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ANNO 2006

Anche refurtiva a forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 12 dicembre 2006 pagina 22 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Non bastano materassi, reti, magliette, scatoloni, lattine. L’ingresso di forte Mezzacapo è divenuto anche meta di ladri, che proprio davanti all’entrata del campo trincerato di Zelarino, hanno lasciato una Fiat tempra rossa, rubata due giorni prima a un cittadino di Mogliano. Ammaccata su un fianco, con i fanali rotti, l’auto è stata restituita quasi «inagibile» al legittimo proprietario dalla polizia. Intervenuta proprio quando i volontari dell’associazione «dalla guerra alla pace» stavano per organizzare la pulizia dell’ingresso, la seconda in questo mese, accompagnati da alcuni rappresentanti della Municipalità, come la presidentessa Maria Teresa Dini, il delegato Maurizio Enzo e il consigliere dei Verdi, Simone Scaggiante. «Un’altra dimostrazione di quanto forte Mezzacapo sia ormai considerato una discarica - è l’amaro commento di Vittorino Darisi, presidente dell’associazione -. Noi siamo venuti qui per rispondere ai vandali e ai maleducati, che continuano a usare l’entrata del campo trincerato come una pattumiera». Un disappunto motivato dagli eventi di questo periodo, che hanno testimoniato una volta di più lo spregio per tale struttura tanto preziosa per tutto il Comune. «Qualche settimana fa siamo andati a pulire l’ingresso - racconta Darisi -. E avevamo posto anche un cartello con su scritto: divieto di scarico. Il giorno dopo era già tutto come prima. Adesso torniamo e ci ritroviamo anche l’auto abbandonata. Così non va». In questo contesto, i volontari hanno creato un percorso attorno al forte. Un chilometro di strada ricavato togliendo le sterpaglie. «Questa non è una discarica - conclude Darisi-. Eppure è come se lo fosse». (g.cod.)

 

Batteria Castello, un «documento» di storia
Da il Corriere delle Alpi — 12 dicembre 2006 pagina 27 sezione: PROVINCIA

PIEVE DI CADORE. Pieve da secoli ha sopra di sé un’altura che è l’essenza stessa della sua storia: su monte Ricco è sorto il suo medievale castello e su di esso è maturato, come giovane pianta su un ceppo ormai consumato, un interessante ed articolato complesso fortificatorio, frutto della strategia difensiva e dei criteri costruttivi tipici di fine ’800. Tra il 1882 e il 1896 venne infatti realizzato in Cadore il cosiddetto campo trincerato di Pieve di Cadore.
Comprendeva i forti di Batteria Castello, Monte Ricco e Col Vaccher presso Pieve e Tai, con tutta una serie di strade di accesso e di cintura, nonché con i ricoveri alpini su Pian dei Buoi e a Val Inferna, nei pressi di Casera Razzo. Se i forti di Batteria Castello e Monte Ricco puntavano i loro cannoni di medio calibro verso Domegge e l’Oltrepiave, il forte di Col Vaccher, molto vasto e complesso, volgeva le sue 4-8 bocche da fuoco verso la Val Boite. Il compito precipuo di tale campo non era esclusivamente difensivo, bensì pure controffensivo, essendo ad esso devoluta l’assicurazione di uno spazio protetto, la zona di Pieve appunto, in cui un corpo d’armata potesse convenientemente organizzarsi per puntare poi alla volta di Franzenfeste (Fortezza). Ciò per tagliare con una rapida penetrazione in direzione ovest quel pericoloso cuneo trentino che dal 1866 si palesava come assillante remora per ogni nostra offensiva in Friuli e sull’Isonzo, fatalmente esposta ad uno scontato aggiramento in seguito ad offensiva austriaca verso Verona e il lago di Garda. La Batteria Castello venne realizzata dal Genio militare italiano nell’ultimo ventennio del 1800 sulla cima rocciosa di monte Castello, a quota 953, sulla stretta dorsale situata a sud-est di Pieve. Essa aveva una facciata lunga circa 25 metri e la piattaforma, larga più di 9 metri, era sufficiente per la postazione di due pezzi di medio calibro. Sotto la facciata ed i fianchi erano state ricavate varie casematte, mentre sul terrapieno retrostante si era potuto ricavare lo spazio per due piani. La gola, superata da un ponte levatoio in ferro, aveva un fossato largo circa 5 metri, alla cui difesa provvedevano i fucilieri attraverso le finestre delle casematte e della cosiddetta caponiera. I cannoni riuscivano a coprire una considerevole fascia della valle del Piave, in particolare i pendii intorno a Calalzo, Grea e Vallesella, nonché la carrabile di Domegge. Il fuoco sviluppabile dai fianchi e dalla gola aveva per contro solo effetto vicino, verso Pieve e Pozzale. L’armamento previsto era di 2 pezzi di medio calibro e 2 pezzi di piccolo calibro, mentre il presidio in caso di guerra contava al massimo mezza compagnia di fanteria e circa 15-20 artiglieri. Si trattava peraltro di costruzioni in muratura ordinaria, facilmente dominabili dalle alture circostanti e non in grado di proteggere convenientemente le bocche da fuoco. Realizzate con criteri quasi medievali, esse finirono col risultare ben presto obsolete alla luce dei grandi progressi ossidionali verificatisi in Europa alla fine del secolo e la loro ultimazione coincise con la profonda crisi morale ed economica sofferta dall’Italia dopo il fallimento di Adua (1896), che stornò da questi impianti le risorse finanziarie necessarie per tempestivi adeguamenti e ristrutturazioni. Solo a partire dal 1904, con l’arrivo di altri fondi e grazie al fiorire di nuovi studi strategici, il Cadore ritornò in primo piano nella concezione strategica difensiva nazionale. Solo dopo lunghe diatribe tecniche furono individuate alcune posizioni particolarmente utili per battere le sottostanti vie di comunicazione e vennero finalmente costruiti dei potenti forti corazzati che finirono col declassare gli impianti di Pieve a meri centri logistici, magazzini e prigioni. Rimasta praticamente inutilizzata durante l’intero conflitto, condivise le sorti del vicino forte di monte Ricco, subendo la distruzione austriaca nell’ottobre 1918. Alla fine del secolo scorso è stata interessata da importanti lavori di restauro ed è stata utilizzata anche come laboratorio. L’impianto può essere visitato seguendo lo stesso itinerario che porta al forte di monte Ricco, prendendo poi a sinistra al bivio nel bosco, poco sotto le fortificazioni (30’ dal centro di Pieve). In alternativa la batteria può essere raggiunta da nord-ovest per sentiero nel bosco risalente dal Roccolo (20’-30’ circa).
- Walter Musizza e Giovanni De Donà

 

Forte Mezzacapo assediato dai vandali
Da La Nuova di Venezia — 09 dicembre 2006 pagina 24 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Pulizia di forte Mezzacapo, secondo atto. All’esterno dell’ex struttura militare tornano domani alle 9 i volenterosi associati del gruppo «dalla guerra alla pace», che già qualche settimana fa, assieme a Vesta, avevano dato una bella sistemata all’ingresso del campo trincerato posto fra via Scaramuzza e via Gatta. Accanto a loro, ci saranno pure la presidentessa della Municipalità, Maria Teresa Dini, il delegato ai lavori pubblici Maurizio Enzo e il delegato ai forti, Ivo Chinellato. Il tutto, per dare un segnale forte ai vandali che danneggiano le strutture di Mezzacapo e a quei cittadini che riempiono l’ingresso con ogni tipo di rifiuto. Situazioni che si ripetono anche in questi giorni e che hanno fatto infuriare i volontari dell’associazione. «E’ incredibile - dice Vittorino Darisi, presidente del gruppo -. Siamo andati a fare una bella pulizia qualche settimana fa. Eravamo orgogliosi, il lavoro fatto ci sembrava soddisfacente. Però, sono passati due giorni e l’ingresso del forte è tornato ad adessere la discarica di prima. Non c’è rispetto per questa struttura che in futuro potrà rappresentare un punto di riferimento per tutto il comune». Ecco allora che per lanciare un messaggio inequivocabile, «dalla guerra alla pace» ha organizzato per domani una serie di iniziative. «Oltre alla pulizia dell’entrata - continua Darisi -, intendiamo ripristinare la recinzione per impedire l’accesso alle strutture storiche del forte e anche per impedire eventuali danni alla salute causati dall’amianto. Inoltre, puntiamo al blocco della strada di ingresso per scongiurare ulteriori scarichi di rifiuti». Non solo. «Livelleremo le buche provocate dalla bonifica da ordigni bellici, compiuta qualche tempo fa. E andremo avanti con la potatura delle piante e l’eliminazione di quelle pericolanti». Ma per dare anima a un forte ancora non utilizzato, l’associazione pensa anche ad altri escamotage, da condurre in porto col tempo. «Vogliamo creare un percorso esterno alla prima recinzione - continua Darisi -. Dedicato al tempo libero. L’idea è quella di organizzare qualche manifestazione nell’area esterna». (g.cod.)

 

Da Il Gazzettino di martedì, 5 Dicembre 2006

Il Comune pensa ad una ristrutturazione a fini turistici e ad un punto di osservazione naturalistico Due milioni per recuperare la fortezza I progetti saranno realizzati in collaborazione con gli esperti dell’università di Firenze

Chiusaforte. È stato costruito tra il 1904 e il 1907 con la pietra cavata sul posto e tra pochi mesi compie 100 anni. Ha ospitato una divisione dell'Esercito di 250 uomini ed è stato uno dei baluardi di difesa, purtroppo inutile, nei frangenti della disfatta di Caporetto. Ceduto dallo Stato al Comune nel 2000, ancora in ottime condizioni, è stato dichiarato "Monumento di interesse storico" dal Ministero, posto sotto il vincolo della Soprintendenza e adesso sarà completamente ristrutturato. Si tratta della Fortezza Chiusaforte, un enorme complesso arrampicato su Colle Badin, visibile in parte dalla statale 13 Pontebbana, che si compone dell'edificio militare vero e proprio a più piani, di un campo militare recintato, area cucine con forno e locali di servizio, quattro torrette, impianti per l'approvvigionamento indipendente di acque ed energia elettrica. I fondi per il progetto di messa in sicurezza, cui l'amministrazione municipale sta lavorando da anni, sono divisi in tre parti. Il contributo più importante ammonta a circa un milione e 200mila euro e arriva dalla Regione per l'edilizia fortificata. La somma è affiancata da 200mila euro, Obiettivo 2, per la pulizia dell'area, il ripristino di tutta la sentieristica di accesso e la creazione di un museo multimediale sulla Grande Guerra nella sede del municipio. Ultimo fondo, per cui il Comune ha ricevuto rassicurazioni dalla Direzione regionale di Protezione civile, quello di 400mila euro per la realizzazione di sistemi paramassi sui versati di Colle Badin, affinché la salita al complesso militare avvenga in completa sicurezza da parte di appassionati, studiosi, scolaresche, famiglie e turisti.

Quasi due milioni di euro quindi per il forte che ha una storia unica, come quella di essere stato dato in gestione, negli anni Cinquanta, a una famiglia del posto che tra quelle mura ha visto nascere il proprio figlio, oggi 56enne. Quali i progetti del Comune per la fortezza? «Diversi e tutti in grado di convivere tra loro - dicono il sindaco Luigi Marcon e il vicesindaco Fabrizio Fuccaro -. Primo recuperare la memoria storica con mantenimento di tutte le peculiarità tra cui intonaci, scritte, tracce della presenza umana e militare; secondo creare un circuito turistico di visita con esplorazioni guidate. Per questo sono in fase di realizzazione pubblicazioni, diari, un film e materiale in dvd. Le quattro torrette potranno diventare luogo di osservazione ambientale privilegiata vista la vicinanza con l'area protetta del Parco Prealpi Giulie. All'interno del forte, poi, pensiamo alla creazione di un punto di accoglienza con ricaduta economica su tutto il territorio di Chiusaforte».
I progetti di recupero saranno realizzato in stretta collaborazione con gli esperti di architettura militare dell'Università di Firenze.

 

Dopo la pulizia torna il degrado immondizie a forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 17 novembre 2006 pagina 24 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Sabato pomeriggio si erano prodigati in una minuziosa e diligente pulizia, preceduti alla mattina da Vesta, che aveva portato via immondizie d’ogni tipo. Ieri mattina, però, per il gruppo appartenete all’associazione «dalla guerra alla pace» è giunta la sgradita sorpresa. L’ingresso di forte Mezzacapo è tornato ad essere una discarica a cielo aperto, proprio come prima della «spedizione pulitiva». «Siamo davvero arrabbiati - dice allora Vittorino Darisi, presidente dell’associazione -. Avevamo fatto un buon lavoro, proprio per rendere dignitosa l’entrata di questa struttura. Ma sono bastati un paio di giorni per ridurre tutto nello stesso stato di prima. Davvero un gesto di cattivo gusto, anche perché avevamo affisso un cartello con la scritta: divieto di scarico». La sistemazione dell’ingresso rappresentava pure un messaggio agli amministratori locali: «Forte Mezzacapo ha bisogno di immediati interventi - ricorda ancora Darisi -. Per questo speriamo che si sciolgano i nodi dell’acquisizione». Nell’ex struttura militare, infatti, le cose da sistemare sono molte: togliere l’amianto, coprire le buche, mettere in sicurezza le casette interne. Ma ad alcune persone queste cose non interessano: per loro quel forte è solo una discarica

 

Itinerario storico sul Tudaio, urge manutenzione
Da il Corriere delle Alpi — 14 novembre 2006 pagina 28 sezione: PROVINCIA

VIGO. Nel 1998 al Comune di Vigo veniva concesso un finanziamento dalla Regione (nell’ambito dell’iniziativa Leader II) per la realizzazione e lo sviluppo di un itinerario turistico sul monte Tudaio (spesa 73 milioni di vecchie lire, di cui 51 di contributo e 22 a carico del Comune, che li ha poi ottenuti dal Bim). Oggi, dopo 5 anni, a causa delle condizioni atmosferiche particolarmente difficili della vetta e di atti vandalici, l’itinerario abbisogna di lavori di manutenzione.
Il percorso da valorizzare rientra nella cosiddetta “Via dei forti del Cadore” e si propone di stimolare non solo il turista ma anche la popolazione locale alla conoscenza del territorio, dell’ambiente naturale e della sua storia.
L’iniziativa, portata avanti dal 2001 dalla prima amministrazione guidata da Antonio Mazzucco, ha visto la collocazione di una serie di pannelli riportanti i toponimi originali, talvolta vecchi di secoli, in quei luoghi che fino a qualche decennio fa sono stati interessati dalle attività silvo-pastorali. Un’altra serie di pannelli ha invece riguardato i vari manufatti di uso militare sulla vetta del monte, corredata da disegni e fotografie d’epoca. I turisti possono inoltre usufruire sulla vetta di un punto di inquadramento storico geografico: una rosa dei venti indicante gli obbiettivi militari del forte, le cime principali e l’ubicazione degli altri impianti fortificatori cadorini. Sulla cima il vento e il sole hanno rovinato completamente 4 pannelli grandi e 3 pannelli piccoli; lungo la strada sono stati asportati da vandali altri 3 pannelli; a Laggio, infine, sul piazzale-posteggio presso l’arena, ignoti hanno asportato l’intero grande pannello ancora tre anni fa. Il monte Tudaio rappresenta oggi una meta turistica davvero interessante: durante la sua risalita ci sono punti nei quali davvero non si sa se dedicare tutta la nostra ammirazione al panorama o piuttosto alle testimonianze dell’opera umana, spesso mirabili proprio sotto i nostri piedi. Muri di scarpa e controscarpa, scavi nella roccia, riservette, postazioni e gallerie stanno ancora là, a ricordare il patrimonio di tecnica e volontà speso da soldati e civili per permettere all’arte della guerra di arrampicarsi fino alla cima, di piazzare le sue potenti batterie a 2114 metri di quota.
Sulle immense pareti di roccia occhieggiano ancora i grossi anelli che permettevano lo scorrere delle funi necessarie per il traino dei cannoni, mentre a Col Muto, non lontano dalla vetta, puoi fare un’interessante pausa visitando le lunghe gallerie scavate nella roccia e volute per ospitare dei medi calibri in quattro caverne affacciate con altrettante finestre su Auronzo e sul Comelico. In prossimità della meta è il forte stesso a svelarsi a poco a poco: esso ti presenta prima le sue difese perimetrali, i resti delle baracche civili e della teleferica, e ti introduce infine nel suo cuore, nel labirinto delle sue caverne, dei suoi resti deflagrati e scomposti. Quassù, sotto la svettante Cima Bragagnina, sembra che la storia si sia fermata: le lastre di cemento, affastellate una sull’altra, sembrano immortalate per sempre nell’istantanea dell’esplosione, voluta dal nemico invasore nell’ottobre 1918 per non lasciare il forte intatto come l’aveva ereditato da noi dopo Caporetto. In tante pietre ad arte connesse, in tanto cemento profuso, puoi cogliere la preparazione doviziosa ed ambiziosa alla Grande Guerra, in faccia ad un nemico che pur ci era alleato nella Triplice.

