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ANNO 2004

I Forti Gazzera e Mezzacapo inseriti nei circuiti turistici
Da la Nuova di Venezia — 30 dicembre 2004 pagina 23 sezione: NAZIONALE

GAZZERA. Inserire i Forti Gazzera e Mezzacapo all’interno di un pacchetto di servizi turistici alternativi. E’ questo l’obiettivo della Marco Polo System, società per la gestione dei circuiti turistici transnazionale (è stata costituita da Comune di Venezia e dall’associazione dei Comuni greci) che sta pianificando un nuovo piano di valorizzazione a livello interregionale e transfrontaliero (verrà coinvolta anche la Slovenia) di una serie di fortificazioni che da tempo hanno perso la loro funzione originale. All’interno di questo progetto, chiamato Tudeslove (acronimo di Turismo delocalizzato Slovenia Venezia) ci sono anche le ex strutture militari del campo trincerato veneziano, tra le quali sono compresi appunti i Forti Mezzacapo a Zelarino e Gazzera in via Brendole. Nei prossimi giorni i responsabili di Marco Polo System avranno contatti con i rappresentanti dei due Quartieri, per il 10 gennaio è già stato fissato un incontro con le commissioni congiunte Lavori pubblici-Cultura di Chirignago-Gazzera. «Penso che i forti abbiano delle grandi potenzialità dal punto di vista turistico», afferma Pietrangelo Pettenò, amministratore della società, «l’obiettivo è fare sistema, creare una sorta di coordinamento tra le varie attività. Da parte nostra», aggiunge Pettenò, «stiamo preparando su mandato del Comune di Venezia uno studio sulle possibilità di utilizzo di queste aree. Investimenti? Ci saranno, riguarderanno una serie di iniziative promozionali». (m.t.)

 

 

«Basta ricordi della guerra»
Da Alto Adige — 12 dicembre 2004 pagina 42 sezione: PROVINCIA

DOBBIACO/SESTO. L’uso costruttivo delle fortificazioni di guerra del secolo scorso è tema con il quale, non solo nell’area dolomitica, si sono confrontati in molti. Il primo pensiero è quello di farne musei ma gli studenti d’architettura di Graz hanno avuto anche altre idee. I risultati sono visibili ancora fino a mercoledì prossimo, nella mostra che è stata allestita nelle sale del Grand Hotel a Dobbiaco. L’area dolomitica nella quale si combattè la Grande Guerra è ricca di fortificazioni risalenti agli ultimi anni del periodo austroungarico, fra il 1880 ed il 1890. Al passo Valparola, Forte Tre Sassi è già diventato un museo e lo stesso si sta pensando di fare a Sesto Pusteria con la fortezza di Monte di Mezzo. Anche in Val di Landro, gli austriaci costruirono una di queste fortezze che poi venne «ritoccata» anche durante il periodo fascista, dopo di cui però andò, come le altre, praticamente in rovina. Il posto quasi ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo ed il complesso, su due corpi uniti da un bunker, si presterebbero però ad un reimpiego pacifico e turistico che Reinhold Messner, durante una sua visita di quest’estate, ipotizzò anche come sede di un suo museo etnografico della gente di montagna. Ampliando lo spettro delle proposte, la facoltà di architettura dell’Università di Graz ha organizzato in questo senso un workshop estivo fra i suoi studenti proprio su questo tema. La fantasia e forse anche la giusta intuizione dei giovani, che hanno subito rifiutato la soluzione museale su un conflitto motivandola con la mitizzazione di una guerra e della guerra in generale che non vanno mitizzate, hanno invece studiato un’ampia serie di altre proposte che, elaborate, sono ora oggetto di una mostra visitabile ancora fino a mercoledì nel foyer del Grand Hotel di Dobbiaco. Progetti ipotetici - che spaziano da un punto d’incontro per giovani fino alla realizzazione di un centro per attività alpinistiche, dall’ipotesi di una estemporanea galleria d’arte fino alla sede di un’accademia estiva - che hanno comunque il pregio di aprire una discussione sull’uso futuro di questi fortini.

 

Forte Mezzacapo tornerà a vivere con iniziative culturali
Da la Nuova di Venezia — 20 novembre 2004 pagina 23 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Nascosto tra gli alberi e per anni dimenticato, il novecentesco forte di Mezzacapo in via Scaramuzza tornerà presto a vivere. L’acquisizione definitiva da parte del Comune dovrebbe realizzarsi nei primi mesi del prossimo anno, a quel punto il forte sarà a disposizione di Quartiere e associazioni, che si impegneranno a gestire la struttura dando concretezza ai numerosi progetti sulla carta. Una sfida raccolta dall’associazione «Dalla guerra alla pace», che ha dato la piena disponibilità a gestire la struttura, e dall’assessore all’ambiente Paolo Cacciari, che ha proposto di creare a ridosso del forte una «city farm» per le coltivazioni biologiche. Una parte dei 10 ettari di verde che circondano la struttura, potrebbe infatti essere inserita nel progetto di riconversione dell’agricoltura, finanziato dal fondo di 600 mila euro della legge speciale che verrà votata nei prossimi giorni dalla giunta comunale. «L’obiettivo è quello di creare un centro di eccellenza per le coltivazioni biologiche - spiega Paolo Cacciari - con laboratori e corsi di formazione che portino alla sperimentazione di nuovi modelli di agricoltura meno impattanti e inquinanti». Ma il forte sarà aperto soprattutto a iniziative culturali, mostre e concerti, nell’ottica di inserire a pieno titolo la struttura nel tessuto sociale, e trasformarla in un luogo dove salvaguardia dell’ambiente e tutela del patrimonio storico possano integrarsi con proposte culturali e sociali. Si tratta ora di passare dalle parole ai fatti, e l’associazione «dalla guerra alla pace» sembra avere già le idee molto chiare. Oltre ad aver presentato la pubblicazione «Il forte di Mezzacapo a Zelarino» curata da Claudio Zanlorenzi e Rodolfo Marcolin, l’associazione ha infatti avanzato numerose proposte per il riutilizzo del forte: dal restauro della struttura storica (che ospiterà un museo delle fortificazioni, aree espositive e un percorso sulla guerra) all’apertura della parte esterna del forte, con aree pic-nic e zone attrezzate per i bambini. Un progetto ambizioso, che ha come obiettivo finale quello di collegare tutti i forti del sistema trincerato mestrino (Marghera, Pepe, Carpenedo, Rossarol, Gazzera e Tron) in una grande «cintura» di oasi naturalistiche e culturali. (Andrea Martinello)

 

Storie e progetti su Forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 18 novembre 2004 pagina 26 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Viene presentato oggi alle 20.30, nella sala della chiesa dei Mormoni a Zelarino, il libro Il Forte Mezzacapo a Zelarino - Storie e progetti d’uso, pubblicazione curata da Claudio Zanlorenzi e Rodolfo Marcolin, entrambi membri dell’associazione «Dalla guerra alla pace». Il libro ha un duplice scopo, quello di raccontare la storia e lo sviluppo di una struttura nata all’inizio del Novecento insieme a molte altre per proteggere Venezia (il famoso campo trincerato di Mestre) e lanciare alcune proposte per una sua riutilizzazione a favore della comunità. Alla presentazione prenderanno parte parecchi rappresentati delle istituzioni e delle associazioni culturali. L’introduzione sarà di Alessandro Voltolina dell’associazione StoriAmestre, sodalizio da cui è nata l’idea della pubblicazione. Tra i presenti ci sarà anche il presidente del Quartiere Cipressina-Zelarino-Trivignano Savino Balzano, l’assessore all’Ecologia Paolo Cacciari e quello al Patrimonio Giorgio Orsoni: la presenza di quest’ultimo ha una particolare importanza, visto che in questo periodo si sta perfezionando l’acquisizione delle ex strutture militari mestrine. Prima della presentazione ufficiale del volume è in programma un piccolo concerto con Sabina Angelova al piano e Stefano Salvini voce. Da ricordare che sono già pronti i progetti per la rivalutazione di Forte Mezzacapo, uno dei quali riguarda l’avvio di una serie di coltivazioni biologiche. (m.t.)

 

A Valle il recupero dell'Antro
Da il Corriere delle Alpi — 12 novembre 2004 pagina 29 sezione: PROVINCIA

VALLE. Il Percorso della memoria, voluto dall’assessore regionale al turismo Floriano Prà, avrà una tappa anche nel comune di Valle. In questi giorni sono iniziati i lavori di recupero della zona dell’ex forte di Pian dell’Antro. Costruito dagli italiani nel 1910-1914, il forte fa parte del ridotto cadorino detto anchefortezza Cadore-Maè e della fortezza Cordevole, costruita attorno ad Agordo con l’intento di contenere un eventuale attacco austriaco. I lavori di recupero, finanziati dal comunale di Valle, dalla comunità montana Centro Cadore e dalla Regione, sono stati appaltati alla cooperativa sociale «La Via». La prima fase di lavori consiste nel taglio degli alberi all’interno del forte e nelle sue adiacenze, nella posa delle griglie divelte all’interno della struttura e il ripristino delle staccionate. Inoltre sarà montato un pannello informativo sul quale sarà riportata la storia del forte e della fortezza Cadore-Maè. Sarà anche rimessa in ordine la strada d’accesso. La parte del forte nella quale erano sistemati i cannoni è stata completamente distrutta. Sono invece rimaste intatte le postazioni. L’amministrazione comunale di Valle, con il recupero di queste strutture, intende portare anche sul suo territorio il grande circuito della Grande Guerra, che sembra essere uno dei business turistici dell’avvenire. (v.d.)

 

«Al quartiere il Forte Mezzacapo»
Da la Nuova di Venezia — 03 novembre 2004 pagina 22 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. «E’ necessario che Forte Mezzacapo venga bonificato il prima possibile, poiché i cittadini chiedono spazi dove socializzare». Anche il comitato di via Scaramuzza, tramite il suo presidente Flora Bullin, invoca l’immediato recupero della struttura militare all’interno della quale continua l’opera di sminamento. «Ho già parlato con i responsabili dell’associazione StoriaAMestre, che hanno da tempo chiesto di poter accedere alla gestione dell’area», spiega la signora Bullin, «abbiamo visto come sia possibile e fattiva una collaborazione, al fine di recuperare uno spazio verde e pubblico preziosissimo per il nostro quartiere. Forte Mezzacapo sarebbe un luogo ideale anche per anziani e disabili». D’accordo anche Claudio Zanlorenzi, di StoriaAMestre, che ha ribadito però la necessità che esista un’«unica testa» che si occupi della gestione, «onde evitare confusione e sovrapposizioni». Intanto giovedì 18 novembre alle 20.30 nella sede dei Mormoni sulla Castellana verrà presentato il libro sul forte curato da StoriaAMestre. (g.cod.)
 

 

Dagli euromissili alla fine della guerra fredda. La politica estera italiana negli anni Ottanta
Da italianieuropei.it del 1 novembre 2004

Nell’analizzare le scelte internazionali compiute negli anni Ottanta, la storiografia ha prevalentemente cercato di sottolineare il carattere di transizione di quel decennio, che costituisce il momento di passaggio tra due sistemi internazionali molto diversi, ovvero tra l’ultima fase della guerra fredda e il periodo successivo alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Oppure ha preferito concentrarsi sull’«eccezionale attivismo» che, secondo Mammarella, caratterizzò la politica estera italiana nella fase centrale del decennio, collegando questo aspetto soprattutto all’esperienza del primo governo italiano a guida socialista nella storia della Repubblica.

