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ANNO 2013

Lavori in vista per forte Garda

RIVA Il primo centenario della Grande Guerra è ormai alle porte e così parte l'intervento di salvaguardia deciso dal Comune per il recupero almeno parziale delle fortificazioni austriache del monte Brione. Nei mesi scorsi l'amministrazione aveva fatto stendere ad Andrea Rigo dello studio Plan Architettura di Arco un progetto che prevedeva una spesa di 710 mila euro per rendere visitabili forte Garda e la Batteria di Mezzo. Si tratta di un intervento leggero, finalizzato alla messa in sicurezza delle fortificazioni, senza prevederne (com'è accaduto in anni lontani, per il forte superiore di Nago) destinazioni di tipo culturale.

L'amministrazione ha invitato 12 ditte a presentare offerte per i lavori a base d'asta (564 mila euro), 10 hanno risposto, 8 sono state giudicate inammissibili: delle due rimaste la Edilux di Cavedine, con un ribasso del 14,329% ha battuto la Ediltione che s'era fermata al 14, 143. L'appalto, per un totale di 489.561 euro -tutto compreso- sono giudicati urgenti per cui la consegna potrà avvenire in tempi rapidissimi.

 

Approvato il progetto per restaurare il forte

CIVEZZANO Il consiglio comunale ha approvato il progetto di restauro del forte austro ungarico “Tagliata Superiore” situato sulla strada dei Forti che collega Civezzano a Cognola. Oggi di proprietà comunale, il “complesso fortificato” di Civezzano, posto su due livelli stradali, faceva parte delle fortificazioni della Fortezza di Trento, che in vista del centenario dell’inizio della I Guerra Mondiale, vede impegnata l’amministrazione comunale al suo restauro. L’assessore Stefano Bampi ha illustrato il progetto, che prevede il rifacimento del manto di copertura e il ripristino del sedime a verde, interventi alle mura perimetrali, sistemazione dell’accesso, interventi agli spazi interni, alla pavimentazione, rifacimento dell’impianto elettrico. La spesa complessiva è di 228.000 euro, con un forte contributo delle Provincia. Il consiglio comunale si è pronunciato a favore della deroga urbanistica per opere pubbliche, relativa alla realizzazione di un piccolo parcheggio e dei servizi esterni. Il forte, che ha una superficie interna di circa 600 mq, è in affitto alla cantina Simoni per un importo annuo di 9.000 euro.

Assai critiche le minoranze sull’entità dell’affitto, per di più ad un’azienda non di Civezzano, con voto contrario alla deroga urbanistica. In apertura di seduta, tra le comunicazioni, il sindaco Stefano Dellai ha comunicato che con procedura d’urgenza si interverrà per togliere dall’impianto idrico comunale, già entro Natale, le acque delle sorgenti Grave, Ost, Salare, Giardini e Canevine, situate nella parte alta del territorio comunale, a causa della percentuale di piombo contenuta, superiore ai nuovi parametri di legge. Il problema era emerso alcuni mesi fa e l’amministrazione comunale si era impegnata a predisporre un progetto per risolvere la situazione. Il progetto è pronto e i lavori per bypassare quelle sorgerti dovrebbero iniziare nel 2014, per concludersi tra giugno e luglio. Il consiglio comunale ha anche nominato il dott. Andrea Tamanini nuovo revisore dei conti per il triennio 2014 – 2016. (f.v.)

 

Un tour Grande Guerra

Da il Giornale di Vicenza - 15 dicembre 2013  

Sui fronti del Triveneto il Centenario della Grande Guerra è già iniziato. Con un anno e passa di anticipo sul calendario.A prendersi avanti con le iniziative storiche e turistiche sono i territori che nel 1914 - quando il conflitto deflagrò tra Imperi Centrali e Triplice intesa russo-franco-inglese - erano ancora al di là del confine: quell'Italia Irredenta per la quale gli eserciti del Regno sarebbero stati mobilitati nel maggio del 1915.
Lì ai margini dell'italianità - in Trentino e in quella che ancora non si chiamava Venezia Giulia - i ventenni che parlavano quasi lo stesso dialetto dei veneti furono chiamati alle armi a fine estate del '14. Furono vestiti con le divise austriache dei Tiroler Kaiserjäger o degli imperial-regi Landwehr Infanterieregiment e partirono per il fronte orientale: la Serbia, la Romania, la Bucovina, l'Ucraina, i Carpazi, la Galizia oggi polacca. E così tra Trento, Trieste e Gorizia la guerra viene oggi ricordata anche con i nomi, i volti e le croci di quei giovani italiani che combatterono per l'impero asburgico nella sua ultima vicenda; e con le storie delle famiglie sotto sovranità austriaca che, quando l'Italia attaccò sulle montagne e sul Carso, furono sfollate in sperduti borghi dell'Europa Centrale.
La loro memoria, che appunto anticipa al 1914 i cent'anni dalla Prima guerra mondiale, si salda - nelle proposte di visita e di conoscenza - con quella delle truppe tricolori che poi combatterono per tre anni e mezzo sui difficili fronti delle Alpi, del Pasubio, del Lagorai e delle Dolomiti; sul Carso isontino e sulle Prealpi Giulie e, dopo la disfatta di Caporetto nel 1917, nella zona collinare lungo la linea del Tagliamento.
TRENTINO. La Prima guerra mondiale ha lasciato tracce indelebili sulle montagne trentine: trincee che segnano i versanti delle valli e le altimetrie montane, disseminate di resti di capisaldi e batterie di fuoco; fortificazioni hanno cambiato per sempre il paesaggio; siti d'alta quota dove si ritrova l'asprezza della “guerra bianca”.
Cimiteri, monumenti e musei costellano l'intero territorio provinciale. Le occasioni di visita, proposte dal Museo storico di Rovereto, sono rintracciabili a partire dal sito www.trentinograndeguerra.it.
Tra gli itinerari più facilmente raggiungibili dal Vicentino ci sono quello della montagna tra i passi Buole e Zugna, sopra la Vallarsa e in vista del Pasubio, e il Tour dei Forti degli Altopiani di Folgaria e Lavarone.
CARNIA E TARVISIANO. Dove era impossibile la guerra di movimento - che spezzò milioni di vite sui fronti russo e francese - il conflitto fu logorante guerra di posizione. Come avvenne tra le montagne carniche, dove si rintracciano facilmente camminamenti, torrette di osservazione, gallerie e fortini. E dove si riscopre la storia delle "portatrici", ragazze e donne che tenevano i collegamenti con le trincee in prima linea, marciando con le loro gerle cariche di cibo e munizioni. Pacchetti turistici per la conoscenza delle memorie storiche, anche in ambito transfrontaliero con la Slovenia, sono proposti su www.turismofvg.it.
L'ISONZO. La Provincia di Gorizia ha lavorato per anni alla messa a sistema di "Carso 2014+", un complesso di proposte che fanno conoscere - percorrendo una sorta di diffuso museo a cielo aperto - gli aspetti culturali, storici, ambientali ed enogastronomici del Carso isontino. Queste le tappe principali dei percorsi già attivi da queste settimane e fino a tutta la primavera prossima: il Museo provinciale di Gorizia dove sono ricostruite postazioni e trincee, la Zona Sacra del Monte San Michele con lo Schönburgtunnel scavato dagli austriaci, le cannoniere in galleria del Monte Brestovec vicino a Doberdò del Lago, il Parco Tematico presso la stazione ferroviaria di Monfalcone. E al di là del confine, a nord di Gorizia, il Parco della Pace del Monte Sabotino (Sabotin Park Miru) fa percorrere un itinerario lungo la seconda linea difensiva austro-ungarica conquistata durante la Sesta Battaglia dell'Isonzo (1916). Riferimenti per le visite: il sito www.carso2014.it e l'associazione culturale "èStoria" (www.estoria.it). Il tutto è coordinato a livello interregionale nel progetto “Itinerari della Grande Guerra. Un viaggio nella storia” ( www.itinerarigrandeguerra.it) nel quale il Museo del Risorgimento di Vicenza svolge un ruolo centrale per il Veneto.Antonio Trentin

 

Russia: al via i test della rete radar Container
Da analisidifesa.it del 14 dicembre 2013

Iniziati il 2 dicembre scorso i test operativi del nuovo sistema radar Container, rete di rilevamento a lungo raggio per il controllo dello spazio aereo russo sviluppato dall’agenzia scientifica Distant Radiocommunication Scientific Research Institute (NPK NIIDAR), società con sede a Mosca che realizza sistemi radio complessi e prodotti scientifici e tecnici per uso civile e militare.

Situato nei pressi di Kovylkino, città della Repubblica russa di Mordovia, il centro operativo del nuovo sistema radar controllerà un range di circa 3.000 chilometri (1.800 miglia), una copertura spaziale che include gran parte del continente europeo.

Secondo i vertici militari il sistema Container dovrebbe essere dichiaro pienamente operativo entro il 2015; una volta integrate nella struttura di Difesa aerea e antimissile (PVO-PRO), le stazioni che andranno a formare la rete saranno in grado di intercettare anche i velivoli di piccolissime dimensioni.

Alla stampa il ministro della Difesa, Sergey Shoygu, ha dichiarato che la Russia è intenzionata ad espandere verso occidente il proprio range di controllo dello spazio aereo; nessuna informazione è stata rilasciata circa le date, il numero di stazioni e i siti che andranno a comporre la rete di stazione radar Container. Fonte: IT log defence (http://logdef.blogspot.it/)

 

Dal Molin story, figlia di Ederle. Ponzio Pilato? Abita qui
Da quadernivicentini.it 7 dicembre 2013

Tutto si forma in un clima molto soft. Erano tutti molto soft. Le notizie ufficiali. Perfino i documenti (che non c’erano). La politica internazionale. Le smentite, le conferme: tutte soft. Come ai tempi della Ederle, “quando gli Americani arrivarono quasi senza farsi sentire” (Goffredo Parise). Il sindaco di Vicenza era ultra-soft, trasparente. Così l’assessore Cicero. Il ministro della difesa, un democratico doc come Parisi. Perché l’obiettivo era troppo importante per fallire. E poteva essere raggiunto solo così. Soft all’inizio. Durissimo alla fine. La più grande base militare fissa d’Europa del terzo millennio poteva nascere. Il proprietario: gli Stati Uniti d’America. Il suolo? Almeno formalmente: italiano. Stato versus Stato. E Vicenza (giuridicamente, culturalmente, socialmente parlando)? Un ex punto geografico. Ma partiamo dall’inizio. Nel segno di Ponzio Pilato

PINO DATO VIA S. ANTONINO

È UNA STRADA molto cara ai vicentini. L’hanno percorsa da sempre per arrivare, più in bici che in auto, al magico Livelon Beach, la spiaggia fluviale popolare più famosa in città: un punto in cui il Bacchiglione tracciava un’ansa larga, prima tenue e poi secca, costeggiata da canne di bambù, che finiva in una mini-cascata dove i più audaci si gettavano ebbri di felicità. Ci andava anche Goffredo Parise a Livelon Beach ma ora quell’aura magica è cessata. Ci va ancora qualcuno a prendere il sole ma non è più la spiaggia di Vicenza. Via S. Antonino è piuttosto stretta, di suo. A parte il Livelon, la strada collega Vicenza a Caldogno e all’Alto Vicentino. È una classica arteria della provincia berica, immaginata per collegare l’immediato circondario al centro città, utile comunque per andare verso nord (Thiene o Asiago) come alternativa alla statale intasata da mezzi pesanti. Questa città di centomila anime, praticamente arroccata attorno a un centro storico gioiello, concepito in un tempo in cui l’architetto massimo si chiamava Palladio, quando iniziò la questione -Dal Molin che cercheremo di dipanare e raccontare, si trovava inserita in un reticolo di strade provinciali e vicinali vecchie, mediamente, un buon secolo. L’area tra i fiumi Retrone e Bacchiglione, i loro canali naturali e innaturali creati per una campagna sempre più divorata da casette, garage e aziendine monoproprietarie, la campagna a nord di Vicenza – che via S. Antonino taglia come una lama – è il luogo un bel giorno deputato da qualche incosciente senza nome a inserire il più grande accampamento tecnologico e residenziale a scopo militare d’Europa. A quel punto il concerto di strade e campi è diventato incomprensibile. Evidentemente non programmato. Non concepito per esistere, ma solo per servire. Servire cosa? L’accampamento militare a stelle e strisce. Con la coda drammatica di una grande domanda irrisolta: il rapporto con la città gioiello. Non basta. Il rapporto con il centro storico da preservare e proteggere. Il rapporto con l’etica, con la filosofia del buon vivere, per gli abitanti di una città che si scoprivano, di punto in bianco, mentalmente militarizzati.

Camp Ederle, il preambolo

L’affaire Dal Molin, infatti, ha un preambolo dal quale non si può prescindere: Camp Ederle. La Ederle è la prima base vicentina a stelle e strisce. E lo è dal 1955. Dal Molin è la seconda. Nella parte opposta della città. I vicentini sono circondati. E non sanno perché. Due accampamenti militari stringono oggi la città a tenaglia e sono lì a ipotecarne inevitabilmente almeno parte del suo futuro. Ma come, se questo rapporto non è mai stato né contemplato né studiato? Un bel caos. Ma andiamo con ordine. Parlare del Dal Molin, oggi battezzato Del Din, senza parlare di camp Ederle è un nonsense. Infatti, per attenuare l’impatto logico e psicologico che la nuova idea meravigliosa militare avrebbe inevitabilmente prodotto sulla popolazione vicentina, le cosiddette Autorities (d’ora in avanti, se il soggetto manca, le chiameremo anonimamente così) spiegano il Dal Molin come un’accrescimento “naturale” (le virgolette sono nostre) della Ederle. Come sappiamo, è un falso, e non solo per i circa dieci chilimetri che le separano attraverso i principali quartieri residenziali est-nordest della città. La verità è che se non ci fosse stata la Ederle il Dal Molin avrebbe avuto avvio e sviluppo molto più semplici e lineari, probabilmente limitati agli aspetti urbanistici, di viabilità e di organizzazione dell’esistente aeroporto civile-militare (altro nodo problematico di cui parleremo). Non sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma alcuni aspetti sarebbero stati più tranquillamente sottaciuti. Ecco il verbo magico: sottacere. Usato da sempre, e sempre tranquillamente, a Vicenza. Fin da quel lontano 1955 in cui nacquero gli Americani a Vicenza. Cioè Camp Ederle.

Vicenza e il trattato dell’Atlantico del Nord

I modi della nascita di Camp Ederle ricordano, in buona parte, i modi della nascita del Dal Molin. Perché le contraddizioni su cui poggiano, gli uni e gli altri, sono le stesse. Prima contraddizione (mai superata): i trattati per l’allestimento di basi militari in Italia sono sottoscritti nel nome e sotto l’egida della Nato (e, per via di questa egida, approvati da leggi in Parlamento), mentre la struttura militare presente a Camp Ederle ha una sola bandiera, quella americana. E così sarà per il Dal Molin. Come si spiega? Una spiegazione ufficiale non c’è, ma la contraddizione interferisce pesantemente con questa storia perché se Ederle e Dal Molin fossero nati sotto l’egida Nato (organizzazione nata il 4 aprile 1949 dopo estenuanti discussioni durate un anno, a Washington, con il nome di Trattato dell’Atlantico del Nord) la loro giurisdizione sarebbe disciplinata da trattati Nato (alleanza alla quale l’Italia appartiene con diritti e doveri)  E almeno si saprebbe dove sta l’inghippo. Seconda contraddizione: giuridicamente Vicenza è nata male anche ai tempi della Ederle. A priori non doveva esistere. Non è citata nei documenti che, anche allora, latitavano o erano segreti. E allora come ha fatto a esistere all’improvviso? Per un trattato specifico? Per un protocollo d’intenti? Per una conferenza stampa? Niente di tutto questo. Come base logistica. Ma la questione merita un approfondimento.

La Setaf e l’accordo bilaterale sulle infrastrutture

Tutto nasce con la Setaf, che non è struttura Nato, ma Usa. Sta per South Eastern Task Force (letteralmente Gruppo d’Assalto per il sud-est europeo). Nasce nel 1951, e la sua prima sede è a Livorno, a camp Darby (W. Darby era un generale americano, morto in battaglia sul Lago di Garda nel 1945). Seconda data magica: il 1955. È la data del trattato internazionale che determina la neutralità dell’Austria. Perché è importante questa data? Per due ragioni: la prima, tattica, perché sposta più a ovest, e cioè in Italia, e meglio ancora nel Veneto, il confine più orientale a disposizione degli americani e della Nato per tenere sotto controllo mosse ed espansionismo dei sovietici (la guerra fredda è in pieno svolgimento), la seconda, logistica, perché le truppe americane allocate in Austria devono da un giorno all’altro ritirarsi e scendere, staremmo per dire inopinatamente, in Italia. Ma c’è un antefatto importante a questa data. Anzi, c’è una data ancora più magica: 20 ottobre 1954. Quel giorno si firma un importantissimo accordo tuttora valido e anzi determinante per inquadrare la storia successiva: nasce il BIA, acronimo che sta per Bilateral Infrastructure Agreement, accordo bilaterale sulle infrastrutture. Chi sono i firmatari di questo BIA? Stati Uniti e Italia: la Nato non c’entra. L’accordo è secretato fin dall’inizio e lo è tuttora. I Diòscuri del patto sono due personaggi chiave della storia post bellica di Italia e Stati Uniti, Mario Scelba e John Foster Dulles [Cfr. Alfonso Desiderio, Limes n. 4 / 2007, pp. 305 e segg. Viaggio nelle basi Usa in Italia – La fatal Vicenza].

Tutto può dirsi Nato, tutto può dirsi Usa

Quest’ultimo premeva da mesi con il presidente del Consiglio italiano per firmare un accordo quadro sulle basi americane in Italia, ma Scelba, uomo della destra democristiana, non voleva portare un atto così delicato in Parlamento per la ratifica. Preferiva tenerlo fuori dalle Camere perché temeva aspre polemiche e relativa bocciatura. Allora Scelba tergiversò. Finché, con la firma del memorandun che liberava Trieste (fino a quel momento territorio nominalmente neutrale, cioè fuori dalla giurisdizione italiana) gli americani giocarono la carta decisiva che obbligò Scelba a decidere. In perfetto stile democristiano il presidente del Consiglio di allora mantenne la secretazione del documento sulle basi americane in Italia sorpassando il Parlamento, ma per evitare di firmare un documento fuorilegge limitò l’accordo alle truppe americane schierate per obiettivi Nato. Da quel che si sa la formula usata nel documento è scivolosa e di variabile interpretazione. Se Scelba in teoria non uscì dai limiti della legge (come sempre fissati con sagacia verbale tutta italiana), ne uscirono ampiamente tutti coloro – compresi Berlusconi e Prodi – che applicarono le norme del BIA in termini “estensivi”. Tutto poteva dirsi Nato, tutto poteva chiamarsi Usa. L’altra faccia buffa della questione è che Vicenza, nel BIA, non c’è proprio. Alla sua firma, nell’ottobre 1954, Vienna era ancora presidiata da russi, americani, francesi e inglesi [si legga sulla situazione della Vienna occupata, ancora oggi straordinario e valido, Il Terzo uomo, di Graham Greene, Mondadori] . Un documento del genere, che stabiliva in segreto regole e strutture di basi militari in un Paese amico, conteneva ovviamente allegati esplicativi. I più importanti, fra gli allegati, riguardavano le basi esistenti e quelle previste [Cfr. Alfonso Desiderio, Limes n. 3 / 2007, p. 64, Tabella sugli accordi fra Italia e Usa per le basi] , tutte divise per scopi e funzioni: per le basi aeree ad esempio c’era un memorandum per Aviano, Udine, Ciampino, S. Vito dei Normanni e altre, per i carburanti c’erano Venezia, La Maddalena, Pozzuoli, per le telecomunicazioni e lo spazio aereo Napoli e Capodichino, per il supporto generale al nord Italia c’era Verona. E Vicenza? Gli americani non la conoscevano: ridente cittadina del nord Italia, vicina a Verona.

Vicenza, arrivano i Red Knights

Quella che sarebbe diventata, di lì a poco, la città ospite della più grande concentrazione di truppe dell’esercito americano in Italia (e non solo) non appare neanche nei documenti successivi che sanciscono nuovi accordi bilaterali fra Usa e Italia, come collegati dell’accordo BIA del 1954. Di questi protocolli si conoscono i soggetti/oggetti (Sigonella, Comiso, S. Anna di Crotone, Lampedusa, Grosseto, Palermo eccetera) ma non se ne conosce il testo. Tuttavia, neanche in questi Vicenza c’è. In pratica stiamo verificando un fatto che è di per sé assiomatico per l’intera vicenda delle truppe americane stanziate a Vicenza: non esiste nessun documento ufficiale, forse neanche segreto, che stabilisca che le truppe americane provenienti dall’Austria e sistemate nella caserma Ederle di viale della Pace in quel mitico 1955 sia l’effetto di un accordo, di un postulato, di un elaborato d’intenti ufficioso o ufficiale fra lo stato italiano e quello americano. I soldati sono arrivati e basta. Scrive Alfonso Desiderio su Limes 5 : “Il 25 settembre 1955 217 soldati su 47 veicoli attraversano il Brennero e alle 17 e 30 arrivano a Vicenza, alla caserma Carlo Ederle, eroe della prima guerra mondiale. L’accoglienza è buona, nonostante i 53 bombardamenti americani che dal 1943 al 1945 avevano fatto oltre mille morti, circa 1700 feriti e distrutto 800 edifici della città. Il 6 ottobre arriva il grosso delle truppe: sono i Red Knights, gli stessi che erano passati da Vicenza nell’aprile del 1945 per andare appunto in Austria, da dove ora stanno tornando. Infine il 25 ottobre viene attivata Camp Ederle e la Forza tattica dell’esercito degli Stati Uniti nel Sud Europa (Usasetaf). Si tratta di 10 mila soldati.” Poi, aggiunge Desiderio in nota, ricordando come l’invasione fosse stata vista (Gli Americani a Vicenza) da uno dei massimi scrittori vicentini, allora residente in città, Goffredo Parise: “La data di arrivo non corrisponde a quella di Parise, che si sbaglia o si confonde con l’aprile 1945 quando passarono per Vicenza le truppe americane che risalivano la penisola”. L’inciso merita da parte nostra l’apertura di una piccola parentesi, visto che Parise appartiene alla storia patria vicentina.

Parise : “Questo racconto fu scritto nel 1956, a Vicenza mentre ero ospite di mia madre e osservavo le truppe americane della Setaf che si aggiravano nella piazza palladiana”

In realtà Desiderio, ottimo analista, rivela – non è il solo – di non aver letto l’opera del grande Goffredo, perché è evidente, dal racconto, che Parise non si riferisce al passaggio (il 1945) bensì all’invasione e relativa permanenza (1955 e seguenti). Non solo. Se avesse letto il racconto, pubblicato da Scheiwiller nel 1966, avrebbe visto che in avvertenza lo stesso Goffredo così scriveva: “Questo racconto fu scritto nel 1956 a Vicenza, mentre ero ospite di mia madre e osservavo le truppe americane della Setaf che si aggiravano nella piazza palladiana”. Ma Alfonso Desiderio, sul mese riferito da Parise nell’incipit del racconto pubblicato da Scheiwiller ha ragione nel definirlo uno sbaglio, anche se la verità l’abbiamo scoperta dopo, ritrovando il primo documento originale de Gli Americani a Vicenza (donato alla Biblioteca Bertoliana). E mi spiego. Nel racconto pubblicato da Scheiwiller Goffredo inizia così: “La sera del 13 aprile gli americani arrivarono quasi senza farsi sentire.” Ora, nel documento originale ritrovato, che è senza alcun dubbio un testimone originale, Parise così inizia: “La notte del 22 ottobre americani in tenuta da guerra invasero colline e campagne” (ne pubblichiamo la copia fotostatica nella pagina successiva) [per il dettaglio delle varianti tra il manoscritto ritrovato de Gli Americani a Vicenza, la versione di Scheiwiller del 1966 e la precedente versione apparsa nell'”Illustrazione Italiana” del 1958, cfr. Pino Dato, Vicentinità, 2007, Dedalus, Vicenza, pp. 103-136] . Dunque, mi dispiace contraddire Desiderio (che non poteva saperlo all’epoca della sua ricerca su Limes) ma Parise ha messo la data giusta nel suo racconto, perfettamente coincidente con quella (25 ottobre) in cui i soldati americani hanno costituito il presidio della Ederle in massa. Perché poi, editorialmente, l’autore abbia deciso di cambiare data, oltre ad un paio di frasi dell’incipit, è fatto che pertiene alla letteratura, non alla storia. Non erano certo i 217 soldati dell’avanguardia motoristica ad avere attratto l’attenzione e incendiato la fantasia di Goffredo, ma i soldati, come scrive nell’introduzione, “che si aggiravano per la piazza palladiana”. Dunque, a Ederle già presa e costituita.

Anni Sessanta d’oro per gli americani a Vicenza

Come confermano tutte le fonti conosciute, Vicenza non era affatto prevista come base militare americana. E neanche come base Nato. Vicenza è stato uno splendido prodotto del caso, voluto da Giove o da non si sa assolutamente chi. Ma ora, attenzione alle date. Nel 1954 c’è la firma del famoso trattato BIA, la madre di tutte le azioni e di tutte le decisioni, informali e inconfessabili, in sintesi segrete. È un trattato non solo segreto (questo, si sa, è ovvio e perfino normale fra due Stati) bensì a priori volutamente ambiguo. Estensibile. Fatto per bypassare il Parlamento, fare una carta d’ intenti, permessi e regole che si richiama alla Nato (e questo permette di saltare il Parlamento) ma che si esprime con un linguaggio elastico, che offre soluzioni cosiddette “estensive”. Tipo: questo non è Nato, ma alla Nato fa logicamente riferimento. L’illegalità mascherata sapientemente di legalità. Insomma, una truffa in lingua inglese e in (probabilmente pessima) traduzione italiana. Firmatari: Stati Uniti e Italia. A questo trattato si ispira la Setaf nelle sue mosse. Prima sta a Livorno, poi, dopo la costituzione di Camp Ederle (nato dal nulla), nel 1957 trasferisce la sede a Verona. A Vicenza per ora arrivano solo molti soldati. Una marea. Scrive giustamente Desiderio: “Le basi americane di allora non sono autosufficienti come oggi e i soldati Usa, per forza di cose, devono relazionarsi con il resto della popolazione. Ci sono direttive precise al riguardo e una particolare sensibilità. L’ambasciatrice Clara Boothe Luce [Clara Boothe Luce fu ambasciatrice americana in Italia dal 1953 al 1956. Personaggio molto vivace e influente all’epoca. Sostenitrice di un femminismo ante litteram, fu ottima scrittrice, ma sarà ricordata soprattutto per due aspetti: il suo feroce anticomunismo e il suo matrimonio con il ricco Harry Luce, fondatore e proprietario di due pilastri (ancor oggi) del giornalismo americano: Time e Life. La Luce fu molte cose insieme, nella sua movimentata vita. Fu il primo ambasciatore donna della storia e si fece assumere come direttrice a Vanity Fair dal magnate di Condé Nast. Si convertì anche al cattolicesimo ma questo, secondo un paio di feroci biografie postume, non le impedì di avere una vita sessuale piuttosto audace e, a leggere il grande scrittore americano Gore Vidal, sia omo che eterosessuale. Fu chiamata la Giovanna d’Arco dell’anticomunismo ma Vidal, spietato con la Luce per molte ragioni, non negò che il personaggio possedesse anche contraddizioni positive come quella di essere stato uno dei primi personaggi americani a denunciare l’antisemitismo nazista. Clara Boothe Luce avviò negli anni ’50 (prima di diventare ambasciatore in Italia) una delle più ricche e generose campagne di finanziamento della Democrazia cristiana.] raccomanda più volte alle truppe americane di non apparire come occupanti perché la missione della Setaf non è solo quella di essere pronta al combattimento ma anche di costruire un rapporto di amicizia tra gli americani e i loro alleati italiani.” Ricevuto e tutto vero. Gli anni Sessanta sono gli anni d’oro degli americani a Vicenza. I matrimoni misti sono sempre più frequenti (“una media di nove matrimoni al mese”) e il rapporto con la città assume una dimensione umanamente, e perfino culturalmente, accettabile. Ma continuiamo con le date che contano. Anche perché d’ora in avanti Vicenza non è una base militare americana come un’altra. Il suo Dna, se così possiamo dire, è tutto impregnato dalle norme del trattato secretato del 1954, dunque è sito ideale per fare e disfare. Per fare senza che si sappia in giro. Vicenza appartiene al Segreto Militare per antanomasia. E infatti sarà sempre così: fino ad oggi, fino al Dal Molin.