 

Arrivano Vesta e i volontari forte Mezzacapo è stato ripulito
Da la Nuova di Venezia — 12 novembre 2006 pagina 22 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Era diventato una discarica. Adesso, però, grazie alla buona volontà di un gruppo di cittadini appartenenti all’associazione «dalla guerra alla pace» e all’intervento di Vesta, è tornato ad essere uno spazio decoroso. L’ingresso di forte Mezzacapo, divenuto da tempo contenitore dei più bizzarri rifiuti, dai materassi alle magliette insachettate, ha subito ieri una ripulita coi fiocchi. In mattinata, il compito di portare via le immondizie è toccato proprio a Vesta. Nel pomeriggio, invece, muniti d’ogni tipo d’attrezzo, dal rastrello al taglia-erbe, i quindici volenterosi (foto) si sono dedicati al taglio dell’erba e alla sistemazione delle siepi. «Siamo molto soddisfatti - ha detto a fine intervento Ivo Chinellato, delegato ai forti per la Municipalità -. L’ingresso del Mezzacapo era ridotto davvero male. Adesso abbiamo dovuto attaccare un cartello con su scritto: divieto di scarico». L’associazione «Dalla guerra alla pace», con questo gesto, ha voluto anche puntare l’attenzione su questa ex struttura militare. Doveva già essere stata acquisita da tempo, invece tutto si è bloccato. Qualche disguido con l’esercito. Ma anche problemi legati alla presenza di amianto. «Stiamo parlando di un’area di 109 mila metri quadrati - continua Chinellato -. Un vero gioiello che potrebbe diventare punto di riferimento per l’intero Comune. Ma prima bisogna risolvere molte questioni. L’acquisizione, in primis. E poi tutti i disagi interni: buche, strutture pericolanti, amianto». (g. cod.)

 

Mezzacapo, forte dei rifiuti
Da la Nuova di Venezia — 10 novembre 2006 pagina 20 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Forte Mezzacapo? Una vera e propria discarica. Un’accozzaglia di rifiuti: materassi, lavatrici, contenitori di latta e chi più ne ha, più ne metta. Proprio per questo, domani dalle 14, un volenteroso gruppo appartenente all’associazione «Dalla guerra alla pace» si ritrova davanti all’ex caserma militare, munito di scope e di rastrelli, per dare una «rigovernata» all’ingresso della preziosa struttura. Un modo come un altro per riaccendere i riflettori su una questione che, ancora qualche anno fa, sembrava cosa fatta: l’acquisizione del forte, ma che adesso pare essersi assopita di fronte alla presenza dell’amianto e alla difficoltà di rapportarsi con i massimi vertici dell’Esercito. Domani il gruppo presieduto da Vittorino Darisi avvierà l’opera di pulizia esterna, con l’aiuto anche di Vesta. Un messaggio all’amministrazione comunale affinché acceleri l’iter di acquisizione. Ma anche un’occasione per non «sfigurare» davanti ai ragazzi delle scuole, impegnati nella biciclettata «Giro dei forti» organizzata per domenica dal liceo scientifico Morin. «La situazione di Mezzacapo peggiora di giorno in giorno», spiega Darisi, «dentro questa struttura v’è una massiccia presenza di amianto che si sgretola e si polverizza sotto gli effetti del tempo. Dunque, o si interviene subito, oppure la situazione rischia di deteriorarsi. E i pericoli potrebbero riguardare anche chi abita nei dintorni». Proprio l’associazione «Dalla guerra alla pace» aveva presentato due anni fa un progetto organico, con molte proposte di gestione della struttura di via Scaramuzza. Attività culturali, ludiche, sportive che avrebbero dovuto coinvolgere i cittadini di tutto il Comune. Purtroppo, però, le cose non sono andate come si pensava. Problemi con l’Esercito, problemi con l’amianto. Così, in questi giorni, l’associazione ha preso in mano la situazione, inviando alla Municipalità un piano con l’elenco delle priorità: recupero e smaltimento dell’eternit, messa in sicurezza della parte interna, ripristino del terreno dissestato. Un intervento che potrebbe richiedere non più di 30 mila euro. «Noi lanciamo il sasso», spiega Ivo Chinellato, che ha una delega municipale per i forti, «chissà che nel 2007 quei soldi non saltino finalmente fuori». (Gianluca Codognato)

 

Un parco storico a metà fra tre paesi
Da il Corriere delle Alpi — 20 ottobre 2006 pagina 27 sezione: PROVINCIA

PIEVE DI CADORE. Dopo vent’anni, nascerà finalmente il parco storico della “Greola e della Cavallera”. Ne ha parlato lunedì scorso a Tai il sindaco di Pieve, Roberto Granzotto. «La zona sud dei comuni di Pieve e Valle e quella nord di Perarolo, in pratica quella che comprende al suo interno monte Zucco, dal 1986 è sottoposta a ben 35 strettissimi vincoli ambientali», ha spiegato Granzotto, «e questo perché in quell’anno la Regione, che con il piano territoriale regionale di coordinamento disegnò alcune aree da salvaguardare per la futura costituzione di parchi, comprese in questa perimetrazione anche gli ambiti per un parco archeologico chiamato “della Greola e della Cavallera” ». Il territorio interessato comprendeùuna parte del comune di Valle (circa il 60%), del comune di Pieve (circa il 30%) e del comune di Perarolo (il 10%): in totale una superficie di circa 500 ettari. Da allora, pur non avendo istituito il Parco, i vincoli rimasero tanto che, a causa di questi, il comune di Valle rimase senza la possibilità di edificare nella zona compresa nei confini stabiliti finchè una delibera regionale non eliminò qualche vincolo, riaprendo l’edificazione. Da allora sono passati vent’anni e il sindaco di Valle, Matteo Toscani, ha chiesto alla Regione di costituire finalmente il Parco. Un parco che dovrà essere storico, non naturalistico. Il primo passo conseguente a questa richiesta sarà la necessità di rivedere la perimetrazione, perché quella delimitata nel piano originario non è più attuale. La costituzione del nuovo Parco avrebbe dei riflessi economici non indifferenti per il territorio interessato, perché i comuni compresi nella sua perimetrazione potranno accedere a finanziamenti che altrimenti non avrebbero, comprese anche spese per progetti di urbanizzazione. Da non dimenticare, ha anche ricordato il sindaco Granzotto, «che dal 2007 al 2013 cambieranno le modalità per l’accesso ai finanziamenti europei, che abbandoneranno la logica del contributo per territorio, passando a quella “a progetto”. Attorno al progetto del Parco stanno dialogando con la Regione i comuni di Pieve e Valle, avendo ognuno degli obiettivi ben precisi da realizzare. Tra l’altro i parchi possono accedere ai benefici economici presentando dei progetti specifici». Granzotto di progetti possibili ne ha indicati alcuni: innanzitutto il completamento del percorso realizzato dalla comunità montana Agordina sui luoghi della Prima guerra mondiale, nel quale si possono inserire i Forti di Col Vaccher, Monte Ricco, Batteria Castello e le fortificazioni di Pian dell’Antro, a Venas. Collateralmente al completamento del percorso della memoria, potrebbe nascere una valorizzazione dell’intero territorio, riorganizzando l’accoglienza e la ristorazione, con la previsione di vendita di prodotti tipici. Alla nascita del nuovo parco sono interessati in primis la Cm Centro Cadore, che opererebbe da capofila, la Provincia di Belluno, i comuni di Pieve e Valle e forse anche Perarolo, che però attualmente ha qualche riserva. (v.d.)

 

Batteria Amalfi Un nuovo libro
Da la Nuova di Venezia — 25 agosto 2006 pagina 33 sezione: PROVINCIA

CAVALLINO. «Chi leggerà questo libro guarderà con occhi diversi la Batteria Amalfi di Punta Sabbioni che nella prima guerra mondiale costituì il cardine dell’intero sistema fortificato costiero a difesa di Venezia». Ne parla con passione il presidente dell’associazione «Forti e Musei della costa» Furio Lazzarini, della sua ultima fatica letteraria intitolata «La Batteria Amalfi nella Grande Guerra» pubblicata dall’associazione storico-culturale col Comune di Cavallino-Treporti. «L’agile volume tradotto in tedesco e inglese - spiega Lazzarini - analizza le ragioni che determinarono la progettazione della Batteria Amalfi, ne descrive le fasi di costruzione e le caratteristiche tecniche, raccontandone poi l’intenso impiego bellico nel corso del Primo conflitto mondiale, dopo lo sfondamento di Caporetto, quando il fronte terrestre giunse ad attestarsi ad appena una manciata di chilometri da Venezia. Già al momento dell’entrata in servizio (14 maggio 1917) l’Amalfi costituì la maggiore difesa della piazza marittima di Venezia, rappresentando uno tra i più moderni e potenti complessi di artiglierie dell’intero fronte italo-austriaco». (f.ma.)

 

Oggi nella Fortezza esercitazione dei volontari antincendio boschivo
Da il Messaggero del Friuli di sabato, 23 Settembre 2006

Osoppo. I volontari dell'antincendio boschivo saranno oggi di scena alla Fortezza di Osoppo. Si terrà infatti fino a domani l'esercitazione dei volontari A.I.B. del distretto di protezione civile del gemonese e del corpo forestale regionale. Si tratterà di simulare l'intervento su un incendio boschivo su un'area di particolare interesse storico-ambientale, situata sulle pendici di un rilievo immediatamente a margine di un centro abitato qual'è quella della Fortezza. Dai vari comuni, ovvero Osoppo, Amaro, Artegna, Bordano, Buja, Forgaria, Gemona, Majano, Montenars, Ragogna, Trasaghis e Venzone, parteciperanno 37 volontari affiancati dalle forze di polizia municipale, dai carabinieri della stazione di Osoppo e dai volontari della croce rossa di Gemona.

 

Chiusaforte racconta la Grande guerra
Da Messaggero Veneto — 13 agosto 2006 pagina 09 sezione: UDINE

CHIUSAFORTE. La val Raccolana, ancora una volta, si è dimostrata attenta alle iniziative legate alla riscoperta e alla promozione degli avvenimenti della Grande Guerra. Una sala stracolma infatti ha fatto da cornice alla presentazione del libro "Memorie di Guerra, Diario della guerra Italo-Austriaca in Val Raccolana", curato dalle Edizioni Saisera nella collana Vecchi Scarponi con i contributi di Lucia Lucarelli, Giancarlo L. Martina e Davide Tonazzi. Una pubblicazione che racconta anche attraverso una serie di fotografie la vita da soldato di Giuseppe Lucarelli, arrivato in Val Raccolana il 31 maggio 1915 come sergente furiere nella 17ª compagnia del 3° artiglieria da fortezza. Una straordinaria testimonianza scovata dal ricercatore Giancarlo L. Martina, che casualmente si è imbattuto nel diario alla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano in provincia di Arezzo. Dopo la morte di Giuseppe Lucarelli infatti, la nipote Lucia decise di trascrivere il diario e di inviarne una copia con alcune fotografie all'archivio. Il libro è stato finanziato attraverso fondi regionali dalla Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale. (a.c.)

 

La Grande guerra dell'artigliere Lucarelli
Da Messaggero Veneto — 10 agosto 2006 pagina 13 sezione: CULTURA - SPETTACOLO

Quando Giuseppe Lucarelli arriva a Chiusaforte, il 31 maggio 1915, ha 27 anni. È stato richiamato nell’esercito poco prima della dichiarazione di guerra del Regno d’Italia all’Impero Austro-Ungarico. Lucarelli è sergente furiere nella 17ª compagnia del 3° artiglieria da fortezza, di stanza per circa due anni e mezzo in val Raccolana, nella zona di Pian della Sega. La sua batteria è quella che opera con l’obice da 305 millimetri e che demolisce il forte Hensel di Malborghetto e le fortificazioni del Predil. Come tanti altri militari della sua epoca, colpiti dalla prima guerra tecnologica e di massa, Lucarelli tiene un diario della sua esperienza, dove racconta il lato umano ed emozionale del conflitto. Un documento arricchito da numerose fotografie scattate dallo stesso Lucarelli, che per coltivare la propria passione allestisce una camera oscura dove sviluppa le immagini, spesso duplicate anche per i commilitoni. Il logorio della guerra di trincea, i continui bombardamenti d’artiglieria (nel solo mese di luglio 1915 vengono sparate 520 granate), le morti dei soldati, lo scorrere delle stagioni e il rapporto con gli ufficiali: tutti dettagli raccolti da Lucarelli nel suo diario.Un testo che sarà presentato oggi, alle 18, all’agriturismo Campo base in val Raccolana: Memorie di guerra, diario della guerra italo-austriaca in val Raccolana esce a cura delle Edizioni Saisera nella collana Vecchi Scarponi e contiene contributi di Lucia Lucarelli (nipote di Giuseppe), di Giancarlo L. Martina e Davide Tonazzi. Il ritrovamento del prezioso documento è da assegnare al ricercatore Giancarlo L. Martina, curatore delle sale della Prima guerra mondiale nel Museo di Dogna, che si è casualmente imbattuto nel diario alla Fondazione Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Dopo la morte di Giuseppe Lucarelli, infatti, la nipote Lucia decide di trascrivere il diario e di inviarne una copia con alcune fotografie all’archivio creato da Saverio Tutino per conservare, studiare e valorizzare i diari scritti da italiani, di qualsiasi epoca e di qualsiasi argomento. La proposta di pubblicare questo diario viene accolta con entusiasmo dalla Comunità montana del Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale, sia per il territorio in cui si svolgono le azioni descritte sia per la particolarità di trovare un diario parallelo composto da parole e immagini. Insieme con Davide Tonazzi, Giancarlo Martina costruisce la storia per immagini di Giuseppe Lucarelli, collegando fotografie ai brani del diario, pubblicato insieme alla cartina geografica della zona disegnata da Lucarelli.In autunno saranno presentati altri due diari: uno contenente i resoconti di un soldato di stanza nella zona di Pontebba, l’altro quelli di un cecchino operante sul Montasio.Alessandro Cesare

 

Al via il recupero del forte "Col Roncon"
Da Il Gazzettino di domenica, 6 Agosto 2006

A rive d'Arcano hanno preso avvio i lavori per il recupero del forte "Col Roncon", esempio di architettura della grande guerra. Si tratta di una manufatto d'ingegneria militare costruito fra il 1909 ed il 1911 contemporaneamente a quelli di Fagagna, di Santa Margherita del Gruagno, di Tricesimo e del monte Lonza (Bernadia). Dai reperti storici si evince che formavano la linea difensiva denominata "tenaglia del Medio -Tagliamento", ad indicare un'imponente rete fortificata che si rifaceva al generale francese Brialmont, poi rivedute ed adattate all'orografia del territorio friulano dal generale italiano Rocchi.

