni
di Pisa e le altre avesse pensato come difesa a un effetto ottico e
prospettico? Un castello capace di nascondere le sue effettive difese e
di rivelarle con effetti psicologici rilevanti. La cosa avrebbe un
ulteriore senso se si considerassero i divertimenti ottici per gli amici
escogitati da Leon Battista Alberti, il quale però nella parte relativa
agli edifici ossidionali del De re architectonica e nei Ludi matematici
non parla affatto di correzioni ottiche.
Luigi Vagnetti spiega la
genesi euclidea, araba e dall’opera di Leonardo Fibonacci dei problemi
matematici relativi al teorema di Talete, dall’elaborazione dei quali
sarebbe nata la prospettiva pittorica, però sottolinea il grande momento
aurorale di questi studi a Firenze nelle botteghe di Filippo, Donato e
Masaccio, che poi porterà al rinnovamento dello spazio pittorico e anche
alla nascita della balistica moderna.
SI PUÒ
INDIVIDUARE UNA DIFESA OTTICA-PROSPETTICA IN CASTEL SISMONDO?
Il fenomeno descritto presenta
una sottrazione di volumi alla vista da un certo punto di veduta e poi
la loro scoperta da un altro punto di veduta non lontano dal primo.
Nel castello come ci è
arrivato, e che stanno per manipolare ulteriormente, per fare un
controllo degli effett rivelati dall’affresco e dalla medaglia e
dal rilievo, mancano il mastio e la torre alla destra di chi guarda. La
torre scalare, alla sinistra, è stata privata dei beccatelli dai tempi
del Valentino. Ma su una pianta dell’esistente è possibile, congiungendo
in un triangolo ottico i punti degli spigoli che si sovrappongono,
recuperare il punto di vista dell’affresco e anche troveremo altri due
triangoli di veduta simili. L’effetto visivo che si crea con queste
sovrapposizioni lineari è quello di una resa compatta della veduta del
castello, un suo rimpicciolimento nella parte centrale. Nelle vedute
vicine invece la sovrapposizione sparisce e si vede il mastio distaccato
dalle torri del secondo recinto. Sicché chi girasse intorno al fossato
avrebbe sette punti di vista, per così dire, previsti e controllati, che
si alternano nel presentare il castello compatto e rimpicciolito, e poi
invece ingrandito e con il mastio isolato o quasi, e le torri vicine ma
indipendenti nell’aria.
Apparirebbe allora una
veduta che ci ricorda un modello imperiale romano: le mura teodosiane di
Costantinopoli, conosciute attraverso i disegni di Ciriaco di Ancona o
di altri, con le grandi e alte torri verso la città, la fila delle torri
più basse e delle mura secondarie e sotto le difese basse o promurali
davanti al fossato. Certamente queste fortificazioni dovevano essere
presenti anche nei discorsi degli ‘homines docti ad bellum’, con il
racconto dei Genovesi che avevano difeso i Bizantini ai piedi delle
grandi mura di Costantinopoli, dalla marea dei Turchi nell’assedio del
1421. Ci saranno Genovesi al comando di Longo Giustiniani, come scrive
lo storico bizantino Ducas, nello sfortunato assedio del 1453.
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