Arrivano i missili Corporal e Honest John

A parte il Dna, al di là dei suoi notevoli vantaggi logistici, Vicenza ha una qualità che la fa preferire di gran lunga a qualunque altra soluzione militare a stelle e strisce: località dolce, mite, molto disponibile, ospitale al punto giusto, senza apparire invadente. Con tanti, tantissimi democristiani, e pochi, rari, comunisti. Nell’Italia degli anni ’50 era una qualità non da poco agli occhi militari americani. Ma, ripetiamo, attenzione alle date. Perché Vicenza militare Usa, con tutte queste sue qualità, diventa lo specchio di rifrazione della politica americana dell’epoca, ispirata e condizionata dalla Guerra Fredda con i sovietici. Alla costituzione di Camp Ederle andava bene creare una forza d’urto di truppe di fanteria numerose e ben addestrate. Ma i tempi cambiano e la guerra fredda si nuclearizza. E dove creare il deposito ideale di testate nucleari con le quali dotare i missili Corporal o Honest John se non a Vicenza? Il luogo è perfetto. Pendici, prossime alla città, dei colli Berici, località Longare, ricca di grotte naturali ideali per rampe di lancio efficienti e protette. Nasce il Site Pluto. Secondo il Dna vicentino, secondo il decalogo del trattato del 1954: senza che si sappia in giro. E’ il 1957. Vicenza, senza saperlo, diventa la più importante base nucleare d’Italia, e forse d’Europa. Ma in giro nessuno lo dice. Vicenza è più sonnolenta che mai. E lo sarà a lungo. Nessun politico, democristiano o no, si ribella a questa situazione. Chi è informato, approva. Chi non è informato ma sente solo qualcosa, giudica conveniente fingere di non sapere. Comunque, la città non è informata. I giornali non ne parlano. Eppure il Site Pluto non è invisibile, tutt’altro. Ha un’estensione di circa cinque ettari [Daniele Paragano, Università di Trieste, Dottorato di Ricerca in Geopolitica, Geoeconomia, Geostrategia, Le basi militari degli Stati Uniti in Europa. Posizionamento strategico, percorso localizzativo ed impatto territoriale. (2007/2008)] e fu già utilizzato nella seconda guerra mondiale dall’Alfa Romeo per la sua produzione bellica. Salvato dagli aerei americani (che non lo videro e non lo colpirono) sarà da loro utilizzato con profitto molti anni dopo: paradossi della storia.

Mariano Rumor: “Gli americani non se ne devono andare”

Ma se la politica americana cambia, la realtà militarizzata Usa del Vicentino gli va dietro. Si parla chiaramente di una riduzione drastica delle truppe sul fronte est europeo. La storia narra che l’unico ad opporsi sia stato l’onorevole Mariano Rumor, nei primi anni Sessanta [Mariano Rumor (Vicenza, 16 giugno 1915 – Vicenza, 22 gennaio 1990), fu a quell’epoca, Ministro dell’Agricoltura dal 1959 al 1963, e divenne segretario politico della Democrazia cristiana nel 1964] , quando la politica americana, orientata alla nuclearizzazione come strumento di difesa/offesa, trovò conveniente avviare una progressiva riduzione del contingente militare presente a Camp Ederle. Si vociferò anche di un possibile sostanziale smantellamento della base, con il solo mantenimento del Site Pluto. Rumor si oppose energicamente perché era convinto che Vicenza avesse bisogno della presenza americana. In realtà si sbagliava: perché dopo i primi anni di assuefazione e integrazione gli americani avevano costituito a Camp Ederle un mondo a sé stante. I rifornimenti erano al cento per cento a stelle e strisce. I consumi dei boys e delle loro famiglie, a Vicenza e dintorni, si spensero progressivamente fino a ridursi al lumicino. Ma Rumor era stato deciso (per una volta). E la sua iniziativa ebbe successo. Nel 1965 il comando Setaf fu trasferito da Verona a Vicenza: almeno un po’ di coerenza. Ma le truppe furono ridotte a 2500 unità. Si disse che senza l’intervento di Rumor gli americani se ne sarebbero andati dalla Ederle. Non ci sono documenti ufficiali al riguardo. Qualcuno, nell’ambiente democristiano più filo-americano rimpianse per un po’ la Clara Boothe Luce, grande sostenitrice della base. Per la storia, c’era un tipo più mite all’ambasciata Usa di Roma, un certo Frederich Reinhardt, meno anti-comunista della Luce e più abituato a ragionare con i dati alla mano (sarà in seguito ambasciatore a Saigon, nel pieno della guerra vietnamita). È significativo il fatto che Rumor, anche nelle sue memorie [Mariano Rumor , Memorie (1943-1970), Editrice Veneta, Vicenza, 2007] , si dilunghi sul caso Montesi (una donna trovata assassinata sul litorale romano, rapporti con il senatore Piccioni, eccetera) e non faccia il minimo cenno agli americani a Vicenza. Come se il fatto non fosse storicamente rilevante. Oppure: come se la realtà fosse nata solo per essere sottaciuta. Nel più coerente Dna della vicentinità.

Guerra del Golfo, V Ataf, Bosnia e Kosovo: Vicenza c’è

Inizia un periodo di ipotetica neutralità tematica. La città è sonnolenta e indifferente. L’economia vicentina cresce per conto suo, non ha certo bisogno del propellente americano. I tempi cambiano rapidamente. La Setaf è meno attiva. Per i militari americani Setaf diventa acronimo di un’altra cosa: “Soldiers Even The Americans Forgot” (soldati che anche gli americani hanno dimenticato) scrive significativamente Alfonso Desiderio [Cfr. Alfonso Desiderio, Limes n. 4 / 2007, op. cit] . Un piacevole luogo di riposo più che di guerra. La Guerra del Golfo del 1990 sposta le localizzazioni strategiche. Vicenza non è più il baluardo contro l’Unione Sovietica, che nel 1991 si auto-estingue, ma è l’ideale base per un teatro di guerra del tutto nuovo, il Medio Oriente e l’Africa. La Setaf riacquista vigore. L’aeroporto Dal Molin, che di lì a qualche anno verrà smantellato per far posto alla nuova base Del Din, possiede un’efficiente pista di volo di proprietà dell’Aeronautica Militare Italiana (ne riparleremo), e ospiterà, oltre agli avieri italiani, la sede della V Ataf (Allied Tactical Air Force). Oltre il Golfo, ecco la guerra di Bosnia e il Kosovo. Durante la guerra nella ex Jugoslavia dalla pista dell’aeroporto di via Ferrarin partono gli stormi d’attacco della Nato contro la Serbia. Un comando americano nell’aeroporto vicentino resterà anche a guerra finita. Camp Ederle si rivitalizza: gli spostamenti territoriali e strategici determinati dai nuovi teatri bellici riportano la città di Vicenza e il suo campo modello della Ederle in primo piano.

Arriva la brigata immortalata da Francis F. Coppola in Apocalypse Now

Vicenza torna ad essere una base ambita dall’ambiente militare americano, truppa compresa. L’idea del Dal Molin, con ogni probabilità (anche se, more solito, documenti non ne esistono) nasce da questa duplice situazione da pollice alto: buon impatto della V Ataf sul territorio vicentino per i voli contro la ex Jugoslavia, rivitalizzazione del camp Ederle. Ma precedentemente, negli anni definiti dei Soldiers Even The Americans Forgot, in realtà qualcosa di rilevante era accaduto. Due cose. La prima: l’arrivo in città nel 1980 di una parte della 173 a Brigata aerotrasportata, quella resa famosa dalla guerra in Vietnam e che fu raccontata da Francis Ford Coppola in Apocalypse Now, letteralmente ricostituita dopo la perdita di circa duemila soldati negli acquitrini vietnamiti, ma che, per motivi logistici, doveva dividersi fra Germania e Italia. La seconda: la costruzione, nei primi anni ’80, di un grande villaggio americano residenziale, non lontano da camp Ederle, verso il casello autostradale di Vicenza Est. Queste due novità, la Brigata 173 e il Villaggio, accrescono presso il Pentagono e l’esercito americano, il prestigio di Vicenza, che diventa sempre più la base preferenziale Usa in Europa. L’allargamento con il Dal Molin, di fatto, inizia qui, e cioè molto prima che si cominciasse a parlarne nei primi anni del terzo millennio. La comoda e gradita allocazione, la tranquillità del posto, la posizione strategica rispetto ad altre basi, danno la definitiva benedizione a strutture già di fatto allargate, autosufficienti e complete per uomini, mezzi e logistica. Il Dal Molin diventa, in quella che sta diventando una silente, ma quasi naturale strategia, un completamento obbligato.

La tragedia del Cermis D’Alema conferma Scelba

Ormai è nota agli americani (politici e militari) la benevolenza dell’ambiente sociale e politico vicentino. Ha permesso, senza colpo ferire, non solo l’installazione e la permanenza per mezzo secolo di una struttura importante come la Ederle, ma non ha posto sostanziali obiezioni alle altre installazioni: – a Longare, paese vicinissimo alla città, sotto il versante nord-est dei colli Berici, sede del il Site Pluto, che ha ospitato (almeno fino al 1992) l’arsenale nucleare più importante nell’Europa della guerra fredda (210mila mq.); – al Tormeno, comune di Arcugnano, località Fontega, che ospita depositi di armi e munizioni in un’area di 137 mila mq. – a Torri di Quartesolo / Lerino, due aree di complessivi 80 mila mq. per il deposito di veicoli e altri mezzi – a Vicenza, villaggio americano residenziale, vicino camp Ederle, area di mq. 332 mila. E poi c’è un terzo fatto, squisitamente legato alla madre di tutti i trattati del 1954: il 2 febbraio 1995 è firmato un Memorandum d’intesa tra il Ministero della Difesa italiano e il Dipartimento della Difesa Usa relativo alle infrastrutture e installazioni concesse in uso all’esercito americano sul territorio italiano. Dopo quarant’anni una rinfrescata ai princìpi è dovuta. Il Memorandum riafferma i postulati contenuti nel trattato BIA del 1954 e ne conferma la secretazione. Ma la novità storica è che per la prima volta il Memorandum di un atto secretato (dunque, teoricamente a sua volta secretabile) è reso pubblico. Lo fa, con evidente compiacimento, il governo D’Alema: si sente obbligato moralmente a farlo dal processo sulla tragedia del Cermis. Ma a suo modo, anziché servire a chiarire, legittima la famosa contraddizione del trattato madre del ’54: il concetto esposto è ancora più scivoloso di quello originale perché riafferma il carattere bilaterale degli accordi fra Usa e Italia ma nei limiti del Trattato della Nato. Ipocrisia massima. È come dire: tutto quello che decideremo (o che abbiamo già deciso) lo decidiamo in due (Usa e Italia) ma garantiamo che lo faremo, con questo Memorandum, rispettando al cento per cento il trattato dell’Alleanza Atlantica. Quel “nei limiti del trattato” è la più maleodorante aria fritta delle ricette politico-diplomatiche dei tempi moderni. E chi ce lo può garantire se il documento madre è comunque secretato? I due firmatari, Usa e Italia. Dobbiamo dire che, sul piano morale (storico), l’uomo di destra Mario Scelba e quello di sinistra Massimo D’Alema hanno fatto, a distanza, un eccellente compromesso storico a due voci. Da questo folle compromesso nasce il Dal Molin. Alla prossima puntata.

 

Monte Mancuso, i misteri della base Nato dismessa Resta zona militare, registrati movimenti di camion

Da Il Quotidiano della Calabria.it - 04 dicembre 2013

Monte Mancuso, i misteri della base Nato dismessa
Resta zona militare, registrati movimenti di camion

Era un presidio strategico per le radiocomunicazioni. In calabria ne esistono altri due: Crotone e Sellia Marina. Ma questo, su un'altura nei pressi di Falerna, alimenta sospetti. Il Comune non ha mai reclamato l'area. E la gente del posto racconta di mezzi pesanti provenienti dalla costa. COSENZA - Saremmo potuti tranquillamente entrare scavalcando una piccola rete metallica. Alla prima impressione e sguardo all’interno, in quella base militare non vi era nessuno. Ma il cartello parlava apertamente di zona militare e limite invalicabile. Se avessimo incontrato qualcuno al suo interno avrebbe potuto spararci e nessuno ci avrebbe pagato. Avevamo torto marcio. Ma la curiosità era enorme più della paura. Il silenzio che avvolge la base, così come una leggera nebbia, è davvero inquietante. Così la fitta vegetazione fatta da ontani che in un certo qual modo protegge la basa da occhi indiscreti. 

All’interno della base i capannoni risultano deserti, non si vede nessuno e non vi sono segni di vita quotidiana. Il cancello sembra chiuso da anni e quasi del tutto arrugginito così come lo sono alcuni bidoni, contenenti chissà cosa, sparsi un po’ ovunque. Parliamo della Base Nato di Monte Mancuso, in provincia di Catanzaro, ricadente nel comune di Falerna. Su questo monte negli anni Sessanta gli americani costruirono una base che serviva per le telecomunicazioni denominate Immz e  faceva parte dell’Ace-high Network, un sistema strategico per le radiocomunicazioni nell’ambito Nato che collegava tra di loro e con i centri decisionali e di comando, tutti i radar remoti posti sui confini est dell’Alleanza Atlantica. La base di Monte Mancuso rientra nelle 113 basi militari, attive e non, in tutta Italia. In Calabria ne risultano tre di questi siti: uno è a Crotone e trattasi di una stazione di telecomunicazioni e radar Usa e Nato, forse ancora attiva, l’altra è a Sellia Marina attiva dal 1959 fino al 1994 quando venne dismessa ed abbandonata e l’ultima a Monte Mancuso. 

Chi siano gli effettivi proprietari di questi terreni non è dato sapere. Teoricamente dovrebbero essere dei Comuni nei quali ricadono. Quindi, se sono state dismesse e disattivate perché i Comuni non si attivano per riprenderne il possesso? Sono aree importanti. La base di Sellia Marina potrebbe oggi essere considerata una discarica vera e propria. Sembra che al suo interno sia attiva solo un’antenna ora di competenza della Capitaneria di Porto, ma il resto risulta completamente abbandonato. Così come lo è la base di Monte Mancuso. O almeno così dicono in paese ed in giro. Ma mentre sulle altre due basi non si raccolgono commenti, riguardo a questa di Monte Mancuso circolano voci allarmanti. Parlando con alcune persone di Falerna, queste asseriscono che da sempre, e cioè da quando è stata attivata, ma anche oltre la sua dismissione, attorno a quel monte vi sono stati movimenti di camion sospetti provenienti dalla costa. Se quella base è  chiusa, perché il limite resta ancora invalicabile ed indicato come Zona Militare?

Il sistema di telecomunicazioni di cui la base era dotata, Immz, era un centro nodale da dove partiva il collegamento sia con la Grecia che con la Turchia, nazioni ancora sotto attenzione Nato, sia per le tensioni esistenti in quei paesi, sia per la loro posizione strategica rispetto alla Siria ed a Israele. Il sistema venne dismesso ed oggi con il Muos avviato il Sicilia, a Niscemi, sicuramente questa base è diventata obsoleta dal punto di vista tecnologico. Monte Mancuso è facilmente raggiungibile e rappresenta per la sua vegetazione un punto importante nel sistema faunistico della Calabria. Il massiccio è costituito da tre vette. Una a sud, il Monte Mancuso vero e proprio alto 1290 metri, uno centrale chiamato Monte Castelluzzo di 1299 metri ed un altro a nord chiamato anch’esso Monte Mancuso  ma con una quota maggiore di 1327 metri sul livello del mare. E’ su questa cima la base del mistero e che abbiamo raggiunto tranquillamente in auto, senza essere fermato da nessun militare. 

Gli ultimi militarti visti attorno a questa base risalgono agli anni 90 durante la guerra in Iraq. Non erano più di tre, ci è stato detto. E gli avvistamenti di camion  risalgono proprio a quegli anni. Si parlava di fusti tossici provenienti dalla stessa zona dove spiaggiò la Jolly Rosso ad Amantea, il 14 dicembre del 1990, si parlava addirittura di bombe atomiche nascoste in un rifugio sotterraneo esistente all’interno della base. Chiaramente niente è suffragato da prove, e tutte potrebbero essere solo parole e “chiacchiere di paese”. Basterebbe entrarci in quella base per sapere la verità e fugare ogni sospetto da parte delle popolazioni calabresi. di Francesco Cirillo

 

Il Forte di Pietole torna protagonista

Domani alle 20.45 nella sala consiliare di Virgilio si parlerà del Forte di Pietole. Sorto agli inizi dell'Ottocento come punto di forza del sistema di fortificazioni francesi del Mantovano, verrà ora valorizzato grazie all’acquisizione dal Demanio che il Comune di Virgilio sta formalizzando in questi giorni. «Il nostro intento - afferma il sindaco Alessandro Beduschi - è di intraprendere al più presto quanto previsto nel Piano di valorizzazione del Forte approvato dal Ministero per i Beni Culturali. In particolare poter finalmente operare in qualità di proprietari, per accedere ai finanziamenti previsti da fondazioni e privati per gli interventi di recupero, rifunzionalizzazione e restauro, che renderanno l'opera fruibile ai cittadini e ai turisti, dal punto divista storico, artistico e archeologico». La serata, presentata dalla delegata alla Cultura del Comune di Virgilio, Grazia Caleffi, vedrà la premessa del sindaco Alessandro Beduschi, e del sindaco di Borgoforte, Giancarlo Froni.

Si parlerà dell'identità culturale dei due territori, prossimi al referendum per la fusione tra di essi, attraverso l'esperienza storica delle due fortificazioni che li caratterizzano. Interverrà poi l'assessore all'Urbanistica del Comune di Virgilio, Fabio Bonelli, per un cenno all'iter burocratico dell'acquisizione del Forte di Pietole. La serata proseguirà con gli interventi dell’ingegner Francesco Rondelli, che si è occupato del Programma di Valorizzazione del Forte, e dell’architetto Claudia Bonora, del Politecnico, che parlerà del Sistema delle fortificazioni mantovane. Ospite e relatore sarà poi il Presidente della Società per il palazzo Ducale, Giampiero Baldassari, che introdurrà il sito “Mantova Fortezza”.

 

Serata pubblica sul Forte di Pietole: tra storia e presente

Una serata dedicata al Forte di Pietole mercoledì alle 20.45 nella sala consiliare di Virgilio. Si parlerà del Forte, sorto agli inizi dell'Ottocento per opera dei francesi e del più recente piano di valorizzazione di quest'opera architettonica, per la quale il Comune di Virgilio sta formalizzando in questi giorni l'acquisizione dal Demanio. La serata, presentata dalla delegata alla Cultura del Comune di Virgilio, Grazia Caleffi, vedrà la premessa dei sindaci di Virgilio, Alessandro Beduschi, e di Borgoforte, Giancarlo Froni. L’assessore all'Urbanistica Fabio Bonelli spiegherà l'iter burocratico dell'acquisizione del Forte di Pietole. La serata proseguirà con Francesco Rondelli, l'ingegnere che si è occupato del Programma di Valorizzazione del Forte, seguito da Claudia Bonora, docente del Politecnico di Milano-Mantova, che parlerà del Sistema di fortificazioni mantovane. Giampiero Baldassarri, presidente della Società per palazzo Ducale, introdurrà il sito Mantova Fortezza.
 

 

LA LIBERAZIONE DI PISA DAL GIOGO DEI FIORENTINI

di FRANCO FERRARO L’Associazione degli Amici di Pisa ricorda tutti i pisani e le pisane della città e della provincia che insorsero e lottarono contro Firenze e vari Stati italiani ed europei per liberare la Repubblica Pisana: quella resistenza fu talmente eroica che i pisani vennero definiti "la gloria e l’onor degl'Italiani" e il conseguente periodo di libertà, durato quindici anni, è passato alla storia come la “Seconda Repubblica Pisana”! Il 9 novembre 1494, data dell’insurrezione, paragonabile al nostro attuale 25 aprile per il senso di liberazione che pervase gli animi dei nostri antenati, è festeggiato dalla Compagnia di Calci dal 2004 e auspichiamo che diventi un appuntamento fisso per chi ama Pisa e la sua storia. Nel 1494 Carlo VIII Re di Francia giunse in Italia per conquistare il Meridione, su cui vantava diritti di successione: il viaggio di ritorno poteva essere insidioso e denso di pericoli, quindi il re francese pensò di farsi degli alleati durante il viaggio d’andata. La sera dell'8 novembre il Re venne ricevuto a Pisa nel palazzo Giuli Rosselmini Gualandi, sul Lungarno Gambacorti (recentemente restaurato e chiamato commercialmente “Palazzo Blu”), allora di proprietà di Giovanni Bernardino Dell’Agnello. La tradizione orale ci narra che dopo il ricevimento prese la parola una bellissima ragazza vicarese, Loisa Del Lante, la quale convinse, con un accorato appello, il Re a restituire la libertà alla Repubblica Pisana. Leggenda o verità, Pisa venne liberata e la gioia dei pisani fu incontenibile. I fiorentini, che occupavano la città alfea dal 1406 vennero cacciati violentemente e tutto il contado pisano si ribellò: Buti, Vecchiano, Ripafratta e tutta la Valdiserchio, Vicopisano, Cascina, Calcinaia, Bientina e Calci, i castelli di Lari, Cevoli, Guardistallo, Palaia, Ponsacco, Peccioli, Riparbella, Lorenzana, Santa Luce, Usigliano, Morrona, Terricciola, Chianni, Soiana e molti altri castelli pisani che oggi formano le province di Pisa e di Livorno. Seguirono 15 anni di guerre, massacri, deportazioni: a Pisa affluirono nel 1499 molti abitanti della provincia, che insieme ai cittadini resistettero eroicamente alla fame, alle cannonate e alla conseguente carestia. Ma alla fine non restò che la resa, firmata nel maggio del 1509. I pisani prigionieri vennero rilasciati e i fiorentini rientrarono a Pisa l’8 giugno, ponendo fine alla Seconda Repubblica Pisana ma concedendo l'onore delle armi agli eroici cittadini alfei. In conclusione, questa guerra impartì una dura lezione a Firenze, sia dal punto di vista militare sia soprattutto a livello di diplomazia italiana ed europea. Enormi furono gli sforzi economici, ma soprattutto la perdita di vite umane che Firenze fu costretta a subire per la rioccupazione di Pisa e del suo territorio, e numerosissime le umiliazioni per le sconfitte inflitte loro dagli indomiti pisani. Nel corso di questa guerra i fiorentini distrussero la maggior parte delle fortificazioni militari e gran parte dell’arredo urbano di Pisa e di molti paesi del territorio, come Calci, Buti, Ponsacco e altri. Tanti pisani lasciarono la città, preferendo "ire sparsi per lo mondo prima di soggiacere a Firenze", ma anche la Repubblica Fiorentina, indebolita da questa guerra, trovò la sua fine nel 1530 grazie all’avvento al potere dei Medici, che dettero vita al Granducato di Toscana. Presidente dell’Associazione Amici di Pisa


 

A che punto è lo scudo antimissile della Nato

Da agoravox.it del 7 novembre 2013

Lunedì 28 ottobre sono iniziati nella base militare di Deveselu, in Romania, i lavori di costruzione che la renderanno parte dello scudo antimissile della Nato. Prosegue così la cooperazione in campo militare con la Romania, che è diventata il primo partner militare degli Usa nel Vecchio Continente. Già utilizzata come base per le operazioni militari in Afghanistan e Iraq, la Romania ha firmato un accordo con Washington nel 2011 per la modernizzazione delle proprie forze armate. Nel Paese balcanico sarà schierato il sistema missilistico antiaereo multifunzionale americano Aegis, dotato dei missili intercettori Standard-3 (SM-3). Il costo stimato è di 134 milioni di dollari.

Il posizionamento degli intercettori balistici, privi di capacita offensiva, è la prima tappa di un complesso sistema di difesa missilistico che, dopo l’installazione di una postazione radar in Turchia, prevede anche il posizionamento di un’altra batteria SM-3 in Polonia - che lo scorso anno aveva già iniziato a progettare un proprio sistema di difesa, nell'inerzia dell'amministrazione Obama. Probabilmente quando il versante polacco del sistema missilistico sarà operativo, secondo molti esperti, la reazione della Russia potrà farsi più accesa. La posizione dei russi è infatti nota. Secondo loro l’installazione dei sistemi antimissile in Europa rappresenta una minaccia, dato che gli americani rifiutano di dare garanzie giuridicamente vincolanti circa il fatto che lo scudo antimissile non sia volto verso Mosca. La prima riunione Nato-Russia a livello ministeriale dal 2011, conclusa lo scorso 23 ottobre, si è conclusa con un nulla di fatto, di fronte all'impossibilità di pervenire ad una soluzione condivisa. Anche il capo amministrazione del Cremlino, Serghej Ivanov, ha riconosciuto che su questo specifico tema gli Stati Uniti e Russia hanno interessi troppo divergenti perché una collaborazione possa aver luogo.

Per contrastare l’avvio dello scudo, la Russia ha già installato nell’enclave di Kaliningrad una batteria di missili Iskander puntati su Varsavia, ed ha intensificato voli militari nello spazio aereo di Estonia, Lettonia e Finlandia. Entro la fine di quest'anno sarà schierata anche una nuova batteria dei sistemi missilistici antiaerei "S-400" nella regione di Mosca. Tra le altre cose, Mosca è già sotto pressione sul fronte orientale, dove il Giappone - anche qui in collaborazione con gli Stati Uniti - sta attualmente lavorando ad nuovo sistema di difesa missilistico. Con Tokyo i rapporti sono tesi da inizio ottobre, quando in base ad un altro accordo raggiunto con Washington, a partire dal prossimo anno droni americani avranno base nel Sol Levante. La Corea del Sud, invece, non ha intenzione di partecipare al progetto, scegliendo piuttosto di sviluppare un autonomo sistema di difesa missilistica contro le possibili minacce provenienti dalla Corea del Nord.

Certo non siamo più negli anni della Guerra Fredda: oggi sappiamo che nel 1983 una guerra nucleare fu sfiorata per davvero. Ma certe divergenze persistono ancora oggi. Il magazine russo Russia Direct (tradotto da Russia Oggi ) ha chiesto ad importanti esperti russi e americani di valutare sino a che punto i timori di Mosca sono giustificati. La risposta pressoché unanime è no. Le riserve della Russia riguardo allo scudo si basano su speculazioni: i russi sostengono che l’installazione di nuove e più potenti basi di difesa missilistica potrebbe alterare gli equilibri geopolitici tra America e Russia, e in fin dei conti si tratta di una considerazione sensata, vista l'attenzione quasi ossessiva di Mosca verso quello che considera il proprio spazio vitale.

Oggi come oggi però le obiezioni dei russi non sono trovano giustificazione nei fatti. Secondo Vladimir Evseyev, direttore del Centro studi sociali e politici di Mosca:

Io credo che Russia e Stati Uniti non abbiano alcuna volontà politica di raggiungere un compromesso in questo ambito, e che la colpa della mancanza di flessibilità vada attribuita in parte alla Russia. La Russia non si sforza di affrontare il problema da nuove angolazioni, ma continua invece a preoccuparsi dei vecchi problemi. Mosca vuole delle garanzie legali, ma nell’attuale situazione geopolitica è impossibile che possa ottenerle, e l’Occidente considera inaccettabile tale pretesa. Vogliamo che gli Stati Uniti facciano ciò che non possono fare, e questo irrita l’Occidente.