L'opera in calcestruzzo armato sorge sull'omonimo colle Roncon a 256 metri sul livello del mare a ridosso della strada panoramica Fagagna-San Daniele e a breve distanza dal castello d'Arcano. E' stata trasferita a titolo gratuito dal Demanio Militare al Comune di Rive che ha predisposto un recupero reso possibile da un finanziamento di 863 mila euro nell'ambito del Programma Comunitario "Obiettivo 2", che comprende pure interventi di restauro di opere della Grande Guerra. Sul progetto (864 mila euro) redatto dall'architetto Roberta Cuttini, è assicurata la copertura del 79% della spesa. Il rimanente 21% è a carico del Comune che ha stipulato un mutuo di 180 mila euro con la Cassa Depositi e Prestiti. I lavori della durata di 200 giorni, sono stati affidati alla Edilcoop Friuli di Gemona. Prevedono un restauro conservativo del manufatto, in aderenza alle caratteristiche architettoniche originali. Come spiega il sindaco di Rive, Gabriele Contardo, una volta completati i lavori, l'opera è destinata a diventare un'importante meta turistico-culturale, in sintonia con la Soprintendenza regionale di Trieste. E, mentre sono in corso sopraluoghi con rappresentanti di Regione e Provincia per valutare le modalità di gestione del forte, va prendendo piede l'indirizzo di ospitare eventi di carattere culturale e turistico con anche uno spazio dedicato ad una mostra permanente sull'archeologia militare.

 

Rumiz: «I forti sono a grave rischio»
Da la Nuova di Venezia — 06 agosto 2006 pagina 21 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Ha un grande timore Mara Rumiz, assessore al Patrimonio del Comune: che, se non si interviene in fretta, il complesso dei forti dell’ex campo trincerato di Mestre rischi di diventare inutilizzabile. Discorso che non fa una grinza, specie se si considerano le condizioni del forte Mezzacapo di via Scaramuzza a Zelarino, che al momento si trova abbandonato a se stesso. E non pare che da parte del ministero della Difesa ci sia l’intenzione di chiudere la partita in fretta. La vicenda di forte Mezzacapo (e di forte Gazzera) è legata al Pepe di Dese, che necessità di una bonifica e di controlli molto approfonditi. Circa due mesi fa l’assessore Rumiz aveva chiesto che i destini di Mezzacapo e Gazzera fossero separati da quelli di forte Pepe, permettendo così un’accelerazione nell’iter di consegna delle due strutture presenti all’interno della municipalità di Chirignago-Zelarino. In questi due mesi, però, non ci sono state novità di rilievo, nonostante il Comune abbia più volte sollecitato i responsabili militari che all’interno del ministero della Difesa seguono il versante degli edifici militari che devono passare sotto il controllo delle amministrazioni locali. «Circa una settimana fa», spiega Rumiz, «ho incaricato i responsabili del mio assessorato di contattare il ministero della Difesa, contattando il generale Colucci, l’alto ufficiale che cura il settore infrastrutture. Devo dire che la Difesa non si sta muovendo con l’adeguata celerità, tanto che non è arrivata nessuna risposta». Più tempo passa, però, e più rimettere in sesto forte Mezzacapo diventerà un compito non facile. Per farsi un’idea del degrado della struttura basta dare un’occhiata al sentiero di entrata, chiuso da una sbarra arruginita e da filo spinato: la zona di arresto per le vetture è diventata una sorta di discarica abusiva, dove è possibile trovare di tutto. «Non stento a crede che le condizioni del Mezzacapo siano difficili», ammette l’assessore Rumiz, «la paura è che se non cominciamo al più presto una serie di interventi di manutenzione in questo e altri forti vada perso quello che considero un patrimonio per tutta la città. Nei confronti del ministero della Difesa abbiamo dimostrato sempre la massima disponibilità ma non possiamo ancora rimettere a posto molte strutture. Una cosa è certa, anche se siamo in un periodo di ferie abbiamo intenzione di continuare a pressare il ministero e i militari per risolvere questa situazione. I forti servono alla comunità». (Maurizio Toso)

 

TARCENTO Progetti in attesa della chiusura del cantiere sul forte Parco sul Bernadia La giunta vuole creare uno spazio intercomunale
Da Il Gazzettino di sabato, 5 Agosto 2006

Tarcento Mancano ancora due anni per poter dire definitivamente chiuso il cantiere del forte Bernadia. Ma l'amministrazione comunale, visto il grosso investimento in denaro che ha richiesto l'opera, sta già pensando a come organizzare i futuri spazi del complesso. Per la fortificazione vera e propria e per la sala conferenze sotterranea, la destinazione ufficiale è quella di centro multimediale della pace, un'idea di monsignor Duilio Corgnali sviluppata anche sul mancato ruolo bellico che il forte ricoprì durante la Prima Guerra Mondiale.

«Nonostante manchino da completare ancora il 30% delle opere del primo lotto e il 90% di quelle del secondo - dice il sindaco Roberto Pinosa - abbiamo già cominciato a riflettere sulle possibilità di gestione e sfruttamento del sito. Non possiamo, infatti, trovarci con un immobile ultimato e attendere due anni prima di vederlo entrare completamente in funzione come è stato per Villa Moretti e per il Centro Ceschia. Il primo passo, quello più logico, è la valorizzazione dell'esistente, cioè dell'ambiente naturale che circonda il forte». Il progetto in fase di elaborazione mira a realizzare un parco ecologico intercomunale e comprensoriale che coinvolga, anche a livello finanziario, i paesi di Tarcento, Nimis e Lusevera, tutte realtà accomunate dal monte Bernadia, oltre che Regione e Provincia. «Si tratterà di un'area di notevole interesse ambientale - dice il vicesindaco Giancarlo Cruder - dove però sarà possibile anche cacciare e promuovere attività di tipo turistico. Il tutto finalizzato alla promozione dell'altura, già sede di raduni e feste ANA e motociclistiche. L'obiettivo è, insomma, quello di rendere sempre più appetibile la montagna così da trasformarla in fulcro attrattivo per la creazione di altri eventi sovracomunali». Il progetto parco comprende la realizzazione di percorsi e sentieri attraverso i boschi, installazione di tabelle informative, individuazione di luoghi dove sia più facile mirare la volta celeste così da creare dei mini punti di osservazione. La montagna, di natura carsica, è già meta di escursioni ed è stata oggetto, in passato, di studi specialistici sulle caratteristiche uniche delle piante che vi crescono. È inoltre uno dei luoghi più suggestivi per l'accensione dei fuochi epifanici che vengono arsi sulle vecchie batteria e nel piazzale della vecchia caserma.

 

Comeglians, itinerari turistici per valorizzare le fortificazioni
Da Messaggero Veneto — 20 luglio 2006 pagina 11 sezione: UDINE

COMEGLIANS. Sul modello di Villa Santina, nasce a Comeglians un’interessante iniziativa culturale sulla Catena fortificata della Carnia. L’amministrazione De Antoni, con ben sette opere fortificate nel proprio comprensorio, ha ritenuto opportuno avviare una serie di interventi di ripristino delle opere in caverna dell’articolato sistema di sbarramenti del complesso di fortificazione Carnico. Per questo, come Villa Santina, il Comune di Comeglians ha contattato l’associazione culturale X Regio Italica che da anni cura, in Friuli, la valorizzazione di opere fortificate come queste che, verso gli anni ’40, in Carnia, furono realizzate per sbarrare potenziali invasioni nemiche e facevano parte del noto Vallo Alpino, che nulla aveva da invidiare alle più note linee Maginot e Siegfried. Le fortificazioni hanno un notevole sviluppo lineare (dai 300 ai 500 metri), si articolano su più livelli interrati e sono tutte rigorosamente mimetizzate con l’ambiente circostante tanto che raramente si percepisce la presenza di questi invisibili e affascinanti manufatti d’ingegneria militare. «Il primo passo da compiere ora – spiega de Antoni – è la richiesta di acquisizione dei beni dal Demanio militare, per poi attuare, con poche decine di migliaia di euro, un ripristino finalizzato alla fruizione turistica di queste opere ancora intatte dopo più di 60 anni. La valenza storico culturale del sito verrà poi promossa, in collaborazione con l’associazione X Regio Italica, mediante conferenze e visite guidate, contatti con diverse realtà locali e regionali, approfondimento dei buoni rapporti già esistenti con istituti culturali esteri, come l’istituto Ad Pirum di Logatec (Slovenia), così come con appassionati di tutt’Italia nonché della Croazia, della Repubblica Ceca per giungere sino a San Pietroburgo. Il visitatore potrà così scoprire anche le peculiarità enogastronomiche e l’accoglienza del territorio carnico». (t.a.)

 

Progetti internazionali sui luoghi della guerra
Da il Corriere delle Alpi — 05 luglio 2006 pagina 41 sezione: SPETTACOLO

Il convegno di venerdì ad Arabba per la presentazione degli obiettivi conseguiti, dopo 5 anni di lavoro, dal Progetto Interreg III A Italia-Austria «I luoghi della Grande Guerra in Provincia di Belluno» è un punto di arrivo e di ulteriore progresso.
Al di là delle autorità (tra cui Gianni Pezzei, Rizieri Ongaro, Sergio Reolon, Floriano Pra, Christian Stempfer, Fabio Gava) e degli interventi (Richard Schober, Andrea Cisco, Antonella Fornari), la conferenza fornisce di per sé un bilancio di quanto lo scambio di conoscenze e ricerche tra Italia e Austria e l’organizzazione di mostre e visite guidate abbiano conseguito.
Il ripristino dei sentieri. Certo, l’aspetto più coraggioso e innovativo è stato assicurato dal ripristino di sentieri, postazioni e osservatori realizzati dai soldati 90 anni fa e oggi a rischio di scomparsa per il debordare della vegetazione e l’incuria dell’uomo. A questa azione di recupero hanno lavorato un Comitato scientifico e un Comitato tecnico, cui è stata data la direzione e la correttezza “filologica” di ogni intervento intrapreso, affidato per lo più ai Servizi forestali dello Stato. Ma questo rimarrebbe piccola cosa, se la valorizzazione del reperto, piccolo o grande che sia, non venisse accompagnata da un nuovo interesse, culturale e turistico, verso ogni memoria che la Grande Guerra ha seminato su cime e forcelle, nei paesi e tra i boschi, in prima linea o nelle retrovie, attraverso un’autentica riappropriazione della storia e del territorio attuata anzitutto dalla scuola.
Le mostre e le visite. Ecco quindi spiegata la grande energia profusa nell’organizzazione di mostre itineranti, visite guidate, conferenze nelle scuole di ogni ordine e grado, nella convinzione che ogni comprensorio ha un immenso potenziale storico e culturale rimasto finora inespresso e da mettere in sinergia.
Prendiamo il Cadore come esempio: esso è stato toccato da varie iniziative, in particolare su monte Piana, in Oltrepiave, su Col Vidal, sul Becco di Cuzze presso Vodo.
Molti sono i meriti di tale valorizzazione (si pensi alle fortificazioni del monte Tudaio, del Rite, del Miaron, di Col Ciampon...), ma va sottolineato come questo lavoro sia risultato un’occasione davvero propizia per collegare gli sforzi di tre diversi comprensori, Agordino, Zoldano e Cadore, puntando anzitutto sulla «Linea gialla», ovvero sulla formidabile linea di resistenza ad oltranza stesa tra il 1904 e l’ottobre 1917 tra la Val Cordevole e la Val Boite.
Tale linea, appoggiata a potenti apprestamenti fortificatori e ad un complesso reticolo di postazioni sussidiarie, strade e osservatori, nel settore della IV Armata correva senza soluzione di continuità lungo le cime dei monti Tamer, Civetta, Fernazza, Antelao, Marmarole, Tudaio e Razzo, collegando le difese sul Cordevole, in particolare la Tagliata del Sasso di S. Martino, con quelle della Fortezza Cadore-Maè.
Una «rete» di percorsi. L’escursionista, alla ricerca di panorami gratificanti e mosso da interessi storici, si vede così offerto un ventaglio di nuove opportunità e viene indotto a ricercare e “collezionare” una serie di mete tra di loro complementari: chi frequenta l’Agordino avrà un’occasione in più per conoscere il Cadore e viceversa, il tutto su ideali “ponti” di guerra divenuti tramiti di natura e cultura. La guerra a lungo preparata, con un ineffabile sforzo sia militare sia civile, ebbe sempre e comunque una logica unitaria, in grado di concepire le nostre valli e le nostre crode tra Marmolada e Brentoni come un unico scacchiere strategico e tattico.
Come esempio paradigmatico si possono citare i tanti studi sulle opere della Val Boite, collegate con quelle del Cordevole (Tagliata di S. Martino, Listolade, Col Piagher) attraverso le postazioni di Spiz Zuel, Col Salera e Col Baion.
In particolare, il Comune di Vodo ha puntato alla valorizzazione delle opere sul Becco di Cuzze e sui Crepi di Serla, dove sono stati compiuti lavori di ripristino della strada che portava da forcella Chiandolada a forcella Cucei e che serviva una complessa rete di caverne e trincee.
Oltre i campanilismi. Il Comune di Vigo ha valorizzato la postazione di Col Ciampon, poco sotto l’antica chiesetta di S. Daniele, con il recupero del “blockhaus”, degli osservatori e dei depositi qui voluti per controllare la stretta di Treponti e collegare l’opera alta del forte del Tudaio con quella bassa di forte Col Piccolo. Ma non va mai dimenticato che quanto concepito e costruito in Val Boite, in Val Ansiei o in Oltrepiave rientrava nella logica strategica unitaria della Fortezza Cadore-Maè. Si tratta dunque di interventi che, lungi dall’essere settoriali e campanilistici, appaiono in grado di valorizzare storicamente e turisticamente aree finora non conosciute nella loro valenza storica e militare, senza nulla togliere a mete da tempo praticate, che anzi avranno d’ora in poi un corollario di complementi strategici e tattici per essere ancor meglio fruite.
- Walter Musizza e Giovanni De Donà

 

La Grande guerra riscoperta
Da il Corriere delle Alpi — 01 luglio 2006 pagina 29 sezione: PROVINCIA