Nell’analizzare le scelte internazionali compiute negli anni Ottanta, la storiografia ha prevalentemente cercato di sottolineare il carattere di transizione di quel decennio, che costituisce il momento di passaggio tra due sistemi internazionali molto diversi, ovvero tra l’ultima fase della guerra fredda e il periodo successivo alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Oppure ha preferito concentrarsi sull’«eccezionale attivismo» che, secondo Mammarella, caratterizzò la politica estera italiana nella fase centrale del decennio, collegando questo aspetto soprattutto all’esperienza del primo governo italiano a guida socialista nella storia della Repubblica. O infine di evidenziare un certo dualismo tra una tendenza volta a privilegiare la dimensione «arabo-mediterranea» della politica estera italiana e una più legata alla dimensione «euro-atlantica», tra le quali i governi Craxi sarebbero abilmente riusciti a trovare un non facile equilibrio. Tutte queste sono valutazioni sostanzialmente corrette. Tuttavia, per spiegare le scelte compiute in quel periodo è necessario sottolineare un altro importante cambiamento che avviene nella natura stessa della politica estera italiana, e che si traduce nella transizione tra due diverse tipologie che la caratterizzano, entrambe strettamente collegate ai cambiamenti più generali del sistema internazionale.

Una definizione della politica estera italiana negli anni della guerra fredda

Durante la guerra fredda la politica estera italiana fu strutturalmente diversa da quella del periodo precedente e successivo, al di là delle inevitabili linee di continuità che caratterizzano tutta la politica estera dell’Italia come Stato unitario. A questa differenziazione non sempre viene dato peso, a causa dell’inadeguatezza delle categorie analitiche alle quali non solo gli storici, ma tutti gli operatori del settore, fanno spesso riferimento, per comodità, abitudine o inerzia, al fine di capire e interpretare la storia italiana del dopoguerra e in particolare le scelte di politica internazionale. Per spiegare il processo decisionale alla base di larga parte delle scelte italiane, le analisi relative alla politica estera durante la guerra fredda continuano infatti a usare tradizionali paradigmi esplicativi quali quello del «primato della politica interna» o dell’«autonomia della politica estera» che si rivelano insufficienti da un punto di vista euristico. Nel primo caso, tutte le scelte di politica estera vengono interpretate in chiave puramente strumentale, come dettate esclusivamente da motivazioni collegate al quadro politico interno, con scarsa o nessuna attenzione alle esigenze autonome della politica internazionale. È la tesi che viene spesso riassunta nella lapidaria affermazione secondo la quale durante la guerra fredda «l’Italia non aveva una sua politica estera», ma solo «la politica estera della sua politica interna»: una volta patrimonio della sinistra, che rimproverava alla Democrazia Cristiana o al centrosinistra un supino appiattimento su posizioni atlantiste e filo-occidentali. Questa critica in tempi più recenti è stata fatta propria anche da qualche pundit di centrodestra e sembra entrata a far parte della vulgata della storia italiana del dopoguerra, per cui una volta fatte le scelte di fondo (l’adesione al Patto atlantico, la scelta europeista) la politica estera italiana sarebbe consistita in un quarantennio di sostanziale sopore e grigiore. Nel secondo caso, quello in cui si tende a sottolineare la maggiore autonomia, spesso per reazione alla banale semplificazione precedente, si tende invece ad analizzare le scelte di politica internazionale prescindendo quasi completamente dal quadro di riferimento interno, e spiegandole in base al puro calcolo della politica di potenza tipico della diplomazia tradizionale, come se l’Italia repubblicana dal 1945 al 1989 fosse stata uno Stato «normale» (ammesso che quello di «normalità» sia un concetto spendibile in campo scientifico) come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, e non un paese profondamente diviso e lacerato sul piano politico interno, con due opposte fazioni che per oltre trenta anni si sono prefisse obiettivi quasi diametralmente opposti.

Il dibattito sul rapporto tra politica estera e politica interna (e in particolare sulla predominanza dell’una sull’altra) non è una novità del periodo della guerra fredda, ma è vecchio quanto l’esistenza dello Stato italiano, o forse addirittura ne precede la creazione: basti citare per tutti il «Mussolini» diplomatico di Salvemini, nel quale si rimproverava al duce di fare una politica estera a fini puramente strumentali di politica interna. Negli anni dell’Italia repubblicana e della guerra fredda, una delle formulazioni più note fu quella dello storico americano Norman Kogan, che vedeva la politica estera italiana come una vera e propria quantitè negligèable, un’appendice scarsamente significativa del processo politico interno e, di questo, una variabile del tutto dipendente. Tuttavia se quella dicotomia interno/esterno può avere un senso per il periodo precedente alla seconda guerra mondiale, o successivo alla guerra fredda, sembra molto meno utile per capire quanto accade tra il 1945 e il 1991. Lo scenario della guerra fredda nel quale furono prese molte decisioni di politica estera durante la prima Repubblica era infatti molto più complesso, poiché in esso prevaleva un’interdipendenza tra politica interna e politica estera che va indagata secondo categorie interpretative che non riducano l’una a semplice appendice dell’altra, ma che ne evidenzino l’intreccio. Questo è ciò che fa, ad esempio, Raymond Aron con il concetto di «guerra civile internazionale», che egli applica a quei periodi dove il confronto tradizionale basato sulla politica di potenza viene rafforzato da un contrasto ideologico o religioso, che attraversa i confini e le barriere e riproduce all’interno di uno Stato le divisioni del sistema internazionale.1 Proprio a causa della profonda divisione tra le sue principali forze politiche, l’Italia della guerra fredda era un paese di frontiera e spesso un teatro, oltre che un protagonista, della guerra fredda – e questo ben oltre la fase cruciale dell’immediato dopoguerra. Ogni scelta di politica internazionale aveva cioè una sua forte valenza di politica interna, così come molte decisioni di politica interna avevano una forte ricaduta sulla posizione internazionale dell’Italia: basti pensare, per fare due esempi quasi scontati, all’adesione al Patto atlantico da un lato, o alle elezioni del 18 aprile 1948 dall’altro; ma anche alle scelte europeiste del 1955-57 o atlantiche del 1958, compiute anche per esorcizzare le pulsioni neutraliste del progetto del centrosinistra. Oppure, alla doppia scelta di schierare gli euromissili nel 1979 e nel 1983. In tutti questi casi si trattava di ribadire la posizione occidentale dell’Italia, una scelta che almeno fino al 1976 (fino alla famosa intervista di Berlinguer sull’«ombrello» della NATO) era contestata da circa il 25-30% dell’elettorato e faceva della collocazione stessa dell’Italia sullo scacchiere internazionale un elemento di contesa tanto tra le superpotenze quanto tra la forze politiche interne.

Il nuovo che avanza?

Fermo restando che nelle moderne società democratiche è impossibile analizzare la politica estera di uno Stato prescindendo dal quadro di riferimento nel quale essa viene elaborata, e che quindi il rapporto tra quadro internazionale e sistema politico interno deve essere sempre tenuto presente, è pur vero che negli anni Ottanta si comincia a intravedere un diverso modello di politica estera italiana, in cui l’intreccio tra i due piani – quello interno e quello internazionale – diventa molto meno forte e meno vincolante che nel periodo precedente. Nell’arco di quel decennio infatti, dopo la drammatica recrudescenza della guerra fredda nei primi anni Ottanta, si assiste a una sua progressiva attenuazione e all’evoluzione verso un sistema internazionale diverso, il che parallelamente fa sì che sul piano interno in Italia si sviluppi e si rafforzi una tendenza verso l’elaborazione di una politica estera che riscuota un maggiore consenso da parte delle principali forze politiche.

Su questa evoluzione della politica estera italiana influì in maniera crescente il cambiamento della situazione politica interna e in particolare il progressivo avvicinamento del PCI alle posizioni dei partiti di governo. La ricerca di una collaborazione tra il PCI, la DC e le altre principali forze politiche aveva inevitabilmente posto le basi fin dagli anni Settanta per una politica estera, di sicurezza e difesa che potesse finalmente prescindere dalle preoccupazioni legate al «fronte interno» e potesse invece contare anche sul sostegno della sinistra comunista, o perlomeno di una parte di essa. La strada della legittimazione del PCI come forza di governo passava perciò attraverso l’accettazione sia del processo di integrazione europea sia dell’Alleanza atlantica, ma soprattutto del fatto che l’Italia potesse svolgere in entrambi quei contesti un ruolo attivo e di primo piano, il che spesso poteva implicare per il PCI non solo limitarsi ad approvare più o meno obtorto collo lo status quo, ma anche assumersi la responsabilità di scelte molto difficili e controverse. Non era però facile per il PCI compiere un simile percorso in tempi brevi. E se era relativamente più semplice accettare taluni aspetti della politica estera, come il processo di integrazione europeo, molto più arduo era, ad esempio, accettare una nuova visione della tutela della sicurezza nazionale che implicasse una politica di difesa di più alto profilo rispetto al passato. Il limite dell’avvicinamento degli anni Settanta era stato forse proprio questo, e cioè la ricerca di un minimo comune denominatore tra i vari partiti politici al livello più basso, costringendo la politica estera italiana a un progressivo inaridimento. Per quasi tutta la prima metà degli anni Ottanta il PCI, pur avendo completamente abbandonato l’anti-atlantismo e l’anti-militarismo aprioristici del passato, non riuscì perciò ad accettare e condividere molte delle scelte attinenti alla politica di sicurezza compiute dai governi in carica, e se su alcune di quelle fu possibile trovare un compromesso – come la seconda missione a Beirut – altre furono oggetto di scontri molto aspri, come nel caso della Forza di osservatori nel Sinai (MFO) o, caso ancor più noto, lo schieramento degli euromissili. Fin quando il sistema internazionale rimase bipolare e improntato alla logica della guerra fredda, quindi, il Partito comunista incontrò molte difficoltà nel venire a patti con una politica filo-occidentale di alto profilo che in ultima analisi contraddiceva la sua stessa identità.

Quando invece iniziò una progressiva trasformazione del sistema internazionale a partire dalla seconda metà del decennio, le cose mutarono. La nuova distensione introdotta nelle relazioni bipolari da Gorbaciov e Reagan a partire dal 1985-86 prefigurava infatti uno scenario di graduale smantellamento delle strutture politiche e concettuali della guerra fredda, che non poteva non avere ricadute profonde anche sul modo in cui la classe politica italiana avrebbe concepito il ruolo dell’Italia nel nuovo sistema internazionale. D’altro canto, la prospettiva della fine della guerra fredda, o comunque di una distensione tra i blocchi che appariva di un’ampiezza senza precedenti, non solo costringeva la sinistra comunista a ripensare la sua stessa identità, ma rendeva tanto più impellente anche un ripensamento della politica estera italiana. I mutamenti strutturali del sistema internazionale eliminavano infatti anche alcuni dei punti di riferimento ai quali nel corso di quaranta anni ci si era sistematicamente appoggiati: l’Alleanza atlantica da un lato e il processo di costruzione europeo dall’altro. L’esistenza di una «minaccia comunista» sul piano interno, vera, presunta o artatamente esasperata che fosse, aveva infatti costituito uno dei principali motivi per cui l’Italia aveva potuto contare sull’attenzione degli Stati Uniti durante la guerra fredda. Ma la prospettiva del venir meno del principale motivo di interesse americano per l’Italia – anche se senza dubbio ne sussistevano altri – poneva un grosso interrogativo sul futuro delle relazioni con il principale alleato. Veniva meno, in altre parole, quella che talora è stata definita un po’ cinicamente come «la rendita di posizione» dell’Italia durante la guerra fredda, il motivo per cui a Roma si faceva affidamento sulla possibilità di poter sempre contare sul sostegno di Washington. Del pari, la transizione verso un sistema internazionale diverso – di cui a partire dal 1987-88 si cominciano chiaramente a percepire i segnali, anche se in pochi immaginavano l’ampiezza dei rivolgimenti che si sarebbero susseguiti nei due-tre anni successivi – coglieva il processo di costruzione dell’Europa ancora in una fase di incertezza profonda, in cui ai motivi di soddisfazione per aver avviato il processo di completamento del Mercato comune con l’Atto Unico si affiancavano le frustrazioni legate al fallimento dei progetti più ambiziosi di taglio federalista sponsorizzati dall’Italia negli anni precedenti. Anche in ambito europeo, in altre parole, era tutt’altro che chiaro quale sarebbe stato il contesto in cui l’Italia si sarebbe trovata ad agire di lì a qualche anno.