Da rimarcare anche l'opinione di Gordon M. Hahn, del Centro studi strategici e internazionali (Csis) di Washington:

La principale minaccia che deriva dalla difesa missilistica Usa sta nella possibilità di stabilire un precedente. La Russia non può permettersi di lasciare che gli Stati Uniti dispieghino delle difese missilistiche a un passo dai propri confini, perché con il tempo tali difese verrebbero incrementate, sino a costituire un’effettiva minaccia.

Viene da chiedersi però a cosa serva davvero uno scudo antimissile oggi, visto che le minacce per la sicurezza globale sono di ben altro tenore. Non saranno le batterie antimissile a proteggerci dal fondamentalismo islamico o dalla pirateria. Eppure le grandi potenze sono ancora divise su un dossier concepito oltre trent'anni fa, quando la minaccia nucleare era un rischio concreto, ma che oggi risulta del tutto anacronistico. Inoltre, e questo forse è l'aspetto più deleterio, le divergenze sulla difesa missilistica influenzano molti aspetti dei già complicati rapporti tra Usa e Russia, favorendo un senso di diffidenza reciproco. Alla faccia del reset auspicato da Obama. In concreto, più che un'arma bellica, lo scudo antimissile è un'arma diplomatica. Come scrivevo nel luglio 2012:

Ma lo scudo antimissile serve per proteggerci dall'Iran o dalla Russia? Probabilmente da nessuno dei due Paesi. Questa eccellente analisi di Limes , di cui riporto i passaggi più significativi, apre uno scenario del tutto diverso:

Lo scudo europeo secondo Obama si divide in quattro fasi. Come ha annunciato la Nato al vertice di Chicago di maggio, la prima di queste si completerà a fine 2012, col dispiegamento di 29 navi dotate della tecnologia radar Aegis, 113 missili Sm-3 Block IA e 16 IB, oltre a un radar già funzionante a Kürecik, in Turchia. La seconda fase terminerà entro il 2015, quando in Romania dovrebbe essere operativo il primo radar Aegis terreste Spy-1, dotato di 24 Sm-3. Il numero delle navi nel Mediterraneo salirà a 32, quello dei missili Sm-3 Block IA a 139 e quello degli IB a 100.

Nel 2018 in Polonia si dovrebbe completare la terza fase con l’installazione del secondo radar Spy-1. Si svilupperanno anche nuovi missili Sm-3, i Block IIA che dovrebbero essere usati contro testate a gittata intermedia, in quanto più potenti e più veloci. In questo lasso di tempo, all’arsenale antimissile dovrebbero essere aggiunti 39 Block IB e dovrebbero essere potenziati i sensori per rintracciare le testate lanciate. L’ultima fase ha i contorni meno delineati: da completare entro il 2020, prevede lo sviluppo di missili Sm-3 Block IIB in grado di colpire missili balistici a gittata intercontinentale (Icbm, da acronimo inglese).

È proprio quest’ultimo passo a preoccupare la Russia. Gli attuali Sm-3 non minacciano l’arsenale strategico del Cremlino: velocità (3 km/s) e potenza non sono sufficienti a intercettare dal suolo europeo gli Ibcm russi diretti verso gli Usa, la cui traiettoria passa per l’Artico. Gli Sm-3 Block IIB invece viaggerebbero a 5/5,5 km/s e potrebbero neutralizzare le testate ex sovietiche.

Sin qui nessun problema per gli americani, se questi nuovi missili non infrangessero il New Start, l’accordo sulla riduzione degli arsenali nucleari siglato da Usa e Russia nel 2010. Agli articoli 2, 3 e 4, il trattato vieta espressamente “il dispiegamento da parte degli Stati Uniti, di un altro Stato o di un gruppo di Stati di un sistema di difesa missilistica in grado di ridurre significativamente l’efficacia delle armi nucleari strategiche della Federazione Russa”. La possibilità per Mosca è in questo caso la denuncia dell’accordo e il ritiro dall’unico successo dell’amministrazione Obama in campo di riduzione degli armamenti.

 ... La netta chiusura atlantica ha allargato la faglia con Mosca, che propone di cogestire un unico scudo, mentre da Bruxelles si concede al massimo l’esistenza di due sistemi separati. L’ultimo capitolo di questa recita dell’assurdo al limite del beckettiano è la richiesta russa di una garanzia legale che l’Epaa non sarà usato contro l’arsenale russo. Un simile accordo è per gli Usa inaccettabile. E Putin lo sa bene. Come uscire da questo stallo? In teoria a Obama basterebbe annunciare un tetto alla produzione di intercettatori a lungo raggio al di sotto di una soglia “dannosa” per le armi russe. Non basta infatti un solo Sm-3 Block IIB per neutralizzare l’arsenale di Icbm del Cremlino. Una simile misura è però improponibile nell’attuale scenario politico, in cui la folta presenza di repubblicani al Senato negherebbe al presidente i due terzi necessari per ratificare l’eventuale trattato.

 ... i margini di cooperazione tra le due potenze sono ridotti. Ilreset della relazioni con Mosca lanciato da Obama nel 2009 pare ormai un lontano ricordo. I rapporti con Washington si stanno surriscaldando.

... il teatro europeo rischia di non essere più strategico per le agende russa e statunitense. È in Asia che si gioca la vera partita geopolitica degli anni Dieci. Al di là dello scacchiere iraniano, la priorità della sicurezza nazionale per Washington è il contenimento alla Cina: ecco il motivo per cui soprattutto nel Pacifico gli Usa stanno costruendo una “collana di perle” intorno al Dragone. In questo scenario non va dimenticata l’Asia centrale. Il Pentagono ha da poco strappato ad alcune repubbliche ex sovietiche accordi per il transito delle truppe in uscita dall’Afghanistan e per la fornitura di armi, veicoli e tecnologia bellica usata dalla Nato nell’Hindu Kush. Queste misure non sono contrarie alla Csto, l’organizzazione militare che unisce questi Stati e la Russia: il trattato impedisce al massimo di stanziare basi di un paese straniero senza il consenso degli altri membri. Tuttavia queste intese potrebbero far parte di un corteggiamento più ampio per inserire questi Stati nell’architettura del contenimento. Anche missilistico.

L’intero scudo europeo potrebbe quindi diventare moneta di scambio su un mercato più ampio, quello asiatico. Dal 2013, quando Obama (o chi per lui) avrà più ampi margini di manovra, gli Stati Uniti sfrutteranno probabilmente questa flessibilità per dispiegare ad esempio la flotta di navi anti- issile altrove rispetto al Mediterraneo. Dunque lo scudo non servirà a proteggere l'America da Mosca, bensì ad avvicinarla a Pechino. La Guerra Fredda 2.0 prevede l'ingresso di un terzo incomodo: la Cina. Ossia il principale creditore degli americani, e ormai loro primo competitor in tema di economia e di approvvigionamento energetico. Non a caso Obama, nel corso del suo quadriennio alla Casa Bianca, ha cercato di indirizzare gran parte della propria attenzione in politica estera proprio alla normalizzazione dei rapporti con l'ex Impero di Mezzo. Foto: Birdie Jaworski/Flickr

 

IL BRAMAFAM A UNO MATTINA

Dal sito www.assam.it - 05 novembre 2013


Lunedì 11 novembre nel corso della trasmissione Uno Mattina su Raiuno verrà presentato un servizio sul Forte Bramafam di Bardonecchia. In studio a Roma ci sarà Pier Giorgio Corino, Presidente dell’Associazione che da diciott’anni si sta impegnando nel recupero del forte, in collegamento video da Torino ci sarà Michele Coppola, Assessore alla Cultura della Regione Piemonte: il tema trattato la valorizzazione delle fortificazioni in area alpina Evoluzione dell’Accordo con Rai Educational e la Fondazione Museo storico del Trentino

FORTE BRAMAFAM SI DIFENDE

Forte Bramafam nel suo piccolo si difende, anzi … Il forte come realtà architettonica e turistica è sicuramente tra quelle meno conosciute, ma nel suo museo sono conservate delle collezioni che ben poche altre realtà possono vantare. Il Museo Forte Bramafam è una struttura realizzata e gestita solo dal volontariato, che riesce, autofinanziandosi, a mantenersi nella gestione ordinaria. La sua ubicazione in alta montagna e la strada d’accesso, non certo delle migliori, limitano forzosamente il periodo di apertura alla sola stagione estiva. Eppure in un limitato numero di giorni di apertura il numero di visitatori continua a lievitare, i contenuti del museo, la qualità degli allestimenti ed il messaggio di valorizzazione storica che si sta portando avanti, fanno di Forte Bramafam una realtà unica nel suo genere. Quest’anno le aspettative, visto il generale momento di crisi, non erano certo delle migliori, ci si aspettava una flessione del numero dei visitatori, ma la realtà si è dimostrata decisamente diversa. Le presenze sono aumentate del 10%, passando dai 6.200 visitatori del 2012 ai 6.800 di quest’anno, con una presenza media giornaliera di 136 visitatori, contro i 90 dell’anno scorso. Se si considera inoltre l’aumento del prezzo d’ingresso (per adeguarsi all’aumento dei costi) un risultato decisamente positivo che evidenzia come il forte, la prima realtà turistica culturale di Bardonecchia,non solo si sia difeso benissimo ma anche sia “passato all’attacco” con dei buoni risultati.

 

Resia, porte aperte al Bunker 20

RESIA Da fortificazioni di guerra a fortificazioni di pace e di cultura. Ecco lo spirito con cui, ormai tradizionalmente, si celebra la giornata delle porte aperte al Bunker 20, la speciale installazione militare che conserva, al suo interno, le sorgenti del fiume Adige. E come ogni anno l’iniziativa si è rivelata un successo, con un centinaio di curiosi che hanno scelto di risalire il secondo fiume d’Italia per scoprirne l’origine. Lo stesso Bunker 20 è un reperto di eccezionale valore, visto il suo stato di conservazione e l’importanza strategica che rivestiva all’epoca. Dopo la dismissione di questi manufatti dallo Stato alla Provincia, emerse l’idea di gestirli come risorse delle comunità locali. Subito si diede il via al progetto di ristrutturare il più importate dei bunker esistenti: il nr. 20. La vera sorgente del fiume Adige, adesso, è visibile attraverso un tubo trasparente, ma la sua prima vera “fontana” si trova appena all’esterno del bunker e le sue acque, dopo una breve ripida discesa scompaiono nel sottosuolo dei prati della frazione di Resia e solo dopo alcune centinaia di metri, attraverso un canale alberato, finiscono nel lago di Resia. Il bunker, visitabile dal mese di luglio sino al mese di settembre in presenza di una guida. (b.p.)

 

Museo sulla storia di Cosmopoli

di Luca Centini PORTOFERRAIO La storia di Portoferraio non poteva trovare una collocazione migliore. Nelle stanze del Forte Falcone appena restaurato torna a vivere la storia di Cosmopoli, la città immaginata e fondata da Cosimo de’ Medici, realizzata grazie al contributo di architetti del calibro di Giovanni Camerini e Bernardo Buontalenti. Dalla prima pietra di fondazione del Forte Falcone ha inizio il percorso della mostra, inaugurata ieri nelle stanze del nuovo museo. Un percorso che, attraverso dipinti, bozze e pannelli esplicativi scandisce la storia della città “ideale” di Cosmopoli, dalla sua fondazione nel 1548 fino all’influenza degli ultimi granduchi medicei e a tempi più recenti. L’apertura della mostra permanente dedicata alla storia della città medicea (il museo di Forte Falcone sarà aperto tutti venerdì, sabato e domenica dalle 10,30 alle 16,30) è il coronamento di un più ampio percorso portato avanti dall’amministrazione comunale, iniziato nel 2004. Il Comune ha infatti portato a compimento i primi due stralci dell’intervento di restauro del Forte, mentre sono in corso gli interventi per il terzo stralcio. «Forte Falcone era di proprietà del Demanio – ha raccontato il sindaco Roberto Peria, durante l’inaugurazione della mostra – il quadro era estremamente complicato e il bene cadeva a pezzi. Siamo riusciti a ottenere fondi Dupim dal governo, anche la Regione ha creduto nella riqualificazione delle fortificazioni di questa città. Siamo orgogliosi di aver portato avanti un percorso, pur spendendo poche risorse proprie del Comune, per restituire alla cittadinanza un Forte Falcone restaurato e una mostra dedicata alla storia della città. Il 2014 sarà un anno importante in cui Portoferraio punterà ancora in modo più deciso sul turismo culturale, mettendo in mostra la città di Cosimo e di Napoleone». Il materiale culturale esposto nella mostra permanente è stato ricavato in buona parte dai locali della Pinacoteca Foresiana, altri dipinti giungono dall’inventario della Galleria degli Uffizi. Ad impreziosire la mostra una copia di Vincenzo Danti del “Ritratto di Cosimo I de’ Medici in veste di Augusto imperatore” e il dipinto riavuto indietro dalla Provincia, con la raffigurazione delle fortificazioni di Cosmopoli. Le prime pietre di Forte Falcone e della Linguella e dieci monete medicee sono reperti affascinanti in un allestimento aperto a future integrazioni che potranno essere acquisite tramite prestiti o donazioni. La mostra è curata dal professor Giuseppe Maria Battaglini. A fare gli onori di casa, durante l’inaugurazione della mostra a Forte Falcone, l’assessore alla cultura del Comune di Portoferraio, Antonella Giuzio. «Provo una certa emozione, perché questo è un giorno importante per la città – spiega l’assessore alla cultura – siamo riusciti a portare a compimento un progetto che ha restituito alla cittadinanza la fortificazione di Forte Falcone dopo il restauro, diamo la possibilità ai residenti e ai turisti di comprendere in modo migliore la storia di Cosmopoli restituendo una serie di beni, tra i quali molti dipinti recuperati dal deposito della pinacoteca foresiana. Ringrazio tutti quelli che hanno collaborato per mettere in piedi questa mostra, in particolare la giunta, l’architetto Mauro Parigi, Sillabe e, naturalmente, Giuseppe Maria Battaglini». 

 

Il Comune prende la gestione della batteria Vettor Pisani

CAVALLINO «Entro dicembre prenderemo in gestione pluriennale la batteria Vettor Pisani». L'annuncio è arrivato dall'amministrazione comunale che si prepara ad acquisire l'importante fortificazione bellica di Ca' Vio realizzata nel 1912 e in funzione durante la Grande Guerra. Si avvicina sempre più l'appuntamento con il centenario della Prima Guerra Mondiale fra il 2015 e il 2018 in occasione del quale la Regione riceverà dalla Comunità Europea circa 60 milioni per il restauro delle fortificazioni militari testimonianza di quel passato. Il Comune di Cavallino- Treporti non si vuole far trovare impreparato. Solo quest'estate infatti il comune era riuscito, dopo 20 anni di trattative, a firmare con il Genio civile il verbale di presa in consegna per un anno della batteria Pisani, pagando un canone annuo di 2.500 euro. Risale ad agosto scorso la consegna e la successiva presa in custodia della batteria Pisani da parte del Comune, in attesa che l’iter di acquisizione definitivo avviato due decenni fa, possa definitivamente concludersi. «Entro fine anno», scandisce Orazio, «firmeremo un accordo per la gestione pluriennale della batteria Pisani con la possibilità di gestirla, con annessi gli spazi adiacenti, mettendola in sicurezza e rendendola fruibile grazie alla collaborazione con associazioni e privati. Un processo che riguarda anche le altre venti fortificazioni di guerra presenti sul territorio, un patrimonio spesso sconosciuto e non valorizzato. Attraverso accordi e convenzioni con privati ed associazioni intendiamo recuperare e valorizzare tutto il sistema delle fortificazioni perché si tratta di un importante risultato per il nostro comune e per il nostro sistema turistico». Francesco Macaluso 

 

Seconda vita per i forti militari

ALTOPIANO. Nell'anniversario della Grande Guerra, il progetto è utilizzare i manufatti recuperati per eventi culturali. Il primo ad essere coinvolto nel progetto sarà il forte Verena dal quale è partito il primo colpo italiano nella Grande Guerra

Da il Giornale di Vicenza 19 ottobre 2013

 

Dopo il loro recupero, ai manufatti lasciati dalla Grande Guerra serve dare una seconda vita. È per questo che diventeranno location di eventi in occasione del centenario della Grande Guerra.
Si tratta di una delle priorità segnalate nel documento programmatico del comitato scientifico regionale per il centenario ed è pure quanto si propone di fare il comitato locale per l'importante anniversario. Un comitato, questo, composto dalle amministrazioni locali e dal Consorzio Turistico e impegnato a programmare una serie di iniziative, molte delle quali si svolgeranno proprio all'interno dei manufatti recuperati.
«Quest'estate abbiamo fatto un esperimento al forte Interrotto con varie tipologie di iniziative - spiega Roberto Rigoni, presidente del Consorzio Turistico - Una prova per vedere che tipo di eventi piace al pubblico e se la scelta di tenerli nei luoghi della memoria, nonostante un'accessibilità più difficile, sia gradita».
«Prova superata - conclude Rigoni - Adesso quindi passeremo a identificare i luoghi più accessibili e già dalla prossima estate dovremmo riproporre la manifestazione “Forti in scena” proprio perché i forti sono accessibili e perché si trovano nei posti tra i più spettacolari dell'Altopiano».
Il primo forte ad essere coinvolto nel progetto “Cultura - storia - turismo” nel centenario della Grande Guerra sarà quello di Monte Verena grazie anche ad un piazzale d'armi imponente ritrovato dopo il duro lavoro di ripristino portato avanti dalla Spettabile Reggenza e dal progetto Ecomuseo della Grande Guerra delle Prealpi Vicentine.
Il Verena, a 2.015 metri, è il forte più citato nella letteratura della Grande Guerra perché da qui è partito il primo colpo italiano, il 24 maggio 1915. Per due settimane i suoi cannoni da 149 mm e gli obici da 280 mm hanno martellato le fortezze austroungariche provocando gravi danni.
«Bisognava eliminare il “Dominatore dell'Altopiano” - spiega Leonardo Malatesta nel suo Il dramma del Forte Verena - Per farlo gli austroungarici impiegarono mortai calibro 305 mm, obici da 381mm e il “Krupp” di 420 mm».
Proprio un 305 sparato da Costa Alta perforò la corazza ed esplose all'interno della polveriera uccidendo il comandante Umberto Trucchetti, due sottotenenti e 43 soldati. La distruzione del Verena è stato oggetto di un'inchiesta del Regio Esercito, da cui emerge che nonostante sembrasse robusto era stato costruito con materiali scadenti; per armare il cemento erano stati utilizzati persino ferro delle carriole e posateria. Gerardo Rigoni

 

TAVOLO DI LAVORO TRIVENETO SULLA GRANDE GUERRA
Dal sito dell'ufficio stampa della Provincia di Trento


Comunicato nr. 2664 del 18 settembre 2013

Forte Belvedere di Lavarone ha ospitato oggi l’incontro tra Trentino, Veneto, Friuli Venezia Giulia per l’attivazione di un tavolo di lavoro per la promozione e la valorizzazione delle iniziative commemorative per il centenario della Grande Guerra. L’iniziativa rappresenta la possibile evoluzione dell’accordo sottoscritto a gennaio tra la Fondazione Museo storico del Trentino e la RAI su questi temi e che si sviluppa nella produzione di due documentari sul conflitto mondiale. Alla presentazione erano presenti, tra gli altri, il presidente della Provincia autonoma di Trento; Gianni Torrenti, assessore alla Cultura, sport e solidarietà della Regione Friuli Venezia Giulia; e Giuseppe Giannotti di Rai Storia. ”La Rai - spiega Giannotti - intende presentare al grande pubblico italiano una pagina così importante della nostra storia. Per questo motivo intendiamo approfondire il rapporto con i territori, testimoni viventi di episodi che hanno segnato la nostra società e aperto le porte all’Europa di oggi”.


L’incontro che si è tenuto nella giornata di oggi al Forte Belvedere di Lavarone e che segue la presentazione avvenuta ieri a Roma in viale Mazzini dei programmi che la Rai realizzerà sul tema della Grande Guerra ha gettato le basi di una collaborazione tra Regioni di confine, Istituti storici di ricerca (qual è la Fondazione Museo storico del Trentino) e l'azienda televisiva pubblica per commemorare con una visione d’insieme un evento che ha segnato i destini dell’Europa.
I rappresentati di tre Regioni (Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia), con i vertici della Fondazione museale e i rappresentanti della Rai hanno discusso i punti che legano ancora oggi terre di confine e il primo conflitto mondiale.
Il tavolo di lavoro, costituito oggi, conferma la volontà della Provincia autonoma di Trento e delle Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia di intraprendere un percorso comune di rivisitazione della Prima Guerra mondiale. “Trentino e Friuli - come spiega Gianni Torrenti, assessore alla Cultura, sport e solidarietà della Regione Friuli Venezia Giulia - hanno iniziato il conflitto bellico dalla parte austriaca, con risvolti che oggi spesso sfuggono alla memoria del Paese. Credo quindi che sia importante offrire una lettura approfondita, grazie anche al contributi di istituti storici e Rai, in grado di recuperare significati profondi della nostra cultura e della nostra storia”. L’impostazione del tavolo di lavoro - condivisa anche dal presidente della Provincia autonoma di Trento - vuole essere un momento di condivisione di esperienze storiche anche drammatiche, che hanno segnato nel profondo la storia d’Europa. Proprio da queste vicende è nata la volontà di realizzare un’Europa basata su valori e ideali di pace e di fratellanza.
L’incontro di Lavarone è la prosecuzione dell’accordo firmato lo scorso gennaio tra Rai Educational e la Fondazione Museo storico del Trentino. 
In questi mesi è stato portato avanti un lavoro sul territorio di ricerca e catalogazione di immagini e documenti, sono stati finanziati documentari e programmi che saranno trasmessi da Rai Storia e negli spazi generalisti di Rai Educational dal 2013 al 2018.
L’accordo prevede la realizzazione di produzioni audiovisive (documentari, filler, letture di memorialistica) con il coinvolgimento di realtà trentine e che saranno messe in onda sui canali tematici (Rai Storia e Rai Educational) oltre a quelli generalisti.
Tra le produzioni Rai che saranno prodotte sulla Grande Guerra si segnalano i documentari dedicati a Cesare Battisti (52 minuti) e alla “Costruzione del fronte di guerra”.
"Per una realtà come la nostra - ha commentato il presidente della Provincia autonoma di Trento - la cui storia è inevitabilmente legata al grande conflitto che ha avuto come emblematico teatro proprio le nostre montagne, un progetto come questo assume un'importanza grandissima ed è al tempo stesso un'occasione per coltivare la memoria e rielaborarne i passaggi fondamentali in un'ottica europea”.
A 100 anni da quell’immane catastrofe, un progetto cross-mediale, insomma, per recuperare, ricordare e divulgare la Prima guerra mondiale. Il progetto unisce ricerca e divulgazione, ed è destinato in particolare alle generazioni più giovani. In altre parole, si tratta di una sorta di viaggio temporale dentro una tragedia collettiva, in cui milioni di giovani, coetanei dei ragazzi di oggi, furono precipitati un secolo fa: un viaggio nella macabra insensatezza della guerra, la Grande Guerra, dove i peggiori demoni hanno preso forma e consistenza. Per aiutare a comprenderne le dinamiche, a scoprirne le verità e i retroscena, e soprattutto per riflettere sul suo significato oggi.

 

Torri costiere e sviluppo turistico, molte le proposte

Da La Nuova Sardegna - 13 ottobre 2013 —   pagina 25

TRESNURAGHES Torri costiere in Planargia, patrimonio da salvare. Questo il tema di un convegno che si è svolto venerdì su iniziativa della Pro loco e del Comune, in collaborazione con il Cnr di Cagliari. Tanti gli esperti che hanno rilevato la necessità di salvaguardare le torri costiere attraverso un restauro conservativo che preservi gli antichi baluardi dall'erosione e dalla forza del tempo. Un campo sul quale si sta spendendo la Conservatoria delle coste, rappresentata all’incontro da Tiziano Lai. Dal 2007 ha sottolineato, la Conservatoria delle coste è impegnata in progetti di sviluppo e salvaguardia dell'ambiente naturale e insieme al Cnr ha attuato il progetto For Acces volto al ripristino e al rilancio turistico delle oltre 100 torri costiere della Sardegna. Da qui nasce l'esigenza per le Torri di Tresnuraghes e di Bosa, affinchè attraverso un'azione politica forte, passino dalla proprietà del demanio statale a quello regionale. Soltanto in questo modo la Conservatoria potrà impegnarsi nella riqualificazione delle Torri planargesi. Momento centrale del convegno è stata la presentazione del progetto Le Torri Multimediali delineato attraverso una presentazione video dall'architetto Olindo Merone e da Giovanni Serrali del Cnr-Isem, dove per l'appunto, attraverso la creazione di un sistema web che metta in connessione le torri della Sardegna è possibile far rivivere dall'interno delle fortificazioni la storia e lo sviluppo torriero Sardo. La torre di Chia è stato il primo esempio di allestimento multimediale che ha favorito un approccio turistico e ha fatto sì che la torre divenisse un'interfaccia per presentare al pubblico il fitto sistema comunicativo delle torri che per oltre cinque secoli hanno protetto le nostre coste. Tra le varie esperienze di cui si è parlato, c’è stato l’esempio portato da Davide Ticca responsabile del gruppo Full Outdors sports di Macomer che promuove la disciplina del nordik walking. Dopo l'esperienza dello scorso settembre a Tresnuraghes, lungo il Sentiero delle Torri organizzato sempre dalla Pro loco, ha proposto la nascita del nordik walking park che nel resto dell'Europa e della Penisola sta portando tantissime persone ad affrontare, muniti di bacchette, percorsi naturalistici all'interno di scenari mozzafiato, come appunto quello di Tresnuraghes. Possibilità quest'ultima che coinvolge l'intero comparto turistico, in particolare le strutture ricettive convenzionate.(a.m.)

 

 
Usa: missili nucleari, rimosso generale
Da lagazzettadelmezzogiorno.it del 11 ottobre 2013

(ANSA) - NEW YORK, 11 Ottobre

 

Forte scossa nella catena di comando per il controllo delle armi nucleari Usa: l'ufficiale a capo dell'unita' dell'Air Force responsabile della supervisione di 450 missili nucleari intercontinentali, generale Michael Carey, e' stato sollevato dal suo incarico.
Due giorni fa era saltato il vice ammiraglio della Marina militare Tim Giardina, numero due del Comando strategico degli Stati Uniti (Us StratCom), che supervisiona tra l'altro l'arsenale nucleare americano.

 

 

Forti del Brione, progetto di recupero per renderli visitabili

Da Il Trentino - 10 ottobre 2013 —   pagina 34   sezione: Nazionale

RIVA Altro passo avanti verso il “recupero” del forte Garda e della Batteria di Mezzo, due delle fortificazioni realizzate dall'Austria Ungheria negli anni immediatamente precedenti la prima Guerra mondiale destinate ad essere riproposte al pubblico in occasione dell'ormai imminente centenario. La giunta, nell'ultima riunione, ha approvato il progetto esecutivo dell'intervento firmato dall'architetto Andrea Rigo per la parte edilizia e dall'ingegner Andrea Santini per quanto riguarda la sicurezza, che prevede una spesa complessiva di 710 mila euro, di cui 560 sono coperti da un contributo provinciale ed il resto a carico del bilancio comunale. Il forte Garda è una casamatta in calcestruzzo blindato fornito di una cupola osservatorio a scomparsa e difeso da una batteria di mortai; la Batteria di Mezzo, costruita fra il 1885 ed il 1888, è un'opera corazzata, pure dotata di osservatorio. I recuperanti, appena finito il conflitto, hanno portato via tutto il ferro che sono riusciti a cavare dalle muraglie: poi decenni di sostanziale abbandono giustificano il degrado in cui versano quelle che pure sono illustri testimonianze del passato. Non si tratterà d'un recupero degli edifici da restituire ad una fruibilità totale e quindi dotati di impianti e servizi, ma semplicemente d'una messa in sicurezza in modo da rendere visitabili, almeno nelle parti più significative, le fortificazioni, seguendo il sentiero della Pace che da porto San Nicolò (dov'è previsto un punto informativo) sale sul crinale a picco sul Garda, in un ambiente di rara bellezza, e che è già stato oggetto di una recente sistemazione. La parte più propriamente tecnica dell'intervento consiste nell'impermeabilizzazione delle coperture al fine di evitare che la pioggia continui ad infiltrarsi a marcire le poderose volte di cemento: il resto consisterà nella pulizia dei cunicoli e delle vie d'accesso ai forti e nella messa in sicurezza del sito in modo da consentire le visite senza che chi s'affaccia ad ammirare la piana di Riva (o quel che ne resta) ed il lago corra il pericolo di rompersi le ossa slittando di sotto. Resta purtroppo esclusa da qualunque forma di recupero la Tagliata del Ponale che, a monte ed a valle della terza galleria del sentiero Ponale, rappresenta un esempio unico di fortificazioni scavate interamente in roccia e quindi praticamente inattaccabili.