CADORE. Grazie alle appassionate indagini di Walter Musizza e Giovanni De Donà il Cadore ha potuto conoscere e valorizzare una pagina importante della sua storia legata alla Grande Guerra.
«La biblioteca è la loro miniera, un pozzo inesauribile che li affascina e li trascina nel non sempre illuminato mondo dei nostri avi, a caccia di avvenimenti più o meno singolari, di episodi di vita vissuta non da “routine”. Così qualcuno ha voluto, con parole non scevre da poesia, commentare l’impegno che Walter Musizza e Giovanni De Donà hanno profuso, in perfetta sinergia, da 20 anni a questa parte, nello studio e valorizzazione della storia cadorina.
Allorché, nel 1985, Musizza, triestino di nascita, ma già cadorino d’adozione, iniziò la sua sistematica opera di ricostruzione “filologica” dei forti veneti, ambizioso appariva il percorso scelto e molte le mete prefissate. L’autore mirava infatti - e lo si capiva bene già nel primo tomo “Le fortificazioni del Cadore 1866-1896” - ad un totale coinvolgimento dell’opera militare nella problematica politica e sociale del tempo, trasformandola quasi in ideale specchio delle molte contraddizioni italiane e cadorine tra ‘800 e ‘900, delle velleità e delle delusioni della patria grande come di quella piccola tra età crispina ed età giolittiana. I forti dolomitici, costruiti tra il 1880 e il 1915, avevano vegetato sempre tra oblio e disprezzo, gravati della pessima fama guadagnatasi nelle disperate ore del nostro dopo-Caporetto ed avviliti dalle ingloriose esplosioni austriache dell’ottobre 1918, per cui si trattava di recuperare un patrimonio di fonti archivistiche disperso tra Roma e Vienna. Dopo 5 anni di intenso lavoro, condiviso con De Donà, cadorino autentico, l’opera è giunta al suo compimento con l’uscita del quarto ed ultimo tomo, dedicato al forte di Col Vidal, sopra Lozzo (1990), nonché colla realizzazione, nel 1988, di un documentario televisivo.
Tutti gli 8 forti cadorini sono stati dunque riproposti nella loro genesi strategica ed architettonica, seguiti negli affascinanti meandri delle diatribe militari e politiche che li hanno contraddistinti dalla nascita fino ai tristi giorni della distruzione intestina, ed indagati nell’enorme apparato di difese complementari fiorite intorno ad essi, dalla Val Boite alla Val Ansiei.
Si può dire che ne è emerso un quadro impressionante di manufatti, strade, postazioni e sentieri finalmente recuperati all’interesse e alle escursioni di tutti gli appassionati della montagna, un capitale di storia e lavoro, in gran parte cadorino a tutti gli effetti, da ripensare e valorizzare in chiave culturale e turistica.
I forti “alti” del Tudaio, del Vidal e del Rite, nonché le postazioni del Miaron, del Col S. Anna, del Col Rementera e di tante altre “crode” e forcelle cadorine, si impongono come altrettante mete di gite piccole e grandi.
Ma ciò che il lettore nota subito è che la protagonista indiscussa in tutti i volumi è la gente cadorina, di Cibiana, Vigo, Lozzo, Pieve, seguita passo passo nelle sue speranze e disillusioni all’ombra di tali giganti, nei benefici avuti e nei danni patiti, sia al momento della costruzione, sia sull’onda lunga dei vantaggi economici e dei postumi ecologici. Desta impressione seguire anno dopo anno la scansione della trasformazione del Cadore da appartato comprensorio silvopastorale a munito campo trincerato, con tutto il relativo trapasso, spesso sofferto, di tradizioni, abitudini e mestieri della sua gente schiva ed orgogliosa. E perfino la guerra, indagata dall’osservatorio privilegiato di queste alte batterie corazzate, sembra offrire prospettive nuove, talché gli ordini di Cadorna, di Robilant e di Piacentini assumono valenze inusitate sullo sfondo degli splendori e delle miserie della Fortezza Cadore-Maé, voluta imprendibile sì, ma non presunta tale nell’ora del bisogno.
E si pensi che proprio nel 2002, quando i due studiosi sono stati insigniti per le loro ricerche macro e microstoriche del Premio Ana Cadore, è stato inaugurato il museo di Messner nel forte di M. Rite.
Un processo di recupero autentico di memoria.
Basti citare il recupero avvenuto del forte Tra i Sassi in Valparola, l’itinerario storico del forte di M. Tudaio in Oltrepiave, il Museo del Lagazuoi e delle 5 Torri, il progetto Interreg 2000-06 capitanato dalla Cm Agordina...
E’ un processo ormai irreversibile: istituzioni pubbliche e private, studiosi ed appassionati, ma anche semplici escursionisti in cerca di nuove accattivanti mete, stanno scoprendo la Grande Guerra sulle Dolomiti.

 

La montagna veneta in guerra
Da il Corriere delle Alpi — 18 giugno 2006 pagina 19 sezione: AGENDA

FELTRE. A novant’anni di distanza ci può essere ancora spazio per nuove prospettive, per nuove inquadrature di quell’immane conflitto che fu la Grande Guerra e che si è arrogato da tempo il ruolo di autentico discriminante tra ’800 e ’900? La risposta è ovviamente positiva, sia per i nuovi studi che fioriscono costantemente intorno a uomini, mezzi ed eventi, sia soprattutto per il lavoro stesso dello storico che non può prescindere da una periodica ricalibratura di metodologie, approcci e giudizi, che deve essere tarata sulla società contemporanea, ovvero sul continuo divenire.
E certamente Feltre offrirà a tanti studiosi ed appassionati un’occasione in più per osservare la guerra 1915-18 da un osservatorio particolare, con una prospettiva suggestiva: quella delle panoramiche militari. Sarà inaugurata infatti venerdì 30, nella Chiesa di Ognissanti a Borgo Ruga a Feltre, la mostra “La Montagna veneta - foto panoramiche della Grande Guerra”, realizzata dalla Cmf nell’ambito del progetto “Il Museo diffuso del Grappa dal Brenta al Piave”.
Alle 18 sono previsti i saluti delle autorità, poi alle 18.30 l’intervento del curatore Marco Rech, infine alle 19 la presentazione di alcuni contributi storici, tra cui quelli di Tiziano Bertè e di Mauro Passarin, nonché del catalogo che accompagna la mostra.
La rassegna documenta come l’evento bellico abbia accelerato, in sintonia con quanto avvenuto in ogni altro settore, anche la fotografia, inventando o perfezionando strumenti e tecniche: aerofotografia, fotolitografia, telefotografia, topofotografia, stereoscopia sono soltanto alcune delle discipline sviluppate, se non addirittura nate, per la guerra.
Certamente la prospettiva assicurata da questa mostra è per lo meno inusuale e, comunque, tra le più interessanti. Questo perché il concetto stesso di “panoramica” seduce al di là di ogni tempo, grazie a una dilatazione visiva e mentale che va oltre ogni prerogativa umana, per una sorta di naturale stupore che s’appropria di più vasti orizzonti e sembra piegarsi alla bellezza del mondo, da cui ogni sforzo bellico appare bandito od almeno sublimato.
E in effetti una delle caratteristiche salienti che sottende questa scansione di panorami consiste proprio nell’esilità della presenza umana: le fortificazioni, le trincee, le armi, l’uomo stesso si notano poco, o, meglio, sono riservati all’occhio clinico dell’esperto. Ma essi, se apparentemente privilegiano la natura e mettono in sottordine l’umanità, se paiono celebrare anzitutto mirabili scansioni di vette, ignare di lotta e di sangue, pure ci parlano comunque e sempre dell’uomo.
Confrontando questi panorami con quelli fruibili nell’odierna realtà, ci accorgiamo che i diligenti fotografi di 80 anni fa, issatisi su aerei pulpiti, ci hanno assicurato con i loro pionieristica apparati, lunghi anche due metri, una rara pietra di paragone per i nostri presunti progressi nell’ultimo secolo del II millennio. Essi hanno fermato sul bromuro d’argento una montagna veneta unica e irripetibile, in gran parte oggi perduta. In quelle immagini l’uomo è “rara avis” e le sue armi di guerra non infliggono le ferite che la pace, il benessere e l’ignavia porteranno a monte e a valle negli 80 anni successivi. Guardiamole bene quelle cime coronate da nevi, oggi non più perenni: esse sono ciò ch’eravamo, ciò ch’avevamo. Il fotografo in divisa voleva immortalare le posizioni nemiche, ma in verità ci ha donato un grand’angolo di patria bella e perduta.

 

Cominciato il recupero del forte della grande guerra sul colle Badin
Da Messaggero Veneto — 16 giugno 2006 pagina 12 sezione: UDINE

CHIUSAFORTE. Con l’avvio dei lavori di recupero del forte sul Colle Badin, a Chiusaforte, è cominciata la fase più impegnativa del progetto di recupero del patrimonio storico - militare della prima guerra mondiale in Val Raccolana. Un’iniziativa che vede in prima linea il Comune di Chiusaforte, che a fronte di un impegno di spesa di 232 mila euro, ha ricevuto un finanziamento di 185 mila euro attraverso i fondi comunitari dell’Obiettivo 2.«In questa fase - ha spiegato l’assessore alle politiche comunitarie, Fabrizio Fuccaro -, oltre al recupero strutturale del forte, saranno sistemati e resi accessibili anche i sentieri della grande guerra lungo la via alta del Montasio e attraverso le fortificazioni del Col de la Beretta e del Ronbon. Questa parte del progetto - ha aggiunto - è stata progettata dalla Comunità montana del Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale e sarà portata a compimento dall’Agriforest di Chiusaforte».Il forte Badin è stato riconosciuto "di interesse storico" dal Ministero dei beni e delle attività culturali, che in questo modo ne ha sancito la tutela. Il forte fu costruito in cemento e pietra lavorata nel 1904, su una collina sovrastante l’abitato di Chiusaforte, rappresentando il primo sbarramento lungo la Val Fella. Dotato di una struttura imponente, riusciva ad ospitare oltre duecento soldati. Era collegato con il capoluogo ed era autonomo sia per l’approvvigionamento idrico che elettrico. (a.c.)

 

“50 MILA EURO A O.C.R.A.D. PER RISTRUTTURARE FORTE COSENZ DI FAVARO E FARNE UN CENTRO RICREATIVO PER DIPENDENTI E FAMILIARI"
COMUNICATO STAMPA N. 1126 DEL 27/06/2006  l' ASSESSORE REGIONALE VALDEGAMBERI:

L’O.C.R.A.D. - l’Organismo Culturale Ricreativo Assistenza Dipendenti dell’Amministrazione regionale – riceverà dalla Giunta veneta un contributo di 50 mila euro per ristrutturare parte del compendio immobiliare Forte Cosenz (denominato “fabbricato di truppa e ricovero mezzi”) situato a Favaro Veneto e farne un centro ricreativo per i dipendenti regionali e i loro familiari. Ne dà notizia l’Assessore regionale alle politiche degli enti locali e del personale Stefano Valdegamberi il quale è stato relatore in Giunta della deliberazione e spiega che “il Consiglio regionale, con provvedimento del febbraio 2005, aveva impegnato la Giunta ad individuare, anche attraverso l’acquisizione di immobili regionali o dimessi dallo Stato o da altre Pubbliche Amministrazioni, ulteriori risorse per favorire lo svolgimento di
attività culturali, dopolavoristiche, hobbistiche, di socializzazione, di assistenza e accoglienza diurna dei figli dei dipendenti regionali, quali centri ricreativi estivi per attività parascolastiche. Attualmente – aggiunge l’Assessore regionale – Forte Cosenz – adagiato sulle anse del fiume Dese poco a nord di Favaro Veneto e inserito in una vasta opera di riforestazione all’interno del progetto del Bosco di Mestre - si trova in uno stato di degrado tale da richiedere interventi di ripristino e di ristrutturazione per un ammontare complessivo di oltre 159 mila euro di cui 55 mila assegnati all’OCRAD su proposta dell’Unità di Progetto Sport, 50 mila assegnati ora con il contributo in oggetto, mentre ai rimanenti 55 mila euro provvederà l’OCRAD stessa con i propri mezzi finanziari”. A cura dell'Ufficio Stampa della Regione Veneto

 

Il Pepe stoppa Gazzera e Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 11 giugno 2006 pagina 22 sezione: NAZIONALE

CHIRIGNAGO. Separare i destini di Forte Pepe di Ca’ Noghera da quelli dei forti Gazzera in via Brendole e Mezzacapo in via Scaramuzza a Zelarino. E’ questa la richiesta fatta dall’assessore comunale al Patrimonio Mara Rumiz al ministero della Difesa per riuscire a perfezionare al più presto la consegna delle due ex strutture militari alla cittadinanza. La questione è legata alle condizioni dei singoli forti, con il Pepe che necessita tra l’altro dell’intervento di bonifica e, ancora prima, di una ricognizione ambientale per valutare come stanno le cose nell’intera area. Rumiz ha domandato al ministero della Difesa di attivarsi con il quinto reparto infrastrutture dell’Esercito, unità che ha sede a Padova, perché, ferme restando le condizioni già fissate per il passaggio al comune delle ex strutture militari, ci sia una differenziazione nei tempi di consegna del gruppo di forti formato da Pepe, Mezzacapo e Gazzera. «In ogni caso», avverte Mara Rumiz, «i tempi di conclusione dell’intera vicenda non saranno brevissimi, dobbiamo considerare che prima deve essere effettuata una classificazione dei due forti, e che successivamente il quinto reparto dovrà passare la documentazione a vari uffici. Dal momento della classificazione al rogito potrebbero passare tre mesi, un bel lasso di tempo ma sempre meglio di un’attesa indeterminata». La situazione dei forti della municipalità di Chirignago-Zelarino, insomma, potrebbe subire una forte accelerazione, con grande soddisfazione di cittadini e amministratori. Dal punto di vista formale, i forti Gazzera e Mezzacapo si trovano in una posizione privilegiata rispetto alle altre ex strutture militari della terraferma per quanto riguarda il completo passaggio al Comune. Forte Gazzera, tra l’altro, da qualche settimana è tornato a essere un importante punto di aggregazione non solo per il quartiere, con il comitato di gestione che sta organizzando una serie di iniziative culturali. Più complessa la situazione a Forte Mezzacapo. Il punto dolente per la struttura di via Scaramuzza è la bonifica dell’amianto, con i materiali pericolosi che per il momento sono stati sigillati. Per rimettere il Mezzacapo in sesto ci vorrà un po’ di tempo, il che non sarebbe comunque un ostacolo a una parziale utilizzazione del forte. «Puntiamo a rivitalizzare anche il Mezzacapo», conferma Maria Teresa Dini, presidente della Municipalità. (Maurizio Toso)

 

«Nonna» Ines alla 99ª candelina
Da il Corriere delle Alpi — 11 giugno 2006 pagina 28 sezione: PROVINCIA