Questa sensazione di crescente incertezza che caratterizzò il sistema internazionale nella seconda metà degli anni Ottanta accelerò dunque il processo di ripensamento della politica estera italiana verso linee di maggior coesione. La ricerca di un maggior consenso interno sulla politica estera, di una politica estera meno divisiva e più condivisa, cominciata già negli anni Settanta, ricevette perciò un ulteriore, fortissimo impulso dalle prospettive di cambiamento degli ultimi anni Ottanta. L’improvvisa accelerazione degli eventi a partire dal 1989, con la liberazione dell’Europa orientale e infine la scomparsa dell’Unione Sovietica, trasformarono poi definitivamente quel sistema internazionale che aveva così profondamente influito sulla natura stessa del sistema politico italiano, rendendo inevitabile non solo un cambiamento della sua politica estera ma anche un profondo mutamento all’interno delle forze politiche che lo costituivano, contribuendo al tempo stesso a ridefinire il rapporto tra politica estera e politica interna in modo diverso dal passato. Alla fine del decennio stava per scomparire la grande dicotomia del sistema internazionale e si avviava perciò ad analoga fine quello iato del sistema politico italiano che di quella dicotomia, pur con tutte le sfumature, le eccezioni e i «distinguo» relativi alla «diversità» dell’esperienza del PCI, costituiva la trasposizione sul piano interno.

La politica estera italiana negli anni Ottanta

Se si analizzano i vari momenti della politica estera italiana dei «lunghi anni Ottanta» – del decennio che va dal riacutizzarsi della guerra fredda con l’invasione sovietica dell’Afghanistan e la decisione NATO del «doppio binario» nel dicembre 1979 fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991 – è sin troppo facile constatare la presenza di elementi di entrambe le sue tipologie, tanto quella caratteristica della guerra fredda quanto quella meno vincolata alla logica del confronto bipolare. E se è relativamente semplice individuare una tendenza di fondo che va verso la «nuova» politica estera, è tutt’altro che facile individuare un momento di cesura, una soglia spartiacque che segni la fine di una impostazione e la definitiva affermazione dell’altra.

I governi guidati da Craxi, in particolare, si trovarono a gestire nella fase centrale del decennio proprio il momento in cui la transizione dall’una all’altra fase era in pieno sviluppo e le contraddizioni più accentuate. L’esperienza del primo governo a guida socialista della storia italiana coincide così con un periodo in cui le regole del gioco stavano cambiando e si assisteva a una radicale trasformazione del nesso tra sistema internazionale e sistema politico interno. Solo se si tiene presente questo scenario di fondo si possono capire certe apparenti contraddizioni delle scelte compiute nel periodo tra il 1983-1987.

La decisione di schierare gli euromissili a Comiso – in entrambe le sue tappe, quella del 1979 e quella del 1983 – può essere interpretata alla luce del paradigma della guerra fredda, e anzi ne costituisce per molti aspetti un’applicazione esemplare, sia pure con alcuni risvolti inconsueti. La scelta italiana di schierare i Cruise è stata spesso spiegata facendo riferimento in modo quasi esclusivo al quadro politico interno. Non c’è dubbio, in effetti, che il tema della solidarietà occidentale e della necessità che l’Italia adempisse ai suoi doveri e alle sue responsabilità di partner dell’Alleanza atlantica fu senz’altro sfruttato dai politici della nuova maggioranza del pentapartito per influenzare il nuovo corso della politica italiana, allontanare la possibilità di un ritorno alla logica del compromesso storico e mantenere il PCI all’opposizione, mettendolo di fronte all’alternativa tra rimanere isolato o compiere delle scelte che l’avrebbero costretto a completare il suo processo di trasformazione e sganciamento dall’Unione Sovietica. Al tempo stesso, però, quella scelta può anche essere interpretata come il frutto della necessità di dimostrare sul piano internazionale la rinnovata vitalità della politica estera italiana, che aveva attraversato una lunga fase di stagnazione, nel corso della quale il «peso specifico» dell’Italia come attore internazionale si era fortemente ridimensionato fino ad arrivare all’imbarazzante esclusione da un vertice importante come quello della Guadalupa tenutosi nel gennaio del 1979 da Carter, Giscard, Callahan e Schmidt.

Pertanto la decisione del dicembre del 1979 ottemperava al duplice scopo di testimoniare il ritrovato dinamismo della politica estera italiana e di mettere in difficoltà il PCI, che dopo alcune incertezze iniziali cercò di giocare la carta della «opposizione leale», rivendicando il suo diritto a contestare la scelta di schierare i missili pur restando fedele alla NATO. Per la nuova coalizione, e soprattutto per quei partiti che miravano a rendere difficile se non impossibile il ritorno del PCI nella maggioranza, fu facile accusare il Partito comunista di doppiezza e mantenerlo ai margini – in questo aiutati probabilmente dalla decisione dello stesso PCI di provare a cavalcare la tigre della protesta di massa contro le nuove armi a partire dal 1982-83. Grande abilità, in questo gioco, mostrò dunque Craxi, che della vicenda degli euromissili si servì per indicare agli Stati Uniti che dal punto di vista della affidabilità atlantica la sua leadership valeva quanto quella di un qualunque democristiano, usando così il test della sua fermezza in ambito atlantico sia contro il PCI sia contro la stessa DC.

Si deve tuttavia aggiungere, per valutare appieno il senso della scelta italiana a favore degli euromissili, che scelte analoghe, compiute sulla base di un mix di considerazioni di politica interna e di politica estera, erano state fatte per quasi tutto il corso della storia dell’Italia repubblicana. Come si è cercato di spiegare all’inizio, infatti, nel contesto internazionale della guerra fredda era praticamente impossibile separare rigidamente i due campi, ed era inevitabile che decisioni volte a ribadire l’appartenenza dell’Italia a uno dei due schieramenti avessero poi un peso politico interno estremamente rilevante. Persino nei primi anni Ottanta, dunque, il test dell’atlantismo continuava a essere uno strumento importante della vita politica italiana, utilizzato non solo per rilanciare il prestigio internazionale ogniqualvolta si avvertiva la sensazione che l’Italia corresse il rischio di essere lasciata ai margini da vicende importanti, ma anche per ancorare saldamente all’occidente un sistema politico potenzialmente soggetto a pericolosi sbandamenti. Da questo punto di vista, l’unica differenza tra la decisione del 1983 e quelle degli anni precedenti stava nel fatto che per la prima volta la decisione veniva presa da un politico socialista e non da un democristiano. L’altro episodio importante della prima metà degli anni Ottanta, la partecipazione alla forza multinazionale di pace a Beirut tra il 1982 e il 1984, costituì invece un primo importante momento di cambiamento non solo per l’utilizzazione delle Forze Armate italiane,2 ma soprattutto per il rapporto tra le forze politiche, che a quella missione dettero un sostegno quasi unanime, in particolare nella sua seconda fase, svoltasi nel settembre 1982 dopo l’omicidio del presidente libanese Gemayel e i massacri di Sabra e Chatila. Anche il PCI, che fino a poco prima aveva duramente avversato la partecipazione italiana alla missione della forza multinazionale di osservatori nel Sinai incaricata di verificare l’applicazione degli accordi di Camp David, approvò il ritorno in Libano delle forze italiane sull’onda emotiva suscitata dalle sofferenze dei profughi palestinesi.

Così come l’accordo relativo al dispiegamento dei Cruise in qualche modo può essere visto come il simbolo della tipologia tradizionale della politica estera e di sicurezza, quella profondamente influenzata dalla logica della guerra fredda, la missione libanese, pur tenendo presenti le circostanze particolari in cui si verificò, nelle quali giocò un ruolo importante l’impatto emotivo delle immagini degli eccidi compiuti nei campi palestinesi, può essere interpretata come l’archetipo del nuovo possibile modello di sviluppo della politica estera. Una tipologia di missione che con il tempo avrebbe consentito non solo ai militari di recuperare legittimità e spazio di manovra all’interno del dibattito politico nazionale, ma avrebbe altresì permesso alle forze politiche della sinistra ex-comunista, ansiose a loro volta di recuperare credibilità e di accreditarsi come legittime e responsabili forze di governo, di accettarne e farne proprie le linee di fondo, sia pure con la continua ricerca di sfumature lessicali che rendessero tali missioni più accettabili al proprio elettorato.

Gli altri temi centrali nell’evoluzione della politica estera degli anni Ottanta confermano questo crescente allargamento del consenso interno nei confronti delle scelte di politica internazionale, e quindi la progressiva riduzione dell’elemento conflittuale legato agli schemi della guerra fredda. L’europeismo, in particolare, sia pure inteso in un’accezione spesso sin troppo generica e tanto carica di slancio ideale quanto poco attenta ai contenuti concreti, si avviava a divenire un patrimonio comune di tutte le forze politiche, e su quel terreno il dialogo tra forze di governo e opposizione era destinato a svolgersi con relativa facilità. La spinta innovativa impressa dal governo italiano al processo di costruzione dell’Europa con la difficile scelta di usare la formula del voto a maggioranza al Consiglio europeo di Milano del 1985 per indire una Conferenza intergovernativa che lavorasse sul progetto di Unione politica costituì perciò un altro passaggio importante verso la condivisione, da parte di tutte le forze politiche, di decisioni tanto scomode quanto importanti. A cavallo della metà degli Ottanta, infatti, si completò il processo di sostanziale allineamento del PCI sulla prospettiva di un europeismo improntato all’ispirazione federalista sostenuta dal governo in pieno accordo con il progetto di sviluppo lanciato dal Parlamento europeo e da Altiero Spinelli negli anni precedenti. La scelta di Craxi e Andreotti di forzare la mano, a Milano, verso una svolta nel processo di costruzione dell’Europa fu dunque un altro momento di aggregazione delle principali forze politiche verso una politica estera «nazionale».

Analogo ragionamento si può probabilmente fare a proposito del sostegno dato alla perestrojka del nuovo segretario del PCUS Michail Gorbaciov, la cui ricerca di una politica di distensione con l’Occidente trovò in Italia ampi sostegni presso quasi tutte le forze politiche. Alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta la campagna avviata dal PSI a sostegno dei dissidenti dei paesi dell’Est era stata usata in maniera da far emergere le contraddizioni del PCI e del progetto eurocomunista, e per stimolarne un ulteriore allontanamento dalla propria matrice identitaria. Quel tipo di Ostpolitik da parte del PSI rientrava quindi ancora nella logica della guerra fredda e della contrapposizione; tuttavia, a partire dalla metà del decennio, e in particolare dopo l’arrivo di Gorbaciov, il Partito socialista e il suo leader non mancarono di rinnovare segnali di attenzione nei confronti della nuova leadership sovietica e dei paesi dell’Est, prospettando un dialogo con tutto il blocco orientale che ne favorisse le tendenze riformiste e contribuisse al generale allentamento della pressione autoritaria avviato dalle iniziative del nuovo segretario del PCUS. Su un’impostazione politica di questo genere, ovviamente, potevano riconoscersi quasi tutte le forze politiche italiane.