 

Italia "base di lancio" delle guerre Usa Solo da noi le truppe non diminuiscono
Da repubblica.it del 6 ottobre 2013

Mentre in Europa ed in particolare in Germania - la prima linea di difesa durante la Guerra Fredda - gli Usa hanno ridotto dell'80% le proprie truppe (da 250.000 del 1989 alle 50.000 di oggi) c'è un Paese dove gli investimenti del Pentagono sono aumentati e le forze non sono affatto diminuite.

E' l'Italia che progressivamente gli Usa hanno trasformato nella loro "base di lancio" per operazioni militari nel Mediterraneo e in Medio Oriente e dove stazionano 13.000 soldati americani con 16.000 familiari. Lo stesso ammontare del 1991 ma percentualmente cifra triplicata: 22 anni fa i soldati americani in Italia rappresentavano solo il 5% delle truppe in Europa, mentre ora sono il 15%.

E' quanto riferisce in un lunga analisi la rivista americana 'Mother Jones', autrice di numerosi scoop come quello che lo scorso anno mise al tappeto lo sfidante repubblicano di Barack Obama, Mitt Romney. Mother Jones diffuse un video in cui Romney ammise candidamente che non si sarebbe mai occupato del 47% degli americani, perchè non elettori repubblicani.

In Italia il Pentagono ha speso dalla fine della Guerra Fredda oltre 2 miliardi di dollari per ammodernare - per citarne solo alcune - le basi di Napoli, Aviano (in Firuli), Sigonella in Sicilia, a Pisa (l'enorme arsenale di Camp Darby) e a Vicenza (Caserma Ederle) tra le altre. Somma che si limita a quelle stanziate ufficialmente nel bilancio della Difesa Usa e che non include quelle impiegate in investimenti segreti.

Il tutto mentre ufficialmente l'attenzione strategica di Casa Bianca e Pentagono si è spostata sul Pacifico, relegando il quadrante europeo-mediterraneo al secondo posto - nella migliore delle ipotesi - tra le priorità.
In Italia sono in funzione 59 installazioni militari 'americane'. Sono meno solo delle 179 in Germania (ma in rapide declino), le 103 in Giappone (in linea con la nuova dottrina della 'progressione' militare nel Pacifico), le 100 in Afghanistan (che si ridurrano quasi a zero entro la fine del 2014 quando i G.I. Si ritireranno dal Paese) e le 89 della Corea del Sud, dove le truppe Usa sono schierate lungo il 38mo Parallelo per tenere testa al bellicoso e potenza 'atomica' Nord.

Disaggregando parte degli investimenti a partire dal 1992 sono stati spesi 610 milioni di dollari (metà sul conto della Nato) nella base dell'aeronautica di Aviano dove hanno sede diverse squadriglie di caccia-bombardieri F-16, cui se ne sono aggiunti altri 115 milioni solo nel 2004.

A partire dal 1996 la Us Navy ha speso 300 milioni per una base all'aeroporto di Capodichino a Napoli, sede del comando, tra l'altro, della VI Flotta che opera nel Mediterraneo. Nelle vicinanza ha affittato per 30 anni una base logistica per 400 milioni di dollari.

Nella sua analisi Mother Jones si sposta in Sicilia concentrandosi su Sigonella, definita "il cuore della lotta al terrore" e delle operazioni militari Usa in Africa. Dal 2001 per la 'Sigonella Naval Air Station' sono stati spesi quasi 300 milioni.

Dal 2002 è stata usata per lanciare i droni a lungo raggio Global Hawk e dal 2008 "è stato firmato un accordo segreto" tra Roma e Washington per trasformarla nella base dei droni Usa. Dal 2003, sempre a Sigonella, sono schierati aerei da spionaggio elettronico P-3 per "monitorare i gruppi di insorti in Africa settentrionale ed occidentale". Dal 2011 l'Africom (comando Usa pr l'Africa) "ha schierato una task force di circa 180 marine e due aerei da trasporto per addestrare alle operazioni anti-terrorismo personale in Botswana, Libia, Gibuti, Bururndi, Uganda, Tanzania, Kenya, Tunisia e Senegal".

Sempre a Sigonella sono state spostate altre truppe e diversi aerei da trasporto CV-22 Osprey (convertiplani, che decollano come elicotteri ma le cui due eliche effettuano una transizione da verticale ad orizzontale per spingere il velivolo come un aereo normale) per eventuali interventi in Libia (dopo l'attacco dell'11 settembre 2012 al consolato Usa di Bengasi in cui venne ucciso l'ambasciatore Chris Stevens).

Da ultimo viene citata la base di comunicazione Muos in corso di costruzione a Niscemi. Installazione temuta dalla popolazione ma che l'Istituto Superiore di Sanità ha stabilito non essere pericolosa per la salute di quanti vivono nelle vicinanze.

 

 

Da La Nuova Venezia - 27 settembre 2013 —   pagina 38   sezione: Nazionale

CHIOGGIA La storia dei forti San Felice e Brondolo Questa sera alle 21 in sala consiliare, convegno sulle fortificazioni di San Felice e Brondolo viste come occasioni turistiche e presentazione del progetto di adesione al patrimonio Unesco curato dall'architetto Daniel Tiozzo. CHIOGGIA Pellegrinaggio naturalistico Pellegrinaggio a piedi tra laguna e strade, domenica alle 9, dalla chiesa di S.Giacomo fino a quella di S.Michele a Brondolo, con la guida naturalistica Francisco Panteghini. Al termine incontro con la comunità ortodossa e pranzo alla Darsena Marina del Sole. Costo 20 euro, prenotazioni entro oggi al 328 7021253. Panteghini è un nome famoso tra i naturalisti veneti e italiani.

 

L’ex base della Nato può diventare luogo della memoria

Da Alto Adige - 25 settembre 2013 —   pagina 39   sezione: Nazionale

NAZ Un numero inaspettatamente alto di visitatori provenienti da tutto l'Alto Adige ha intrapreso pacifiche incursioni nell’areale grande ben 10,6 ettari dell’ex base Nato. Il pubblico ha potuto approfondire le sue conoscenze su questa installazione militare tuttora piena di misteri, testimone del periodo di tensione internazionale della Guerra fredda. «Oltre il buono ed il bello. Monumenti scomodi?», questo è stato il motto della Giornata europea del patrimonio di quest'anno. Questo deposito munizioni speciali con nome in codice "Site Rigel" è un relitto della Guerra fredda, unico nella nostra regione e di grande importanza per la nostra storia e memoria collettiva. Costruito tra il 1966 e il 1967, custodiva in due bunker igloo sia missili a breve gittata del tipo Honest John che granate per grandi obici; entrambi i sistemi di armamenti potevano essere dotati di testate convenzionali o nucleari. Fu abbandonato e chiuso nel 1983. Oltre 600 persone hanno colto l’occasione per entrare nell’ex base seguendo lespiegazioni delle guide (due ex ufficiali militari). Momenti clou della giornata sono stati i racconti spontanei di testimoni oculari nel corso delle visite guidate. Due ex soldati giunti da Laces e da Cortaccia hanno descritto la vita quotidiana all’interno della grande caserma Ruazzi di Elvas, nella quale erano gli unici militari sudtirolesi di madrelingua tedesca. Hans Thaler, meglio conosciuto come "Teml-Hons", ha raccontato del periodo d'oro della sua discoteca "ICKX 2000” ad Elvas, nella quale i militari statunitensi erano clienti abituali. Un agricoltore di Naz ha riportato il dolore procurato dall'espropriazione dei campi di proprietà della sua famiglia, mentre una coppia di Novacella ha ricordato con nostalgia gli alti ufficiali americani che occupavano un intero piano della loro casa. Il grande successo della giornata con moltissimi visitatori ha chiarito una cosa: l’areale ex Nato di Naz ha un grande potenziale e potrebbe essere valorizzato come relitto della Guerra fredda, trasformato in centro di documentazione e quindi diventare un punto d’attrazione turistico. 

 

Base NATO Mondragone: nome in codice Proto

18 settembre 2013


Davanti alla porta antiatomica l’aria è pesante, l’oscurità totale. C’è umido, dalle pareti del tunnel cadono gocce d’acqua che toccando terra fanno un rimbombo sordo. I battiti del cuore colpiscono duro le orecchie tese a captare ogni scricchiolio. Paura, inutile girarci intorno. La sensazione di essere in un’astronave aliena. Varcata quella soglia, nessuna comunicazione con l’esterno sarà possibile. Abbiamo concordato un appuntamento con un medico specializzato in primo soccorso, che ci attende fuori. Se salta il rendez-vous penserà lui a dare l’allarme. Come siamo arrivati fin qui? Carrello indietro. Un cartello militare, una strada di campagna in salita che conduce al Monte Massico. Uno spiazzo deserto. Nella roccia è visibile l’entrata murata di un tunnel. Porta a una base militare sotterranea, nome in codice Proto, scavata nella roccia tra Mondragone e Sessa Aurunca in provincia di Caserta verso la fine degli anni ’50, abbandonata nel 1996, quando la guerra fredda diventava un ricordo e il terrorismo internazionale era il nuovo nemico, e da allora rimasta com’era. Entriamo. Attraverso un condotto, strisciando a pancia in giù per qualche metro, ci si ritrova in un tunnel largo poco più di una corsia d’autostrada. Si cammina per due chilometri nell’oscurità. Lungo il percorso ci sono attrezzi da lavoro, tracce di vita anche recente. Buchi nel pavimento. Qualche slargo, indicazioni sul muro: “Pedoni a sinistra”. Poi, finalmente, l’entrata. Noi ci siamo arrivati a piedi. Quando Proto era in funzione il tunnel era attraversato dai trenini elettrici lunghi 35 metri che portavano il personale militare e civile al lavoro. A intercettare da Gibilterra fino alla Turchia qualsiasi cosa volasse, navigasse o si muovesse sullo scacchiere della guerra fredda. Perché Proto era una base Nato, un terminale del sistema di ascolto e trasmissione Ace High che partiva dalla Norvegia e attraversava tutta l’Europa. Ed era anche un bunker a prova di atomica: in caso di conflitto, i vertici del comando Sud della Nato, di stanza a Bagnoli, avrebbero trovato rifugio qui. Il tunnel non finisce davanti alla porta antiatomica, continua per altri tre chilometri circa, fino a sbucare sull’altro lato del Monte Massico. L’aria è densa. La porta antiatomica, che misura circa tre metri per tre, si muove con facilità su cardini stranamente oliati. Non è il primo né l’ultimo mistero di Proto. Ci inoltriamo con cautela in una città fantasma, o quasi. Qui vivevano almeno 200- 00 persone. Durante le simulazioni di guerra si arrivava a mille presenze. Un corridoio parallelo al tunnel, scavato nella roccia della montagna, collega tra loro i cinque blocchi: la stazione meteorologica, la sede del Raoc (Region Air Operations Center), il centro radio, le mense. In fondo al blocco ufficiali c’è la sala motori. Ogni blocco è un tunnel scavato in profondità, perpendicolare a quello d’ingresso. L’autonomia era assicurata da due motori Isotta Fraschini per cacciatorpediniere. Condutture e filtri garantivano anche l’aria condizionata. Dopo aver percorso cunicoli, corridoi e scale fino quasi a perdere il senso dell’orientamento, ci troviamo davanti a un’enorme mappa del Mediterraneo. Di fianco alla mappa, un tabellone simile a quello dei treni in arrivo e in partenza. Elenca tutte le basi aeree d’Italia, Grecia e Turchia, con i codici Nato. Ecco, questo forse era il cuore profondo della base, il suo segreto più impenetrabile. Muoversi all’interno di Proto è difficile. Speleologia industriale. Le torce hanno un’autonomia limitata, c’è il rischio di rimanere al buio, e molti tratti sono una massa di fanghiglia scura e scivolosa. E poi c’è la paura concreta che qualcuno emerga dal buio pesto dei corridoi interminabili. nessun fantasma o alieni: esseri umani. La base è stata devastata oltre ogni immaginazione. Dopo la dismissione è cominciata la razzia: rame, motori, quadri elettrici, tutto divelto senza pietà. Nel tunnel principale si incontrano le brandine usate da chi ha lavorato anche di notte, per settimane, per portare via fino all’ultimo pezzo rivendibile al mercato nero. Dal 1996, murate le entrate principali, la sorveglianza è stata saltuaria. E ai ladri, o ai semplici curiosi, è bastato seguire i cunicoli dei fili e delle condutture per entrare. Amianto, vernici, liquidi, oli. Quel che è rimasto cade a pezzi. La ruggine sta corrodendo ogni cosa. Chi ha permesso che una delle basi più segrete in Italia sia stata fatta oggetto di un saccheggio di queste proporzioni? Abbiamo chiesto spiegazioni alla Marina Militare, attuale responsabile di Proto. L’ufficio stampa, attraverso il capitano di fregata Marco Maccaroni, ha risposto che “nelle more della decisione su un eventuale impiego operativo del sito, al fine di preservarlo per un eventuale e futuro utilizzo, si decise di murare, con porte di cemento armato, gli accessi al sedime. Ciò solo dopo aver effettuato una compiuta verifica, a cura del personale dipendente, dello stato dei luoghi, alla quale è seguita un’ulteriore ispezione a cura della locale Asl, a seguito della quale fu rilasciata, in data 18 luglio 1996, apposita certificazione di avvenuta bonifica del sito”. Tutto a posto dunque? Guarda le foto e giudica. Gli armadi divelti, le pareti sfondate, i lamierati piegati alla ricerca di cavi di rame. Computer ammassati alla rinfusa, quadri elettrici squartati come fossero maiali. La Marina Militare ammette: “In merito alle condizioni di allarme ecologico, si precisa che durante i sopralluoghi effettuati si è purtroppo rilevata la presenza di rifiuti abbandonati di varia natura, che sono stati ogni volta rimossi. Recentemente, a seguito di una ulteriore ronda, si è constatata addirittura l’asportazione del cancello di accesso e di una parte della recinzione, già in passato danneggiati e ogni volta ripristinati e convenientemente muniti di catena con lucchetto. Sono stati, quindi, nuovamente rinvenuti rifiuti abbandonati da ignoti, tra cui lastre di eternit, che si provvederà a rimuovere come già avvenuto nel passato. Di ciò sono state sempre informate le competenti autorità”. Sopralluoghi e ronde saltuarie si sono rivelati inutili. Qualche volta – è accaduto nel 2011 – sono stati arrestati in flagranza di reato due ladri. Tutto lì, in 17 anni. Un ex militare, che ha chiesto di restare anonimo, avanza un’ipotesi: “Appena dopo la chiusura, tra militari o civili, qualcuno ha dato le giuste indicazioni per agire indisturbati e asportare tutto il materiale che avesse un qualche valore. Un lavoro fatto con precisione e non improvvisato“. Ladri e rifiuti a parte, ci potrebbe essere un altro motivo di allarme ecologico, perché Proto non si esaurisce con i suoi cinque blocchi. In un angolo c’è un ascensore idraulico, bloccato al piano inferiore. Se lo si rimettesse in funzione, quale vaso di Pandora si aprirebbe? Nessuno ha mai violato la zona, il rischio è di aprire una sacca di aria velenosa: in circostanze simili, altrove si è dovuta constatare la contaminazione da radeon. Per Proto, si possono soltanto incrociare le dita e chiedere accertamenti. E una nuova, vera bonifica. Sul futuro della base, la Marina Militare spiega: “Da tempo lo Stato Maggiore della Marina ha dichiarato il non interesse operativo sul compendio esprimendo, nel contempo, parere favorevole alla dismissione definitiva del sedime. Anche lo Stato Maggiore della Difesa, a seguito della richiesta formulata dalla Marina, ha comunicato il nulla contro alla dismissione dell’area in parola, non rivestendo più la stessa alcun interesse per la Difesa. Attualmente è in corso la procedura per la riconsegna all’Agenzia del Demanio“. Quanti anni ci vorranno perché questo passaggio avvenga? E chi prenderà veramente in carico l’ex base? La riqualificherà e, in caso affermativo, come? Tante domande, nessuna risposta. Intanto, dopo i ladri e i saccheggiatori, a Proto sono arrivati i canari. In uno dei primi sopralluoghi a questo malconcio residuato della guerra fredda, mentre ci arrampichiamo sulla montagna dal lato di Sessa Aurunca, notiamo un canile. Non ci fermiamo, perché la nostra meta è la torretta più a nord. Una torretta fondamentale, poiché ha una struttura da bunker, probabilmente collegata alla base stessa. I limiti della base non sono conosciuti. Mappare le torrette, quelle esterne e quelle collegate a Proto, aiuterebbe a farsi un’idea un po’ meno vaga di una struttura di cui nessuno fornisce una mappa precisa. Mentre stiamo per superare il canile, un rottweiler legato alla catena ci ringhia contro. Allarmati, ci accorgiamo che i cancelli sono stati chiusi con lamiera e filo spinato, e che qualcuno ha preso possesso della torretta e del suo bunker. I contadini non usano i rottweiler. Chi usa la base oggi? A quali scopi? Alla Marina Militare rispondono che indagheranno, e che hanno informato le autorità. Qualche giorno dopo i carabinieri, durante un sopralluogo, denunciano quattro persone per maltrattamento di animali. Il canile era ovviamente abusivo, e i proprietari utilizzavano anche la torretta per tenerci i rottweiler. Se allevassero i cani per rivenderli o, ipotesi che gli inquirenti hanno fatto, li addestrassero per destinarli ai combattimenti clandestini, che alimentano un forte giro di scommesse, non è ancora stato accertato. I rottweiler sono l’ultima tappa di questa dismissione non troppo gloriosa. In tanti anni e altrettanti saccheggi, sono stati asportati nastri ottici, libri, manuali, suppellettili, materiale militare: potevano contenere indizi per i grandi misteri italiani? Improbabile. “Ognuno di noi aveva un Nos, nulla osta di sicurezza. Ho lavorato per un anno nella base. Si perdeva la cognizione del tempo”, un’altra fonte militare ci racconta la vita quotidiana nella base. “Avevamo una scheda perforata per accedere alle diverse zone della base. Solo una volta sono entrato nella sala Raoc. Non avrei dovuto, e sono stato rimproverato. Mi ricordo che ho visto plexiglas su cui scrivevano e muovevano navi e aerei, facevano esercitazioni. Tutto era controllato e sorvegliato, anche se non c’erano testate atomiche come è stato detto. Eravamo completamente indipendenti per acqua ed elettricità, dovevamo poter affrontare una guerra atomica. Foto? Neanche una, la segretezza era massima. Quanto era controllato il tutto? Pensa che di fatto eravamo diventati un parco protetto. Mi spiego: gli animali si nascondevano nel nostro perimetro così i cacciatori non potevano ammazzarli, non ti dico quanti animali giravano intorno a noi”. Ora, attorno all’orecchio della Nato che ascoltava tutto da Gibilterra a Istanbul, anche gli animali sono scappati. Restano soltanto gli sciacalli e i ladri di ferraglia. Una proposta: e se la base, bonificata, diventasse un grande museo della guerra fredda? Desiderio scrivere alcune riflessioni dopo i tanti messaggi e rilanci che ha avuto il reportage, di cui invito alla lettura completa su Wired Italia di settembre. Il reportage porta alla luce un oggetto di cui tanto si è parlato, ma nulla si è mai visto pubblicamente. Non è stata la ricerca di uno scoop, ma piuttosto una riflessione su un territorio e le sue vicende. Tengo a specificare che il reportage NON è un invito a infiltrarsi nella base. Tantissime persone ci sono state, ladri e curiosi. Oggi la base versa in condizione disastrose, ma soprattutto pericolose, per inquinamento ambientale, per la sua posizione e per la corrosione dei materiali che rende il tutto pericolante. In questa ottica ho contattato la Marina Militare, che possiede la base e, quindi è bene ricordare che è territorio militare, con cui ho avuto il piacere di collaborare, e i comandi dei carabinieri locali, perché ci sia maggiore vigilanza sulla base, al fine di impedire che qualcuno improvvisi una scampagnata che può diventare problematica, se non si è attrezzati in maniera specifica per fare speleologia industriale. Colgo anche l’occasione per sottolineare la professionalità e la disponibilità della Marina Militare e la figura del Capitano di Fregata Maccaroni per il prezioso apporto nello svolgimento del reportage e tutto l’ufficio di relazioni con la stampa. Quindi è bene ribadire che il reportage non invita NESSUNO a introdursi nella base Nato, per la sua pericolosità e perché è sotto giurisdizione militare. Io e i miei colleghi, in quanto giornalisti, abbiamo accettato i rischi, perché è il nostro lavoro. Fatta questa precisazione, credo che il lavoro sulla base Nato Proto debba essere un lavoro di ricostruzione storica. Raccogliere elementi per comprendere il suo ruolo sul territorio, il suo profondo velo di segretezza, che ha resistito anche dopo la sua dismissione, ma soprattutto il suo ruolo in importanti inchieste italiane, come quella di Ustica. Il Proto controllava tutto il Mediterraneo. Perché non è mai stato chiamato in causa sulla questione Ustica, o in merito al MIG libico caduto in Calabria. Perché la sua presenza è totalmente assente da qualsiasi inchiesta pubblica? Ovviamente era una base segreta, ma quando ci sono tragedie come quelle appena citate, il segreto militare dovrebbe farsi da parte per dare risposte ai parenti delle vittime, che chiedono  semplicemente giustizia. Detto questo, va anche puntualizzato come una base cosi tecnologicamente avanzata insisteva su un territorio povero e arretrato, altro punto di riflessione, ma sicuramente il Proto ha aiutato l’economia locale. Ulteriore punto, come si relazionava la criminalità organizzata di zona, con questa immensa base? E perché la capacità di ascolto, assolutamente fantascientifica per certi versi, non è stata data in aiuto alle forze dell’ordine sempre in merito alla criminalità organizzata? Ovvia la risposta, quelli militari e i carabinieri, pure! Si combatteva il grande male sovietico e si moriva per le strade vicine. Contraddizioni, provocazioni, riflessioni. Invito chi ha materiali, approfondimenti a contattarmi e inviarli a sergionazzaro.com@gmail.com così, con un lavoro corale, ricostruire un pezzo di territorio (Mondragone, Sessa Aurunca, Falciano, Carinola, Casanova) che sempre dimenticato dalle cronache, scopriamo essere sempre al centro della storia. In fin dei conti ospitavamo la base antiatomica del Comando Sud Europa, non una piccola storia. Grazie per la vostra lettura. Le foto di Sergio Nazzaro durante la lavorazione del reportage con il fotografo Massimo Mastrorillo (World Press Photo 2005)

 

DELIBERATO DALLA PROVINCIA IL CONTRIBUTO PER IL RIPRISTINO DELLA BATTERIA D’ARTIGLIERIA COMPET - BUSA GRANDA

Dalla newsletter Trentinograndeguerra del 17 settembre 2013

 

La postazione d’artiglieria in località Busa Granda nel piccolo comune di Vignola Falesina si trova su un’altura da cui era possibile controllare la sottostante Valsugana, possibile via d’accesso per l’esercito italiano a Trento.
Si trattava di una batteria scavata in caverna e armata esternamente con mitragliatrici; l’accesso alla postazione dalle trincee di collegamento era garantito da un pozzo. Dopo il disarmo del vicino Forte Colle delle Benne le cupole corazzate vennero istallate sulla copertura del Busa Granda, che per questo assunse la dicitura impropria di “forte”. In realtà la postazione è riconducibile a quella serie di opere campali realizzate nei dintorni di Trento a controllo e difesa delle principali vie di comunicazione, che non vennero però coinvolte direttamente nelle vicende belliche.
I lavori riguarderanno il ripristino e la valorizzazione del sito, con la messa in sicurezza e il consolidamento dei locali e delle gallerie presenti. Prevista anche la sistemazione di una baracca da utilizzare per scopi didattici e la predisposizione di aree di sosta, con punti informativi. L'intervento di recupero è stato avviato dal Comune di Vignola Falesina in collaborazione con la Soprintendenza ai beni architettonici e archeologici della Provincia autonoma di Trento.

 

Una guida turistica virtuale per valorizzare i forti storici

Da La Nuova Venezia - 06 settembre 2013 —   pagina 30   sezione: Nazionale

CAVALLINO «Un pezzo del passato del litorale legato alle due Guerre potrà dare nuovo appeal e attrattive per il turismo del futuro attraverso una rete museale dei forti storici e guide virtuali scaricabili sui cellulari». Politica, operatori culturali e turistici di Cavallino- Treporti convergono verso questo ambizioso obiettivo, soprattutto in vista del Centenario della Grande Guerra, che prevede tra il 2015 e il 2018 cospicui finanziamenti europei ed iniziative per i siti a valenza storica della Regione. La località balneare è già pronta a farsi visitare mediante “Cavallino Time Travel”, app interattiva, da qualche giorno disponibile negli store digitali e scaricabile dai dispositivi Apple e Android in italiano, inglese, tedesco e danese. «Contiene», spiegano gli imprenditori Maurizio Vianello del Camping Ca’ Savio e Alessandro Cattel del Camping Mediterraneo, che hanno sostenuto l'iniziativa «una sezione con mappa interattiva che indica i principali campeggi e strutture turistiche, oltre a permettere di visitare virtualmente i luoghi della Grande Guerra presenti nel litorale grazie alle tecnologie 3D ed alla realtà aumentata». Il tutto grazie a foto d’epoca, filmati, ricostruzioni virtuali sulla base delle attente ricerche storiche condotte in questi anni dallo studioso Furio Lazzarini, che ne ha curato i contenuti, e alla competenze tecnologiche di Dna Cultura, che ha prodotto questa app con Villaggio Globale International. «È uno step», spiega il sindaco Claudio Orazio, «di un progetto più generale, che ha fra i suoi obiettivi la valorizzazione del sistema di fortificazioni austriache e italiane della Grande Guerra, un complesso di forti, batterie e torri telemetriche del litorale tra cui il Forte Vecchio, le batterie Amalfi, Vettor Pisani e San Marco che ha pochi eguali per accessibilità e consistenza». Solo un mese fa infatti il Comune è riuscito, dopo 15 anni di trattative, a firmare con il Genio civile il verbale di presa in consegna per un anno della batteria Pisani, pagando un canone annuo di 2.500 euro. «Per questo fra ottobre e novembre», scandisce Orazio, « firmeremo un accordo per la gestione pluriennale della batteria Pisani con la possibilità di gestirla, con annessi gli spazi adiacenti, mettendola tutto in sicurezza e rendendola fruibile grazie alla collaborazione con associazioni e privati». Francesco Macaluso 

 

Forte ceduto entro l'anno

Da laltrogiornalevalpolicella.com

Un altro traguardo storico e di estrema importanza si appresta a concludere l’Amministrazione comunale di Sant’Anna d’Alfaedo capeggiata dal sindaco Valentino Marconi: la cessione gratuita del Forte Monte Tesoro. «È un obiettivo che stavamo rincorrendo da parecchio tempo, possiamo dire anni, afferma il Sindaco Marconi, e a dir la verità vi è stato un periodo in cui le cose sembravano ormai arenate su una strada senza sbocco. Poi addirittura qualche anno fa la notizia che il Forte era stato messo all’asta ci aveva fatto tremare con il pensiero che qualche grosso imprenditore potesse acquisirlo e trasformarlo in chissà cosa». Ora invece le cose sono cambiate grazie anche alla legge 5 del 2009, detta del “federalismo demaniale”, che ha consentito l’attribuzione a titolo gratuito anche ai comuni del patrimonio del demanio. «E’ stato un percorso non certo facile, quello che ci ha portato a vedere ora così vicina la realizzazione di un punto importante del nostro programma, a nostro avviso strategico per lo sviluppo turistico e ricettivo del nostro comune» afferma ancora il Sindaco. La cessione del Forte avverrà entro l’autunno attraverso la firma di un accordo di Valorizzazione tra l’Agenzia del Demanio, il Ministero dei Beni e delle attività culturali e appunto il Comune di Sant’Anna. Tale accordo recepisce quelli che sono gli obiettivi generali di tutela e di valorizzazione culturale del Forte, fissandone le modalità e i tempi di realizzazione. Il Comune in concerto e con il sostegno di altri enti pubblici ma con possibilità di intervento anche di soggetti privati, si impegna a garantire la fruizione pubblica del Forte mediante il recupero ambientale e naturalistico dell’area e il recupero funzionale dei fabbricati esistenti e degli immobili storici. L’Amministrazione sta già pensando ad una serata, di cui verrà data comunicazione, in cui l’Architetto Fiorenzo Meneghelli, esperto in materia e incaricato dal Comune a predisporre tutti gli incartamenti al fine dell’acquisizione, illustrerà la storia, l’utilizzo e le caratteristiche di questo Forte militare così sconosciuto anche a tanti cittadini di Sant’Anna. Ora il Comune sta predisponendo la pulizia della strada d’accesso che dopo vari anni di abbandono è stata invasa dalla vegetazione. Tale operazione consentirà ai tecnici di poter accedere facilmente al complesso del Forte per i rilievi e l’accatastamento e inoltre permetterà un controllo maggiore.