VIGO. «Della mia fanciullezza serbo ancora vivo il ricordo della Grande Guerra, perché essa toccò da vicino la nostra famiglia. Rivedo ancora i nostri soldati che si esercitavano presso Col Tagliardo, gli aerei austriaci che sorvolavano di continuo i nostri paesi in mezzo ai tiri dei cannoni dei forti del Tudaio, di Col Piccolo e del Vidal. Nell’anno dell’invasione, 1917-1918, la nostra famiglia riuscì a sopravvivere grazie all’abbondante raccolto di patate che nascondemmo nel fienile, al maiale sepolto in cantina e alle scatolette che mio padre riuscì ad asportare dal forte di Col Piccolo poche ore prima dell’arrivo degli austriaci. Ho ancora davanti agli occhi il volto dell’ufficiale che guidava la prima pattuglia austriaca entrata a Vigo dopo i combattimenti di Rementera. Stava facendo buio quando si presentarono in casa nostra: erano affamati e mia madre cucinò loro una grande pentola di patate. L’ufficiale, uomo colto, ci ringraziò e dopo averci assicurato che entro pochi giorni sarebbero arrivati a Venezia, fece capire che aveva il presentimento di morire presto sul Piave. Prima di andarsene lasciò un biglietto con scritto: “Non è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice” ».
A sentirla rievocare tanti fatti lontani nel tempo si resta affascinati, come forse tanti secoli fa si pendeva dalle labbra di venerabili aedi pronti ad affabulare le loro rapsodie sospese tra mito e storia. Nonna Bianca Ines Nicolai di Laggio, che oggi compie 99 anni e si avvia agevolmente a raggiungere il secolo di età, incanta davvero con la sua memoria e sa raccontarti cose che nessun libro saprà mai darti. In molti hanno potuto vederla in questi mesi in onda su Telebelluno che ha pensato di celebrare il 90º anniversario della Grande Guerra nella nostra provincia con una rievocazione intitolata “Una nonna nella Grande Guerra”, realizzata da Giovanni De Donà e da Corrado De Martin, chiedendo a questa eccezionale memoria vivente dell’Oltrepiave di raccontare la sua vita, di rendere intero lo spessore di tante sofferenze vissute dalla gente comune, prima, durante e dopo l’immane conflitto. Era l’11 giugno 1907 quando Ines venne alla luce nella casa dei nonni materni Eugenio e Maddalena, nella borgata di Palù, ultima dei 4 figli di Giobatta e Angelina Da Rin Bettina. Allora il padre “Tita” era già emigrato negli USA e la piccola Ines lo conobbe solamente all’età di 5 anni, quando egli ritornò definitivamente a Vigo dopo aver fatto per ben 5 volte la traversata dell’Atlantico tra Marsiglia e New York. Tutta la vita fu dura per Ines, ma il record della fame fu toccato nell’estate del 1918, quando anche i bambini dovevano fare la guardia nei campi per evitare il furto di frutta e verdura da parte degli austriaci e dei loro prigionieri. Il 20 aprile 1932 Ines sposò Attilio Da Rin Polenton di Piniè, di professione calzolaio, col quale andò a vivere a Laggio e da cui ebbe quattro figli. Anni tremendi anche quelli del II conflitto mondiale, specialmente tra il 1944 e il 1945, quando la casa fu visitata parecchie volte dai tedeschi nel corso dei rastrellamenti, oppure dai partigiani, che venivano per farsi riparare le scarpe. Dopo una vita vissuta a cavallo di due guerre mondiali, che le ha dato sì molte soddisfazioni, ma che non le ha risparmiato anche diversi dolori, con la perdita di due giovani figli e del marito, nonna Ines si avvia ora in grande serenità verso il suo 100º compleanno.Walter Musizza Giovanni De Donà

 

La strategia italiana puntava tutto sull' Isonzo
Da Alto Adige — 09 giugno 2006 pagina 39 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

L’Italia, allo scoppio del conflitto nell’agosto 1914, aveva dichiarato la sua neutralità. Entrò in guerra quasi un anno dopo (il 24 maggio 1915) dopo aver sottoscritto con l’Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) il Patto di Londra sui compensi territoriali in caso di vittoria.
L’Italia era soprattutto interessata ai territori italiani che facevano parte dell’Impero Austro-Ungarico: il Trentino, la Venezia Giulia e l’Istria. Insomma, volevamo Trento e Trieste, le terre irredente, per completare il Risorgimento nazionale in un quadro di unità politica del Paese.
Il nemico dell’Italia era l’Austria, mentre nei confronti della Germania non avevamo rivendicazioni particolari. Il fronte, quindi, era nel nord-est della penisola.
Il confine italo-austriaco si estendeva per 650 chilometri di alte montagne che favorivano la strategia dei difensori.
L’esercito italiano poteva sfondare solo in due aree: a nord nei valichi verso il Trentino, a est nella valle del fiume Isonzo. La via del Trentino venne esclusa perché i passi erano tenuti dagli austriaci con robuste fortificazioni. Perciò per tutta la guerra gli italiani rivolsero i loro attacchi sull’Isonzo. L’Austria era informata delle trattative dell’Italia con francesi e inglesi.
Così, quando la guerra fu ufficialmente dichiarata, gli austriaci non si fecero trovare impreparati. Disponendo di sole quindici divisioni, erano in grave svantaggio numerico rispetto agli italiani, ma molto meglio armati quanto ad artiglieria pesante e mitragliatrici.

 

Mostra storico-documentaristica al 34° Gruppo radar dell'Aeronautica militare
Da avionews.it del 5 giugno 2006

Roma, Italia - Esposizione di cimeli e documenti storici sotto il patrocinio della Prefettura di Siracusa

"Dal 29 maggio al 4 giugno, all’interno della base logistica del 34° Gruppo radar di Siracusa–Mezzogregorio, è stata allestita una mostra di documenti e cimeli storici, attraverso i quali è stato possibile rivivere gli eventi che hanno segnato la storia italiana nel decennio compreso tra il 1938 ed il 1948. La mostra è stata organizzata su invito del Prefetto di Siracusa, Benedetto Basile, che ha...

 

E riapre al pubblico la polveriera austriaca
Da la Nuova di Venezia — 02 giugno 2006 pagina 20 sezione: NAZIONALE

Apre al pubblico per la prima volta la polveriera austriaca ottocentesca di forte Marghera. Da lunedì prossimo al 30 giugno, nello stabile rimasto chiuso per anni, si terrà la mostra «Acque e forti», all’interno del programma «Vivilforte Mittelfest in Festungs 2006». L’esposizione farà scoprire e vivere uno dei suggestivi spazi del campo trincerato di Mestre, che sta per diventare formalmente del Comune dopo essere stato a lungo del Demanio dello Stato. «Acque e forti» propone le opere di artisti provenienti da Olanda, Ungheria e dal Veneziano, con tema le fortificazioni e lo speciale rapporto tra queste e l’acqua che le circonda, elemento basilare dei sistemi difensivi. Con l’iniziativa continua la collaborazione tra Venezia, l’ungherese Fort Monostor Trust ed il Comune sloveno di Bovec, che vedrà aggiungersi un nuovo soggetto: l’olandese Nieuwe Hollandse Waterlinie. Si tratta di enti, che da alcuni anni si occupano del recupero del proprio patrimonio fortificato. Gli autori esporranno una selezione di 15 opere per ciascun paese, che trattano del complesso sistema di fortificazioni olandese, del sistema fortificato ungherese e della piazza della difesa marittima di Venezia. Le opere rimarranno esposte per tutto il mese di giugno a forte Marghera, di seguito la mostra verrà esportata a Komàrom (Ungheria) e a Utrecht (Olanda). Gli artisti italiani sono 15 soci dell’Auser di Marcon, che hanno esposto delle pregevoli opere ispirate ai forti della terraferma e della laguna. Invece, l’Olanda è rappresentata da un pittore professionista Guus Zuiderwijk: le sue acqueforti sono dedicate alla Nuova linea d’acqua olandese. (Michele Bugliari)

 

Troppi esplosivi. Sequestrato a Marghera Forte Tron
Da Il Gazzettino di domenica, 21 Maggio 2006

Venezia

Il procuratore militare Sergio Dini ha posto i sigilli a Forte Tron di Marghera. È aperto al pubblico malgrado sia ancora pieno di materiale esplosivo. Mine conservate un po' ovunque senza particolare cura. Il magistrato ha trasmesso al gip la lunga lista di esplosivi tuttora conservati nel forte. La richiesta del procuratore militare è stata accolta. Difficile ricostruire le responsabilità della gestione del forte. Di recente due mine di notevoli dimensioni sarebbero state rubate dal forte che fa parte del Demanio militare, ma è in dismissione. Dovrebbe acquisirlo il Comune di Venezia.

Il provvedimento spiccato dalla Procura militare in seguito ad un sopralluogo che ha rilevato la presenza di vario materiale esplosivo.

A Forte Tron rischio bombe: sequestrato 

Adesso la possibilità di una ripresa delle operazioni di sminamento appare piuttosto remota 

Mestre

Mine conservate un po' ovunque senza particolare cura. E il rischio dunque per chi transita in zona sarebbe grande. Così Forte Tron è finito sotto sequestro. A stabilirlo, la Procura militare che ha spiccato il provvedimento nei confronti di uno dei baluardi del campo trincerato di Mestre, quello che sorge, dal 1890, in via Colombara, tra Marghera e Malcontenta.

 Si apre così un nuovo capitolo, di carattere giudiziario, in una vicenda, seguita, con particolare attenzione, nella città giardino, dal momento che l'oasi naturalistica, in cui è inserito il forte, rappresenta, dagli anni '90, un punto di riferimento per gite fuori porta, ma anche un luogo dove migliaia di bambini e ragazzi, coinvolti in laboratori, hanno scoperto la fauna locale.

Tutto questo fino allo scorso giugno quando Forte Tron , che era stato assegnato in concessione temporanea al Comune, nel 1991, è diventato zona off-limits, delimitata da un nastro bianco e rosso. Vietato avvicinarsi. Il 20 giugno, infatti, sono cominciati i lavori di bonifica, necessari a "riconvertire" ad un uso civile un'infrastruttura, come il forte di via Colombara, adibita, fino agli anni '80, a deposito esplosivi.Bonifica, curata dal 5. Reparto Infrastrutture dell'Esercito di stanza a Padova ed eseguita dalla So.gel.ma. srl. Ed è stato lo stesso comandante del reparto, il Tenente Colonnello, Luca Bombonato a confermare, il mese scorso, al nostro giornale, la battuta d'arresto, nei lavori di sminamento. Sospensione, avvenuta il 17 gennaio scorso, "in attesa - spiegava il comandante, in una nota, - di completare il brillamento degli innumerevoli ordigni, rivenuti sia in terra che in acqua e oggetto di denuncia, in data 7 settembre 2005, alle Forze di Pubblica Sicurezza per le rispettive incombenze". Ma questa era solo una delle motivazioni, addotte da Bombonato. Le operazioni, spiegava, erano state interrotte anche, in attesa di un sopralluogo, che avrebbe dovuto tenersi entro il 10 maggio, "da parte della Soprintendenza per l'accertamento delle problematiche, oggetto di esposto del "Gruppo Verdi"."

Lo scorso novembre, Gianfranco Bettin e Alberto Piovan, rispettivamente capigruppo dei Verdi in Comune e in Municipalità a Marghera, infatti, avevano inviato una lettera al Sindaco e al presidente della Provincia per denunciare "la parziale modifica dell'inclinazione dei terreni, di sponda al fossato che circonda il Forte, cosa che, sicuramente, avrà il suo impatto sul corretto deflusso delle acque". Lo stesso ponticello di accesso all'ex-presidio militare presentava, secondo gli ambientalisti, che avevano allegato una decina di foto, dei masegni divelti.

Di qui, il coinvolgimento, da parte della autorità militari, della Soprintendenza che ha individuato dei funzionari per verificare l'esistenza di un "caso Forte Tron ". E per stabilire la possibilità - che, ora, appare remota -, di una ripresa delle operazioni di sminamento. Va detto, inoltre, che, lo scorso aprile, lo stesso presidente della Municipalità di Marghera, Renato Panciera, preoccupato per un allungamento dei tempi di restituzione della struttura alla città, aveva denunciato lo stato di degrado in cui versa la struttura, divenuta meta di vandali, incuranti delle strisce bianche e rosse, poste a delimitazione di un forte...Ora, sotto sequestro. Giacinta Gimma

 

Alloggi nell'area di forte Sirtori
Da la Nuova di Venezia — 20 maggio 2006 pagina 34 sezione: PROVINCIA

SPINEA. Nove alloggi e due laboratori artigianali nell’area di Forte Sirtori. Cambierà volto in modo indelebile l’area verde del Graspo d’Uva, dove nei giorni scorsi è stato aperto il cantiere che molti temevano dopo il passaggio di proprietà dell’area - oltre 52 mila metri quadri dei quali circa 2.100 coperti - alla società padovana Saros, che l’ha acquistata dal ministero della Difesa nel settembre del 2003 per quasi 677 mila 600 euro. I cantieri aprono dopo anni convulsi di carte, pratiche, e protocolli. E dopo anni di polemiche, a partire dal mancato diritto di prelazione esercitato dal Comune di Spinea per l’acquisto dell’area, per il quale si era battuto il comitato Forte Sirtori, che in quell’area aveva immaginato la realizzazione di un vasto parco pubblico, collegato con la vicina area verde di via Bennati. L’altro giorno invece ha aperto il cantiere per il restauro e il recupero non tanto del corpo principale, ma degli edifici che lo circondano, e che erano utilizzati come alloggi dai militari. Un intervento edilizio verso il quale, il 6 ottobre del 2005, il Comune si era espresso in modo contrario. La Saros sirivolse al Tar Veneto che, il 3 novembre del 2005, diede ragione proprio alla società padovana, ritenendo legittimo l’intervento previsto per il recupero, ad uso residenziale, degli edifici. Sui quali, secondo le indicazioni della Soprintendenza, non sono previsti aumenti di volume, ma solo interventi di ristrutturazione e conservazione. Questo vale per gli ex alloggi dei militari: ma che ne sarà del corpo principale del forte? È questa ora la domanda che infiamma il dibattito politico di Spinea sull’urbanistica. Perché, sostengono dall’opposizione, in questo modo la società si prende la polpa (gli edifici ad uso residenziale) e lascia l’osso (il corpo principale) destinato a rimanere nel degrado. È così? Roy Beretta è il consigliere che si è occupato della questione per conto dei Democratici di Sinistra. E spiega: «In quella zona c’è bisogno di un accordo di programma serio che preveda un quadro complessivo dell’intervento su tutta l’area, che in base al Prg è destinata a verde pubblico. Ma l’accordo doveva partire prima dell’inizio dei lavori, per impegnare la società in una complessiva riqualificazione, per assicurare alla città un utilizzo anche pubblico dell’area e dell’edificio storico». Che intanto però resta al palo. «Troppo romanticismo su quella zona», sbotta l’assessore all’Urbanistica, Mario Simionato. «Le società intervengono se hanno dei ricavi, bisogna essere pragmatici - spiega -, e non ci sembrava corretto opporci al recupero residenziale degli edifici vincolati. Il diaologo comunque è aperto, vedremo che fare». - Francesco Furlan

 

La «Maginot» cadorina si consegna al turismo
Da il Corriere delle Alpi — 14 maggio 2006 pagina 28 sezione: PROVINCIA