Minore peso, da questo punto di vista, dovrebbe invece essere attribuito a un episodio che viene spesso citato come momento «alto» di una politica estera più autonoma e basata su un’ampia convergenza delle forze politiche interne, vale a dire la crisi nei rapporti con gli Stati Uniti legata alla crisi di Sigonella. Per quanto spesso venga enfatizzata attribuendole un’importanza notevole, la vicenda di Sigonella e del contrasto con gli Stati Uniti in merito all’operazione che portò all’arresto dei terroristi palestinesi che avevano effettuato il dirottamento della motonave Achille Lauro e perpetrato l’uccisione di Leon Klinghoffer, costituisce un episodio circoscritto e isolato che, pur costituendo una grave crisi nel contesto delle relazioni bilaterali con Washington, non ebbe particolari conseguenze sul piano internazionale e deve essere perciò interpretata non come un passaggio nell’elaborazione di un disegno più vasto ma in base alla sua natura di singolo evento. È semmai la politica medio-orientale seguita complessivamente dai governi Craxi-Andreotti, e in particolare l’attenzione rivolta da Craxi alle ragioni del movimento palestinese e del suo leader Yasser Arafat, che va vista come un altro momento dell’elaborazione di una politica estera meno legata ai parametri della guerra fredda, nella quale potesse riconoscersi un numero crescente di forze politiche.

Nel corso degli anni Ottanta si verificò dunque una progressiva trasformazione della natura della politica estera italiana, proprio perché mutarono gradualmente i due quadri di riferimento, quello interno e quello internazionale, tra cui essa doveva svolgere la sua azione di filtro e di raccordo. Questo processo di trasformazione non significò che a partire dalla fine della guerra fredda si sarebbe dato vita a una politica estera consensuale e priva di motivi di contrasto, ma semplicemente che le scelte successive, spesso anche molto drammatiche e sulle quali si sarebbero inevitabilmente verificati scontri quanto mai accesi, non avrebbero più avuto lo scopo di ribadire l’identità internazionale dell’Italia, la sua appartenenza a un blocco invece che all’altro. Nell’analizzare la politica estera dei governi a guida socialista a metà degli anni Ottanta questa considerazione di fondo deve essere costantemente tenuta presente per spiegarne quelle che altrimenti potrebbero sembrare stridenti contraddizioni: le scelte di Craxi di accettare gli euromissili, di spingere il Consiglio europeo di Milano verso una scelta difficile, di lavorare per facilitare il dialogo con Gorbaciov o la distensione nel Mediterraneo, non possono essere ricondotte tutte a una logica di personalistico attivismo o di ansia di protagonismo, ma vanno inquadrate in un contesto più ampio che consenta di spiegare perché quell’attivismo fu possibile. Una volta ribadita con fermezza l’appartenenza dell’Italia al campo occidentale e date ampie garanzie all’alleato americano che l’Italia restava fermamente allineata all’Occidente anche con un governo a guida socialista, i governi Craxi si trovano a poter sfruttare le due tendenze parallele del maggior dialogo tra le forze politiche interne e della ricerca di una politica estera «nazionale», e quindi a muoversi sulla scena politica internazionale con maggiore dinamismo che in passato. Quando poi si cominciò a intravedere l’evoluzione del sistema internazionale verso scenari molto diversi dal passato, l’iniziativa internazionale dell’Italia si adeguò al processo di cambiamento cercando al tempo stesso di muoversi su un terreno che facilitasse il processo di conversione della sinistra comunista fino a farle condividere le scelte di fondo più importanti.

Tutto questo però richiese un tempo di metabolizzazione piuttosto lungo, soprattutto perché, come ha scritto l’ambasciatore Ferraris, «la sinistra non riesce a liberarsi delle perduranti diffidenze, fino all’ostilità, verso ogni decisione atlantica o “occidentale”: il condizionamento sovietico continua a stendere la sua ombra».3 Se infatti da un lato la ricerca di una collaborazione del Partito comunista con la DC e le altre principali forze politiche rendeva inevitabile cominciare a porre le basi per una politica estera, di sicurezza e difesa che potesse finalmente prescindere dalle preoccupazioni legate al «fronte interno» e potesse invece contare anche sul sostegno del PCI, non era però facile per quest’ultimo accettare una nuova visione della tutela della sicurezza nazionale che implicasse una politica di difesa di più alto profilo rispetto al passato. L’Europa, il dialogo con il mondo arabo, e il sostegno per la perestrojka sovietica erano tutte scelte sulle quali era più facile trovare una piattaforma comune. Molte scelte di politica di difesa, invece, continuarono a costituire una sorta di discriminante tra governo e opposizione per quasi tutti gli anni Ottanta, nonostante il PCI avesse progressivamente abbandonato le posizioni rigide del passato. Anzi, come al tempo della fase più acuta della guerra fredda, alcune scelte di politica internazionale furono probabilmente compiute anche con una particolare attenzione alle loro ripercussioni sulla scena politica interna e all’opportunità che esse offrivano di mantenere il PCI all’opposizione. Solo negli anni Novanta si sarebbe infatti sviluppata appieno la sintesi tra una maggiore autonomia delle scelte di politica di difesa all’interno del quadro atlantico e le novità introdotte nella scena politica dalla trasformazione del PCI, e quindi dalla fine dell’esclusione di una parte delle forze della sinistra dall’area di governo, con la crescente importanza attribuita nella politica estera e di difesa italiana alla partecipazione alle missioni internazionali a sostegno della pace.

Bibliografia

1 R. Aron, Gli ultimi anni del secolo, Mondadori, Milano 1984, p. 201.

2 Fino ad allora l’Italia aveva partecipato a operazioni di peacekeeping con un numero sempre molto ristretto di militari, mentre in Libano per la prima volta fu impiegato un contingente molto ampio in cui ai soldati di professione si accompagnava un numero elevato di militari di leva. Sull’importanza politica della missione cfr. L. Lagorio, L’ultima sfida. Gli euromissili, Loggia de’ Lanzi, Firenze 1998, pp. 114-115. Più in generale, cfr. F. Angioni, Un soldato italiano in Libano, Rizzoli, Milano 1984; L. Caligaris, Western Peacekeeping in Lebanon: lessons of MLF, in «Survival», 6/1984, pp. 262-268; Libano: missione compiuta, in «Rivista Militare», 5/1984, p. 164; G. Lundari, Gli Italiani in Libano, 1979-1985, Editrice Militare Italiana, Milano 1986; G. Nebiolo, Gli Italiani a Beirut, Bompiani, Milano 1984; A. Sion, Libano. Il contingente militare italiano, in «Rivista Militare», 1/1984, pp. 23-31.

3 L.V. Ferraris, Intervento, in E. Di Nolfo, La politica estera italiana negli anni Ottanta, Piero Lacaita editore, Bari 2003, p. 322.

 

Forte Mezzacapo tra oasi naturale, storia e progetti futuri
Da la Nuova di Venezia — 31 ottobre 2004 pagina 29 sezione: GIORNO/NOTTE

Storia, testimonianze, progetti futuri: sono gli ingredienti de Il Forte Mezzacapo a Zelarino, nuovo libro curato da Rodolfo Marcolin e Claudio Zanlorenzi che, andando ad aggiungersi agli altri sui forti del campo trincerato di Mestre, aiuta a comprendere meglio questa realtà ricca di risorse che la terraferma non può permettersi di perdere. Circondato da un’area verde di circa 10 ettari di terreno, che potrebbe essere usata dai cittadini per gli scopi più diversi, il forte è uno dei 7 (su 12) che nel 2003 il Comune di Venezia, dopo lunga e snervante trattativa, è riuscito ad acquistare dal Ministero della Difesa, e oggi attende di essere valorizzato e riutilizzato al meglio. E i progetti non mancano: l’Associazione «Dalla guerra alla pace - Forte alla Gatta», nata proprio per salvaguardare e riutilizzare al meglio quest’area, descrive i problemi dovuti all’abbandono della struttura (cancello aperto, locali utilizzati come dormitorio da persone senza fissa dimora e così via), i problemi relativi alla concessione (che ancora non arriva), ma soprattutto i modi in cui vorrebbe utilizzare il forte, organizzando attività sociali e culturali, campi estivi e giochi, visite guidate e mostre, ma anche realizzando un museo del quartiere con il materiale e i documenti dell’archivio Antonello. Giorgio Sarto espone l’idea di creare una «cintura verde» a Mestre, nella quale rientra a pieno titolo il sistema dei forti e in particolare il Mezzacapo, per salvaguardare un sistema storico-ambientale che, malgrado oltre mezzo secolo d’interventi infrastrutturali ed edilizi privi di qualità e di compatibilità, è ancora consistente. La Provincia di Venezia propone di inserire Forte Mezzacapo, per le presenze floro-faunistiche di notevole importanza nella sua area, in una rete ecologica che colleghi gli ecosistemi naturali ancora esistenti sul territorio, mentre il Consorzio di Bonifica Dese-Sile prospetta il ripristino del fossato acqueo (interrato nel 1964) per ritornare all’aspetto originario del forte. Marco Polo System, la società cui il Comune di Venezia si appresta ad affidare un incarico per uno studio d’impianto sul riutilizzo dell’intero sistema fortificato di Mestre, promuove infine il suo inserimento nel «Sistema dei forti di Mestre». Tutte idee per valorizzare una struttura che, costruita tra il 1908 e il 1912 a Zelarino, rientra a pieno titolo tra i manufatti storici della terraferma: il Mezzacapo è uno dei forti cosiddetti «di seconda generazione», concepiti secondo moderni dettami nel tentativo di costruire rifugi inespugnabili alle sempre più potenti artiglierie del tempo, in un periodo di forti tensioni internazionali che condussero allo scoppio del primo conflitto mondiale. Oltre a delinearne la vicenda storica, il libro presenta alcune interviste a persone che, vivendo vicino ad esso, ne raccontano la storia più recente (episodi avvenuti durante la seconda guerra mondiale, rapporti con i soldati, vita vissuta), e integra il tutto con una serie di belle immagini, fotografie, piantine e disegni, che illustrano Forte Mezzacapo in tutti i suoi aspetti. (Nicoletta Consentino)

 

Vodo presenta la «sua» Grande Guerra
Da il Corriere delle Alpi — 14 ottobre 2004 pagina 33 sezione: SPETTACOLO