 

La scoperta sotto monte Settepani? Tutti sapevano, ma per le  bombe di Savona un segreto spaventosamente grande.

Da trucioli.it - 5 settembre 2013

Adesso si scopre che lo sapevano tutti. Che i cunicoli e il bunker antiatomico trovati a metà agosto da Savona Sotterranea Segreta di Claudio Arena. Sotto il monte Settepani non erano un segreto per nessuno, che qualche anziano della zona aveva a suo tempo contribuito a costruirli, che i militari italiani di stanza presso la base ne erano perfettamente al corrente. I passaggi segreti, lo diciamo subito, sono sotto la base dell’Aeronautica Militare che fungeva da ponte radio in collegamento con il Centro Operativo di Milano e (almeno alla luce degli scavi finora effettuati) non hanno nulla a che fare con la stazione del 509° Signal Battalion USA sul vicino colle del Melogno, in funzione dal ’62 al ’92 e oggi completamente abbandonata.

Le gallerie rinvenute dagli speleologi facevano parte di un punto di difesa antiatomico e la stanza principale (200 metri quadrati d’estensione per undici d’altezza) doveva rappresentare il centro operativo del sistema sotterraneo: un progetto militare italiano, quindi, probabilmente legato ad un utilizzo diverso rispetto a quello che poi divenne un semplice teleposto (ancora oggi in funzione) dell’Aeronautica Militare. Tutto vero, ma se la scoperta di Claudio Arena e Gianmario Grasso ha contribuito a risolvere un mistero il lavoro dei due speleologi può aver contribuito, contemporaneamente, a crearne qualcun altro, ed uno di questi riguarda le bombe di Savona.
Sì, perchè una delle tante piste ipotizzate per spiegare il mistero delle dodici esplosioni che tra il 30 aprile del ’74 e il 26 giugno ’75 colpirono Savona e il circondario porta dritto al colle del Melogno e alla base USA che ufficialmente doveva servire a pilotare la traiettoria dei missili NATO fino al bersaglio e a creare barriere elettroniche per “confondere” i vettori avversari.

La storia nasce nel gennaio del ’75 quando Defense Nationale (un periodico che costituisce l’organo semiufficiale del Ministero della Difesa francese) in un articolo sulle installazioni del Patto Atlantico scrive che l’Italia ospita un importante dispositivo alleato, consistente innanzitutto “de la base du missiles américaine du Pian dei Corsi”. Sembra un inciso senza importanza, ma dodici mesi dopo la frase è ripresa da una rivista italiana specializzata in affari militari, Maquis, che subito dopo si pone una domanda: se la presenza di vettori militari sopra Finale Ligure è data per certa da una rivista così autorevole, è possibile che le voci circolanti tra gli abitanti del luogo (elicotteri che di notte facevano la spola tra le navi alla fonda nella rada, camion “inghiottiti” misteriosamente dalla terra nei pressi della base) non siano solo leggende?

In altre parole, che sotto la base vi siano davvero dei missili, controllati esclusivamente dagli USA? I redattori di Maquis considerano l’ipotesi verosimile.

Ma, sempre secondo Maquis, se la base missilistica esiste intorno ad essa deve esssere in attività una struttura locale dei servizi d’informazione militari americani, insediata e mascherata con la massima cura, con il compito di fornire tutte le informazioni utili alla difesa del centro da qualsiasi genere di pericolo, infiltrazione, sabotaggio. Quindi, è plausibile pensare che tale struttura sapesse qualcosa delle bombe scoppiate a 20 chilometri dalla base, e questo spiegherebbe anche perché, nonostante lavigilanza dei savonesi, nessuno abbia mai trovato il minimo indizio per spiegare l’origine e magari gli autori degli attentati: “Non soltanto – riporta sempre Maquis – nella serie di attentati non è mai stato operato alcun arresto nè è mai stato identificato alcun sospetto, ma non si è neppure mai ottenuto un indizio sui movimenti degli attentatori”.
Ma, secondo il periodico militare, c’è di più: nel periodo più caldo della strategia della tensione, tra marzo e dicembre ’74, la NATO avrebbe infatti deciso di attuare in Italia il “Piano di sopravvivenza“: in pratica, il programma di un golpe per fronteggiare con ogni mezzo l’avanzata del PCI. A questo punto, sarebbero entrate in gioco le bombe di Savona: un test, effettuato in una città dalla solida tradizione partigiana e distante 20 chilometri in linea d’aria dalla base, per vedere come la popolazione avrebbe reagito di fronte ad un attacco indiscriminato: “Se la base c’è, inevitabilmente l’ipotesi di vedere un numero indefinito di missili atomici finire nelle mani dei partigiani deve essere comparsa sui tavoli degli Stati maggiori americani come una eventualità terrificante” riporta Maquis, e allora: “Se c’erano degli osservatori a Savona nel novembre 1974, essi hanno riempito di annotazioni molti taccuini”.
Non sappiamo se e quanto l’ipotesi sia verosimile, ma il punto di partenza sarebbe in ogni caso costituito dalla presenza di missili americani, atomici o meno, sulle alture del Melogno. A questo proposito, alcune coincidenze fanno pensare. Qualcuno dei frequentatori di Facebook (dove la notizia del ritrovamento dei cunicoli è comparsa) ha ricordato che nel ’92, mentre la base era in via di smantellamento, Finale Ligure fu scossa da alcuni terremoti molto localizzati e con epicentro proprio sul Melogno e si è chiesto, sia pure per negare l’ipotesi, se tra i due fatti vi era qualche connessione.
Ancora: è certamente inusuale che sia stata costruito e mantenuto un bunker antiatomico in zone a bassissima densità abitativa (il Melogno e il monte Settepani) e sotto una base (quella dell’Aeronautica Militare italiana) che doveva servire come semplice ponte radio. E, sebbene gli speleologi savonesi escludano che le gallerie trovate sotto il monte Settepani siano in collegamento con la base del Melogno nessuno, a nostra conoscenza, ha ancora esplorato seriamente e accuratamente i sotterranei del centro NATO, nonostante esso faccia ormai parte del demanio civile.

Freedom of Information Act, la U.S. Army ha negato di avere nei propri archivi alcun documento che possa far ipotizzare un collegamento, diretto o indiretto, tra le basi di monte Settepani (dove l’aviazione USA collaborava con quella italiana) o del Melogno e le bombe di Savona ma la CIA, posta di fronte alla stessa richiesta, si è rifiutata di fornire qualsiasi indicazione perchè le relative informazioni sono classificate “di sicurezza nazionale“: il fatto stesso di ammettere l’esistenza di documenti riguardanti le bombe di Savona, insomma, svelerebbe notizie estremamente riservate e che potrebbero coinvolgere l’amministrazione americana. In pratica, l’agenzia statunitense rifiuta di rivelare se nel ’74 a Savona vi erano uomini della CIA che osservavano la situazione, il che è quantomeno singolare.
Insomma: il mistero rimane. Ma, almeno su un punto, anche il ben informato Maquis sbagliava: non è vero che sulle bombe di Savona nessuno abbia mai trovato niente. E, allora, la mancanza di un epilogo conosciuto deve trovare altre spiegazioni: quelle che fanno delle bombe savonesi un segreto “spaventosamente grande” e, proprio per questo, finora mai esplorato da nessuno. Un segreto dove s’incrociano i servizi segreti, i colpi di Stato annunciati o minacciati, gli arresti eccellenti, la CIA, le Gladio… Altro che storia di paese.

Massimo Macciò

 

Bunker un progetto per valorizzarli

Dal sito www.romagnanoi.it  - 4 settembre 2013

RAVENNA - Sono una delle testimonianze più evidenti della Seconda Guerra Mondiale ma non vengono sfruttate in nessun modo. Ma qualcuno che sogna di sfruttare i bunker per farne un percorso naturalistico c’è: è Loris Bertazzini, architetto ed ex assessore del Comune di Alfonsine, che vede in quei residui bellici qualcosa di più di una testimonianza. Sulla costa, tra Marina di Ravenna e Punta, i bunker antiaerei si trovano nelle aree della pineta, sia quelle interne sia a ridosso degli stradelli retrodunali. A Punta, poi, ci sono anche i “denti di drago” che servivano per fermare gli sbarchi dei carri armati. Bertazzini considera una “argomento molto importante quello riferito al risanamento e recupero della pineta e dei bunker”, per questo ha presentato un’idea, inviata anche al sindaco Fabrizio Matteucci. 

Si partirebbe necessariamente dalla stipula di un protocollo di intesa tra Comune, Demanio Forestale e Demanio Militare. Quest’ultimo, in particolare, è l’ente fondamentale per eseguire una mappatura e un censimento dei vari bunker: “Senza di esso - spiega Bertazzini - non è possibile entrare e controllare lo stato dei vari manufatti”. Ma l’accordo dovrà anche  avere il fine di “utilizzare con finalità pubbliche la bretella della pineta che  da Punta Marina Terme arriva fino a Marina di Ravenna creando una pista ciclopedonale che ha lo scopo di mettere in sicurezza i ciclisti e pedoni che da Punta Marina  vogliono andare verso Nord senza dover pedalare sull’asfalto pericoloso del lungomare”. E i bunker? Diventerebbero “stazioni didattiche”. La pista, spiega Bertazzini nel suo progetto, sarà ottenuta tramite la pulizia del sottobosco che “manterrà l’attuale assetto tipo-morfologico del terreno” e sarà “illuminata da fonti di luce provenienti da terra” ed oltre a collegare le due località con gli stabilimenti balneari sarà costellata dalle “ Stazioni Didattiche”. I bunker dovranno quindi essere forniti di cartelli turistici informativi dopo essere stati puliti e restaurati senza alterarne la consistenza storica. Nell’iniziativa, prosegue Bertazzini, potrebbe essere coinvolta anche la Cooperativa Spiaggia. 
 

In fondo “questo è un percorso ambientale-turistico connotato da  spiccate finalità  didattiche-conoscitive  da mettere a disposizione dei turisti, dei residenti, dei ravennati e delle scolaresche che avranno la possibilità di vedere e toccare con mano i residui storici e le testimonianze  di un periodo funesto della civiltà del mondo”.  Dal punto di vista militare, Marina di Ravenna e Punta Marina hanno avuto un ruolo importante nelle due guerre mondiali. A Marina ci fu il primo attacco all’Italia nel primo conflitto, il 24 maggio del 1915. A Punta, nel 1944, gli inglesi piazzarono a Punta un aeroporto militare provvisorio. Riscoprire i bunker potrebbe essere l’occasione per far conoscere i pezzi della storia del Ventesimo secolo ai ravennati. di Alessandro Montanari

 

 

Svizzera, un centro d'accoglienza in un bunker sotterraneo

Dal sito www.tmnews.it - 4 settembre 2013

Realp (Svizzera), (TMNews) - Tra le maestose montagne svizzere, a 1.700 metri di altezza, un bunker militare sotterraneo è stato trasformato temporaneamente in un centro di accoglienza per ospitare chi chiede asilo in Svizzera. Alcune centinaia di stranieri, per lo più africani, vive in questa verde vallata insieme a i 160 abitanti del villaggio di Realp.I turisti che passano da qui con il celebre treno a vapore che si inerpica sulle montagne svizzera mai si immmaginerebbero uno scenario del genere proprio sotto di loro, dentro la montagna. "Forse un posto del genere può far pensare a cattive condizoni abitative ma in realtà qui stanno tutti bene e hanno ogni genere di servizio di base, dalle docce alla tv", assicura il direttore del centro d'accoglienza, Andreas Jaross, che per 18 anni ha lavorato alla Croce Rossa Internazionale.Dalla primavera araba le ondate di migranti si sono moltiplicate: sono state circa 30mila le domande d'asilo a Berna nel 2012. La confederazione elvetica è quindi in cerca di nuove sistemazioni e in questo fa spesso ricorso alle aree militari. "Non sono prigionieri - sottolinea Jaross - ma persone che chiedono asilo e come tali sono trattate. Le grate e i controlli in questo bunker servono per non far entrare estranei. Loro invece sono liberi di muoversi quando vogliono".

 

1915-1918 La guerra italo-austriaca. Le vicende e la memoria

Dal sito www.trentinograndeguerra.it 4 settembre 2013

Sala Campana ospita un’esposizione intitolata “La guerra italo-austriaca. le vicende e la memoria”. La prima sezione del percorso è dedicata alle vicende sul fronte italo-austriaco tra lo scoppio della guerra e l’armistizio; in mostra una selezione di uniformi e alcuni documenti quali il proclama di Vittorio Emanuele III con l’annuncio dell’ingresso in guerra dell’Italia, una targa confinaria tra l’Impero austro-ungarico e il Regno d’Italia, cimeli di prigionia. 
La seconda sezione è dedicata al tema della memoria della guerra e alla sua centralità nel discorso pubblico del nostro Paese. Uno spazio è dedicato alla costruzione dei monumenti ai caduti, ai sacrari militari e alla memoria degli irredentisti.
Il nuovo allestimento è parte del percorso dedicato alla Prima guerra mondiale che il Museo propone ai visitatori nel periodo in cui alcune sale sono interessate da lavori di restauro.

Informazioni
Museo Storico Italiano della Guerra - onlus
Via Castelbarco 7 Rovereto
tel 0464 438100
info@museodellaguerra.it
www.museodellaguerra.it

 

Forte Busa Granda, finanziato il restauro

VIGNOLA FALESINA La Soprintendenza ai beni architettonici e archeologici della Provincia ha concesso un contributo di 329.762 euro per i lavori di ripristino e restauro del forte in località Compet - Busa Granda, nel comune di Vignola Falesina, risalente alla Grande Guerra. Richiesto dall’amministrazione comunale, l’intervento rientra nel programma di iniziative di commemorazione dei 100 anni della Prima Guerra Mondiale che la Provincia, in raccordo con le varie istituzioni, prevede interventi di valorizzazione del patrimonio storico che riguarda appunto il conflitto mondiale, compreso il recupero di percorsi e manufatti militari. La fortificazione in questione era praticamente inespugnabile, scavata in caverna nella parete verticale, armata esternamente con mitragliatrici e vi si accedeva dalla trincea tramite un pozzo. Nel programma di interventi approvato con delibera dalla giunta provinciale nel marzo 2012, si faceva tra l’altro esplicito riferimento alla volontà di recuperare le vestigia della Prima Guerra mondiale, con riferimento particolare a forti, fortificazioni, manufatti militari. Il sindaco di Vignola Falesina, Matteo Anderle, aveva chiesto l'ammissione ai benefici previsti per i lavori di ripristino e restauro del forte in località Busa Granda, i cui lavori riguardano il ripristino e la valorizzazione del forte con ripulitura del terreno, delle coste lastricate e dei resti di murature attorno al forte, la messa in sicurezza e consolidamento del percorso interno formato di locali e gallerie, ciascuna delle quali fa capo ad una sala con funzioni diverse, senza alterare l'originaria configurazione. E' poi previsto anche il recupero di una baracca a scopi didattici, con tecniche costruttive originarie, mentre i resti delle altre baracche verranno consolidati, assieme alla riparazione delle lesioni presenti nelle murature verticali e sulle volte, la realizzazione dell’impianto elettrico, la posa di parapetti metallici, la costruzione di aree di sosta, con punti informativi di supporto, i servizi igienici, l’ufficio informativo, l’installazione di pannelli fotovoltaici. Tutte le passerelle recinzioni e parapetti saranno in ferro come i materiali usati per il manufatto militare. Un cavidotto interrato porterà la linea elettrica dalla località Compet fino al forte. (f.v.)

 

Terre del Mincio, ventuno eventi da sabato a novembre

Al via sabato il secondo calendario di escursioni, incontri, eventi e degustazioni per fare conoscere ed utilizzare le nuove opere di riqualificazione del territorio e dell'ambiente, compiute dalla maxi rete di enti all'interno del progetto europeo “Terre del Mincio”. Da agosto fino a novembre (alcune date di dicembre sono in allestimento) si susseguiranno 21 escursioni ed appuntamenti, tutti completamente gratuiti, recuperando alcune tappe annullate a causa della pioggia nella prima tornata di incontri della primavera scorsa, proponendo location suggestive dove i cantieri si sono conclusi proprio in queste ultime settimane. Si parte sabato con un percorso a piedi nella riserva naturale di Castellaro Lagusello, in concomitanza con la festa internazionale degli artisti di strada. Il giorno successivo sarà la volta dei “Borghi dell'Eden”, immergendosi nei panorami naturalistici a bordo della bicicletta da Mantova a Rivalta, usufruendo della nuova ciclabile che porta a Grazie, avvalendosi inoltre di una guida. Il programma è stato presentato ieri mattina al Parco del Mincio dal presidente Maurizio Pellizzer, insieme a Gloria De Vincenzi addetta alle comunicazioni ed alla direttrice Cinzia De Simone, alla presenza del vice sindaco di Goito, Matteo Biancardi e dell'assessore alla Cultura di Volta Mantovana, Giuseppe Basso. «Si è voluto raccontare in ogni territorio il contesto in cui paesaggio, storia, arte e cultura si congiungono – ha affermato Pellizzer –. Il Parco del Mincio è ricco di specificità ed è importante che venga vissuto». Non solo escursioni, ma anche studi finalizzati alla promozione del territorio. Sarà infatti l'architetto Claudia Bonora, mercoledì 11 settembre, ad illustrare i quattro itinerari tematici “Il Mincio e la guerra”, attraversando i luoghi anche sul filo della storia. Una dimostrazione di questa nuova chiave di turismo culturale si potrà avere nella sede del Parco, alla presenza della stessa Bonora, che mostrerà mappe antiche. Al termine dell'incontro si terrà un piccolo tour guidato alle fortificazioni di Cittadella: da Porta Giulia alla polveriera. Sempre al Parco, il 18 settembre, verrà proiettato il filmato realizzato da Gino Cammarota, documentarista di Geo&Geo, promuovendo il territorio tra il Garda e il Po, impiegando 6 telecamere (oltre ad una subacquea), salendo addirittura sulla cupola di Sant'Andrea. Il programma è disponibile sul sito www.parcodelmincio.it e alle Iat. Gli itinerari di primavera hanno catalizzato l'interesse di oltre mille persone, il 27% delle quali provenienti da fuori provincia e Regione. Graziella Scavazza

 

Emozioni dalla Base Americana 046: ricordi e immagini dei militari che vi hanno vissuto

Da savonanews.it del 25 agosto 2013

Dopo aver raccontato in esclusiva le vicende che il Gruppo Savona Sotterranea e Segreta che ha portato alla ribalta con la divulgazione di questo importante camminamento militare sotterraneo, risalente al periodo della guerra fredda; ma anche dopo avervi raccontato del progetto e aspetti tecnici denominati “Scatter” della base americana, non poteva mancare anche un ricordo dei molti militari che hanno vissuto anni della loro vita nella nostra provincia.

Così il gruppo di ricercatori, e gestori della pagina facebook, Claudio Arena, Gianmario Grasso, Sergio Cosseria, Eleonora Milano non si sono fermati e continuano a cercare e indagare assiduamente, anche con la collaborazione di molte testimonianze dirette, o su qualsiasi frammento di vita e aspetto utili che ci possa far rivivere quegli anni di Base 046. Base 046, come il titolo di un film, ma anche oltre le leggende, riemergono fatti curiosi, testimonianze di momenti appassionanti. Durante i periodi passati alla base, ricordo la tanta neve che dovevano spalare. A parlare è uno dei militari che qui ha fatto servizio per alcuni anni. Molto spesso utilizzavamo il gatto delle nevi, che per certi aspetti era un bel diversivo, noidicevamo: andiamo a fare off-road ( ride ). Qui non avevamo molto per distrarci, una palestra, un bigliardino, e quando si poteva il più delle volte il ritrovo principale era il bar sotto sulla strada, dove si beveva un drink una birra e sentiva musica con gli amici militari. Un altro militare R.D. della US Army ora in congedo, anche lui ritornato nella sua patria, che scrive mail in privato al gruppo, racconta con molto piacere quegli anni:

Ho amato vivere in Finale Ligure, tutti i locali sono stati eccezionali. Ho imparato a parlare italiano ... grazie agli amici che ho conosciuto lì. Sono stato in Italia l'anno corso ( Milano, Pisa e Firenze ) e ho intenzione di ritornare il prossimo anno. Io amo il popolo italiano, Dio benedica voi e il nostro papa. Ho trascorso 2 1/2 anni al sito 046, 1967-1969. Tra le ricerche fatte dal gruppo, vogliamo anche ricordare un’altra bella storia, quella di Robert Gary C. che come molti, passò a far servizio alla 046 e nel tempo libero, non mancava di scendere sulla costa, tra il mare e i nostri vicoli. Ed è qui che per caso, mentre era in compagnia di un commilitone, vennero coinvolti piacevolmente a una partita di baseball. Era l’anno 1966 e probabilmente questi due americani, ci misero molto poco a farsi coinvolgere in questa partita, che per loro era molto di più del solito tempo libero. Infatti non ci volle molto, che con lo spirito e la passione, nacque la squadra degli Sharks, ma non solo, in poco tempo arrivarono in serie B e fu un bel successo per tutta Finale Ligure. Una storia molto appassionate da ricordare, come è giusto anche dire che questo soldato della Base 046, successivamente è stato ucciso nella collisione tra due elicotteri nel Vietnam del sud. Egli era un mitragliere elicotterista di stanza con la 123 ° Aviation Battalion, “divisione americana”,

La sua morte è avvenuta il 20 ottobre 1970. Robert si arruolò nell'esercito nel 1967, un anno in Vietnam 1968- 1969 e dopo una breve permanenza di servizio in Germania, tornò in Vietnam. Ha ricevuto la medaglia “Purple Heart” per una ferita subita nel 1968 e la Stella di Bronzo per eroismo nonché la “Air Medal” medaglia dell’aviazione. Le sue spoglie si trovano a Ritzville, come dichiarato dal portavoce- Review, Spokane WA, nel 29 ottobre 1970. Insomma un eroe, un ragazzo, un amico per molti e uno sportivo per alcuni; passo dalla base americana di Pian dei Corsi. Questi sono solo alcune dei ricordi e momenti che il gruppo Savona Segreta di facebook, sta con tanta passione studiando e raccogliendo, un collegamento con la memoria storica, non solo di cose manufatti e segreti. ma persone ed emozioni. Tra i ricordi, anche queste due immagini di 23 anni fa, che forse già qualcuno addetto ai lavori riconosce, le antenne radar della base e l’ interno della stazione di telecomunicazioni. Ci saranno altre novità nelle ricerche? Vige il silenzio, ma la sensazione è che tutto prometta bene.