VODO. In luglio la Valboite si arricchirà di un’ulteriore meta turistica: gli impianti di quella che fu nel 1917 la linea gialla, ovvero di estrema resistenza contro l’invasione austriaca. Il Comune di Vodo è ormai da qualche anno impegnato in un’originale ricerca documentaristica, tesa a valorizzare i vari aspetti dello sforzo fortificatorio che quasi un secolo il Regno d’Italia profuse fa all’ombra del Rite e di fronte all’Antelao. Grazie al recupero di sentieri e manufatti diretto dagli architetti Ivano Alfarè Lovo e Jacopo Da Val, nonché alla valorizzazione di molti documenti, di valenza civile e militare conservati nell’archivio comunale, saranno inaugurati in luglio (terza decade) alcuni nuovi percorsi storici, in particolare sulla destra del Boite. Essi permetteranno a molti appassionati una attenta rivisitazione delle logiche strategiche e tattiche che presiedettero alla concezione e costruzione di siffatte difese di quella che fu la Fortezza Cadore-Maè e renderanno possibile una fruizione matura e culturalmente evoluta dell’intero comprensorio. Di particolare interesse saranno le guide (4 complessivamente tra Cadore, Zoldano ed Agordino) dedicate alle fortificazioni della prima e seconda linea. Esse permetteranno tra l’altro un approccio documentato ed accattivante ai forti del Centro Cadore e alle più importanti realizzazioni della Valboite, tra cui appunto le difese della “linea gialla” di Vodo. Durante il conflitto tale “linea difensiva di massimo arretramento o estrema resistenza”, aveva lo scopo di sostenere la difesa in caso di trasferimento di unità in altri settori e nel settore della IV Armata si sviluppava tra M. Penna, M. Rite, M. Antelao, Marmarole, Cima Gogna, M. Tudaio e Casera Razzo, località quest’ultima in cui veniva a collegarsi con la linea arretrata di difesa ad oltranza della Zona Carnia. Avanti ad essa in direzione del confine vi era poi una “linea di resistenza arretrata” detta “Linea Azzurra” e a ridosso del fronte la “linea di resistenza principale” detta “Linea Rossa”. Risulta subito evidente che la linea “gialla”, essendo di estrema resistenza e quindi quella più stabile, doveva essere la più fortificata e di particolare importanza risultava il suo andamento sulla riva destra del Boite, dove doveva assicurare il collegamento con gli impianti dello Zoldano, facendo praticamente da cerniera tra le opere della Fortezza Cadore-Maè e quelle dell’Agordino e della Val Maè. Sulla riva destra del Boite le posizioni, sussidiate da strade, osservatori e ricoveri, avevano anzitutto il compito di raccordare le fortificazioni di M. Rite, Col Vidal, Pian dell’Antro e M. Tudaio con quelle dello sbarramento Cordevole, in particolare dello Spiz Zuèl (o Agnelessa, m 2033) e del Col de Salèra (m 1629), che attraverso Forcella Chiandolada andavano a rannodarsi con le difese approntate a Val di Cuze e sul Becco di Cuze (m 1724), sopra Vodo. La costruzione del poderoso impianto corazzato sopra F.lla Cibiana (m 2183), ultimato nel 1915, impose inoltre l’adozione di numerose difese complementari sulle alture sottostanti: si trattava di una rete elaborata di trincee, postazioni e mulattiere di collegamento, con postazioni per mitragliatrici ed artiglieria da campagna. Vodo pertanto può vantare senz’altro un apparato difensivo articolato e in gran parte sconosciuto, un rosario di trincee, postazioni e strade voluto per supportare l’azione dei forti del Rite e di Pian dell’Antro ed oggi giacenti nella luce opaca del bosco. Proprio perché le posizioni erano solide e in grado di alimentare almeno un conato di resistenza, qui la IV Armata di Robilant cercò di ritardare in qualche modo la ficcante penetrazione austriaca lungo il Boite, resistenza che finì col costare a Vodo l’8 novembre 1917 la distruzione pressoché totale delle case, nonché mille traversie alla sua terrorizzata popolazione.
Walter Musizza Giovanni De Donà

 

Nel complesso di fine Ottocento era sorta un'oasi naturalistica

MESTRE - Forte Tron , uno dei puntelli del campo trincerato di Mestre. Ovvero delle fortificazioni, disposte, a raggiera, attorno ad una Venezia da difendere per il suo porto ed il suo arsenale militare. La costruzione di Forte Tron , dalla forma poligonale, ebbe inizio nel 1887 per concludersi nel 1890. Fin dalle prime esperienze belliche, però, il presidio fu giudicato superato: durante la Prima guerra mondiale, i cannoni vennero smontati per inviarli in prima linea. Fu in seguito declassato a deposito munizioni, fino agli anni '80, quando venne abbandonato. Nel '96, Forte Tron , per via di una fitta vegetazione interna, è stato inserito tra le oasi di protezione della fauna selvatica della Provincia di Venezia. Risalgono al '91, la dismissione da parte dell'Esercito ed il trasferimento del forte, in concessione temporanea, al Comune di Venezia. I laboratori naturalistici, curati dalla cooperativa Limosa, nell'ambito del Forte, sono stati sospesi a metà dello scorso giugno, in seguito all'avvio delle operazioni di bonifica bellica della struttura, da parte dell'Esercito.

Sigilli al vecchio forte pieno di esplosivi 

Venezia. Sequestrata dalla Procura militare una struttura vicina a Marghera accessibile a tutti ma di fatto abbandonata.   

Non voleva credere ai propri occhi. Di buon mattino, a bordo di un'imbarcazione, in compagnia dei carabinieri della squadra di polizia giudiziaria, è riuscito a raggiungere il fortino senza colpo ferire. Il procuratore militare Sergio Dini non è incappato in alcun controllo. A Forte Tron , nei dintorni di Marghera, può accedere chiunque. La struttura si presta in maniera particolare ad accogliere gruppi di turisti o scolaresche in gita. Peccato che la struttura pulluli di materiale esplosivo. Mine conservate un po' ovunque senza particolare cura. Con evidenti rischi di incolumità per chi si trovi a transitare da quelle parti. Dini si è preso una breve pausa di riflessione. Poi ha deciso di agire. Ha trasmesso all'ufficio del giudice per le indagini preliminari la dettagliata relazione degli inquirenti. Allegando la lunga lista di materiali esplosivi tuttora conservati nel forte. La richiesta del procuratore militare è stata accolta. Il gip Benedetto Roberti ha firmato il decreto di sequestro preventivo di Forte Tron .È toccato agli investigatori della squadra di pg di via Rinaldi apporre i sigilli alla struttura. Il provvedimento è stato notificato al comandante del 1° F.O.D., Forze operative di difesa, con sede a Vittorio Veneto. È l'ente dell'Esercito cui la magistratura militare ha affidato la custodia del forte. Con il sequestro preventivo la Procura con le stellette ha scongiurato i rischi di una possibile esplosione sostituendosi in pratica agli enti civili e militari che in questi anni avrebbero dovuto provvedere alla bonifica dell'area. Dini ha aperto un fascicolo ipotizzando i reati di furto militare aggravato ed omessa esecuzione di incarico. Al momento non risultano iscrizioni sul registro degli indagati.Non sarà semplice ricostruire a chi competano le responsabilità della gestione del forte. Inquietante l'episodio che avrebbe dato il via alle indagini. Di recente due mine di notevoli dimensioni, del peso complessivo di una decina di chilogrammi, sarebbero state trafugate da mani ignote. Non si conoscono le circostanze in cui sarebbe maturato il furto. Sicuramente i ladri non hanno dovuto combattere con sistemi d'allarme né dribblare servizi di vigilanza. Gli esplosivi sono a portata di mano. Alcune casse si trovano sott'acqua, ad una modesta profondità. Sarebbero state localizzate ed individuate con apposite bandierine. Altre mine sono ospitate negli stanzoni e negli scantinati del forte. Non risulta essere mai stata commissionata alcuna attività di risanamento. Una ditta specializzata aveva ricevuto l'incarico per la messa in sicurezza degli esplosivi. Il suo compito si era ben presto esaurito. Mancavano i fondi necessari a finanziare la bonifica complessiva del forte che versa in uno stato di grave incuria e degrado. È stata accertata persino la presenza di notevoli quantità di liquido vescicante. Una sostanza che potrebbe provocare fenomeni di inquinamento ambientale. Ma chi avrebbe dovuto provvedere alla pulizia? Stando alla documentazione acquisita dalla Procura militare emergerebbe un antipatico rimpallo di responsabilità. Forte Tron appartiene tuttora al Demanio militare. È una di quelle strutture per le quali l'amministrazione ha avviato le procedure di dismissione. Il fortino di Marghera dovrebbe essere acquisito dal Comune di Venezia. L'iter burocratico per il passaggio di proprietà fatica però a perfezionarsi. Nel frattempo nessun ente si prende la briga di avviare i lavori di risanamento. Il procuratore Dini ha commissionato agli investigatori il repertamento di tutti gli ordigni. In una fase successiva si dovrà stabilire se vi sia stato dolo o semplice colpa nell'omessa vigilanza e bonifica del sito militare.

 

Progetti per Pian dei Buoi
Da il Corriere delle Alpi — 06 maggio 2006 pagina 29 sezione: PROVINCIA

LOZZO. Il “nuovo turismo” centro cadorino passa per Pian dei Buoi, l’altopiano che domina Lozzo. Nella sala consigliare del municipio alto-cadorino, nei giorni scorsi il sindaco Mario Manfreda, il presidente della Comunità Montana del Centro Cadore, Flaminio Da Deppo, l’architetto Guglielmo Monti e l’architetto Luigi Girardini (della Soprintendenza per i beni architettonici e ambientali delle provincia di Venezia, Treviso, Belluno e Padova) hanno firmato un accordo di programma per la tutela, la conservazione e la valorizzazione del comprensorio paesaggistico e architettonico dell’intero altopiano di Pian dei Buoi. La Soprintendenza coordinerà la progettazione generale indispensabile per la redazione delle varie fasi di analisi del territorio, mentre gli enti locali s’impegneranno nella ricerca delle risorse finanziarie necessarie.
Interventi che potranno essere suddivisi anche in stralci progressivi, purchè funzionali. Un altro passo importante, anzi fondamentale, sarà la redazione dello studio di fattibilità per la salvaguardia, il recupero e la valorizzazione dell’intero comprensorio di Pian dei Buoi.
In primo piano dovrà essere programmata l’utilizzazione dei beni destinati ad attrezzature di interesse turistico, culturale e paesaggistico, con una particolare attenzione per la panoramicità della zona interessata.
«Sentieri, casere, fienili, rifugi e Parco della Memoria, con i resti delle fortificazioni della Grande Guerra, dovranno essere studiati e valorizzati. Un patrimonio molto vasto», come ha ricordato il presidente della Centro Cadore, Flaminio Da Deppo, «che però non è solo di Lozzo, ma di tutto il Centro Cadore. Per la giunta della Comunità», ha dichiarato ancora Da Deppo, «non sono pensabili interventi di portata limitata, che avrebbero interessato solo uno o più aspetti caratteristici del territorio, come la malga o la strada. Sarebbero interventi praticamente fini a se stessi, non adatti e non funzionali al grande progetto che vogliamo mettere in campo per questa bellissima zona del territorio bellunese. Servono grandi idee da sviluppare, perché quando queste ci sono le risorse si trovano, come è successo a Pieve con il finanziamento del primo stralcio del recupero dei forti di Monte Ricco e di Batteria Castello. Lavorando di squadra, invece, si fa sistema; ed è importante che Pian dei Buoi trovi la sua collocazione in quel sistema che sarà formato da Lagole, monte Agudo e dai forti di Pieve di Cadore». Insomma, è evidente che c’è allo studio un vasto progetto per la zona di Pian dei Buoi.
La speranza è ora che si riesca a mettere il tutto in pratica, senza che le buone intenzioni si perdano per strada col passare delle settimane, come purtroppo in Italia capita spesso che accada. Nel caso di Pian dei Buoi, perdere un’occasione simile sarebbe davvero imperdonabile.

 

5 maggio 2006

 

Forte Mezzacapo bazar di rifiuti
Da la Nuova di Venezia — 22 aprile 2006 pagina 26 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Più che una struttura militare ormai dismessa, sembra la versione malinconica del mercatino romano di Porta Portese. Forte Mezzacapo a Santa Lucia Tarù è divenuto ormai un desolante bazar di lavatrici arruginite, vecchie sedie abbandonate, di reti metalliche e, cercando bene fra le fronde, anche di materassi e di coperte. La situazione di degrado, denunciata dal presidente dell’associazione Forte Mezzacapo, Vittorino Darisi, è al limite del vivere civile. L’ex caserma di via Scaramuzza, in teoria destinata da tre anni a divenire un punto di riferimento irrinunciabile per i cittadini del Comune, vive ormai una condizione insostenibile. «La parte esterna - spiega Darisi - si è trasformata in una vera e propria discarica, dove la gente, con ogni probabilità proveniente da fuori, ha deciso di buttare qualsiasi oggetto ingombrante che non possa entrare in un normale bidone delle spazzature. Ma la storia non finisce qui. La ditta che dovrebbe togliere l’amianto ormai polverizzato dalle strutture interne - continua il presidente dell’associazione -, ha lasciato un container il cui contenuto è a noi del tutto ignoto. Di più. I militari hanno ripulito una delle casette nelle quali vivevano alcune famiglie di extracomunitari. Ebbene, tutto quello che c’era dentro, come bombole e rubinetti, è tutto ammassato nel forte. Ma ora l’urgenza è bonificare dall’amianto». Insomma, il destino di questa struttura non sembra conoscere spiragli di luce. E pensare che tre anni fa, l’allora consiglio di quartiere di Zelarino aveva inscenato una protesta davanti a Mezzacapo, per accelerarne i tempi di acquisizione e per metterlo dunque da subito a disposizione dei cittadini. Allo scopo di organizzare la cultura biologica, la fattoria degli animali, concerti, iniziative culturali, giochi, incontri. Ma, di fronte a tanto degrado, anche quell’entusiasmo sta via via scemando. (Gianluca Codognato)

 

Batteria Pisani, disaccordo sull'utilizzo della struttura
Da la Nuova di Venezia — 09 aprile 2006 pagina 37 sezione: PROVINCIA

CAVALLINO. Parti di elmetto, una baionetta, numerosi proiettili di vari calibri, da pistola, da fucile e un bossolo da 20 mm per la contraerea. Oltre a vari oggetti della vita quotidiana, come gavette, fibbie, una grattugia, una moneta da 2 lire con l’effige del duce, un pettine d’alluminio e persino una scatoletta di carne del 1915». Il presidente dell’associazione «Il Piave 1915-18» Alfredo Tormen descrive i resti della vita quotidiana dei tanti militari che per oltre mezzo secolo hanno calpestato il piazzale adunata di della batteria Vettor Pisani. Il tutto portato alla luce da un’equipe di appassionati di cimeli che ieri si sono dati da fare con vari metal detector. «Questi reperti - ha commentato il vicesindaco Roberta Nesto - saranno raccolti in una bacheca ed esposti in Comune in attesa di una più dignitosa struttura museale nella batteria stessa». «Presto si avrà la titolarità comunale della struttura - ha commentato Piergiorgio Baroldi, consigliere dell’associazione «Forti e Musei della costa» organizzatrice dell’evento - auspichiamo che sia l’inizio per riuscire a creare un circuito museale delle fortificazioni militari a partire dalla batteria Pisani in collaborazione con prestigiose istituzioni veneziane». «Con un po’ di amarezza - ha continuato il presidente dell’associazione Furio Lazzarini - ho visto succedersi numerose amministrazioni comunali, provinciali e regionali e nessuno ha mai fatto nulla. Il nostro timore è che, spenti i riflettori dei media, le idee ristagnino e rimangano immobili. Con il Comune abbiamo divergenze sull’utilizzo delle strutture. Il punto di partenza è quello del circuito museale sulla storia di questi luoghi. Il Comune predilige invece un uso promiscuo fra varie associazioni della batteria che non condividiamo». (Francesco Macaluso)

 






 

I resti della «Linea non mi fido»
Da il Corriere delle Alpi — 08 aprile 2006 pagina 44 sezione: SPETTACOLO