OGGI nella Sala della Regola di Vodo di Cadore sarà inaugurata la mostra “I luoghi della Grande Guerra in provincia di Belluno”, realizzata nel contesto del Progetto Interreg III Italia-Austria 2000-06. L’esposizione, aperta fino al 27 ottobre, oltre a un’esauriente panoramica degli aspetti del primo conflitto mondiale tra Agordino, Zoldano e Cadore, presenterà una speciale sezione dedicata agli interventi di recupero e valorizzazione finora effettuati nel territorio di Vodo, in particolare sulla riva destra del Boite. Essa permetterà tra l’altro di fare il punto sull’ambizioso programma già avviato dalla precedente amministrazione guidata da Domenico Belfi e teso a ripristinare un notevole patrimonio di trincee, postazioni, strade ed osservatori di grande valenza strategica e tattica, in grado di offrirsi nei prossimi anni come interessante meta turistica. Si tratta di una serie di realizzazioni volute nei primi anni del ’900 e rientranti nel dogma, allora imperante, di una linea di massima difesa, presunta insuperabile, appoggiata ai forti corazzati e distesa dalle Marmarole a Casera Razzo, da Forcella Scodavacca al Rite. Durante il conflitto tale “linea difensiva di massimo arretramento o estrema resistenza”, detta convenzionalmente “Linea Gialla”, aveva lo scopo di sostenere la difesa in caso di trasferimento di unità in altri settori e nel settore della IV Armata si sviluppava tra monte Penna, Rite, Antelao, Marmarole, Tudaio e Casera Razzo, località quest’ultima in cui veniva a collegarsi con la linea arretrata di difesa a oltranza della Zona Carnia. Di particolare importanza risultava l’andamento di tale linea sulla riva destra del Boite, dove doveva assicurare il collegamento con gli impianti dello Zoldano, facendo praticamente da cerniera tra le opere della Fortezza Cadore-Maè e quelle dell’Agordino e della Val Maè. Le posizioni, sussidiate da strade e ricoveri, avevano anzitutto il compito di raccordare le fortificazioni di Rite, Col Vidal, Pian dell’Antro e Tudaio con quelle dello Sbarramento Cordevole, in particolare dello Spiz Zuèl (m 2033) e del Col de Salèra (m 1629), che attraverso Forcella Chiandolada andavano a rannodarsi con le difese approntate a Val di Cuze e sul Becco di Cuze (m 1724), sopra Vodo di Cadore. La costruzione del poderoso impianto corazzato di Rite sopra Fordella Cibiana (m. 2183), ultimato nel 1915, impose inoltre l’adozione di numerose difese complementari sulle alture sottostanti, una rete elaborata di trincee, postazioni e mulattiere di collegamento, con postazioni per mitragliatrici e artiglieria da campagna. Vodo dunque ha voluto riscoprire e valorizzare un apparato difensivo articolato e in gran parte sconosciuto, un autentico patrimonio storico che rischiava di essere fagocitato dalla vegetazione. Proprio perché le posizioni erano solide e in grado di alimentare almeno un conato di resistenza, qui la IV Armata di Robilant cercò di ritardare in qualche modo la ficcante penetrazione austriaca lungo il Boite, resistenza che finì col costare a Vodo l’8 novembre 1917 la distruzione pressoché totale delle sue case, nonché mille traversie alla sua terrorizzata popolazione. Particolare attenzione nello studio e ripristino è stata dedicata alla zona del Becco di Cuze, dove si trovano diverse gallerie e depositi per artiglieria, e sulla linea Crepe di Serla-Penna (m 1700-1900), dove correva in cresta una attrezzata linea difensiva per la fanteria. Di particolare interesse poi nella zona di Val Cason un bellissimo acquedotto, recentemente ripulito e valorizzato dal Comune di Vodo con precisa segnaletica e utilizzato probabilmente per fornire d’acqua i numerosi attendamenti militari organizzati nella zona di Casera Cercenà (m 1532) durante il conflitto. L’apertura di questi nuovi percorsi storici, sotto la direzione dell’architetto Alfarè Lovo e del comitato scientifico appositamente incaricato, permetterà a molti appassionati un’attenta rivisitazione delle logiche strategiche e tattiche che presiedettero alla concezione e costruzione di queste difese e renderà possibile una fruizione matura dell’intero comprensorio. E ci si attende pure da tutto ciò un adeguato rilancio del rifugio Talamini presso Forcella Chiandolada, che dopo la parentesi buia dei recenti atti vandalici che hanno decretato il suo sequestro, aspira legittimamente a catalizzare nuovi flussi di escursionisti evoluti e specialmente attenti al binomio natura e storia. - Walter Musizza e Giovanni De Donà

 

Cantieri aperti dal Peralba al Grappa
Da il Corriere delle Alpi — 04 ottobre 2004 pagina 07 sezione: CRONACA

BELLUNO. Dovranno essere conclusi entro la fine del prossimo anno, pena la perdita del contributo europeo, i cantieri per la riapertura degli itinerari della grande guerra sulle Dolomiti. Si tratta di un investimento regionale di 20 milioni di euro, partecipato per il 30% dagli enti. Numerosi gli interventi in cantiere, a cura, per la maggior parte, dei Servizi forestali. Si parte dal monte Peralba, dove il comune di Sappada sta riattivando le fortificazioni che si trovano a 5 minuti dal rifugio Calvi. Si passa ad Auronzo, con le trincee riaperte sul monte Piana ed i lavori di manutenzione straordinaria che i Servizi forestali stanno realizzando in questi giorni sul monte Paterno, a fianco delle Tre Cime di Lavaredo. Sul Pian dei Buoi, sopra Lozzo, in centro Cadore, da un anno e mezzo si è all’opera sul forte di Col Vidal e sui percorsi di accesso. Grazie ai volontari di Lozzo sono stati riaperti dei sentieri che la vegetazione aveva sepolto. Ripuliti anche i siti della grande guerra alle spalle di Lorenzago, che sono direttamente in faccia al monte Tudaio. Il percorso attraversa, poi, il monte Rite, dove l’ex forte è stato trasformato in un museo che la Regione e Messner hanno dedicato alla pace. Si arriva, quindi, alle Cinque Torri (la sistemazione delle fortificazione ha fatto crescere in estate del 30% gli escursionisti dell’area) e si passa al Lagazuoi. Da qui si scende al museo, poco distante dal passo della Val Parola, da dove parte l’itinerario che si fionda verso il Col di Lana. Si sta svolgendo proprio in quest’area il cantiere più importante. Entro novembre saranno pronte le “nuove” trincee. Si è materializzato anche un minuscolo tabià che dalla prossima estate funzionerà come centro informativo. Recuperate le gallerie sopra Digonera, da cui si sparava contro le postazioni nemiche sulla montagna di fronte. Con un balzo si arriva sulla Marmolada dove Onorcaduti si è impegnato ad ultimare le sistemazioni sulla cresta (ancora in forse il recupero delle salme nel ghiaccio di forcella V). L’ultimo cantiere sarà attivo a La Valle, dove sono state individuate casermette d’alta montagna ed altre postazioni della grande guerra che meritano di essere riscattate da 90 anni di oblio. Infine il monte Grappa, con la riapertura delle trincee nelle quali lavorano anche gli alpini dell’Ana. E a valle prendono sostanza 16 musei, alcuni molto frequentati dagli appassionati. Come a Vas. (fdm)

 

L’allarme del Ctg: «Ultimo treno per salvare il forte»
Da  l'Arena del 02-10-2004
Il sodalizio, da anni impegnato per la valorizzazione del territorio, lancia un appello al Comune per gli interventi di restauro Il Centro turistico giovanile: «Senza progetti si rischia di perdere i finanziamenti europei»

Rivoli - Visualizza Mappa con Google

In fatto di storia, monumenti e testimonianze artistiche Rivoli non ha da invidiare mete più conosciute. La vittoriosa battaglia che Napoleone combattè qui nel 1797 è senza dubbio il marchio più famoso, che ha portato fino a Parigi il nome di Rivoli, e la storia napoleonica è ben documentata e testimoniata dal Museo che si trova in centro paese. Ma a Rivoli gli scavi sulla Rocca hanno anche portato alla luce reperti preistorica, c’è la chiesetta di San Michele a Gaium, del XII secolo, mentre il forte Wohlgemuth testimonia la più tarda vocazione della Val d’Adige a luogo militare e di fortificazioni. E poi ancora le corti, la casa del botanico Calzolari, la caserma Massena, l’ex polveriera... Ma il turismo stenta a decollare, anche se da tempo gli amministratori pubblici cercano di dargli la giusta spinta. «Rivoli nasconde potenzialità che aspettano soltanto di essere sviluppate», dice Maurizio Delibori, responsabile del centro turistico giovanile Ctg Monte Baldo. «Non parlo solo di grandi opere, ma anche di ordinaria amministrazione volta alla valorizzazione turistica. Per esempio, la segnaletica turistica è davvero scarsa. La piccola chiesa di Gaium, o meglio quello che ne è rimasto, sagrestia e campanile, si trovano in una zona paesaggistica e ambientale bellissima, ma tutta da rivalutare. Il Comune poi», dice Delibori, «deve assolutamente insistere con la Sovrintendenza ai beni storici e artistici affinché faccia presto un intervento di recupero. La Sovrintendenza intervenne già circa cinquant’anni fa, ora è tempo che porti avanti l’opera con un altro restauro». Secondo il responsabile del Ctg Monte Baldo qualcosa si può e si deve fare anche per la zona archeologica della Rocca: «Anche in questo caso i cartelli sono scarsi e il sentiero non è più ben tracciato. L’area deve avere pannelli che spieghino i punti precisi dei ritrovamenti, illustrino i reperti e rendano la zona interessante anche al turista che sale senza una guida. Ora sulla Rocca, eccezionale punto di vista sull’intera valle, c’è il nulla. I materiali che lì sono stati ritrovati, come i vasi in coccio a bocca quadrata, giacciono abbandonati nelle cantine del Comune. Anche una mostra temporanea in occasione di qualche manifestazione in paese potrebbe valorizzarli, nell’attesa di trovare una collocazione museale fissa». Oltre alla segnaletica turistica, a pannelli e opuscoli informativi e a semplici lavori di sistemazione di sentieri, il Ctg rilancia progetti di più ampio respiro, anche per non perdere l’ultimo treno nella corsa agli stanziamenti europei per lo sviluppo di iniziative turistiche e culturali. «Nell’arco dei prossimi tre anni l’Unione europea ridurrà i finanziamenti per l’Italia e non ci sarà più la possibilità di affidarsi a questi preziosi contributi», continua Delibori. «Sarebbe un peccato sprecare i finanziamenti ora disponibili, perché Rivoli ha molta strada ancora da percorrere: una collaborazione con l’università potrebbe valorizzare il forte e la polveriera stessa può offrire nuovi spazi. Servono però progetti precisi e idee chiare, che a mio avviso possono essere forniti da persone esperte della materia e che conoscono la realtà e le esigenze del territorio. Chiedo al Comune», conclude Delibori, «di valutare l’idea di una commissione esterna, composta da persone che gratuitamente mettano a disposizione della comunità esperienza e competenza. Basterebbe un primo incontro per capire subito la fattibilità della cosa, le energie da mettere in campo e le strade da percorrere insieme».

 

A Forte Mezzacapo riprendono le bonifiche
Da la Nuova di Venezia — 10 ottobre 2004 pagina 23 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. A Forte Mezzacapo sono ripresi i lavori di bonifica da ordigni esplosivi. Il Ministero della Difesa, qualche mese fa, aveva fatto interrompere i lavori vista l’impossibilità di pagare la ditta che li stava eseguendo. Adesso si riparte. Molto probabilmente il Comune di Venezia ha sollecitato il Ministero perché faccia presto. La bonifica è necessaria per non perdere parte dei finanziamenti che sono stati stanziati per le coltivazioni biologiche. Anche se, quello delle bombe, sembra attualmente il problema minore. «Per ora non ne sono state trovate - spiega il vicepresidente del quartiere di Zelarino, Maurizio Enzo - Semmai bisogna rimuovere tutte quelle parti in amianto che sono presenti all’interno del Forte». Una volta pronta la struttura oltre alle colture biologiche dovrebbero cominciare varie attività. StoriaaMestre, assieme ad alcuni componenti del comitato di via Gatta, voleva organizzare molteplici iniziative estive. Nulla di fatto, proprio per l’interruzione dello sminamento. Per Forte Mezzacapo Cà Farsetti, un anno fa, ha firmato un contratto per acquistare l’antica polveriera entro 6 mesi. L’impegno era stato confermato dall’anticipo di circa 100 mila euro. Adesso che le operazioni di bonifica sono riprese l’acquisizione sembra più vicina. Intanto, proprio l’associazione culturale StoriaaMestre ha confermato che è pronto il libro sulla struttura militare, intitolato «Il forte Mezzacapo a Zelarino, storia e progetti». (g.cod.)