 

Allarme, crollano le gallerie del Grappa

IL CASO. Nella “Madonnina” sono crollati i solai di legno e uno smottamento ne ha interdetto l'accesso principale Erano l'ultimo caposaldo contro l'offensiva austroungarica «Unico esempio di struttura portante della Grande guerra»
Da il Giornale di Vicenza - 18 agosto 2013
 

VICENZA. Nuovi e pesanti crolli hanno colpito la parte delle fortificazioni militari del Grappa ancora in attesa di ripristino definitivo, e scatta l'allarme per salvare un patrimonio storico unico al mondo. A essere colpita è la galleria della “Madonnina” dove, a causa del rigido inverno e delle continue infiltrazioni d'acqua, sono crollati solai lignei e rivestimenti originali, mentre un più cospicuo smottamento ne ha interdetto l'accesso principale. La “Madonnina” fa parte del più grande sistema difensivo denominato "Nocciolo del Grappa" posto sotto la cresta del monte sacro alla patria, che comprende anche la più famosa e accessibile "Galleria Vittorio Emanuele III". Progettate e costruite durante la Grande guerra nell'inverno 1917-18 dal tenente colonnello Nicolò Alberto Gavotti, furono l'ultimo caposaldo per bloccare l'offensiva austroungarica verso la pianura padana. La galleria della “Madonnina” prende corpo sotto il sacello della Madonna del Grappa: lunga circa 450 metri, comprende due batterie di artiglieria per cannoni da 75 mm, otto bocche da fuoco, un accesso dalle retrovie, e un'uscita campale sotterrata negli anni '30 a seguito dei lavori di costruzione del soprastante monumento ossario. A differenza della galleria Vittorio Emanuele III, completamente ristrutturata con nuove pavimentazioni e rivestimenti in calcestruzzo che ne hanno reso sicuro l'accesso ai visitatori ma al tempo stesso snaturato la conformazione originaria, la "Madonnina" presenta ancora strutture vergini, mai ritoccate né modificate, come muri a secco, impalcati e solai in legno di acero, e travature di sostegno. Per preservare questo patrimonio è nato il progetto denominato “Conca Bassano”, promosso dal Comune di Borso del Grappa, e redatto in anni di studi e ricerche da tre tecnici attivi nel territorio: i geometri Enrico Bissaro e Marco Meneghini e l'architetto Camillo Dal Bianco. Diviso in tre stralci indipendenti, il progetto ha l'obiettivo principale di tutelare il manufatto, poi di renderlo fruibile al pubblico, e collegarlo con i percorsi turistici già esistenti. Un ripristino generale che, dopo gli ultimi crolli e senza tempestivi interventi, potrebbe rimanere per sempre solo sulla carta..Francesca Cavedagna

 

Biondella, il forte ospita reperti bellici

L'ITINERARIO. Nel «werk» sulle Torricelle il museo della Grande guerra

Grazie alla Fondazione Ederle questa struttura è stata salvata dal degrado. Nella sua collezione tanti oggetti di vita quotidiana sul fronte del 1915-18

 

Da L'Arena - 4 agosto 2013

 

Forte Biondella, sulle Torricelle, conserva, oltre alla memoria degli Austriaci che lo costruirono nel 1838, quella della Grande Guerra. Grazie alla Fondazione Carlo Ederle, questo piccolo ma interessante museo è stato reso fruibile al pubblico. Andiamo a conoscerlo meglio con il presidente della fondazione, il dottor Andrea Ederle, al tenente colonnello Massimo Beccati, dottore in Scienze strategiche e perito di armi e munizioni, e all'avvocato Enrico Scognamillo cultore di temi storici.
IL FORTE, costruito su progetto di Franz Von Scholl, è di piccole dimensioni, collocato sull'altura denominata Biondella, allo scopo di coprire una lacuna difensiva sul versante orientale della collina, per impedire ad eventuali nemici provenienti da Vicenza di avvicinarsi non visti alla cinta magistrale. La struttura ha una pianta irregolare e, come gli altri forti del fronte collinare, risulta perfettamente adattato al profilo naturale in cui è inserito.
LA STRUTTURA è una delle poche ben tenute, grazie all'opera di volontariato della Fondazione Ederle, che ne cura anche lo sfalcio dell'erba ed evita l'intrusione dei vandali. Il fronte principale era verso est dove si nota ancora un ampio terrapieno a forma arrotondata. Tra esso e il forte c'è ancora il profondo fossato scavato alle origini, a protezione della struttura che era circondata anche da un fosso diamante più piccolo, ancora ben visibile, a ulteriore difesa della postazione.
L'INGRESSO principale era sul fronte di gola e sopra si legge ancora la numerazione asburgica, N XXIX. A sinistra si trova la casamatta con postazioni di fucileria, che costituiva il ridotto, l'alloggio per i soldati. Ci giriamo intorno seguendone il perimetro ammirando l'elegante fattura del muro secondo il disegno dell'opus poligonale, l'insieme di pietre tagliate e sistemate come un puzzle. Procedendo si scende nel fosso magistrale mentre sul lato del forte si aprono le cannoniere. Sul lato opposto si trova la cosiddetta controscarpa, parzialmente rivestita di pietra, che rivela una grande finezza costruttiva come per il forte. «Mio papà aveva comprato il forte dal demanio», spiega il dottor Ederle, «e nel 1964 venne istituita la fondazione».
COMPLETATO il giro nel fosso, da dove si nota la massiccia struttura del «werk», il forte, entriamo all'interno nel corpo principale. All'ingresso è sistemata una serie di disegni di divise austriache e una foto austriaca della costruzione del forte. Nel ridotto utilizzato come deposito per le polveri si notano le bocchette per la ventilazione per mantenerle asciutte. Un elegante corridoio circolare ci porta ad una stanza più ampia con foto di militari e le copertine originali della Domenica del Corriere dell'epoca della Grande Guerra.
I CIMELI BELLICI sono numerosi e raccontano tante storie, come le cucine da campo, le attrezzature per fornire i pasti ai soldati, alcune ancora perfettamente funzionanti, e poi gli elmetti, i ramponi per la neve, le gavette, le pale per scavare nel terreno, le borracce austriache e italiane, la barella, le maschere antigas, gli occhiali da ghiaccio, le racchette da neve, le mazze ferrate, le bombe a mano. Man mano che ci si sposta all'interno compare una storia che l'anno prossimo sarà centenaria. Ci sono anche due bombarde da 240 per spezzare i tratti di reticolato avvitato nel terreno e tanti strumenti di lavoro per le trincee.
A CARLO EDERLE è dedicato un piccolo sacrario con i suoi cimeli, in una stanzetta ricavata nel ridotto, con i suoi abiti militari, il suo ritratto e le motivazioni che gli valsero la medaglia d'oro al valor militare. Per chi fosse interessato alla visita del forte e del suo museo i recapiti della Fondazione sono 045.8408395, e-mail: fondazionemedagliadorocarloederle@hotmail.it. Le visite alla Fondazione e al Museo vengono fatte su appuntamento.
Elena Cardinali

 

 

Sigonella diventa base strategica ecco le slides riservate della Nato

Da palermo.repubblica.it del 3 agosto 2013

Venti droni, nuovi di zecca, pronti a sfrecciare - e spiare - nei cieli dell'Isola. Un regalo della Nato alla base di Sigonella che trasformerà la Sicilia in una mega portaerei dei velivoli senza pilota. Dal quartier generale dell'Alleanza atlantica ecco le slides che documentano passo dopo passo il futuro prossimo della base siciliana. Documenti che anche se "unclassified", non classificati cioè tra quelli segreti, non potrebbero essere resi pubblici, che provano come la base entro il 2017 diventerà la più strategica testa di ponte italiana per le operazioni a stelle strisce nel continente africano, grazie anche a un rafforzamento di quasi mille soldati. 

Il progetto si chiama Ags (Alliance ground surveillance), un programma di difesa intelligente che, grazie ai "birds", i droni spia, permetterà agli americani di sorvegliare, fotografare e intercettare i movimenti del nemico nei paesi nordafricani, a un tiro di schioppo dai loro confini. E che farà di Sigonella una piattaforma sicura sulla quale appoggiarsi per introdursi in uno scenario nemico ed ottenere

le informazioni necessarie all'espansione o ad un eventuale attacco militare. "L'Ags  -  si legge nel documento  -permetterà ai paesi beneficiari di avere accesso ad informazioni, foto e video senza alcuna restrizione". "Un efficace sistema tecnologico  -  scrivono gli ufficiali  -  che garantirà all'Alleanza interventi militari simultanei in diverse aree geografiche". Un sistema nel quale il Muos, il super radar in costruzione a Niscemi, avrà un ru olo fondamentale. Le immagini parlano chiaro. Sigonella sarà collegata direttamente a due satelliti: l'Ufo, che dal 1993 dallo spazio offre un supporto radar a navi da guerra, sottomarini e caccia, e l'Inmarsat. I droni "siciliani", resistenti a lunghe distanze di volo anche fino a 20 chilometri dal suolo, comunicheranno con loro. Grazie a sensori radar incorporati "saranno in grado di intercettare oggetti fermi o in movimento". Le informazioni raccolte verranno quindi trasmesse in tempo reale nella base centrale Mos (Mission operation support), ubicata proprio a Sigonella e contemporaneamente a tutti i comandi dell'Alleanza. E i preparativi sono già iniziati. Secondi alcune fonti vicine alla base siciliana, da qualche mese nella grande stazione aeronavale della regione hanno già fatto il loro ingresso in gran segreto altre flotte di droni, Black Hawk che già Usa e Cia utilizzano nei maggiori scacchieri internazionali: Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, regione dei Grandi Laghi, Mali e Niger. A rivelare la presenza in Sicilia degli armamenti segreti è l'Osservatorio di Politica Internazionale, un progetto di collaborazione tra il CeSI (Centro Studi Internazionali), il Senato della Repubblica, la Camera dei Deputati e il Ministero degli Affari Esteri. "La presenza dei droni temporaneamente basati a Sigonella ha fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità americane il dispiegamento di questi determinati dispositivi qualora si presentassero delle situazioni di crisi nell'area nordafricana e del Sahel", scrivono nel rapporto gli studiosi dell'Osservatorio. "Ai tumulti della Primavera Araba che hanno portato alla caduta dei regimi di Tunisia, Egitto e Libia ha fatto seguito un deterioramento della situazione di sicurezza culminato nel sanguinoso attacco al consolato di Bengasi e nella recente crisi in Mali. In considerazione di tale situazione, la Difesa Italiana ha concesso un'autorizzazione temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani a Sigonella". Da qui l'importanza strategica di Sigonella, piattaforma per le operazioni di rapido intervento di corpi specializzati di marines in caso di crisi e conflitto. E ovviamente, come è stato sino ad oggi, trampolino di lancio per i velivoli di attacco (cacciabombardieri), first strike, sorveglianza, intelligence. Antonio Mazzeo, giornalista esperto di cose militari, parla di "rivoluzione che cambierà il volto della guerra per sempre". "Sigonella  -  dice Mazzeo  -  sarà la  capitale mondiale dei droni a disposizione delle forze armate Usa (Air Force, Navy) e della Nato". E poi ci sono i marines. Entro il 2015, giungeranno a Sigonella oltre 800 militari appartenenti ai paesi Nato che sostengono l'Ags. "Ovviamente  -  continua Mazzeo - con l'aumento del numero dei droni gli esperti ritengono possibile un lieve aumento del personale tecnico e dei contractor destinati al loro funzionamento e alla loro manutenzione". Dal 1996 ad oggi gli americani hanno speso oltre un miliardo di dollari sulle basi siciliane. Ma il progetto più ambito, il deus ex machina dietro le operazioni a stelle strisce nell'Isola è il Muos, il super radar a stelle strisce di Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Il sistema satellitare di telecomunicazione militare della Us Navy  -  spiegano fonti della Nato  -  potrebbe confluire nel sistema Ags, così come tutti gli altri satelliti sparsi in orbita.
 Nel pronunciamento dovuto alla battaglia legale aperta dalla Regione sul radar, poi rientrata per il parere positivo dell'Istituto superiore di Sanità, il Tar aveva posto l'accento anche sulla "pericolosità del radar per il traffico aereo dei tre aeroporti di Comiso, Sigonella e Catania". Da qualche anno ormai i piloti di stanza nell'Isola lamentano la presenza dei droni nei cieli siciliani che rallenterebbero le operazioni dei loro velivoli in fase di decoli e atterraggio. Ma la partita sul Muos non è ancora chiusa: gli attivisti contrari al radar annunciano battaglia e il nove agosto marceranno per ribadire ancora una volta il loro "no". E lo scontro si annuncia incandescente. In gioco c'è il futuro degli Stati Uniti nell'Isola. E a giudicare dai progetti, molto di più. di ALESSANDRO PUGLIA e LORENZO TONDO

 

 

La NATO lascia Nisida e riconsegna la base alla Marina

da analisidifesa.it del 1 agosto 2013

Dopo più di 40 anni, la NATO, ha oggi definitivamente restituito all’Italia, simbolicamente, le chiavi della base di Nisida che, al termine delle procedure amministrative per il reimpiego per esigenze nazionali, si prepara ad ospitare il nuovo Comando Logistico della Marina. Il capitano di vascello Giuseppe Perrini, Comandante del “Closure Party” dell’ex Comando Marittimo Alleato di Napoli, ha restituito l’installazione alla Marina Militare Italiana rappresentata dal capitano di vascello Clemente Costigliola, Comandante del Distaccamento Marina Militare di Napoli. La sigla del verbale di cessione della struttura è avvenuta nel corso della cerimonia, alla presenza dei rappresentanti della Guardia di Finanza, dell’Istituto Penale per minorenni di Napoli e della Sezione Velica dell’Accademia Aeronautica, tutti con sede a Nisida.

Dopo la disattivazione del Comando Marittimo Alleato avvenuta il 28 marzo scorso, la NATO ha costituito un team che, alle dipendenze del Comandante Perrini ed in collaborazione con il personale della Marina Militare, ha attuato le procedure tecnico-legali e amministrative previste dagli accordi tra la NATO e il Ministero della Difesa Italiana per la restituzione del sito. La base di Nisida ospiterà il Comando Logistico della Marina Militare (MARICOMLOG), istituito per accorpare le funzioni logistiche della Forza Armata, con lo scopo di ottimizzare le risorse economiche ed umane, nell’ambito della riorganizzazione dei Comandi della Marina Militare. Già dal mese di giugno, un Nucleo Iniziale di Formazione del personale della Marina Militare si è insediato nell’ex Quartier Generale NATO e sta lavorando per accogliere il MARICOMLOG il cui trasferimento da Roma avverrà nel prossimo mese di ottobre.

Fonte: Comunicato Marina Militare – Foto AGI

 

La Nato lascia Nisida per Northwood secondo il nuovo concetto strategico di Lisbona 2010 e riconsegna la base alla Marina Militare, che vi collocherà il MARICOMLOG 

da paolacasoli.com del 31 luglio 2013

Si è concluso formalmente oggi, 31 luglio, dopo la disattivazione del Comando Marittimo Alleato avvenuta il 28 marzo scorso, il quarantennio di presenza della NATO sull’Isola di Nisida, in provincia di Napoli. La cerimonia con cui la NATO ha restituito simbolicamente le chiavi della base alla Marina Militare Italiana ha incluso la sigla del verbale di cessione della struttura, avvenuta alla presenza dei rappresentanti della Guardia di Finanza, dell’Istituto penale per minorenni di Napoli e della Sezione velica dell’Accademia Aeronautica, tutti con sede a Nisida. Dopo più di 40 anni – la NATO è sull’isola dal 1972 – Nisida ospiterà, al termine delle procedure amministrative per il reimpiego per esigenze nazionali, il nuovo Comando Logistico della Marina. Il capitano di vascello Giuseppe Perrini, comandante del Closure Party dell’ex Comando Marittimo Alleato di Napoli, ha restituito l’installazione alla Marina Militare Italiana rappresentata dal capitano di vascello Clemente Costigliola, comandante del Distaccamento Marina Militare di Napoli. Dopo la disattivazione del Comando Marittimo Alleato avvenuta il 28 marzo scorso, la NATO ha costituito un team che, alle dipendenze del comandante Perrini, e in collaborazione con il personale della Marina Militare, ha attuato le procedure tecnico-legali e amministrative previste dagli accordi tra la NATO e il ministero della Difesa Italiana per la restituzione del sito. La base di Nisida ospiterà il Comando Logistico della Marina Militare (MARICOMLOG), istituito per accorpare le funzioni logistiche della Forza Armata, con lo scopo di ottimizzare le risorse economiche e umane nell’ambito della riorganizzazione dei comandi della Marina Militare.

Già dal mese di giugno, un nucleo iniziale di formazione del personale della Marina Militare si è insediato nell’ex quartier generale NATO e sta lavorando per accogliere il MARICOMLOG, il cui trasferimento da Roma avverrà nel prossimo mese di ottobre. Il trasferimento rientra nel processo di ristrutturazione delineato al summit NATO di Lisbona, nel 2010, quando il nuovo Concetto strategico ha stabilito la trasformazione dell’Alleanza Atlantica in termini di strutture e metodi di lavoro per la massimizzazione del risultato. La NATO si trasferisce ora a Northwood, in Inghilterra, mettendo fine a sessant’anni di presenza nel Mar Mediterraneo.

Fonti: Marina Militare, JFC Naples

Foto: JFC Naples

 

Datagate, a Cerveteri la megabase italiana di ascolto satellitare
Da terzobinario.it del 13 luglio 2013

Cerveteri sarebbe il centro di ascolto italiano di un sistema planetario di intercettazioni e spionaggio. A sostenerlo è un’inchiesta del settimanale Panorama che, assieme alla rivista di geopolitica “Look out”, ha dedicato un ampio dossier al tema della raccolta dati nello spionaggio e del programma messo in piedi dagli Stati Uniti per rubare informazioni dagli altri Stati, uno scandalo noto come “datagate”.
Il centro di ascolto e raccolta dati si trova nel grande campo militare sull’Aurelia, in cui da alcuni punti rialzati all’esterno delle lunghe mura è possibile scorgere gli enormi radar bianchi del centro. Attualmente è in costruzione anche un altro grande edificio, diacente a quello vecchio, visibile sempre dal Cavalcavia di via Fontana Morella.

Secondo l’articolo, a firma Luciano Tirinnanzi, “in Italia esiste effettivamente un “Grande Fratello” capace di ascoltare ogni comunicazione pubblica e privata e in grado di intercettare mail, fax, telefonia mobile e fissa: si chiama ECHELON”. E quel “Grande Fratello” si trova proprio a Cerveteri.

La struttura sarebbe parte del ben più ampio “programma d’intercettazione mondiale messo in piedi dagli Stati Uniti e dal Regno Unito già nel primo dopoguerra, che portò alla progressiva creazione di un sistema di respiro mondiale, basato su stazioni di ascolto posizionate in diversi angoli della terra, in grado di garantire un’adeguata copertura satellitare e l’ascolto di ogni parola scritta o pronunciata in tutto il globo”.
L’inchiesta ricorda l’importanza del programma Echelon, a cui il nostro Paese aderisce – sotto segreto di Stato – attraverso la base di ascolto di Cerveteri, dove una stazione orientabile collegata a numerosi satelliti spia USA può teoricamente intercettare le comunicazioni di qualsiasi cittadino. Ed Echelon è come un antenato del programma di sorveglianza PRISM degli Stati Uniti, gestito dalla National Security Agency (NSA), di cui si sta parlando molto in questi giorni. “La base di Cerveteri – riporta l’articolo – è gestita ovviamente da personale militare e le operazioni d’intercettazione sono coordinate dall’Aise, il servizio segreto di sicurezza esterna, ex SISMI. Qui lavorano almeno trecento persone, tra personale militare, civile e contrattisti, tra i quali soprattutto informatici e traduttori. Questi ultimi, in particolare, sono il fiore all’occhiello di ECHELON Italia e il fatto che una delle sezioni più sviluppate sia proprio il reparto traduzioni chiarisce gli scopi per i quali la base in provincia di Roma è predisposta: l’ascolto delle reti diplomatiche”.

“Cerveteri, infatti, è adibito a monitorare soprattutto le trasmissioni delle sedi diplomatiche estere grazie a sistemi crypto, ovvero sofisticati software crittografici e di decrittazione, programmati in funzione sia attiva sia difensiva. Scopo ultimo è, infatti, provvedere a intercettare conversazioni specifiche e accuratamente selezionate, a scopi politici. E non, come verrebbe da credere, a scopi archivistici per catalogare le conversazioni degli italiani. Oltre alle apparecchiature di ascolto, il centro ECHELON Italia riceve – questo sì – la massa di notizie provenienti dall’NSA riguardanti soprattutto il nostro Paese, per vagliarle e analizzarle”. Ecco dunque svelato, per chi ancora non lo sapesse, che cosa si nasconde dietro i lunghi muraglioni rossi che costeggiano l’Aurelia, via Fontana Morella e via Pizzo del Prete.

La funzione di tale sistema – spiega il settimanale – è bypassare le normali procedure d’intercettazione previste dalla legge italiana (il cui iter renderebbe l’intercettazione difficilmente fruibile), ma è altrettanto vero che nessuno nel nostro Paese – né Cerveteri né altri – ha come obiettivo intercettazioni di massa, né tantomeno i militari sono là per monitorare le conversazioni di ogni singolo cittadino. Proprio a Cerveteri sarebbero state intercettate le comunicazioni private di Yasser Arafat e le comunicazioni tra funzionari diplomatici e militari durante la guerra dei Balcani, e, su richiesta della Turchia, furono intercettati Abdullah Ocalan e numerosi altri leader del PKK. Così come l’Imam di Milano, Abu Omar. Insomma, senza saperlo, Cerveteri non è mai stata così internazionale

 

Tesi di laurea in: Scienze e Tecnologie Multimediali Universita' di Udine Sede di Pordenone

dal sito www.ssi-3d.it - 2 luglio 2013

Oggi 2 luglio 2013, davanti alla Commissione presieduta dal Preside della sede di Pordenone dell'Universita' di Udine, Prof. Gianluca Foresti, 

il Dott. Guglielmo Esposito (Presidente della Societa' Stereoscopica Italiana SSI-3D)

ha discusso la Tesi di Laurea in Scienze e Tecnologie Multimediali dal titolo:

Tecnologie per la visione stereoscopica a confronto

illustrando la storia della stereoscopia attraverso i mezzi di ripresa e di visione stereoscopica. Ad integrazione della tesi di laurea ha presentato il:

Personal 3D Monitor

Vedi tutto l'articolo su http://www.ssi-3d.it/site_pages/it/societa/index.html

 

Ruderi e servizi segreti: ecco le strutture militari

di Roberto Petretto ORISTANO Vecchi ruderi, campi incolti, ma anche qualche misteriosa struttura attiva, dove sono vietati “i rilievi fotografici e anche a vista”. Sono 23, in provincia, i beni che appartengono al Demanio militare. Alcuni noti, integrati nella realtà urbana. Altri, come il caso della caserma del Raggruppamento unità difesa, quasi sconosciuti. Nel censimento dei beni del demanio militare, pubblicato dalla Regione, delle strutture che sorgono nelle campagne di Siamaggiore, si sa veramente poco. Le strutture sono due: la caserma del Rud e la stazione radiogoniometrica. Il Rud è un apparato interforze del ministero della Difesa che si occupa di compiti di intelligence militare. La sede del Rud è a Roma, a Forte Braschi. Ma gran parte delle caserme e dei servizi vari si trovano in Sardegna. Il Rud ha compiti di controllo e di “ascolto” svolti dai servizi segreti militari, sui quali c’è una robusta cortina di protezione e silenzio. Persino la Regione non è riuscita a ottenere dettagli, tanto che le due strutture vengono descritte in modo molto sommario. La caserma del Rud è un “immobile recintato con un alto muro di cemento armato” che occupa un’area di oltre 25 mila metri quadri. Non si conosce l’ampiezza della superficie coperta e “da indagini presso il Comune di Siamaggiore, non si è riusciti a appurare l’esatto utilizzo del bene”.

La stazione radiogoniometrica occupa un’area di 14.575 metri quadrati (sconosciuta la superficie coperta), e, per quanto risulta alla Regione “l’immobile è attrezzato per le intercettazioni radio. Infatti per un ampissimo raggio non è possibile costruire alcunché se non viene acquisito il parere dell’esercito”. Non ci sono informazioni ufficiali: secondo alcuni le strutture non sono attive, mentre da altre informazioni risulta invece che lo siano, eccome. La caserma del Rud il 3 novembre 1978 venne assaltata da Barbagia Rossa. Poco si sa anche della caserma dell’esercito in viale Repubblica, se non che è perfettamente attiva. Secondo Wikipedia anche in questo caso si tratta di una struttura del Raggruppamento unità difesa. Di fronte ai giardini pubblici, dietro un alto muro che delimita un’area di 11 mila metri quadri, ci sono capannoni e edifici che coprono 2.750 metri quadri. Secondo le informazioni acquisite dalla Regione di tratta di ex magazzini di mobilitazione costiera dell’esercito, in uso al distaccamento del Genio militare del ministero della Difesa. L’elenco dei 23 immobili di proprietà del demanio militare che figura nel censimento della Regione comprende anche i fari: quello di capo San Marco, quello di Torregrande, quello di Capo Mannu. Quattro strutture si trovano in territorio di Abbasanta: l’ex caserma Diego Sini (8mila metri quadri coperti in un’area di 43 mila metri quadri) in uso al 10° reparto carabinieri, centro cinofilo della Sardegna e base degli elicotteri dei carabinieri; la sede del Centro di addestramento della polizia, che occupa un’area di oltre 51 mila metri quadri; l’ex deposito carburanti per la movimentazione costiera dell’esercito (che interesserebbero all’amministrazione comunale); l’ex magazzino dei materiali del Genio dell’esercito. Si sono poi una serie di immobili fatiscenti (gli ex magazzini di mobilitazione costiera a Bosa, una postazione dell’aeronautica a Monte Arci a Morgongiori, gli alloggi dell’ex carcere militare a Oristano), ma anche immobili di pregio come l’ex distretto militare del capoluogo. E poi l’ex poligono della zona industriale (un campo incolto, in pratica), l’ex aeroporto di Milis (restano solo tracce di alcune fortificazioni), il posto di comunicazione a Badde Urbara, una postazione dell’aeronautica a Monte Urtigu (Santu Lussurgiu), la sede dell’Associazione marinai d’Italia in via Solferino (in condizioni non proprio ottime), la vecchia torre di Punta San Giovanni, l’alloggio fanalisti e lo stabilimento balneare a Bosa, entrambi in buoni condizioni. Un patrimonio immobiliare affatto trascurabile.

 

50° Anniversario della fondazione della base radar di Jacotenente

Da laweb.tv del 17 giugno 2013

Nei giorni del 8 e 9 giugno 2013 sul promontorio garganico, presso il Distaccamento Aeronautico di Jacotenente si è festeggiato il il 50° Anniversario della fondazione della base radar, attualmente comandata dal Ten. Col. Antonio DI PAOLA.

Fondata nel 1963 la base Radar dell'Aeronautica Miltare, è un importante presidio strategico della difesa e il controllo dello spazio aereo nazionale. Impegnata in prima linea in tutte le crisi internazionali, dalla Guerra fredda alle ultime crisi avvenute nei Balcani, la base radar, a seguito dell'incontrovertibile mutamento degli scenari internazionali, con l'avvento delle nuove tecnologia, una decisiva trasformazione che non ha comunque compromesso il suo ruolo fondamentale. l'Aeronautica Militare di Jacotenente, oltre ai suoi primari compiti istituzionali, è un valido punto di riferimento per le comunità locali e per una serie di iniziative che vedono le positive sinergie militari e civili al servizio della comunità.

Da 6 anni il Distaccamento Aeronautico di Jacotenente è sede del campo estivo della Potezione Civile per la lotta degli Incendi boschivi sul Gargano, attivato di concerto con l'Aeronautica Militare dopo i tragici fatti di Peschici. Inoltre il personale dell'Aeronautica Militare si prodiga nel fornire il supporto alle istituzioni locali nell'organizzazione di diverse manifestazioni anche in collaborazione con il Parco Nazionale del Gargano. Alla manifestazione hanno partecipato estremamente coinvolti emotivamente, coloro che, militari e civili, hanno prestato servizio presso il presidio Aeronautico oltre a numerosi ospiti, autorità ed invitati.

All'interno del Distaccamento sono stati allestiti stands di promozione turistica con il patrocinio del Parco Nazionale del Gargano e la Coldiretti di Foggia, per esporre qualora non le già si conoscesse, tutte le bellezze paesaggistiche e le prelibatezze gastronomiche del Gargano e della regione Puglia.

Si è allestita una mostra di modellismo statico curata dal Gruppo Modellistico Ricerce Storiche Foggia e un percorso ippico a cura del Centro Ippico Sitizzo di Monte S.Angelo.

Durante le giornate di festeggiamento vi sono stati momenti quali il benvenuto da parte del comandante Distaccamento Aeronautico di Jacotenente Ten. Col. Antonio DI PAOLA che ha tenuto a ricordare anche i due Marò trattenuti a Delhi Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, l'intervento del comitato organizzatore, la visita alla 131° squadriglia (ex zona operativa 31° Gr.R.A.M. JACOTENENTE) per una breve visita alle attuali strutture, l'esibizione della banda musicale “ V. Nardini ”di Vico del Gargano, alzabandiera solenne sul piazzale dellebandiere, la deposizione della corona di alloro ai caduti e la santa messa celebrata dal cappellano militare.

 

 

«Al Fortino» menù e uniformi militari

NAGO Oggi a Nago sarà inaugurato "Al Fortino", l'ex "Terrazze della Luna" preso in gestione - dopo un lungo periodo di chiusura e varie aste deserte - da Walter Pilo, che va quindi ad aggiungere la "cura" di questo locale pubblico a quella dei due Moby Dick (a Torbole e a Riva). Dalle 18 alle 20 è in programma un aperitivo per tutti i presenti e dalle 20 cena su prenotazione (già col tutto esaurito). «Entriamo - spiega Pilo - in una struttura antica, che quest'anno ha 150 anni esatti e che fa parte del sistema delle fortificazioni dell'Alto Garda e più in generale del Trentino, candidato a essere patrimonio dell'Unesco. Per cui è un bene tutelato di cui abbiamo dovuto rispettare la struttura interna ed esterna, adattandoci noi a quella che è la storia del Fortino. E proprio in questo senso abbiamo cercato un'impostazione di tipo "militare" legata alla prima guerra mondiale: il personale lavorerà con una divisa che richiama un po' un'uniforme e tutto il menù seguirà - con l'adesione al progetto "Ta-Pum" del Cnr - un percorso che poi è quello del fronte della Grande Guerra, di cui l'anno prossimo viene celebrato il centenario. Anche tramite la scelta dei piatti e dei vini, dunque, si tenterà di raccontare e di recuperare una memoria, come ad esempio quella della bozza dell'armistizio prodotta nell'attuale cantina di Avio. Un'offerta credo originale e qualitativamente importante che penso possa incontrare l'interesse del pubblico, proprio perché si propone come alternativa alla ristorazione classica, con la scommessa di una tematizzazione strettamente legata alla storia». L'approccio si nota anche nel logo del locale, che all'interno della schematizzazione di una delle finestre presenta una stella alpina: «Un fiore caratteristico - dice il gestore - ma anche un simbolo condiviso da molte divisione militari austroungariche e alpine. Sempre nel rispetto della struttura, il forte è stato arredato con dei cimeli e con delle gigantografie (all'ingresso, quella dei due nonni del titolare: quello paterno, sardo, della Brigata Sassari, quello materno Kaiserjäger, messi uno di fronte all'altro, a testimonianza della divisione vissuta da molte famiglie della zona, ndr), in modo assolutamente "bipartisan". L'attività di enogastronomia si basa principalmente su due menù, che noi abbiamo chiamato quello dell'Alpino e quello del Kaiserjäger, con variazioni stagionali». Una sessantina i posti: «In verità sono pochini, però abbiamo un progetto e una promessa da parte del Comune, quella di fornirci per l'anno prossimo, una volta che sarà stato risolto il nodo del parcheggio per i pullman in paese, una terrazza-plateatico a sud con vista sul lago che - conclude Pilo - rappresenterebbe un valore aggiunto importantissimo». (m.cass.)