Un giro turistico sulle Dolomiti fra le rovine delle due guerre mondiali. Molti visitatori delle fortificazioni sorte in Cadore tra il 1866 e il 1915 forse non sanno che sulle rovine della così detta Fortezza Cadore Maè, crollata inopinatamente nei tristi frangenti di Caporetto, i nostri militari vollero impiantare, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, una serie di ulteriori opere difensive. Esse, realizzate in gran parte blindate e in caverna, rientravano in un ampio sistema definito “Vallo alpino del Littorio”, ma più comunemente noto come “Linea non mi fido”, voluta proprio da Benito Mussolini fin dal 1931 ed estesa lungo tutta la frontiera italiana, da Nizza a Trieste.
Prima che Hitler nel 1938 annettesse l’Austria al terzo Reich, erano stati costituiti pochi capisaldi avanzati, di consistenza assai modesta; solo nel 1939 si partì con la realizzazione di un più complesso sistema di sbarramenti, che avrebbero dovuto interdire le direttrici principali e secondarie, nonché i passi montani.
Nello stesso anno venne variata la suddivisione dei settori di copertura e di conseguenza gli sbarramenti nella parte alta della provincia, compresi tra il passo monte Croce Comelico, Santo Stefano, Cima Gogna, Cimabanche, vennero a far parte del XVI settore Cadore-Carnia, che era di competenza del neocostituito XIV C.A. di Treviso.
Tutto lo sviluppo della nuova sistemazione difensiva era concepito sul presupposto di un notevole grado di resistenza ai grossi calibri, attraverso l’impiego di putrelle di profilato a doppio T per la copertura dei locali e con la sistemazione delle mitragliatrici in casematte metalliche. Le opere così costruite risultavano molto compatte, ottimamente inserite nell’ambiente circostante e di conseguenza ben defilate alla vista e al tiro del nemico.
Alla fine del 1939, alla luce delle nuove esperienze belliche maturate durante il conflitto in corso, si accelerarono i lavori, dando priorità alla costruzione di un nuovo tipo di manufatti, da ricavarsi in caverna e con protezione ai massimi calibri: opere più complesse capaci di garantire una certa autonomia tattica e logistica al presidio, anche in caso di accerchiamento.
Maggior importanza, oltre all’abitabilità interna, venne data all’osservazione, ai collegamenti e alla difesa vicina degli ingressi e delle postazioni. All’interno delle opere vi era il ricovero del presidio (40 uomini circa), l’alloggio per l’ufficiale comandante, la sala radio, i depositi viveri, le cucine, i servizi igienici, l’infermeria, delle cisterne per l’acqua, i depositi munizioni, un gruppo elettrogeno per l’illuminazione e il funzionamento del sistema di ventilazione e filtraggio dell’aria. Il tutto compartimentato da porte stagne, che garantivano ai locali l’isolamento da ogni tipo di esalazione prodotta all’interno o da eventuali gas immessi dal nemico. L’armamento era previsto in cannoni di medio calibro in casamatta protetta, mitragliatrici, mortai e lanciafiamme. L’osservazione e la direzione del tiro erano garantite da torrette metalliche, da impianti fotofonici, stazioni radio e collegamenti telefonici in cavo protetto.
Dal 1° marzo 1940 i lavori in Cadore dipendevano dal generale Edoardo Monti, del Comando di Verona, sotto la direzione dell’Ufficio lavori genio militare di Treviso, e continuarono alacremente anche dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940. Furono così eseguite opere di difesa sul passo monte Croce Comelico, a Santo Stefano, sulla Merendera, a Misurina, a Sorabances (Cima Banche), a Sonzuogo (Tre Croci), a Velezza sulla sponda destra dell’Ansiei, a Cima Gogna (Namos), a Moleniès, a Tre Ponti, e Piniè, soprattutto grazie all’impresa Emilio Medioli e figli di Modena, che realizzò pure tra il 1939 e il 1942 la pregevole strada Tre Ponti-Laggio-Casera Razzo-Sauris, con diramazione a Forc. Lavardet.
Come già avvenuto nella prima guerra mondiale, le fortificazioni vennero però via via sguarnite di cannoni, mitragliatrici, materiali e truppe. Spesso interi gruppi di opere non disponevano più di armi ed erano affidate a un sottufficiale con qualche soldato per la manutenzione ordinaria.
Nel 1942 la Germania presentava una vibrata protesta contro lo spreco di acciaio, cemento, armi, cavi di rame, mano d’opera, attrezzature tecniche e il 20 ottobre 1942 lo Stato maggiore dell’esercito, ordinava la sospensione di qualsiasi lavoro. Alla fine nei settori compresi fra il passo di monte Croce Comelico e la Sella di Ratece (Fusine) le opere ultimate o in corso di lavoro erano complessivamente 450: le opere sospese o in progetto erano 375, fra le quali diverse nell’area del sottosettore XVI/a, con sede a Santo Stefano.
Oggi le opere appaiono abbandonate, in parte smantellate dai recuperanti o danneggiate da qualche vandalo, ma ancora in buono stato, tanto che, assieme alle opere militari della Grande Guerra che in questi anni si vanno recuperando a scopi turistici, potrebbero costituire un’attrattiva ulteriore per gli ospiti del Cadore. Nel camminare ancora oggi lungo queste strade, penetrando nei pazienti cunicoli scavati nella roccia, si coglie ancora la grandezza di quello sforzo difensivo e si percepisce ancora un po’ di quell’attesa antica del nemico lungo le nostre valli.- Walter Musizza e Giovanni De Donà

 



 

Batteria Pisani bonificata prima di ospitare il museo
Da la Nuova di Venezia — 28 marzo 2006 pagina 39 sezione: PROVINCIA

CAVALLINO. La batteria Pisani sarà bonificata da possibili ordigni prima di trasformarla in museo sulla sua storia. I primi di aprile una speciale spedizione di storici e appassionati di cimeli bellici passerà ai raggi X fino a 4 metri di profondità la piazza d’armi della batteria Vettor Pisani di Ca’ Vio. Il cortile interno alla fortificazione di 2500 metri quadri sarà setacciato con speciali metal detector a profondità variabili che daranno una scansione dettagliata del terreno svelandone i segreti. «Per prima cosa vericheremo - spiega il presidente dell’associazione «Forti e musei della Costa», Furio Lazzarini - se ci sono ordigni inesplosi mettendo in sicurezza l’area. In secondo luogo cercheremo reperti storici e cimeli che saranno donati al Comune di Cavallino-Treporti». Saranno delimitate delle aree quadrate nel piazzale interno alla batteria chiuso dalla cinta muraria dove le squadre dell’associazione «Il Piave 1915-18» guidata da Alfredo Tormen utilizzeranno apparecchiature sensibili fra cui un metaldetector stratigrafico che con il suo radar scansiona fino a 4 metri di profondità. Intanto si è svolta una visita alle fortificazioni del litorale. Accolti dalla vicesindaco Roberta Nesto e dal presidente dell’associazione Furio Lazzarini, che li ha guidati fra le torri telemetriche, il Forte Vecchio, la batteria Amalfi, la Vettor Pisani, sono giunti a Cavallino circa 70 associati del gruppo storico «La grande guerra» di Mogliano. (Francesco Macaluso)

 

Forte Carriola  no al contributo
8 marzo 2006

Il Servizio Urbanistica e tutela del paesaggio ha detto nuovamente no alla concessione del sussidio chiesto da Alberto Passardi per i lavori di ripristino ambientale di Forte Carriola, nel Comune catastale di Por (Pieve di Bono). Il contributo era già stato negato in luglio, ma Passardi ha nuovamente presentato domanda. Il Servizio ritiene che «l’intervento, pur finalizzato alla bonifica ambientale di un’area di notevole interesse storico quale è appunto Forte Carriola, appare complessivamente slegato da una organica visione di recupero, conservazione e valorizzazione di un importante memoria della storia del luogo che possa riportare alla luce ciò che resta dell’originaria fortificazione  Luca Ingegneri


 

Si recupera monte Ercole
Da Messaggero Veneto — 02 marzo 2006 pagina 12 sezione: UDINE

GEMONA. Prosegue a Gemona l’opera di recupero e valorizzazione dei siti d’interesse storico, archeologico e ambientale. Naturalmente in attesa che si concludano, tutti sperano in tempi brevi, i lavori di ricostruzione del castello. E’ stato infatti approvato dall’amministrazione comunale il progetto definitivo-esecutivo - commissionato all’ufficio tecnico della Comunità montana - riguardante la sistemazione delle fortificazioni di monte Ercole a Ospedaletto e delle aree circostanti. «A breve - annuncia l’assessore Davis Goi - il Comune provvederà all’affido diretto dei lavori a una ditta specializzata in modo che i lavori possano essere conclusi entro il mese di maggio. L’importo di questi primi interventi ammonta a poco più di 11 mila euro. E’ prevista la sistemazione della strada di accesso partendo dalla porta inferiore, anche per favorire lo sgrondo delle acque meteoriche; una parte di questa avrà il rivestimento superiore in acciottolato; per impedire il transito di autoveicoli verranno inoltre inseriti due dissuasori; sono anche previste alcune cancellate in ferro in corrispondenza delle aperture delle gallerie (in modo da garantire un’adeguata sicurezza impedendovi l’accesso sino alla realizzazione dei prossimi interventi), nonché la messa in sicurezza e la pulizia dei principali camminamenti. E sarà indispensabile prevedere negli anni successivi delle minimali operazioni di manutenzione sia per le opere a verde sia per i manufatti realizzati, in attesa dell’esecuzione degli ulteriori lotti».A proposito di questi ultimi, l’assessore Goi precisa che è stata presentata anche quest’anno la relativa domanda di finanziamento alla Regione, con l’obiettivo finale di creare sul forte un centro visite. «Il progetto generale - spiega - è molto ambizioso. Prevede di mettere in sicurezza il resto della fortificazione rendendo possibile la fruizione dei luoghi a fini turistici. Vogliamo dotare le strutture esistenti dei servizi necessari, idonei ad ospitare percorsi didattici sulla Prima guerra mondiale con particolare riferimento al ruolo delle opere fortificate. Il forte fu costruito all’inizio del secolo scorso sulla pendice del monte Cumieli, essendo considerata una zona di rilevante importanza strategica, sia per il presidio sui Rivoli Bianchi, sia perché faceva parte di quella linea difensiva di fortificazioni, tutte in comunicazione tra loro, che partivano dal Passo di Monte Croce e raggiungevano la pianura friulana. La realizzazione dell’intero progetto comporterà una spesa di quasi due milioni di euro». (n.d.p.)


 

«Bonifica in netto ritardo»
Da la Nuova di Venezia — 17 febbraio 2006 pagina 26 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. «L’esercito si deve dare una mossa per sbloccare la situazione di Forte Mezzacapo». Parola di Maurizio Enzo, consigliere di Rifondazione Comunista e delegato ai Lavori Pubblici nella municipalità di Chirignago - Zelarino. La presa di posizione di Enzo prende spunto dallo stato di conservazione dell’ex struttura militare di via Scaramuzza a Zelarino, da tempo inutilizzata e fatiscente. Di recente, tra l’altro, sono stati anche coperti con dei teli e sigillati alcuni calcinacci crollati che contenevano amianto. Non molto tempo fa, poi, il tetto di una delle palazzine è crollato. Se per Forte Gazzera la situazione appare migliore, la bonifica in profondità della ex postazione di artiglieria di via Brendole è già stata effettuata e i volontari hanno cominciato la pulizia dell’area interna. Il caso di Forte Mezzacapo appare invece più complesso, soprattutto per la presenza di molto amianto all’interno della struttura. «Spero che sarà l’esercito a prendersi carico della bonifica dei materiali pericolosi - sottolinea Enzo - La speranza è che il passaggio dell’area al Comune avvenga al più presto. Il rischio è che più tempo la struttura resta senza manutenzione, maggiori saranno poi le spese da sostenere per rendere il forte utilizzabile dalla cittadinanza». Va anche ricordato che su Forte Mezzacapo era intervenuta qualche mese fa anche l’assessore comunale all’ambiente Laura Fincato, che aveva evidenziato come l’incognita dei costi per la bonifica potesse influire pesantemente sul futuro utilizzo del Mezzacapo. Tanto che il Comune ha già rinunciato a ospitare all’interno dell’area il progetto «City Farm», che comportava un percorso di educazione alla cura degli orti con la possibilità per i cittadini di portarsi a casa quanto coltivato. (Maurizio Toso)


 

«Il forte sia restituito alla città»
Da la Nuova di Venezia — 15 febbraio 2007 pagina 22 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Marco Polo scende in campo. Ma stavolta non si mette in cammino per il lontano oriente, ma fa la voce grossa sulla questione di forte Mezzacapo a Zelarino. L’amministratore unico della Marco Polo System Pietrangelo Pettenò, infatti, ha definito «un’autentica vergogna» il fatto che le autorità militari non permettano ancora di entrare nella struttura di via Scaramuzza. E per questo chiede al Comune di pressare ancora di più ministero della Difesa e responsabili delle Forze Armate. Il punto di partenza è il passaggio dei forti dell’ex campo trincerato di Mestre dai militari al Comune, partita che vede impegnato in prima linea l’assessorato al Patrimonio. Mentre in alcune strutture (forte Gazzera, tanto per fare un esempio) è stato dato il permesso di entrare, dando così nuovi spazi alle associazioni, a forte Mezzacapo l’ingresso ai civili è ancora off-limits, tanto che nell’estate del 2005 la base è stata utilizzata per disinnescare due vecchie bombe. Per il resto forte Mezzacapo resta abbandonato a sé stesso, il vialetto di entrata ostruito da una sbarra arrugginita (che si può saltare senza problemi...) e la piazzola con il cassonetto delle immondizie che si trova nelle vicinanze trasformata in una discarica. Una situazione di degrado che è sotto gli occhi di tutti, così Pettenò rinnova la richiesta che venga dato il permesso di entrare al Mezzacapo. «Non può valere la scusa che la struttura non è passata al Comune», spiega, «quello che conta è che non poter entrare in quel forte è una vergogna. Più passa il tempo, più si rischia di vedersi consegnare alla fine un complesso deteriorato. Mi auguro che la situazione cambi al più presto, spero che il Comune si faccia sentire con chi è ancora proprietario del forte». A dire il vero l’assessorato al Patrimonio ha già provato a sbloccare la situazione, stralciando ad esempio forte Pepe dal blocco che comprende Gazzera e Mezzacapo, senza però ottenere ancora risultati tangibili. (Maurizio Toso)
«Il forte sia restituito alla città»
la Nuova di Venezia — 15 febbraio 2007 pagina 22 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Marco Polo scende in campo. Ma stavolta non si mette in cammino per il lontano oriente, ma fa la voce grossa sulla questione di forte Mezzacapo a Zelarino. L’amministratore unico della Marco Polo System Pietrangelo Pettenò, infatti, ha definito «un’autentica vergogna» il fatto che le autorità militari non permettano ancora di entrare nella struttura di via Scaramuzza. E per questo chiede al Comune di pressare ancora di più ministero della Difesa e responsabili delle Forze Armate. Il punto di partenza è il passaggio dei forti dell’ex campo trincerato di Mestre dai militari al Comune, partita che vede impegnato in prima linea l’assessorato al Patrimonio. Mentre in alcune strutture (forte Gazzera, tanto per fare un esempio) è stato dato il permesso di entrare, dando così nuovi spazi alle associazioni, a forte Mezzacapo l’ingresso ai civili è ancora off-limits, tanto che nell’estate del 2005 la base è stata utilizzata per disinnescare due vecchie bombe. Per il resto forte Mezzacapo resta abbandonato a sé stesso, il vialetto di entrata ostruito da una sbarra arrugginita (che si può saltare senza problemi...) e la piazzola con il cassonetto delle immondizie che si trova nelle vicinanze trasformata in una discarica. Una situazione di degrado che è sotto gli occhi di tutti, così Pettenò rinnova la richiesta che venga dato il permesso di entrare al Mezzacapo. «Non può valere la scusa che la struttura non è passata al Comune», spiega, «quello che conta è che non poter entrare in quel forte è una vergogna. Più passa il tempo, più si rischia di vedersi consegnare alla fine un complesso deteriorato. Mi auguro che la situazione cambi al più presto, spero che il Comune si faccia sentire con chi è ancora proprietario del forte». A dire il vero l’assessorato al Patrimonio ha già provato a sbloccare la situazione, stralciando ad esempio forte Pepe dal blocco che comprende Gazzera e Mezzacapo, senza però ottenere ancora risultati tangibili. (Maurizio Toso)