 

Il Comune diventa finalmente padrone dei forti
Da la Nuova di Venezia — 11 settembre 2004 pagina 21 sezione: NAZIONALE

Mezzo milione per avere Forte Rossarol, il complesso del 1907 in via Pezzana a Tessera: la delibera verrà discussa dal Consiglio comunale quando l’assemblea di Ca’ Farsetti esaminerà la variazione di bilancio decisa dalla giunta. Spesi quei 527 mila 295 euro, il Comune di Venezia diverrà proprietario di altre tre strutture del campo trincerato di Mestre, i Forti Carpenedo, Tron e Rossarol. E’ uno dei punti esaminati ieri mattina a Venezia dall’8ª Commissione consiliare, quella del Patrimonio. In discussione l’acquisizione dei tre forti di proprietà del Demanio dello Stato, in permuta con immobili di proprietà comunale. In cambio il Comune diventa titolare a tutti gli effetti dei tre forti, a costo zero (a parte il mezzo milione). La commissione ieri mattina ha concluso un tira e molla di un anno e mezzo con il Ministero della Difesa, una complessa trattativa patrimoniale, per certi versi simile a quella su Forte Marghera, il cui atto d’acquisto - oltre 9 milioni di euro - è stato bloccato in primavera dalla richiesta dei militari di conservare la titolarità del sacello, ovvero l’ossario dei Caduti, un edificio rosso nel complesso del Forte di notevole valore storico-militare. La questione è stata risolta una ventina di giorni fa con l’accordo tra le parti, siglato da un testo integrativo al preliminare d’acquisto, e la firma del rogito: il Comune riconosce il valore dell’ossario e del museo storico-militare ma non cede la proprietà. Ca’ Farsetti non aveva mai pensato, comunque, di mutare destinazione d’uso a sacello e museo che, pur di proprietà comunale, rimarranno gestiti dai militari. Mancano dettagli burocratici e la vicenda di Forte Marghera, almeno per quanto riguarda le scartoffie, sarebbe conclusa. Per gli altri tre forti - Mezzacapo a Zelarino, Pepe a Ca’ Noghera, Gazzera in via Brendole - è già stato firmato il rogito preliminare, quello definitivo verrebbe siglato entro poche settimane. Il Comune di Venezia permuta i Forti Carpenedo di via Vallon, Tron di Marghera e Rossarol di Tessera, di proprietà del Demanio, con immobili di proprietà comunale. Il blocco più importante è costituito da 36 alloggi al Rione Pertini, valore di 4 milioni e mezzo di euro, appartamenti di 94 metri quadri ciascuno (oltre al garage), circa 250 milioni di vecchie lire ad alloggio - stima fatta dallo Stato - in cambio di Forte Rossarol, a cui Ca’ Farsetti deve aggiungere 527.295 euro, ricavati da una variazione di spesa proposta al voto del Consiglio. Le altre permute riguardano un terreno di Marghera di appena 25 metri quadri in via Ulloa, del valore di 5.000 euro, e un terreno di 910 mq. in in via Malamocco al Lido, alle Terre Perse, destinato dal Prg dell’isola a «residenza ed edifici residenziali e pertinenze» (indice 2,1 m² su m³), valore stimato 96 mila euro. Sul terreno del Lido c’è una vecchia casa, i primi inquilini si trasferirono là nel 1931, la seconda famiglia nel 1948, oggetto anche di una richiesta di condono concessa senza difficoltà perché l’edificio, appunto, è stato costruito prima del 1939. L’assessore comunale al Patrimonio, Giorgio Orsoni, ha annunciato che sta studiando un piano per l’utilizzo dei forti del campo trincerato di Mestre. Forte Marghera ha già avuto un preludio in estate (ma il programma continua fino al 31 ottobre) con «Luci sui Forti»; Forte Rossarol ospita il Villaggio Solidale della scuola Don Milani, che ha realizzato importanti lavori di manutenzione dell’area e delle strutture. - Roberto Lamantea

 

«I forti in stato di abbandono»
Da la Nuova di Venezia — 28 settembre 2004 pagina 35 sezione: PROVINCIA

PUNTA SABBIONI. «In mezzo a sterpi, tetti pericolanti e scritte indecenti, cinquanta turisti italiani e austriaci hanno visitato la Batteria Amalfi. Oltre a criticare il totale degrado, ci hanno chiesto perché il Comune non ha ancora salvato i forti dalla distruzione». Non nascondono il loro imbarazzo, Furio Lazzarini, ricercatore storico ed esperto di fortificazioni costiere, e Alfredo Tormen, che hanno fatto da accompagnatori agli iscritti dell’associazione «Il Piave 1915-1918». «Non capisco da chi o da che cosa dipenda questo stato di degrado e abbandono - denuncia Tormen - la legge sulla tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale da anni dispone la tutela e valorizzazione dell’Amalfi e degli altri manufatti ex militari della Grande guerra. I forti sono le ultime testimonianze rimaste della battaglia del Piave, e potrebbero attrarre turismo culturale di qualità, diverso ed alternativo a quello già esistente a Cavallino-Treporti». «Vero - ironizza Lazzarini, presidente dell’associazione «Forti e musei della costa» - solenni promesse e proclami ne abbiamo ascoltati parecchi ma poi tutto è tornato nel dimenticatoio. Già dal 1997 si erano avviati interventi di ripulitura e di manutenzione conservativa all’Amalfi e alla Vettor Pisani, ma poi tutto è tornato come prima, se non peggio. Ma quanto mi ha maggiormente contrariato è il mancato coinvolgimento di «Forti e musei della costa» che risale a pochi giorni fa, nei lavori di pulizia intrapresi dall’amministrazione alla batteria Pisani, prevedendo per giunta una visita guidata conclusiva e una mostra sul tema il 24 ottobre, notizie che l’associazione ha appreso solo dai giornali». Presenti alla visita anche alcuni reduci che prestarono servizio all’Amalfi durante la Seconda guerra mondiale, tra cui Aldo Bodi di Ca’ Ballarin e Raoul Ferraresi di San Donà. «Queste artiglierie - ricordano - erano in grado di lanciare granate, alte quanto un uomo e pesanti 875 chili, a quasi venti chilometri di distanza, con una precisione tale da stupire lo stesso nemico». (Francesco Macaluso)

 

Forte, prorogata la concessione
Da la Nuova di Venezia — 22 agosto 2004 pagina 21 sezione: NAZIONALE

TESSERA. La giunta comunale veneziana ha rinnovato la convenzione al comitato culturale ricreativo di Tessera per la gestione dell’ex polveriera Bazzera, a Tessera. La convenzione viene quindi prorogata fino al 31 luglio del 2006, mantenendo le finalità di uso socio-ambientale dell’area, che fa parte del campo trincerato di Mestre. La polveriera Bazzera che ospita le rassegne culturali estive del quartiere e viene vigilata dai volontari dell’associazione di Tessera rientrerà inoltre nel programma «Tudeslove II» per la valorizzazione delle fortificazioni militari veneziane assieme ai forti Marghera, Vallon, Tron, Gazzera, Rossarol, Ridotto Lido. Questo grazie alla delibera comunale che affida a titolo non esclusivo e gratuito le strutture militarti alla Geie Marco Polo System per la prosecuzione dei progetti di valorizzazione e anche in futuro per assicurare il sistema di animazione e guardiania assieme agli altri gruppi affidatari delle strutture. Per questo la delibera approvata dalla giunta comunale prevede di trasferire alla Geie Marco Polo Systerm i fondi della manutenzione ordinaria (50 mila euro) e quelli delle attività per il museo diffuso del campo trincerato (90 mila euro). (m.ch.)

 

Bioagricoltura a forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 07 agosto 2004 pagina 22 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Si avvicina una svolta per forte Mezzacapo, l’ex struttura militare di inizio novecento che si trova a Zelarino. Parte dell’area, infatti, già da questo autunno potrebbe essere convertita per lo sviluppo dell’agricoltura biologica, una novità che rappresenterebbe un grosso passo in avanti per la zona. Tutto nasce da un finanziamento che la regione Veneto ha erogato al comune di Venezia, 100.000 euro che saranno destinati a sostenere iniziative di carattere ambientale, tra le quali appunto anche la creazione di orti biologici. A questo punto a Zelarino si attende solo che il consiglio comunale approvi la serie di finanziamenti, che tra l’altro non coinvolgeranno solo forte Mezzacapo, struttura che copre un’area di 7-8 chilometri. «Quanto successo nei giorni scorsi rappresenta senz’altro una svolta positiva», sottolinea Pietrangelo Pettenò, esponente di Rc, «è chiaro che non tutta l’area di forte Mezzacapo sarà destinata a ospitare gli orti biologici, un segnale di questo genere sarebbbe molto importante in una zona a spiccata vocazione agricola. Su quelli che saranno i tipi di colture sarà necessaria una valutazione insieme ai soggetti coinvolti in questo progetto». Forte Mezzacapo fa parte della seconda generazione dei forti che componevano il campo trincerato di Mestre. Inizialmente postazione di artiglieria, era stato poi convertito in polveriera. (m.t.)

 

Forte Leone, battaglia da commemorare
Da il Corriere delle Alpi — 07 agosto 2004 pagina 25 sezione: PROVINCIA

ARSIE’. «A mattina da Grigno le truppe austroungariche mossero all’assalto contro il fortilizio blindato Leone su Cima Campo. Contemporaneamente il fortilizio blindato su Cima Lan cadeva in mano nostra dopo essere stato minato. Col crollo di queste due fortificazioni fu aperta una breccia nel formidabile gruppo di sbarramento degli italiani al nostro confine».
Questo il bollettino del 13 novembre 1917 con il quale il comando austroungarico comunicava la caduta di forte Leone dopo alcuni giorni di strenua difesa degli uomini del battaglione Monte Pavione.
Lo comandava il maggiore Roberto Olmi al quale, dopo la resa, fu riconosciuto l’onore delle armi. La battaglia di 87 anni fa che permise al diciottesimo corpo d’armata e alla quarta armata italiani di ripiegare e di posizionarsi sul Grappa, pronti alla controffensiva, verrà ricordata a Cima Campo domani con la tradizionale cerimonia organizzata dal gruppo Ana di Mellame e Rivai, in collaborazione con l’amministrazione comunale, la Pro Loco, l’Abm, l’Ana di Ferrara.
Il via alle 10.30 con l’ammassamento dei partecipanti. Alle 10.45 verranno deposta una corona di fiori in ricordo dei caduti. Subito dopo la celebrazione della messa, mentre dalle 12 verrà distribuito il rancio curato dai numerosi volontari che ogni anno non mancano di dedicare il loro tempo alla perfetta realizzazione della giornata. Sarà presente anche la banda cittadina di Arsiè. Non si potrà però entrare quest’anno all’interno dell’edificio. Sono partiti infatti i lavori di messa in sicurezza della storica fortificazione, in particolar modo della facciata. Spariranno, per ora, le grosse putrelle in ferro che la sostengono, ridando così un aspetto più vicino all’originale. Si tratta della prima fase dei lavori per il recupero, conservazione e trasformazione di Forte Leone in un museo della Grande guerra. Importanti le cifre che permetteranno la piena fruibilità della struttura. La Regione ha stanziato, attraverso il progetto Interreg, 250 mila euro, mentre 750 mila arriveranno dalla presidenza del consiglio dei ministri. La progettazione dei lavori è invece curata dalla Sovrintendenza ai beni architettonici di Venezia. Un ulteriore tassello alla completa fruibilità della zona sarà la ristrutturazione di una ex caserma, poco a valle del forte, che sarà adibita a struttura ricettiva e didattica per le scolaresche in visita all’edificio.