 

La mostra dentro il bunker

COOPERATIVA ITALIA BOLZANO www.taliabz.org 0471 502028 - 339 1003619 Da oggi presso il Rifugio antiaereo Hofer, in Via Fago a Bolzano, è visitabile la Mostra fotografica "Bunker: le fortificazioni del Vallo Alpino in Alto Adige, 1939-1989" dedicata al sistema di fortificazioni italiane progettate e in parte realizzate in Alto Adige dalla metà degli anni '30 al 1942 a protezione dei confini settentrionali. Si tratta di bunker e manufatti difensivi concepiti durante la Seconda Guerra Mondiale e ripristinati in parte nel contesto della Guerra Fredda. Il rifugio, interamente ricavato in galleria sul versante roccioso del Guncina, è il più ampio di Bolzano con un'estensione stimata in circa 4.500 m² . Orario: venerdì dalle 17.00 alle 19.00 e sabato dalle 14.30 alle 18.30. La mostra resta aperta fino al 31 agosto.

 

Mantova Creativa atto primo Espugnato il Forte di Pietole

 

Mantova Creativa è entrata nel vivo, tra mostre, incontri, performance, conferenze. E in città si è creato subito movimento, incontri, saluti. Fuori dai luoghi, tra cui molti negozi, i manifesti e la scopa targata MC.

. Il Forte di Pietole. Al Comune di Virgilio è stato presentato il libro "Forte di Pietole" (Publi Paolini), di Francesco Rondelli, un ingegnere esperto di architettura militare, che fin da bambino era affascinato dall'imponente opera napoleonica in cui si intrufolava. Ha ricostruito la storia, girando tra Parigi, Vienna, Roma e l'Archivio di Stato di Mantova, ma ha anche raccontato le vicende più recenti, dall'esplosione della polveriera quando il forte era utilizzato come deposito di munizioni al riparo che diede durante i bombardamenti in guerra. Un libro documentatissimo che è anche una guida turistica. Per far capire ai lettori come si compone il Forte, Giuglielmo Calciolari ha realizzato disegni che rendono, in modo tridimensionale, «la complessità del fortilizio, con i suoi camminamenti sotterranei». Il sindaco Alessandro Beduschi spiega che il Comune ha voluto questo libro, curato da Alessandra Demonte, come segno concreto della valorizzazione, “prezzo” della cessione da parte del Demanio.

Mantova Creativa da oggi a mezzogiorno occupa il Forte: una mostra fotografica di Gibelli, Molinari, Pescasio e Raimo, quella dei 5 cinque progetti (tra cui il teatro galleggiante) sulla riconquista del rapporto di Mantova con l'acqua che la circonda e il progetto di Giardino letterario virgiliano (Archiplan, Cisi e Gorni Silvestrini). Ci saranno mezzi storici dei Vigili del fuoco. Sono inoltre esposti i bozzetti del concorso Parco dell’Arte. Le 8 sculture selezionate resteranno ad arricchire la riva del lago di Mezzo, tra Sparafucile e Cittadella, dove verranno inaugurate domenica alle 10. Si potrà dunque visitare il Forte e ammirare le forme di land-art a cura di fioristi e florivivaisti: Sartorello, Bonini, Amadei, Angelotti, Alessia Malverdi. Ci sarà anche un laboratori di design floreale. La parte enogastronomica è protagonista. Al Forte di Pietole ci sono la melonaia e spazi per gustare il risotto, tradizionale e creativo (anche al melone), i bigoli con le sarde e poi biscotti con lo zafferano e la torta di san Biagio di Cavriana. Grazie a proloco di Virgilio, Consorzio del melone, Colline moreniche. A Pietole, domenica alle 18 verrà presentato il libro "Forte di Pietole" mentre domani alle 15 è atteso il regista Franco Piavoli con Slow Food e Gilberto Venturini.

Collana del gusto. L'aspetto del cibo come eccellenza mantovana, e momento di socialità, percorre tutta Mantova creativa, dove vanno per la maggiore gli aperitivi. Ieri mattina, è stata presentata la Collana del Gusto, un'iniziativa delle Regge dei Gonzaga, che ha già pubblicato una conferenza di Philippe Daverio a "Aperitivo in Corte" a Palazzo Te. Usciranno due volumi di Giancarlo Malacarne, uno sulla cucina nell’età gonzaghesca con i banchetti come azioni politiche e l’altro sulla cucina mantovana, come si è poi consolidata nelle famiglie ricche e povere negli ultimi due secoli. Stefano Patuzzi ne curerà un terzo sulla cucina della comunità ebraica. La presentazione, con aperitivo della Strada dei vini e dei sapori ha dato il via in città.

Idee per Moglia. Alla Casa del Mantegna è stato presentato il concorso per ripensare il centro di Moglia dopo il terremoto, lanciato da Mantova Creativa con Politecnico di Milano e l’Ordine degli architetti di Mantova presieduto da Sergio Cavalieri. “Reset, postcards from Mantova”, foto di aree mantovane abbandonate e in degrado, è un’altra iniziativa dell’Ordine nell’ex chiesa diSan Cristoforo, via Acerbi.

Edgarda Ferri da “1Stile” di Mara Pasetti, via Calvi 51, domani alle 17 rievocherà il terremoto, con la storia di Ada, conosciuta a Quistello, e della sua casa dei sogni perduta.

Autoproduttori. Nel chiostro di San Francesco all’università in via Scarsellini 2, il pubblico incontra gli Autoproduttori, designer che realizzano oggetti di arredamento, occhiali in legno, gioielli, abiti poltrone. C’è chi viene da Ferrara, Matera, Trieste.

Lac oggi alle 10.30 discuterà i progetti degli studenti del liceo artistico Romano esposti alla Galleria Lac-Spazio Mondini in via Bellalancia 2 (l’aperitivo Lac domani alle 20). Partecipa Flavio Albanese che oggi alle 17 terrà una conferenza a Palazzo Te, “Manutenzione pratica contemporanea”.

Ugo La Pietra da Corraini, in via Nievo 7, ieri è piaciuto con le sue “Attrezzature urbane per la collettività”: pali stradali, cassette dell’Enel e altri residui trasformati in letti, lampade, poltrone, portafiori. Dai disegni alla realizzazione pratica a Milano fine anni ’70. di M.Antonietta Filippini

 

Un libro sul Forte di Pietole

Il libro “Forte di pietole. Una macchina da guerra” di Francesco Rondelli (Publipaolini) è in vendita con la Gazzetta di Mantova in questi giorni e fino al 18 giugno a 12,80 euro più il prezzo del quotidiano. Un libro che ripercorre la storia e le funzioni di una costruzione meravigliosa e piena di fascino a due passi dalla città. Il forte di Pietole è una vasta struttura militare situata nel comune da Virgilio. L'opera, estesa su più di 300.000 metri quadrati di superficie, è stata costruita a partire dal 1802, periodo dell'occupazione francese del Mantovano, per tutto l'Ottocento. Impiegato dapprima come presidio difensivo per la protezione del lato sud della città di Mantova e successivamente come deposito di munizioni e materiale bellico, il forte è testimone di più di due secoli di storia e di una vocazione, quella militare, che il territorio mantovano ha ormai dimenticato nonostante abbia caratterizzato in modo strutturante il suo passato. Il valore del forte di Pietole si misura nelle proporzioni, nell'assoluta complessità e completezza della struttura articolata su vari livelli difensivi, nello stato di conservazione dell'opera, nell'ambiente naturale in cui è immerso, nella testimonianza storica per la partecipazione ai fatti d'arme risorgimentali.

 

Trentamila dentro i forti

Trentamila persone hanno trascorso la giornata del 25 aprile, festa della Liberazione, a forte Marghera. Altri seicento almeno hanno partecipato al pranzo coi partigiani e alle iniziative di forte Carpenedo. Continua anche quest’anno il successo del festival “Scarpe rotte”, che ha preso il via proprio nella giornata dedicata al ricordo della Liberazione e si concluderà il 1° maggio. Per la prima serata la festa a forte Marghera, con il concerto della Don Ciccio Philarmonic Orchestra, ha decreato il tutto esaurito. Muoversi all’interno del forte di Marghera, dalle 20 in poi, è stato difficile e si sono formate lunghissime code per mangiare nei ristori attivati dalla Controvento, compresa la nuova pizzeria. Invaso dalle auto anche il parcheggio esterno, realizzato all’ingresso di via Forte Marghera. Ma molti hanno preferito raggiungere la festa in bicicletta. Il weekend sarà ricco di appuntamenti per il festival promosso da Anpi di Mestre, Cooperativa Sociale ControVento, Forte Carpenedo, Iveser, Marco Polo System col contributo del Comune di Venezia. Quest’anno partecipa anche forte Mezzacapo. Il programma del week-end prevede, tra gli altri, questi eventi. A Forte Carpenedo: domenica 28 aprile, alle 15.30, “Ribelli come il sole e arnesi da forca” (narrazione con disegno dal vivo) e alle 17 “Suoni e l’Anpi” (coro antifascista). A Forte Mezzacapo oggi alle 19.30 “Dalla guerra alla pace” (cena in musica); alle 21 “I giorni di Anna (monologo di Paola Brolati). A Forte Marghera: oggi alle 18, “Quella del Vajont” con un ricordo di Tina Merlin;alle 19, “Dossier Tav” (con Claudio Calia). Domenica 28 aprile: alle 12 “I miei sette figli” (libro presentato dall’Istituto Cervi), alle ore 15 “Palestina, sosteniamo una Resistenza che dura da 65 anni”, alle 16 “Germano Nicolini, il Comandante diavolo!”, alle 17 “La galassia dei diritti e conflitti nei processi sociali”. (m.ch.)

 

Pronto il piano di tutela Forte Ardietti a un passo

Dalla Gazzetta di Mantova - 26 aprile 2013

PONTI SUL MINCIO. L'amministrazione punta su Forte Ardietti e attende il sì definitivo del Demanio. Il consiglio comunale, oltre ad approvare il rendiconto finanziario 2012 e il piano cimiteriale, si è concentrato sulla ratifica del programma di valorizzazione di Forte Ardietti e della convenzione per la gestione in forma associata del servizio centrale di committenza. Il sindaco Roberto Amicabile ha ricordato l'iter seguito finora dal Comune per entrare in possesso dell’ex fortezza militare austriaca: in seguito alla presentazione dell'istanza di interessamento al Forte presentata da Ponti nel 2010, è stato elaborato un progetto di tutela e valorizzazione dell'edificio, la cui versione definitiva è stata depositata al Demanio, il quale ha recentemente convocato un tavolo tecnico che dovrebbe rappresentare l'ultima tappa prima della cessione a titolo gratuito al Comune.

Il progetto, approvato all'unanimità dal consiglio, fra i molti punti comprende: la messa in sicurezza dell'area attraverso interventi di bonifica e installazione di un impianto di videosorveglianza; la tutela della struttura grazie ad azioni di riparazione e conservazione; la stesura di progetti didattici, la formazione di volontari e guide; la valorizzazione delle strutture accessorie esterne.

Su quest'ultimo aspetto il Comune ribadisce l'intenzione di indire un bando per la stipula di una convenzione che riguarda il recupero della caserma che si trova ad est del Forte, la realizzazione e la gestione di un ostello al suo interno.

Il costo complessivo del progetto di valorizzazione ammonta a 655mila euro, ripartiti nel quinquennio 2013-2017 e sostenuti dal Comune attraverso l'accesso a contributi, la partecipazione a bandi e, a partire proprio dalla convenzione relativa all'ostello, la possibilità di compartecipazione di privati.

Nel corso della seduta di consiglio, come da indicazioni di legge, è stato approvato poi l'accordo del servizio centrale di committenza con il Comune di Monzambano, che riguarderà la gestione in forma associata di lavori, servizi e forniture di competenza degli uffici tecnici.

Ratificata all'unanimità anche l'importante richiesta che i sindaci mantovani e la Provincia presenteranno a breve al presidente del Consiglio affinché vengano allentate le disposizioni relative al patto di stabilità. Sara Boschetti

L’Aeronautica sul Radar: “Impianto
L’Aeronautica sul Radar: “Impianto monitorato, siamo aperti al confronto”

Da cronachemaceratesi.it del 23 aprile 2013

Dopo il convegno internazionale svoltosi a Potenza Picena (leggi l’articolo) riceviamo e pubblichiamo le precisazioni dell’Aeronautica Militare che si dichiara disponibile al confronto con i cittadini ma si rammarica per il mancato intervento concesso al capitano Nunzio Pisano presente ai lavori: “In relazione ai risultati del convegno internazionale recentemente svolto a Potenza Picena sul tema del radar, l’Aeronautica Militare ribadisce il proprio impegno a svolgere i compiti che le sono stati attribuiti per contribuire alla difesa del Paese mantenendo quale principio prioritario la tutela della salute dei cittadini. Tale principio, pertanto, costituisce una condizione essenziale anche per l’installazione e l’operatività dei sistemi tecnologici impiegati, inclusi i radar, a salvaguardia sia dei cittadini che abitano intorno alle installazioni aeronautiche sia dello stesso personale militare e civile della Difesa.

In tal senso, l’Aeronautica Militare conferma la correttezza e la completezza di tutte le iniziative che hanno caratterizzato l’installazione del “nuovo radar”, che si è reso necessario per far fronte alle esigenze legate allo sviluppo e alla diffusione delle nuove tecnologie della banda larga. Tali iniziative, peraltro, hanno coinvolto tutti gli Enti istituzionali preposti al rilascio delle autorizzazioni e ai controlli previsti in materia. Al riguardo, i risultati di tutti i rilievi finora svolti si attestano su valori di gran lunga inferiori ai limiti imposti dalle normative, sia per quanto riguarda i lavoratori dedicati sia per quanto riguarda i cittadini residenti all’esterno dell’installazione militare. Inoltre, allo scopo di migliorare la caratterizzazione elettromagnetica dei propri siti e prevenire eventuali problematiche di compatibilità, lo scorso anno la Forza Armata ha avviato un programma che prevede l’installazione, presso i vari centri radar, di un sistema fisso di monitoraggio ambientale, i cui dati e rilevazioni possono essere resi disponibili in qualsiasi modalità richiesta. Tale sistema, atto a consentire la rilevazione costante ed in tempo reale dei livelli di campo elettromagnetico presenti sul sito nel suo complesso, è stato già installato presso la Squadriglia Radar di Potenza Picena e sarà in esercizio entro la fine del corrente mese.

Occorre sottolineare che il radar in questione, sostanzialmente non differente dagli analoghi impianti utilizzati per il controllo del traffico civile – anzi è parte integrante del sistema nazionale di controllo del traffico aereo – costituisce elemento indispensabile per il controllo dei cieli e, quindi, per la sicurezza del Paese, sia sul piano nazionale sia nel quadro degli impegni assunti in ambito NATO e Unione Europea. L’Aeronautica Militare concorda pienamente con quanto dichiarato dall’Amministrazione Comunale di Potenza Picena circa la necessità di un libero confronto e dialogo tra Istituzioni e cittadini, evitando posizioni ideologiche e strumentalizzazioni. In tale ottica, l’Aeronautica Militare ha sempre dato la propria disponibilità ad iniziative di confronto sul territorio al fine di favorire una chiara comprensione di aspetti che a volte presentano elevati livelli di complessità e tecnicismo e al contempo fornire ogni utile informazione in merito alle attività di tutela della salute dei lavoratori e della popolazione limitrofa. Per raggiungere tale obiettivo, è auspicabile che tutti gli attori coinvolti nella discussione dimostrino la stessa apertura nei confronti dell’Aeronautica Militare. Ciò non è avvenuto in occasione del convegno internazionale, laddove un intervento già previsto in apertura di convegno da parte del Comandante della 114a Squadriglia Radar di Potenza Picena, Cap. Nunzio Pisano, all’ultimo momento non è stato consentito dal Comitato Scientifico. Nonostante la spiacevole ed inaspettata situazione, il rispetto che l’Aeronautica Militare ha sempre dimostrato per la cittadinanza ha spinto il Cap. Pisano a restare e assistere al convegno. Per il futuro, l’Aeronautica Militare conferma la sua completa disponibilità a fornire tutti i dati e i chiarimenti tecnici che dovessero essere necessari per garantire una corretta informazione ai cittadini, nella convinzione che un confronto libero e trasparente sia essenziale per l’attuazione del diritto fondamentale alla salute.”

 

“IL TREKKING DEI FORTI” SU TCA TRENTINO TV

Da Trentinograndeguerra.it - 22 aprile 2013

E’ partito lo scorso sabato su TCA Trentino Tv il ciclo di video “Il trekking dei Forti”.
Il format si compone di 10 filmati della durata ognuno di circa 24 minuti su alcuni dei siti più significativi della Grande Guerra in Trentino.
L’obbiettivo, in vista del Centenario della Grande Guerra in Trentino, è quello di valorizzare gli aspetti storici e culturali legati all’imponente cintura di fortificazioni predisposta dall’esercito austro-ungarico lungo il confine con il Regno d’Italia: giganti in pietra, ferro e calcestruzzo che esaurita la loro funzione furono saccheggiati dai recuperanti e abbandonati al loro destino. Solo successivamente e in alcuni casi se ne capì il ruolo in termini di memoria storica attivando successivamente una cultura del recupero.
Negli anni scorsi alcuni forti sono stati restaurati, altri sono stati oggetto di progetti di recupero promossi dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Archeologici della Provincia autonoma di Trento che li ha messi in sicurezza e resi accessibili al pubblico; in alcuni casi si sono trasformati in musei e luoghi di cultura.
In ognuna delle dieci puntate è previsto l’intervento di un esperto storico e verrà proposta una testimonianza autobiografica.
Il format è prodotto in collaborazione con l’Ufficio Stampa della Provincia autonoma di Trento e con la consulenza scientifica del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto.
Il ciclo verrà trasmesso su TCA Trentino Tv; le puntate saranno poi disponibili on demand sul sito web www.trentinotv.it, ed anche su smartphone e tablet.
Questo il calendario delle fortificazioni interessate:

FORTE GARDA
FORTE STRINO
FORTE LARINO
FORTE VALMORBIA
FORTE BELVEDERE - GSCHWENT
FORTE CIMA VEZZENA - SPITZ LEVICO
FORTE COLLE DELLE BENNE | FORTE TENNA
FORTE DOSSACCIO
FORTE BUS DE VELA
TAGLIATA STRADALE SUPERIORE E INFERIORE CIVEZZANO

Per ogni puntata sono previste due repliche.
La puntata di sabato 20 aprile, dedicata a Forte Garda, sarà visibile in replica anche martedì 23 aprile alle ore 11 sempre su TCA Trentino Tv.
Per maggiori informazioni www.trentinotv.it

 

Visite al Lazzaretto Nuovo con i volontari di Ekos Club

Era un’isola strategica per il controllo delle vie d’acqua, sede religiosa dei monaci benedettini, luogo di quarantena dal 1400 al 1700 per i mercanti sospetti di portare la peste e per la disinfezione delle merci provenienti dal Mediterraneo. E poi il suo utilizzo a scopo militare, con le fortificazioni durante il dominio napoleonico e sotto quello austriaco, la sua dismissione nel 1975 e, infine, i restauri, il recupero e la concessione all’Ekos Club, associazione di volontari che ne garantisce la custodia e la gestione. Al Lazzaretto Nuovo riprendono le visite guidate: tutti i sabati e le domeniche, fino al mese di ottobre, l’isola si può visitare, con offerta libera, alle ore 9.45 oppure alle 16.30. La si raggiunge salendo a bordo del vaporetto Actv n.13 che parte dalla fermata “Fondamenta Nove” alle ore 9.25 e alle 16.05 (Oppure da Cavallino Treporti: alle 9.25 e alle 15.25). A guidare i visitatori alla scoperta del Lazzaretto (cosiddetto Novo per distinguerlo dal Vecchio, che si trova vicino al Lido e che veniva utilizzato per il ricovero dei casi manifesti di peste) sono i volontari di Ekos. Dopo la visione di un video all’interno del cinquecentesco Tezon Grande, l’edificio principale dell’isola lungo più di 100 metri, si prosegue con l’esplorazione dei reperti antichi recuperati durante gli scavi archeologici ed esposti al suo interno. Passeggiando lungo il viale dei gelsi, le fortificazioni, gli scavi e i caselli da polvere, si ripercorrono poi le tappe principali della storia del Lazzaretto, che il Sansovino, nel 1576, descriveva come un “castello” per i cento camini alla veneziana di cui erano dotate le celle (camere per la quarantena) poste a ridosso del muro di cinta. Se il tempo lo consente, si può concludere il “tour” passeggiando lungo il “giro di ronda” dei militari, dal quale, in alcuni punti, si ha una visuale a 360 gradi della laguna. Il cammino è un sentiero fatto di boschetti di allori, frassini, pruni selvatici e biancospini. L’estate è intesa, al Lazzaretto Nuovo. In luglio e agosto si tengono un campo scuola (31 luglio- 7 agosto) e un workcamp (8-15 agosto) per i giovani aspiranti archeologi dai 18 anni in su. Dal 30 giugno al 6 luglio, e dal 7 al 13 luglio, si tengono invece i campi di ricerca “Junior” per ragazzi dai 10 ai 14 anni che, oltre a volersi cimentare nella ricerca archeologica, visiteranno altre isole della laguna (come Murano o Torcello) a bordo di imbarcazioni tradizionali. Per raggiungere il Lazzaretto in altri giorni e orari, sempre per gruppi, si può prenotare telefonando allo 041/2444011. Per informazioni: http://www.lazzarettonuovo.com. Silvia Zanardi

 

«Più charme turistico valorizzando le mura»

Da l'Arena - 13 aprile 2013

PATRIMONIO STORICO/2. Lezione dell'architetto Lino Bozzetto L'incontro ha focalizzato l'attenzione sulle opere di Von Scholl: «Difendevano la città abbellendola»

Lezione di architettura militare con morale: i veronesi non tengono abbastanza in considerazione l'enorme patrimonio rappresentato dalle mura, dai bastioni e dai forti della città. Una storia che si dispiega nell'arco di due millenni, attraversando l'epoca romana e scaligera, la dominazione veneziana e austriaca, e fruttando a Verona il titolo Unesco di «patrimonio dell'umanità». Guardandola sotto l'aspetto venale - visto che quello culturale finora non ha avuto molta presa - ci sarebbero gli estremi per moltiplicare lo charme turistico della città. Invece, tanti gioielli delle nostre fortificazioni oggi versano nella dimenticanza, se non nel completo degrado. Risulta evidente, ascoltando la lezione dell'architetto Lino Vittorio Bozzetto, ieri pomeriggio nella sede dell'Ordine degli ingegneri in via Leoncino. In platea, un folto pubblico: buon segno. L'incontro, introdotto dal vice presidente della categoria Paolo Soardo, verte sulla figura dell'ingegnere militare austriaco Franz Von Scholl (1772-1838), autore di magnifici complessi fortificati veronesi: San Bernardino, San Procolo, delle Maddalene e di Campo Marzo. Sua anche la ricostruzione di Castel San Felice, raso al suolo dai francesi, e l'adeguamento del bastione di San Giorgio. «Verona rappresentò, tra Settecento e Ottocento, l'avanguardia dell'arte fortificatoria», spiega Bozzetto. «E le opere realizzate in quel periodo, in seguito trascurate anche in ragione dell'astio contro i dominatori austriaci, vanno considerate come la naturale prosecuzione del genio di un grande architetto, stavolta veronese: Michele Sanmicheli. Sia quest'ultimo sia Von Scholl pensavano che le fortificazioni militari hanno la duplice funzione di "munire et ornare", cioè difendere la città in guerra e abbellirla in pace». Ecco la ragione di quelle pietre squadrate al millimetro, di quei terrapieni ancora perfetti. E in fondo, se non ci fossero i bastioni, convertiti in polmoni verdi, cosa avremmo oggi al loro posto? Palazzoni e asfalto, probabilmente. Finora questo patrimonio è stato di competenza demaniale. Ma, come ricorda Maristella Vecchiato, funzionario della Sovrintendenza per i beni architettonici, si sta attuando il passaggio della proprietà al Comune. «Il contratto impegna l'amministrazione a eseguire il restauro e a garantire la fruizione pubblica dei beni». La tempistica, però, sarà presumibilmente  lunghissima.

 

Studenti francesi alla scoperta dell’Arcipelago

LA MADDALENA Si conclude oggi il Workshop alla scoperta del paesaggio unico dell'arcipelago di La Maddalena, organizzato dall’associazione culturale Landworks, per gli studenti della "Ecole d’Architecture de Paysage", con sede a Versailles. Venerdì scorso gli studenti, grazie al supporto logistico e al contributo del comune di La Maddalena, sono sbarcati nell'arcipelago per scoprire le particolarità storico-naturaliste dell'Isola. Dopo una prima fase di esplorazione si è passati a quella di sperimentazione operativa, con l’ideazione di mini installazioni effimere in loco, sotto la direzione esperta dell'architetto del paesaggio Stefan Tischer, direttore scientifico dell’associazione Landworks e professore dell'università di Sassari, dipartimento di architettura, design e urbanistica di Alghero, nonché' referente per la scuola di Versailles dell' Atelier di progettazione di paesaggio contemporaneo. Grazie al supporto logistico continuo del comune, gli studenti hanno potuto apprezzare e scoprire, anche in virtù dell'ultimo confronto (9 aprile) con l' assessore all' urbanistica Mauro Bittu, le visioni e le prospettive dell'amministrazione locale per il futuro del “paesaggio difensivo” di La Maddalena, tema specifico dell'Atelier, che i ragazzi seguono nella prestigiosa sede francese. Proprio in relazione al patrimonio di fortificazioni sparse per l’arcipelago, i partecipanti al workshop elaboreranno progetti ai fini di una sua rivalutazione e valorizzazione. Gli elaborati verranno poi presentati dopo il 15 di giugno, data in cui verranno illustrati -in occasione della conclusione dell'Atelier- presso la sede di Versailles. L'iniziativa di questi giorni- a detto Bittu - precede quella molto più consistente del prossimo Workshop Operativo Internazionale Landworks -Sardinia 2013, che consisterà in 10 intense giornate -dal 23 maggio al 2 giugno- di realizzazioni effimere tra arte e paesaggio. Saranno coinvolti 60 studenti che giungeranno a La Maddalena da tutto il mondo». (an.ni.)

 

La Maginot dell'etere - L'ex-base troposcatter NATO "Livorno", nell'alta Val Magra, (MS).

Da wsimag.com del 9 aprile 2013

Ci sono luoghi per i quali la Storia sembra avere una sorta di predilezione, tanto da sceglierli periodicamente come palcoscenico per manifestarsi in tutta la sua forza. Ne sia un esempio la val Magra, regione strategica contesa nell'antichità fra Liguri e Romani, poi percorsa dalla nevralgica “strada delle cento miglia” fra Parma e Luni; qui sarebbero sorte numerose roccaforti in età medievale e moderna, a riprova di estenuanti contese fra i Malaspina, i Genovesi e i Medici. Qui, nel 1944, l'Alto Comando tedesco avrebbe disposto l'ultimo arretramento della Linea Gotica. Qui, pochi lustri dopo, avrebbe trovato posto un impianto destinato ad assurgere a monumento di un'epoca di cui c'è ancora tanto da capire: la Guerra Fredda.