 

Portare i turisti al forte restaurato, una sfida copiando gli altri paesi
Da Il Gazzettino di giovedì, 9 Febbraio 2006

Tarcento
I lavori del primo lotto, centrati sul restauro conservativo, saranno consegnati entro la fine dell'estate di quest'anno. Per veder terminata l'opera nel suo complesso sarà necessario attendere però fino al 2008, data che segna anche il 90. della fine della Prima guerra mondiale. Nel frattempo, per il fortino del monte Bernadia è in fase di organizzazione un convegno. Obiettivo della tavola rotonda, che si terrà il 18 febbraio a Palazzo Frangipane, è il confronto e lo scambio di esperienze con chi ha già affrontato una ristrutturazione così impegnativa a fini turistici. È il caso dei Comuni di Lardaro e Praso, in Val di Chiese. I paesi custodiscono infatti fortini simili a quello tarcentino, strutture già oggetto di recupero e inserimento all'interno di un complesso circuito di visita. Al convegno, organizzato dal Comune di Tarcento, sarà presente lo staff degli architetti cui è stato affidato il progetto per il forte del Bernadia, i primi cittadini di Lardaro e Praso, Michela Favero della Soprintendenza di Trento e alcuni relatori friulani. Tra questi ultimi il ricercatore tarcentino Paolo Montina, autore di numerose pubblicazioni sulla storia locale, il biologo e guida naturalistica Alberto Candolini e due giovani studentesse universitarie: Sandy Petrosso, che di recente si è laureata presentando una tesi sulla valorizzazione del forte a fini turistici, e Giulia Lo Piccolo, che sta lavorando invece a una tesi sull'ambiente naturale del monte Bernadia. L'invito a partecipare è stato esteso anche a Maurizio Anselmi, della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli-Venezia Giulia che ha sovrinteso in prima persona il progetto fortino per quel che compete il controllo della sua valorizzazione e l'impatto ambientale. »La prima parte del convegno sarà dedicata all'esperienza dei paesi trentini - spiega il sindaco Lucio Tollis -. La seconda parte a Tarcento, con successiva visita al cantiere. Saranno coinvolte anche alcune realtà limitrofe».

 

Forte Mezzacapo: via l'amianto
Da la Nuova di Venezia — 07 febbraio 2006 pagina 21 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. E’scattata l’operazione di bonifica dell’amianto presente a Forte Mezzacapo, la base militare di via Scaramuzza che deve passare al Comune. In questi giorni personale dell’esercito ha sigillato le zone del forte dove si trova ancora il materiale pericoloso, una misura dovuta anche alla preoccupazione che l’amianto possa creare problemi agli abitanti che vivono nei paraggi. L’intervento è stato accolto con soddisfazione dalla Municipalità, che spera di poter utilizzare a breve l’intera area. E buone notizie arrivano anche da Forte Gazzera: in via Brendole da qualche giorno è cominciata l’opera di pulizia dell’ex postazione di artiglieria, rimasta chiusa per oltre un anno. Oggi è in programma il sopralluogo della ditta che si dovrebbe occupare dello sfalcio dell’erba presente nella parte interna del forte. Nell’attesa di sapere quanto verrà a costare l’intervento, i volontari del comitato di gestione del forte stanno lavorando di buona lena per riportare la struttura in condizioni decenti. Sabato mattina sono stati rimossi i rottami ferrosi che si trovavano sotto il ponticello di accesso alla struttura militare, in fondo allo stagno che circonda il forte sono stati trovati anche alcuni sanitari. Restano ancora da spostare le due bombe d’aereo trovate in acqua e le altre munizioni ritrovate, incarico questo che verrà svolto da personale dell’esercito. All’interno di Forte Gazzera la situazione più difficile è quella dei musei, con parecchie bacheche che devono essere risistemate o sostituite. Quelli del comitato sono ottimisti e assicurano che entro l’inizio di aprile l’area riaprirà i battenti al pubblico. Tornando a Forte Mezzacapo, l’inizio della bonifica dell’amianto è un buon segnale, specie se si considera che fino a questa estate la base era ancora utilizzata dall’esercito: a luglio, infatti, erano state fatte brillare due bombe, fatto che aveva creato parecchie polemiche visto che i cittadini che abitano nelle vicinanze del forte non erano stati avvertiti. Come non bastasse, in precedenza era crollato il tetto di una delle palazzine. Per evitare che malintenzionati entrino nel perimetro della base, l’esercito ha anche sigillato alcuni accessi. «Le notizie che stanno arrivando sono positive», afferma Ivo Chinellato, consigliere di municipalità a Chirignago-Zelarino per i Ds che sta seguendo da vicino la questione forti, «queste vecchie postazioni militari sono un autentico patrimonio per tutta la terraferma, è giusto che al più presto passino ai cittadini». - Maurizio Toso

 

Il bunker che non ti aspetti
Da Alto Adige — 01 febbraio 2006 pagina 36 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

Per decenni nelle vallate alpine si è scavato, si è costruito, senza che nessuno ne avesse notizia. I risultati di questo lavoro sono le fortificazioni e i bunker che, segreto di Stato fino a non poco tempo fa, sono stati ora dismessi. Dalle fortificazioni austroungariche, superate in seguito alle mutate tecniche di guerra, dal “vallo Littorio” costruito durante il fascismo per contrastare una ipotetica invasione da nord (l’alleato germanico era visto con diffidenza), dagli ulteriori lavori realizzati durante la guerra fredda, sono scaturiti complessi anche imponenti ma del tutto invisibili, che solo ora, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e il passaggio di questi beni demaniali, militarmente non più necessari, alla Provincia, emergono pressoché dal nulla. Il trasferimento alla Provincia è avvenuto nel 1999 ed ha riguardato circa 350 opere. Le immagini e la descrizione di un certo numero di queste sono racchiuse in un volume (240 pagine) edito dalla Provincia autonoma, e dovuto a Christina Niederkofler, Josef Urthaler ed Andrea Pozza. L’opera si avvale inoltre della consulenza del tenente colonnello Licio Mauro, per 18 anni responsabile della fortificazione permanente per gli alpini d’arresto nell’alta Punteria. Gli sbarramenti in Alto Adige sono 37, disposti secondo tre direttrici (Isarco, Rienza/Drava, Passo Monte Croce Comelico) e ciascuno di essi è costituito da più opere. Sono quasi tutte scavate nel sottosuolo e perfettamente mimetizzate: le feritoie per cannoni, pezzi anticarro e mitragliatrici sono spesso nascoste da false rocce spostabili. Nel volume si narrano le vicende e le modalità attraverso le quali lo sbarramento alpino fu costruito, negli anni Trenta e Quaranta, e successivamente rafforzato, anche con carri armati Sherman interrati, per contrastare una possibile invasione sovietica. Vi appaiono piante circostanziate di un elevato numero di opere, fotografie di esterni ma soprattutto di interni, ancora perfettamente conservati. Il tenente colonnello Mauro ricorda come, alla sua presa di possesso del complesso pusterese, restò “affascinato da come erano stati realizzati i manufatti, dalla loro struttura, dagli impianti tecnologici e dall’armamento in dotazione”. “E’ stupefacente - aggiunge - come le opere siano inserite così perfettamente nell’ambiente circostante, che si potrebbe supporre che paesaggio e bunker formino un tutt’uno”. Nel 1992 fu deciso che le strutture avevano chiuso il loro compito. Smantellarle per l’alto ufficiale fu”doloroso, anche perché all’epoca le opere si trovavano la massimo della loro efficienza. Dimettere i bunker significava rimuovere dalle installazioni i cannoni per poi tagliarli a pezzi con la fiamma ossidrica; significava anche asportare gli affustini delle mitragliatici, recuperare il materiale mobile e il resto, e alla fine dovemmo chiudere le porte blindate e saldarne i battenti. Mi ha fatto piacere ora entrare nuovamente all’interno dopo tanti anni, ma non nego di aver provato un fondo di gelosia. Era come se mi fosse stato tolto qualcosa di mio, fosse stato violato un segreto che custodivo gelosamente. Ma a poco a poco, quelle sensazioni sono svanite, anche perché ho visto quale meraviglia e sopore suscitavano le opere nei miei compagni di visita”. Gottfried Niederwolfsgruber è stato per 40 anni sindaco di Perca, nei cui pressi si trovava tra l’altro una caverna che poteva ospitare duecento uomini. “Come Comune non avevamo nulla a che fare con i bunker, non trapelavano notizie e non sapevamo proprio nulla, I bunker erano segreto di Stato e non comparivano da nessuna parte. Le opere non erano nemmeno segnate sui piani urbanistici comunali. Abbiamo saputo dei lavori solo quando sono stati effettuati gli espropri. Ma quando un paio d’anni fa ho visitato le opere, sono rimasto sorpreso e impressionato dalle loro dimensioni”. Sui bunker del vallo alpino la Provincia ha ora esteso il vincolo di tutela dei beni culturali, affinché essi in un futuro possano essere resi accessibili al pubblico. di Ettore Frangipane

 

A fine febbraio scadranno i termini per la gara d’appalto Forte da recuperare "Col Roncon" diverrà trampolino di lancio per lo sviluppo turistico
Da Il Gazzattino di venerdì, 27 Gennaio 2006

Rive d'Arcano
Il 2006 segnerà un'importa svolta per il recupero del forte "Col Roncon", esempio di architettura della grande guerra ubicato in comune di Rive d'Arcano. Si tratta di un'opera in calcestruzzo armato che sorge sull'omonimo colle (256 metri sul livello del mare) e che da quasi un secolo caratterizza il territorio. È destinata a diventare importante meta per il turismo locale e non solo, in quanto bene di Demanio militare dismesso anni fa e trasferito gratuitamente al Comune di Rive d'Arcano. L'attuale amministazione civica guidata dal sindaco, Gabriele Contardo, ha recentemente deliberato il progetto esecutivo per una ristrutturazione da destinare a sito d'importante meta turistico-culturale. I termini della gara d'appalto scadono a fine febbraio, seguirà l'inizio lavori per la durata di un anno. La prevista spesa di 864.3403 euro rientra in un precedente bando dell'Obiettivo 2. La Regione si accollerà 683.041 euro mentre i rimanenti 181.302 verranno supportati dal Comune con mutuo bancario. Nelle mete del sindaco, Gabriele Contardo, il Col Roncon deve diventare un punto nevralgico dello sviluppo del turismo locale. «Gli altri due siti sui quali stiamo puntando in questo senso l'attenzione - spiega il primo cittadino - sono il Castello d'Arcano ed il Castelliere, per il recupero del quale abbiamo in atto un'altra convenzione». Dal punto di vista storico ed architettonico, il "Col Roncon" faceva parte di una linea difensiva assieme alle fortezze di Santa Margherita del Gruagno, Tarcento, Tricesimo e Fagagna che ad inizio Nocevento osteggiavano il ministero austro-ungarico. Era dotato di quattro cupole che ospitavano cannoni d'artiglieria di calibro 149/35, con gittata di 20 chilometri e movimento a 360 gradi. Dal 1909 al 1911 ha fatto parte della linea difensiva "Medio Tagliamento" per contrastare eventuali invasioni austro-ungariche. Ma non fu mai teatro di vere operazioni di guerra, ma solo di esercitazioni e durante la Resistenza (inverno 1944-45) fu utilizzato dalle forze partigiane. Questo pezzo d'architettura della Grande Guerra, bene del Demanio militare dismesso, fu ceduto anni fa gratuitamente al Comune di Rive d'Arcano. L'allora sindaco, Enzo d'Angelo diede avvio alla procedura di recupero, oggi giunta alla fase di progetto esecutivo su redazione dell'architetto, Roberta Cuttini in sintonia con la Soprintendenza. «Una volta ultimata la ristrutturazione - spiega il sindaco D'Angelo - l'utilizzo che faremo sarà esclusivamente quello di ospitare eventi di carattere culturale e turistico con uno spazio dedicato ad una mostra permanente sull'archeologia militare».
Ivano Mattiussi

 

Una strada «avversata»
Da il Corriere delle Alpi — 07 gennaio 2006 pagina 20 sezione: CRONACA

VALLE DI ZOLDO. Non è molto consolante constatarlo, eppure bisogna riconoscere che, un secolo fa, le esigenze strategiche e tattiche del nostro esercito sulle Dolomiti servirono spesso la causa del progresso civile, costruendo tutta una serie di strade e sentieri che, nati per la guerra, si palesarono poi un prezioso ausilio per tutte le attività silvo-pastorali della nostra gente. Basterebbe pensare alle ardite arterie del Tudaio, del Rite, del Vidal, del Piana, del Tranego, del Moschesin.
Così non fu invece per la strada di forcella Staulanza, che ebbe sempre negli strateghi militari i suoi più accaniti avversari. Mentre carrarecce e mulattiere venivano altrove invocate per ragioni soprattutto logistiche, al fine di facilitare l’afflusso di contingenti in zone fortemente minacciate e nel contesto generale di difesa ad oltranza del ridotto cadorino, per la strada da Mareson a Pescul valeva esattamente il discorso contrario.
Subito dopo la guerra del 1866 le popolazioni locali avevano chiesto insistentemente provvedimenti atti a sanare l’endemica piaga dell’isolamento, sperando che la Madre Patria nel suo sospirato abbraccio si decidesse a portare un tangibile segno di riscatto sociale. Invece nel 1881 l’Ufficio Scacchiere Orientali espresse parere decisamente sfavorevole alla realizzazione di una rotabile attraverso forcella Staulanza, motivandolo col fatto che la facilitazione delle comunicazioni attraverso la Val Fiorentina e la Val Cordevole non sarebbe andata incontro agli interessi della difesa nazionale. L’assetto del tratto di frontiera fra le valli del Boite e del Cordevole esigeva infatti di non portare modifiche alle comunicazioni nell’alta valle di Zoldo, in quanto l’apertura di un nuovo accesso rotabile, quale si sarebbe verificato col permettere la strada Fusine-Staulanza-Selva, avrebbe giocoforza imposto la dispendiosa costruzione di un congruo sbarramento nella Val Maè. Il Ministro della Guerra rimase così per più di 20 anni tra l’incudine e il martello, sollecitato da una parte dalle ragionevoli richieste, anche all’interno dello stesso governo, di pretta valenza politica e civile, e condizionato dall’altra dalle remore strategiche ed ancor più dalla cronica mancanza di fondi per organizzare contromisure fortificatorie idonee.
Nel gennaio del 1906 però il Ministero si decise a concedere il sospirato nullaosta. Il forte di Monte Rite e la postazione di Col Pradamio costituirono appunto il sofferto risultato delle diatribe accesesi ai più alti livelli su tale nodo della difesa nazionale, sul presupposto che ingenti colonne nemiche attraverso la nuova arteria potevano proiettarsi su Longarone e sulla ferrovia Belluno-Calalzo. Nel 1911 i lavori della rotabile, detta anche “di Pallafavera”, apparivano giunti ad uno stadio decisamente avanzato e nel 1912 i lavori erano praticamente finiti. (w.m. - g.d.d.)

 

Pagina dedicata ad articoli inerenti al tema delle fortificazioni e della prima guerra mondiale

Se volete collaborare a questa rassegna vi prego di inviare gli articoli stessi in formato Word e di segnalare la testata in cui sono apparsi.