 

Monte Ricco, il forte è salvo
Da il Corriere delle Alpi — 30 luglio 2004 pagina 29 sezione: PROVINCIA

PIEVE DI CADORE. La prima fase dei lavori per la realizzazione del “percorso della memoria” sul territorio comunale di Pieve è conclusa, e il forte di Monte Ricco è salvo. Il percorso riguarda infatti tutte le testimonianze degli eventi bellici del secolo scorso. «Per quanto riguarda Pieve», spiega il vicesindaco Tabacchi, «si trattava di recuperare, pena il degrado definitivo e il suo crollo, il forte militare costruito dall’esercito italiano tra il 1870 e il 1896 e che ha portato alla sospensione dei lavori alla fortezza Cadore-Maè». Si sale lungo una strada nel bosco, costeggiata da faggi secolari, altissimi, tra i quali c’è quello famoso sotto al quale Tiziano andava a riposarsi. «La situazione dell’edificio», aggiunge Alberto Tabacchi, «era critica perché sul terrazzo che copre il forte erano cresciute delle piante e le loro radici avevano provocato delle fessure nelle quali era entrata dell’acqua. Inoltre, tutt’attorno erano cresciuti alberi di alto fusto che impedivano la visuale della valle sottostante». La posizione della fortezza, costruita proprio sul colle di Monte Ricco, a 953 metri, consente di gustare un panorama a 360 gradi nel quale entrano montagne famose come le Marmarole, il Tudaio, l’Antelao, la Civetta, il Pelmo e tutte quelle di Cortina. «Il recupero effettuato grazie al lavoro eccezionale dei Servizi Forestali Regionali diretti da De Filippo Roja, ci consente ora di guardare al futuro di questo grande edificio con una certa tranquillità. Intanto è stata fatta una pulizia generale, tagliando arbusti e piante che, oltre ad impedire la visione della valle, con le loro radici stavano sgretolando i muri del forte. Anche la strada è stata rimessa in ordine, utilizzando della ghiaia consolidata, che dopo le piogge di questi giorni abbiamo visto sta resistendo alle intemperie. Inoltre il Servizio Forestale ha realizzato le canalette di scolo dell’acqua, e tutte le staccionate necessarie per mettere in sicurezza la strada e le adiacenze del forte. Non bisogna dimenticare che attorno all’edificio c’era il fossato, e una parte di questo è rimasto. Oggi tutt’attorno è stata costruita una staccionata. Dopo questa prima fase di salvataggio», conclude Tabacchi, «abbiamo molti progetti per l’utilizzazione degli enormi stanzoni che sono disponibili. Una nostra prima idea sarebbe quella di utilizzare questi spazi per delle esposizioni. Sarebbe nostra intenzione adibire invece l’altro forte, distante 200 metri, e cioè Batteria Castello a ristorante panoramico. Ma per realizzare questi sogni ci vogliono molti soldi che in questo momento non abbiamo». (v.d.)

 

Forte Mezzacapo rimarrà chiuso
Da la Nuova di Venezia — 26 giugno 2004 pagina 29 sezione: NAZIONALE

di Gianluca Codognato ZELARINO. Doveva essere l’estate della definitiva consacrazione. Forte Mezzacapo luogo di ritrovo per gli abitanti della zona e non solo. Invece, niente. All’interno dell’ex struttura militare di Zelarino non si è ancora conclusa l’operazione di bonifica da ordigni esplosivi di profondità. Lo sminamento, che sembrava completato, è invece a metà percorso, per un ovvio e semplice motivo. Ovvero, il ministero della Difesa non ha i soldi per pagare la ditta che deve portare a termine l’operazione. Ciò significa niente centro estivo, niente attività culturali e quant’altro. In fumo tutti i progetti delle associazioni, in primis quello di «StoriAmestre» che, assieme ad alcuni rappresentanti del comitato di via Gatta, aveva presentato una serie di iniziative per far rivivere la preziosa struttura. In effetti, sembrava questione di giorni l’annuncio del definitivo acquisto del Forte da parte dell’amministrazione comunale. Se non altro perché il Comune, a ottobre, aveva firmato un contratto nel quale si affermava che l’antica polveriera abbandonata qualche anno fa sarebbe passata in mano a Ca’ Farsetti entro e non oltre sei mesi. L’impegno era stato confermato dall’anticipo sborsato sul costo totale: il 5% di 2 milioni, ovvero circa 100 mila euro. Adesso, però, il ministero della Difesa ha bloccato tutto, per mancanza di fondi. E non permette neppure ai consiglieri di fare sopralluoghi, visto che si è ancora in presenza di un cantiere. «Un cantiere fermo», specifica Pietrangelo Pettenò, consigliere regionale e capogruppo di Rifondazione comunista nel Consiglio comunale di Venezia, «che non si sa quando riparta. E’ inutile che sottolinei la mia delusione, tutta quella dell’amministrazione comunale e del Quartiere. Il Forte è praticamente già stato acquistato, anche perché ci si aspettava di poter svolgere qualche attività per l’ estate. Le cose non sono andate per il verso giusto. Qualcuno ci dovrà spiegare questa situazione di stallo». Situazione vissuta anche lo scorso anno, quando la direzione centrale del Genio militare con una laconica nota aveva comunicato il divieto per i volontari del servizio civile internazionale di iniziare i lavori di recupero di Forte Mezzacapo, sempre a causa dei lavori di sminamento. Quella volta fu organizzata davanti ai cancelli una piccola manifestazione, alla quale presero parte il presidente del Consiglio di Quartiere Savino Balzano e lo stesso Pietrangelo Pettenò. Ora, in attesa di nuovi risvolti, la preoccupazione resta esclusivamente la sistemazione del Forte che, abbandonato a se stesso, rischia di subire dal tempo nuovi, indesiderati torti e rendere così ancora più complessa la futura opera di recupero per aprire quello spazio alla città.

 

Strutture militari e porticciolo La giunta vara il piano direttore
Da la Nuova di Venezia — 25 giugno 2004 pagina 22 sezione: CRONACA

LIDO. Via libera dalla Giunta comunale al Piano direttore per l’area di San Nicolò di Lido proposto dall’assessore alla Pianificazione strategica Roberto D’Agostino. Il Piano, predisposto in sintonia tra Marina militare, Comune, Demanio e società dell’aeroporto Nicelli fornisce indicazioni sulla riqualificazione della zona partendo da tre obiettivi: tutela e valorizzazione della risorse naturali, recupero delle preesistenze storiche e insediamento di nuove funzioni. Nel Piano anche la creazione di un nuovo porticciolo turistico per l’isola, sulla Riviera San Nicolò, già proposto da Assonautica, che diverrebbe un appoggio navale allo scalo aereo. La Caserma Pepe potrebbe diventare una naturale espansione del Master Europeo di San Nicolò sul tema dei diritti umani. Anche il Forte di sant’Andrea rientrerebbe nella strategia complessiva. Un progetto a più facce che vuole contribuire a rilanciare questa parte dell’isola con una precisa destinazione di tipo turistico. Il Forte Ridotto austriaco, presente nell’area, ora in grave degrado, potrebbe essere destinato in parte a centro civico e centro del parco archeologico delle fortificazioni lagunare e in parte a destinazione di residence e albergo. Anche il Forte di sant’Andrea rientrerebbe nella strategia complessiva. Un progetto a più facce che vuole contribuire a rilanciare questa parte dell’isola con una precisa destinazione di tipo turistico.

 

Progetto per forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 21 maggio 2004 pagina 21 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Parte da una pubblicazione che uscirà prima dell’estate l’ambizioso progetto dell’associazione «Dalla guerra alla pace» per il recupero del Forte Mezzacapo, a Santa Lucia di Tarù. Un libro che dovrebbe attirare l’attenzione anche dell’assessore al Patrimonio Giorgio Orsoni, per ora poco incline ad affrontare l’argomento. L’associazione di Zelarino ha quasi completato il testo sull’antica struttura militare. Un’ampia documentazione curata dal fotografo della Sopraintendenza del Veneto Orientale, Rodolfo Marcolin, con la prefazione del presidente del quartiere Savino Balzano, il progetto per la ristrutturazione, una scheda storica sul campo trincerato di Mestre e alcune interviste ad anziani del luogo. Il libro ha già una proposta di finanziamento di 2000 euro da parte del quartiere e di 2500 da parte dell’amministrazione comunale. Più complessa sembra l’attuazione della seconda fase. L’associazione, infatti, nata all’interno del centro «Storiaamestre», mira a prendere in gestione il Forte assieme ai rappresentanti del comitato di via Gatta. Il progetto per l’utilizzo della struttura è già su carta. «Dalla guerra alla pace» ha chiesto la concessione del Forte Mezzacapo, per salvarlo subito dai vandali a dai dispetti del tempo. Dopo di ciò, si occuperà della sua messa in sicurezza, individuando le parti pericolose (cumuli di rifiuti, presenza di amianto, vetri danneggiati ecc.) da eliminare. La terza fase riguarderà il restauro ambientale dell’area esterna e il riutilizzo della casa del maresciallo e del corpo di guardia. Infine, la sistemaione della struttura storica. A questo punto il Forte potrà aprire ad attività sociali: aree pic-nic, zona fattoria, area bimbi e campi estivi. Si attende solo un cenno dell’assessore Orsoni. (g.cod.)

 

Nuove prospettive per il Forte San Felice
Da la Nuova di Venezia — 15 maggio 2004 pagina 35 sezione: PROVINCIA

CHIOGGIA. «Nuove prospettive per il Forte San Felice e la sua area» è il tema di un convegno che si tiene oggi alle 17 nella sala del Consiglio comunale per iniziativa del Comitato per il Forte. Dopo la relazione di Erminio Boscolo Bibi, presidente del Comitato, sono previsti interventi di Sabina Lenoci, dirigente del settore urbanistica del Comune, che parlerà sull’area di San Felice nel sistema dei parchi urbani, di Patrizia Giacone della Soprintendenza di Venezia che affronterà la questione del restauro del Forte e di Girolamo Segato progettista del Magistrato alle Acque che riferirà sui lavori di recupero in atto dei Murazzi e dell’ex Batteria. Partecipa anche l’assessore all’ambiente del Comune di Venezia, Paolo Cacciari. L’incontro è anche l’occasione per fare un bilancio delle questioni relative a questo importante sito. Qui, infatti, dovrebbe sorgere un porticciolo turistico che gli ambientalisti osteggiano fortemente per l’impatto che potrebbe avere nel contesto di quest’area di notevole pregio storico ed ambientale. «Grazie alla nostra continua azione di vigilanza - spiega il presidente Erminio Bibi - il piano particolareggiato del Comune ha visto modifiche di qualità e per la prima volta si evidenziano i confini di un parco, che comprende il Forte, l’area verde, un lembo di spiaggia, l’ex-Batteria, che per noi è un primo abbozzo del più esteso Parco delle Fortificazioni. Le nostre osservazioni alla Soprintendenza hanno fatto sì che ci fossero prescrizioni da parte della Commissione di salvaguardia. Ora ci preoccupa che l’acquisizione pubblica del Forte sia stata messa in discussione, essendo stato inserito tra i cosiddetti beni da mettere all’asta privando il Comune del diritto di prelazione». (Sergio Ravagnan)
Camilla Madinelli

 

Sguardi militari sul Garda per scoprire le fortificazioni e le trincee
Da l'Arena del 21 aprile 2004

Immagini nitide di sbalorditiva bellezza loro malgrado cariche di funesti presagi. Fotogrammi scattati dall'alto che raffigurano la conca fortificata di Riva durante i giorni, gli anni della Prima guerra mondiale, evento bellico vissuto da nemici sulle sponde del Benàco. Da una parte, a Malcesine e Limone, l'esercito italiano con i cannoni, pochi per la verità, puntati su quello spicco di terra trentina che si bagna nel Garda, dall'altra gli austroungarici al riparo di fortezze inespugabili. «Sguardi militari sul Garda» è un elegante e prezioso volume fotografico a cura di Donato Riccadonna, edito dal Comune e dal museo di Riva, che alle parole, ai fatti del primo conflitto mondiale lascia spazio alle immagini, spesso inedite e di alta forza espressiva. Un libro presentato nel corso del riuscito e approfondito seminario di studi svolto, a cavallo di febbraio e marzo, al forte superiore di Nago-Torbole e che ha richiamato l'attenzione di studiosi, architetti, amministratori pubblici e cultori di storia sulle innumerevoli fortificazioni, patrimonio di cultura, che costellano l'area trentina del più grande lago d'Italia. «Sguardi militari sul Garda» segue lo sviluppo della linea fortificata, dalla Tagliata del Ponale al Monte Brione, al Monte Tombio, per offrire una ricca documentazione fotografica d'epoca raccolta presso numerosi archivi di Stato (Trento, Vienna, Budapest) e musei, da quello di Riva, Rovereto e Trento per finire al museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza. Non mancano i contributi di archivi privati come la suggestiva panoramica dell'Alto Garda ripresa dal Monte Rocchetta nel marzo del 1918. «Immagini», come sottolinea nella presentazione del libro Gianni Pellegrini direttore del museo di Riva, «che mostrano molteplici situazioni di vita militare e nel contempo forniscono interessanti indicazioni sul modo di osservare ed interpretare il territorio in relazione agli obiettivi militari che s'intendevano perseguire». Ma al di là delle foto interessante e prezioso è il lavoro del professore Donato Riccadonna che per ogni fortificazione ha raccolto una esaustiva scheda tecnica che parte dalla localizzazione del forte, l'anno di costruzione, la funzione e l'armamento in dotazione. Il tutto corredato da piante topografiche, schizzi e mappe austriache alcune già pubblicate nel «Il Piave mormorò. Immagini e memorie della Grande Guerra nell'Alto Garda», edito nel novembre del 1988 dalla Casa degli artisti «G. Vittone» di Tenno-Riva-Arco-Nago/Torbole. Non manca infine un capitolo dedicato alla linea italiana sul Monte Baldo. Tra queste foto spicca l'istantanea del luglio del 1915 con i volontari altogardesani arruolati negli alpini Nino e Giulio Pernici insieme a Silvio Zaniboni osservare Riva dalle trincee del Baldo. L'inzio di un lungo conflitto mondiale conclusosi solo nel 1918 con oltre dieci milioni di morti.

Stefano Joppi

 

Tutti alla Torre Massimiliana, Venezia riscopre un gioiello
Da Corriere della Sera del 18 aprile 2004

Sarà il sindaco di Venezia Paolo Costa a inaugurare oggi (alle 12,30) la "nuova " Torre Massimiliana dell'isola di Sant'Erasmo, trecentoventicinque ettari nell'area nord della laguna di Venezia. Ma il progetto di recupero e riqualificazione della Torre, curato dagli architetti Carlo Cappai e Maria Alessandra segantini (dello studio C+S Associati), rappresenta sicuramente qualcosa di più di un semplice restauro, per quanto riuscito: è il primo atto di una serie di interventi per la difesa delle acque alte, per la riqualificazione urbana, ambientale del paesaggio di Sant'Erasmo, la più grande delle isole "interne" al bacino lagunare.

Sant'Erasmo, destinata per la sua collocazione a funzioni difensive (accentuate durante la dominazione austriaca, tra il 1814 e il 1866), ha rappresentato per lungo tempo "l'ultima barriera della laguna prima del mare", una barriera dove molti veneziani amavano e amano ancora trascorrere i giorni di festa, magari in barca, lontano dal "bacan" estivo: il suo "recupero-riqualificazione-restauro" rappresenta la prima opera di quel "Parco della Laguna Nord" nato appunto con la missione "di rivitalizzare le valenze naturalistiche, archeologiche, storiche e culturali" di quella parte della laguna. Un'opera nata anche grazie alla collaborazione tra magistrato alle Acque, Consorzio Venezia Nuova, Regione e Comune e che interessa un'isola "di confine, da sempre al centro di dibattiti e sperimentazioni".

L'intenzione è quella di dare nuova vita a Sant'Erasmo con i suoi attuali ottocento abitanti, la maggior parte dei quali ancora "impegnati" nelle attività di orticoltura. Ma non soltanto. Perché se è vero che la Torre Massimiliana (torre circolare creata dagli austriaci nel 1834 con tanto di otto bocche da fuoco circolari e di casematte) sembrerebbe destinata a diventare la sede istituzionale del "Parco della Laguna Nord", altrettanto vero è che l'idea è quella di inserire l'isola (proprio in virtù dell'ipotizzato recupero) in quel flusso turistico che tocca Piazza San Marco o il Lido ma che attualmente sembra averla del tutto esclusa.

Anche a questo dovranno servire il restauro della Massimiliana e del Forte, la nuova riorganizzazione e sistemazione dei parcheggi, il ridisegno delle darsene, il terminal d'arrivo all'isola (oltre agli interventi strutturali come strade, fognature, zone verdi, nuovi accessi all'isola via acqua). Ma questo recupero si inserisce nel più ampio programma di "rivitalizzazione" dello straordinario patrimonio storico delle fortificazioni lagunari francesi e austroungariche che, assieme a quelle della Serenissima e del Campo Trincerato di Mestre, costituiscono una risorsa originale per tutto il Nord-Est.

Nell'ambito di un ipotizzabile itinerario storico-artistico che dovrà comprendere strutture come l'Arsenale, la Certosa, il Forte di Sant'Andrea, i Lazzaretti. Al recupero della Massimilana seguiranno, di fatto, quello del Ridotto di Punta Vela e più avanti quello del telemetro "Fronte mare". Spiega Cesare De Michelis, nel libro (edito da Marsilio) dedicato al progetto di Cappai e Segantini, che il restauro ha permesso di ritrovare "i muri poderosi, le stanze con le ardite volte in mattoni, la corte circolare, la terrazza della Massimiliana. Una terrazza che privata dei cannoni - spiega ancora De Michelis - si è così trasformata in uno spettacolare belvedere aperto sul mare, sui campi coltivati, sulla distesa della laguna". Il tutto cercando di recuperare le tracce di storia sparse per tutta l'isola di Sant'Erasmo, tracce fatte spesso di canali, di cavane, di casoni da pesca. Puntando su materiali antichi come legno, pietra, laterizi ravvivati con l'inserimento (assai rispettosi) di "frammenti" di modernità fatti di vetro, acciaio inox satinato e cromofibre.                        Stefano Bucci

 

Riflettori sui forti austriaci
Da  l'Arena del 15 aprile 2004

Riva del Garda

Prima un convegno, poi una pubblicazione ora una tre giorni dedicata a valorizzare le fortificazioni austro-ungariche dell’Alto Garda. Da sempre attenti alla salvaguardia delle memorie storiche, i Comuni benacensi trentini sono tra i promotori di un ciclo di conferenze che inizieranno oggi per concludersi sabato ad Arco. Il progetto «Obiettivo Forti» nasce dalla collaborazione tra i centri di Riva, Nago-Torbole e Arco con l’associazione Pinter. Tre le sedi che accoglieranno gli eventi: stasera alle 20.30 al museo civico, «Effetti collaterali» con Tiziano Bertè che illustrerà le armi che bombardarono Riva nel corso della Grande guerra. Franco Farina leggerà invece i diari di Adriano Cattoi, ex gendarme a Riva tra il 1914 e il 1918; a seguire, una proiezione d’immagini della cittadina durante i bombardamenti. Domani alle 20.30, alla Casa della Comunità di Nago, «Vite estreme», ovvero i Futuristi e i recuperanti di Nago sul Baldo. Mauro Zattera e Donato Riccadonna presenteranno un filmato dedicato ai futuristi sul Doss Casina e alla battaglia di Malga Zures. Si presenterà inoltre la rilevazione dei manufatti militari, curato dalla 5ª geometri dell’istituto Floriani di Riva. Infine sabato, nella sede della Sat di Arco alle 20.30, appuntamento con le scritture popolari durante la Grande guerra. Relatore Quinto Antonelli, responsabile dell’Archivio della Scrittura popolare al museo storico di Trento. Successivamente Franco Farina commenterà le immagini con la lettura di alcuni diari. A conclusione Mauro Zattera e l’associazione Pinter spiegheranno il parco storico dell’Alto Garda.

   

Forte S. Felice, bello e impossibile
Da la Nuova di Venezia — 14 aprile 2004 pagina 31 sezione: PROVINCIA

CHIOGGIA. Il Forte di San Felice unico assente di una manifestazione internazionale ad esso dedicata. Chioggia ospiterà «Vivilforte», l’evento culturale promosso dalla Marco Polo system e finanziato dalla Comunità europea per valorizzare le fortificazioni militari della Serenissima. Ma il Forte di San Felice rimarrà solo sullo sfondo. Non sarà possibile né l’accesso alla struttura, pericolante in buona parte e non ancora acquisita dal Comune, né visitare l’area circostante perché le vie d’accesso sono occupate da cantieri. A porre il dito su quello che già appariva un paradosso è il presidente del Comitato San Felice, Erminio Boscolo Bibi, presente alla conferenza stampa di presentazione della manifestazione. La programmazione dell’evento, iniziata un anno fa, prevedeva infatti l’allestimento del campo militare proprio nelle vicinanze, o addirittura dentro il Forte, sperando nella chiusura dell’iter di acquisizione da parte del Comune e nell’intervento di restauro statico. La situazione invece è rimasta invariata. Il Forte di San Felice è ancora proprietà della Marina militare e una piccola parte è stata data in concessione alla Lega navale. Da anni l’amministrazione ha inoltrato le richieste per l’acquisizione, ma con la Finanziaria 2004 in cui il Forte è stato incluso tra i beni cartolarizzabili, cioè soggetti ad asta, le speranze di poterlo includere nel patrimonio comunale, a fronte di soggetti con superiori disponibilità di liquidi, dopo i tagli della legge speciale, diminuiscono. «Appare veramente strano che una manifestazione per promuovere la vita dei forti si svolga distante dal forte in oggetto - spiega Bibi - La rievocazione storica avrebbe goduto di una cornice ideale. Quando un anno fa il Comitato è stato coinvolto nell’organizzazione della manifestazione speravamo che l’iter di acquisizione del Comune si chiudesse in tempo. Così non è stato e il tempo stringe: il Forte potrebbe crollare da un momento all’altro, il portale settecentesco ha crepe ovunque. Purtroppo oltre all’ingresso ci è negato anche il territorio circostante. L’intervento del Magistrato alle acque per consolidare le rive e l’ex batteria impediscono l’accesso all’area. Abbiamo sollecitato il sindaco a consentire almeno l’accesso attraverso la diga, ma la presenza del cantiere della ditta che ha eseguito l’intervento per le dighe foranee complica le cose. Insisteremo attraverso petizioni. E’ necessario che accanto alle iniziative culturali riprendano quelle politiche per far uscire il Forte dalle secche in cui si trova». (e.b.a.)


 
Tutti i forti da recuperare
Da Alto Adige — 10 aprile 2004 pagina 42 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

Al via la settima edizione di “Obiettivo Forti”, il progetto che punta a recuperare e valorizzare le fortificazioni austroungariche dell’ Alto Garda nel contesto della Grande Guerra. Il ciclo di conferenze, incontri, letture e proiezioni, dura tre giorni: da giovedì 15 a sabato 17 aprile.


 
Volontari a forte S. Felice Trovate anche bici rotte
 
Da la Nuova di Venezia — 10 marzo 2004 pagina 32 sezione: PROVINCIA

SOTTOMARINA. L’area verde del forte di San Felice è pronta a ricevere i turisti. Grazie all’opera di una dozzina di volontari, operatori del Centro di educazione ambientale e dell’associazione sportiva «La tocà», venerdì scorso è stato ripulito il compendio del forte di San Felice, meta di visite guidate per turisti e scolaresche. I volontari, con la collaborazione dell’Asp, l’azienda dei servizi pubblici di Chioggia che ha messo a disposizione attrezzi e mezzi per la pulizia, hanno raccolto, nell’arco della mattinata, più di venti sacchi di rifiuti. Plastica, vetro, lattine, carta, polistirolo, ma anche sedie, biciclette rotte ed una batteria da automobile che deturpavano l’immagine dell’oasi. Oltre alla raccolta dei rifiuti gli operatori hanno effettuato una modesta potatura degli arbusti, ripulendo il sentiero dai rovi e dalle piante invadenti. L’operazione ha coinvolto l’intero itinerario delle visite guidate così da assicurare agli studenti un percorso sicuro, senza il rischio di graffiarsi o di inciampare tra i rovi, e un ambiente naturale e pulito. Adesso tutto è pronto per le escursioni, manca sola la bella stagione.
(e.b.a.)

 



 

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