A partire dal 1956 la NATO mise in opera la realizzazione di un sistema difensivo incentrato su dorsali radar poste lungo la Cortina di Ferro e interconnesse fra loro: la linea DEW (Distant Early Warning) fra lo stretto di Bering e la Groenlandia, lungo il 70° parallelo, per proseguire con la linea NARS (North Atlantic Radio System) a coprire Islanda, isole Faroer, Scozia e Inghilterra settentrionale, infine la linea ACE High, diretta verso sud attraverso Germania, Francia, Italia e Grecia per concludersi in Turchia. Realizzare rapidamente un dispositivo così efficace ed esteso fu possibile grazie all'impiego di una specifica tecnologia radar: il sistema “troposcatter”, consistente nella propagazione del segnale attraverso la troposfera, senza i limiti imposti dall'orizzonte elettromagnetico, altrimenti invalicabile con il precedente sistema “line of sight”. Nel caso di ACE High, ne conseguiva una catena di sole 49, potentissime stazioni radar lungo i quasi 4000 chilometri di tracciato fra Capo Nord e il Mediterraneo orientale. Pochi, lunghissimi balzi per trasmettere, non volesse Iddio, l'allarme rosso dalla Norvegia a Cipro in meno di un minuto. Proprio ACE High, il cui nome mutuato dal gergo del poker nasconde chi ne ha voluto la costruzione (ACE sta per Allied Command Europe), avrebbe permesso alla Storia di tornare nuovamente in alta Val Magra. A partire dal 1958, sulla vetta del Monte Giogo, a 1518 metri di quota, diventava operativa la base “Livorno”: 20000 mq di terreno chiusi da una doppia cinta di filo spinato, alloggiamenti per 25 uomini di personale, un bunker sotterraneo, ma soprattutto l'elemento distintivo di questo luogo, tale da farne una presenza silenziosa ma evidente: due coppie di paraboloidi in calcestruzzo armato di 20 metri di diametro, rivolte rispettivamente a est, verso Nizza, e a sud, verso l'impianto romano della Tolfa. Queste quattro grandi orecchie, visibili a occhio nudo già da Aulla, supportavano un segnale a banda larga capace di 250 canali telefonici e 180 canali telegrafici, per cui vennero approntati i primi modem della Storia, dalla velocità di ben 9kbps. A rendere intrigante ancora oggi questo complesso è sicuramente quella doppiezza immancabile nei prodotti dei periodi di transizione: sul Monte Giogo infatti, se da un lato può intravvedersi l'impalpabile dinamismo di internet, dall'altro perdura il retaggio delle difese statiche.

Una sorta di Maginot dell'etere, i cui limiti concettuali sarebbero stati accusati proprio dalla base “Livorno” allorchè, uscita la Francia dalla NATO nel 1966, i paraboloidi interfacciati con Nizza si sarebbero rivelati irrecuperabili, rendendo necessaria l'apertura di una “alternate route” a microonde fino alla stazione di Dosso dei Galli (BS). “Livorno” operò senza sosta per quasi quarant'anni, instaurando rapporti cordiali con la popolazione locale e costituendo un'indubbia risorsa per gli esercizi commerciali (su tutti tabacchini, trattorie e benzinai) di una zona altrimenti attanagliata dalla piaga dello spopolamento. Nel frattempo però la tecnologia continuava ad evolvere e nel 1995 ACE High, rimasta orfana della Cortina di Ferro, venne disattivata in favore delle comunicazioni satellitari. Monte Giogo, di fatto abbandonata ma ufficialmente ancora sotto servitù militare, subì alcuni tentativi di occupazione, prima con mandrie di mucche, poi con rave-party abusivi. Quando ormai il sito sembrava destinato a un degrado inarrestabile, nel 2005 una convenzione fra il Demanio e il “Gruppo troposcatter Monte Giogo” della A.R.I.- Associazione Radioamatori Italiani ne ha sancito la rinascita: in pochi anni l'entusiasmo di pochi appassionati volontari ha garantito non solo la vigilanza su questi luoghi ma anche significativi interventi di recupero, come l'allestimento di un museo in uno dei baraccamenti preesistenti. Tanti piccoli, gratuiti atti di generosità a salvaguardia di “Livorno” e dei suoi paraboloidi, vistosi testimoni di una guerra che ci è possibile ricordare perché non è mai stata combattuta. di Jacopo Baccani

 

A Giustino "La Grande Guerra in Adamello in coperta e in copertina". Inaugurazione della mostra e presentazione di due guide della Guerra Bianca curate dal Parco Naturale Adamello Brenta

Da Giudicarie.com - 9 aprile 2013

Di sicuro quella organizzata dal Comune e dall'ente Parco nel teatro sociale di Giustino venerdì sera alle 20 e 30 sarà una serata interessante, ricca di argomenti culturali, affascinante per i temi storici, gli aspetti geografici e naturali, oltre che per le prospettive promozionali in ambito turistico e sportivo. Di certo aiuterà tutti a recuperare i ricordi di una stagione di sofferenze e tribolazioni, di un periodo che ha lasciato un segno profondo sul territorio, nel tessuto urbano di questi paesi e dentro l'anima della gente che ha vissuto quell'immane tragedia. Il Parco naturale Adamello Brenta in collaborazione con la Soprintendenza ai beni architettonici e archeologici della Pat da più di tre anni lavora al "Percorso della Memoria nel sistema Adamello Brenta", progetto pilota per la valorizzazione dei siti della Prima Guerra Mondiale.

Il progetto è articolato in 11 ambiti. Nell'incontro del 12 aprile verrà illustrato quanto portato avanti fino ad oggi e saranno presentate le due guide sinora realizzate: una sull'ambito Carè Alto - Pozzoni e la seconda su Val Genova. Esse "rappresentano, oltre che un elemento di conoscenza dell'offerta che il territorio propone sotto il profilo storico culturale, un pratico manuale completo di informazioni e indicazioni relative alla contestualizzazione storica, geografica e ambientale degli itinerari proposti".

La serata prevede la proiezioni di filmati sulla Guerra bianca e gli interventi di Rudy Cozzini, Giuseppe Gorfer, Vincenzo Zubani e Matteo Motter moderati dal direttore del Parco Roberto Zoanetti. Al termine delle relazioni ci si sposterà dal teatro nella sala conferenze del municipio per l'inaugurazione della mostra "La Grande Guerra in Adamello in coperta e in copertina". A seguire signorile buffet offerto dall'assessorato alla cultura e al turismo del Comune di Giustino.

«La Tagliata non può essere dimenticata dalle istituzioni»

RIVA Nella lista Unesco dei forti trentini consegnata dal Soprintendente per i beni Architettonici Sandro Flaim al Ministero dei beni culturali per la candidatura nel patrimonio mondiale Unesco non è stata inserita la Tagliata della Ponale. Incredibile lacuna che ha spinto l’Associazione Riccardo Pinter e il Comitato Giacomo Cis a scrivere al presidente della Provincia Alberto Pacher e al sindaco Adalberto Mosaner per invitarli a non dimenticare il gioiello di architettura militare. «Lungo la strada del Ponale, che da Riva sale in Val di Ledro – recita la lettera – si trova un eccezionale sistema fortificatorio in galleria, costituito da un dedalo di corridoi e trincee scavate direttamente sopra il lago di Garda, in posizione panoramica unica. Si tratta del forte Teodosio o Tagliata del Ponale, a cui appartiene un manufatto unico nel suo genere in tutto il complesso delle fortificazioni della Grande guerra che per il centenario 1914-2014 si vorrebbe riproporre a una più compiuta conoscenza nonché promozione: la scalinata di 200 scalini dalla Ponale verso il lago di Garda. L'entrata alla scalinata al lago parte a livello della III galleria della Ponale, oppure direttamente dalla ex Gardesana occidentale, ed è un autentico “gioiello” della Grande guerra. La lunga e ripida scalinata è formata da quasi 200 scalini, sui quali probabilmente erano poste delle rotaie per un carrello da miniera che riforniva di proiettili le due batterie in fondo. Conoscendo l'ottima valutazione da sempre data dalla Provincia al manufatto, anche in una delle ultime primavere durante la visita guidata organizzata dalle scriventi associazioni per l'assessore provinciale Franco Panizza, l'unico motivo dell'esclusione potrebbe dipendere dall'unicità e dall'eccezionalità del complesso fortificatorio, niente affatto paragonabile con gli altri forti austro-ungarici. Unicità ed eccezionalità che richiedono con tutta evidenza un investimento fuori del comune, da prevedere fuori dai canali di investimento di Provincia e Comune.Se così fosse, ma vorremmo averne conferma dai responsabili provinciali e comunali, la lista dei 29 forti trentini per i quali si chiede la candidatura non sarebbe preclusiva della Tagliata della Ponale, per la quale chiediamo da subito una forte enunciazione di interesse pubblico da parte degli enti interessati. Prendiamo le notizie dal libro di Donato Riccadonna-Mauro Zattera, Sentieri di confine, Associazione Riccardo Pinter, Arco 2008, per ribadire la necessità che in attesa di un restauro completo del forte della Tagliata, sia possibile rendere visitabile almeno la scalinata di accesso alla Tagliata e alla straordinaria veduta sul lago al piano inferiore. Come già abbiamo avuto modo di sostenere, sarebbe questo il modo migliore per rendere il traguardo del centenario della Grande guerra una tappa importante per la promozione anche turistica del patrimonio bellico altogardesano».

 

Parco a luci rosse: «Più sicurezza con l'area ripulita»

BASTIONI DI SANTO SPIRITO. Troppo ardore fuori dalle mura. Nell'ex zoo prostituzione maschile a tutte le ore. Residenti infuriati Legambiente: «Entro l'estate sarà sistemata l'intera struttura»

Da l'Arena - 6 aprile 2013

Verona. Va bene che Verona è la città dell'amore, ma troppo ardore consumato fuori dalle mura di casa rischia di non essere gradito a tutti. Così, per invitare avventori e rubacuori a trattenersi nelle effusioni troppo spinte, qualcuno si è preso la briga di affiggere un ironico divieto all'ingresso dei Bastioni Santo Spirito all'incrocio tra circonvallazione Oriani e via Città di Nimes. L'immagine stilizzata di due omini intenti a pratiche sessuali non è nuova e, pur se barrata in rosso, richiama il logo di un noto marchio di abbigliamento italiano. E così dopo essersi aggiudicata il terzo posto come città leader nella vendita di preservativi e sex toys, sembra che la città di «Verona in Love» sia incline a trasformare la tragedia shakesperiana che la rende nota nel mondo in una rappresentazione erotica dai protagonisti libertini e intemperanti. Del resto, prostituzione maschile o etero e conseguenti pratiche sessuali a cielo aperto non sono una novità nell'area dell'ex zoo, da anni punto di riferimento per il «battuage» circoscritto agli uomini.

A offrirsi, per poche decine di euro, sono soprattutto giovani ragazzi stranieri, mentre la clientela è composta in prevalenza da veronesi di una certa età, che sfuggono così da una pensione monotona. A confermarlo è anche Giampaolo Zampieri, responsabile della manutenzione dei Bastioni per Legambiente, che dal 2006 ha in gestione anche quel tratto del parco delle mura. «Incontri tra uomini sono all'ordine del giorno, specie nel pomeriggio, e ripulendo l'area troviamo spesso resti di profilattici e di rapporti appena consumati.

Chi abita in zona, e magari viene qui per una passeggiata con il cane, si lamenta per aver fatto incontri poco desiderati, ma del resto qui si trova un po' di tutto e noi ci stiamo dando un gran da fare per sistemare verde e accessi, attrezzando l'area al meglio per richiamare l'afflusso di gente». Probabilmente l'artefice del cartello proibitivo è proprio qualche residente stufo di incappare, durante una passeggiata all'aria aperta, in sorprese imbarazzanti. A dissuadere dall'utilizzo di nicchie e anfratti come ritrovi per rapidi sfoghi di piacere, potrebbe essere proprio la completa apertura dei cancelli che sarà attuata entro l'estate, non appena i volontari di Legambiente avranno terminato di ripulire e sistemare la pavimentazione della poterna destra del Bastione. Conclude Zampieri: «Abbiamo attrezzato un tavolo in legno adatto a disabili e carrozzine, e stiamo terminando i lavori di pulizia per il recupero delle fortificazioni anche tramite percorsi ad hoc e tabellati. Poi apriremo i cancelli, posizionando delle fioriere davanti agli accessi per impedire che si intrufolino anche le non gradite auto».Chiara Bazzanella

 

Forte Dossaccio | Paneveggio, Predazzo

Da Trentinograndeguerra.it - 3 aprile 2013

Recupero scenico dell'architettura fortificata - osservatorio di Parco di Paneveggio

Il progetto di recupero previsto dalla Provincia autonoma di Trento si inserisce in un territorio che comprende il Lagorai, il Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino, le Valli di Fassa e Fiemme ed il Gruppo della Marmolada: un'area ricca di manufatti bellici che rappresenta un paesaggio di guerra già ampiamente interessato da numerose iniziative a livello locale e provinciale.

L'Ente Parco di Paneveggio-Pale di San Martino in collaborazione con il Museo Storico Italiano della Guerra, la Fondazione Museo Storico del Trentino, le amministrazioni locali, l’Istituto Culturale Ladino e gli Uffici turistici sta lavorando per la creazione di un museo all'aperto comprendente anche le trincee di Cima Bocche e per un recupero accurato della memoria storica della Grande Guerra. Il restauro di Forte Dossaccio si colloca in tale contesto.

Lo stato di rudere dell’opera ha suggerito di riportare alla luce la "stratigrafia della rovina" con la messa in evidenza dei segni degli eventi bellici e civili che hanno trasformato il manufatto nelle sue forme attuali.
I lavori di restauro, che prevedono il consolidamento strutturale del forte, sono attualmente in corso e termineranno nel 2013. Grazie alla sua particolare collocazione panoramica e al suo ritrovato aspetto, forte Dossaccio diventerà una “scena” ideale per allestimenti legati alle vicende storico-belliche e alla vita quotidiana della guerra.

In allegato il dettaglio del progetto tratto dal catalogo a cura della Provincia autonoma di Trento  "Progetto Grande Guerra - Tutele e valorizzazione dei beni architettonici - Esperienze a confronto" edizioni Osiride 2008

 

Unuci, tra cultura e convivenza

MERANO Unuci è l'acronimo di Unione nazionale degli ufficiali in congedo d'Italia, associazione che a Merano vanta una sezione particolarmente attiva e impegnata nel tessere un rapporto diretto con la città. Dal 2011 suo presidente è il generale Alessandro Zamai che all'attività del sodalizio (ovviamente con il concorsodi chi gli sta intorno) ha dato particolare impulso. La sezione meranese dell'Unuci vanta un centinaio di iscritti, tutti ufficiali in congedo. «Con la nostra attività - spiega Alessandro Zamai - vogliamo innazi tutto fare conoscere il nostro impegno ricco di iniziative con al centro numerose conferenze che hanno il gran pregio d'essere frequentate dalla società civile meranese in tutte le sue componenti linguistiche. In questo modo stiamo spezzando quella barriera che per troppo tempo, soprattutto per quanto concerne il gruppo di lingua tedesca, si è interposta nei confronti dell'universo militare. Con i nostri incontri di carattere storico, ma non solo, vogliamo gettare un ponte tra italiani e tedeschi per contribuire allo svilupparsi di un'autentica convivenza anziché una coesistenza in cui si vivono due vite parallele, ma non comunicanti tra loro. In questa luce vanno visti i prossimi appuntamenti che abbiamo messo in calendario. Il 5 aprile, alle 18, in Sala civica, il comandante delle truppe alpine generale Alberto Primicerj parlerà su chi siano veramente e cosa significhi essere alpini oggi. Ma in calendario il 14 aprile, per il ciclo Gocce di storia, avremo il primo di una serie d'incontri sulle opzioni a cura dello storico Carlo Romeo». Come si diceva, l'attività della sezione non si limita solo alle conferenze, ma prevede anche proposte rivolte a soci e simpatizzanti con visite culturali, attività sportive, con particolare attenzione alle gare di tiro a segno, e appuntamenti conviviali che rafforzano un senso d'appartenenza alla sezione. «A proposito di visite culturali - prosegue Zamai - quest'anno ci si dedicherà alle fortificazioni difensive in regione, al di qua e al di là del confine di Resia, alla base Tuono a Folgaria e al forte Belvedere a Lavarone. Un appuntamento fisso è la partecipazione alla cerimonia internazionale in commemorazione dei caduti di tutte le guerre e nazioni che si tiene al cimitero militare di Innsbruck-Amras». Tra i fiori all'occhiello della sezione il ciclo "Incontri per capirsi meglio ... nel 150° anniversario dell'unità d'Italia" del 2011. In uno di tali incontri partecipò anche il Presidente Durnwalder e quella fu la sua unica presenza agli appuntamenti celebrativi. (gi.bo.)

 

Fortificazioni Unesco, esclusa la Tagliata

Da Il Trentino - 2 aprile 2013

RIVA. La Tagliata del Ponale è stata tagliata dalla lista Unesco dei forti trentini. In estrema sintesi e con un amaro gioco di parole può essere questo ciò che si capisce da quello che è successo in questi giorni.

Riassumiamo: giovedì scorso il soprintendente per i beni Architettonici della provincia Sandro Flaim ha consegnato il corposo dossier agli uffici romani del Ministero dei beni culturali affinché il Sistema fortificato del Trentino sia proposto nella candidatura del patrimonio mondiale Unesco. I forti austroungarici presenti in Trentino sono 80 e la scrematura ha portato a segnalarne 29 in base a tre criteri: architettonico, quale testimonianza dell’evoluzione storica delle fortificazioni, ambientale, in relazione alla loro localizzazione, e conservativo, in base alle opere di recupero attuate o programmate.

Nei 29 forti, per quel che riguarda la Fortezza di Riva del Basso Sarca, sono stati inseriti i forti san Nicolò, Garda e Batteria di Mezzo sul monte Brione e il forte di Nago, tralasciando completamente il gioiello di tutto il sistema difensivo, la Tagliata del Ponale appunto. E non se ne capiscono le motivazioni, perché i criteri sopra esposti sono soddisfatti da questo forte costruito interamente in roccia per più di un chilometro su cinque piani di circa 150 metri di dislivelli a picco sul lago di Garda e che si interseca con il favoloso sentiero del Ponale. Inoltre il sistema fortificato del Basso Sarca comprende in pochi chilometri e a vista tutte le fase costruttive dei forti, a partire dal 1859-60 fino a guerra inoltrata con la quinta generazione di forti rappresentata dalla Tagliata. Quindi immaginiamoci lo sconcerto che sta circolando tra i volontari che hanno fatto conoscere più di quindici anni fa la Tagliata e tutto il sistema fortificatorio e che non sono stati né coinvolti né interpellati oramai da anni su questi temi. E non parliamo di extra terrestri: l’associazione Riccardo Pinter che ha promosso parecchi studi e pubblicazioni in merito e il Comitato Giacomo Cis, che gestisce il sentiero della Ponale, dopo aver raccolto 10.000 firme.

E pensare che nel 2004, appena aperto il sentiero, c’era una proposta di mozione in Comune a Riva, poi mai presentata, che chiedeva di inserire la Ponale e tutte le sue coste rocciose nei patrimoni culturali della lista Unesco. Ed allora in Trentino si stava solo parlando della candidatura delle Dolomiti.

Il tema Ponale, evidentemente, in Provincia non suscita grandi entusiasmo. un esempio possono essere i due portoni originali della Tagliata che tra il 2003 e il 2004 in fase di sistemazione del sentiero da parte della provincia sparirono e che, nonostante ricerche e interrogazioni, la Provincia stessa ammise che fossero stati prelevati da una ditta di Tione che eseguì i lavori e che ora (nel 2011) erano irreperibili. Oppure tutta la vicenda legata all’affitto della galleria Panda della Gardesana dismessa che servirebbe proprio ad accedere alla Tagliata e che da almeno 5 anni si trascina penosamente in un nulla di fatto, nonostante mozioni comunali votate all’unanimità e che la vorrebbero pubblica. Sembra comunque che la Provincia abbia intenzione di spendere un milione e mezzo per sistemare la zona esterna della Tagliata per poterla così aprire: perché inserirla nella lista Unesco? di Donato Riccadonna

 

«Se ci sarà il sì, da valutare gli interventi»

Da Trentino - 31 marzo 2013

TRENTO. Dieci paesi considerati (Italia, Slovenia, Croazia, Montenegro, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Ucraina), 32 sistemi difensivi schedati, con un totale di 516 forti catalogati (193 in Italia e 323 in Europa), di cui 80 in Trentino, 29 siti trentini candidati a divenire Patrimonio Unesco. Questi sono i numeri di un progetto che ha diversi risvolti di complessità e che con la presentazione del dossier inizia un lungo percorso. Ne abbiamo parlato con Camillo Zadra, direttore del Museo della Guerra di Rovereto, che è stato capofila del Progetto Grande Guerra, da cui nasce l'idea della candidatura Unesco, con Sandro Flaim, Soprintendente della Provincia e curatore del dossier di candidatura e con altri protagonisti della scena turistica e culturale trentina. Emerge un quadro nel quale ad esempio si dovrà considerare quanti soldi ci saranno, perché molti siti sono da ristrutturare e adeguare e sarà utile, dicono gli analisti, una stima del ritorno economico ipotizzabile dall'investimento, accanto a quello, inestimabile, sul piano culturale. Un tema è, secondo gli esperti, anche il diverso livello di conservazione dei siti nei vari paesi e come rendere omogenea l'offerta, una volta che tutto il sistema di fortificazioni sui 10 paesi, dovesse essere messo in rete. Inoltre, vi sono siti trentini con limiti strutturali, come ad esempio il forte di Cadine, dove possono entrare 30 persone alla volta. Si dovrà quindi passare dalla fase tecnica (la stesura di una descrizione del valore culturale del bene tutelato) a quella della condivisione nei territori. «Ognuno dovrà fare la propria parte – spiega ad esempio Zadra – nel senso che per ogni sito, se dovesse avere esito positivo la candidatura Unesco, sarà stabilito il modo in cui sarà valorizzato e le comunità locali, che saranno debitamente coinvolte, dovranno attivarsi per rendere sostenibile ogni progetto. Non si parte però da zero, sono almeno dieci anni che si lavora in rete per la Grande Guerra». Un altro tema è il diverso impatto (gestionale, economico, sociale) che la valorizzazione di ogni fortificazione può esercitare sui vari territori del Trentino e la diversa capacità delle comunità di sostenere nel tempo una valorizzazione di questi beni. I primi siti fortificati furono inseriti nel Patrimonio Unesco nel 1987. L'ultima candidatura risale al 2011, si tratta della New Dutch Waterline (Paesi Bassi).

 

 

Forti, consegnato il dossier per l’Unesco

di Maddalena Di Tolla wTRENTO Il corposo dossier della candidatura Unesco per il “Sistema fortificato del Trentino” austro-ungariche trentine è stato consegnato. Giovedì mattina Sandro Flaim, Sovrintendente della Provincia per i Beni Architettonici e Archeologici, era a Roma presso gli uffici del Ministero dei beni Culturali deputati a raccogliere le proposte di siti da inserire nella cosiddetta “lista propositiva”, la «World Heritage List Unesco». C'era anche l'architetto Fiorenzo Meneghelli, curatore con Flaim del dossier, che era stato presentato ai primi di marzo in conferenza stampa. Ora l'iter sarà molto lungo, il Ministero valuterà tutto il materiale e l'opportunità di presentare la candidatura e poi eventualmente l'Unesco la valuterà a sua volta. Non si parla dunque di un esito positivo o negativo prima della fine del 2014. Il dossier di candidatura scaturisce da dieci/quindici anni di lavoro sulla rete della Grande Guerra, ne costituisce però un'idea nuova, da alcuni esperti considerata fin troppo ambiziosa, che guarda anche oltre confine, nella prospettiva di costruire una «rete europea delle fortificazioni austro-ungariche», come spiega Sandro Flaim. Il dossier presentato giovedì al Ministero propone 29 forti austro-ungarici presenti sul territorio trentino, collocati nella varie zone del territorio lungo le diverse “linee di sbarramento” e che si trovano oggi in condizioni molto diverse di conservazione e di fruizione. Si passa dal forte Belvedere (a Lavarone) ristrutturato e dotato di visite guidate e percorsi e che registra già ora 40.000 ingressi all'anno, al forte di Tenna, in Alta Valsugana, volutamente finora lasciato un rudere come scelta documentale, ad altri ancora che ospitano ristoranti o cantine vinicole accanto a spazi espositivi in diverse ale dell'edificio. La fase che è stata appena chiusa è stata soprattutto di carattere tecnico, con una valutazione del valore culturale dei beni che si propone di portare dentro il Patrimonio Unesco, ed anche di una stima, seppure molto grezza e prudenziale, sul numero di visitatori che potrebbero arrivare sotto un'egida così nota. Il nostro giornale ha potuto visionare la tabella di stima che è stata predisposta per il dossier, nella quale per ciascuno dei 29 siti proposti si trova il numero attuale di visitatori annui e quello ipotizzabile se ci fosse una valorizzazione unitaria sotto l'Unesco. Si stima che attualmente i 29 siti proposti all'Unesco attirino fra i diecimila e i quasi novantunmila visitatori all'anno. Se gli stessi siti fossero Patrimonio Unesco e partisse il progetto di valorizzazione a cui si sta pensando (ma che è tutto da costruire), si ipotizza che potrebbero arrivare tra ottantacinquemila e 270mila visitatori. La differenza sarebbe, secondo questa stima, fra i settantamila e i 180mila visitatori. Va ricordato però, come fanno notare gli analisti del turismo con cui abbiamo parlato, che non si tratta necessariamente di numeri da sovrapporre nel senso delle presenze turistiche, perché molti visitatori visiteranno più forti nella stessa vacanza, ad esempio. Allo stato attuale nessuno ha ancora fatto una stima di quanto costerebbe ristrutturare i forti ancora non ristrutturati, allestire quelli da destinare a visite e organizzarne la fruizione e il marketing. Nel frattempo prosegue il non facile lavoro di valorizzazione (anche turistica ed economica) anche del marchio Unesco per le Dolomiti e da poco è partito quello per valorizzare i siti palafitticoli alpini, entrati anch'essi nel 2011 nel Patrimonio Unesco

 
Corea nord: rafforzata attivita' in basi
Da lagazzettadelmezzogiorno.it del 29 marzo 2013

(ANSA) - TOKYO

 

La Corea del Nord ha rafforzato le attivita' presso le basi missilistiche di medio-lungo raggio, spingendo la Corea del Sud ad aumentare il livello di guardia.

Lo riporta l'agenzia Yonhap citando fonti militari di Seul, secondo cui sono in corso 'movimenti di veicoli e truppe'.

La mossa segue l'ordine d'allerta del leader nordcoreano Kim Jong-un alle unita' balistiche avendo per target le basi Usa nel sud del Pacifico e in Corea del Sud, in risposta all'invio di bombardieri americani.

 

Forte Marghera diventa quartiere della cultura

I 40 ettari di forte Marghera, gioiello del campo trincerato di Mestre ricco di Mestre diventeranno un nuovo quartiere di Mestre. Ma servono fondi, almeno 120 milioni di euro. In attesa di trovarli, e con la collaborazione fattiva della Soprintendenza, la giunta Orsoni ribadisce la forte volontà di una regia pubblica sull’area. Ieri è stato approvato il piano di recupero con la mappatura puntuale, spiega l’assessore all’Urbanistica Ezio Micelli, dei 79 manufatti che compongono il forte. Per ciascuno la valutazione dello stato, del valore, dei vincoli esistenti. «Per ognuno viene indicato il grado di trasformabilità, i livelli di qualità e prevedendo un futuro che può andare dal restauro conservativo alle nuovo edificazioni, ma queste sono possibili esclusivamente nell’area esterna al forte. Sia chiaro: l’idea di alberghi di venti piani dentro al forte scordiamocela. Ci potranno essere strutture ricettive ma senza modificare gli spazi e senza abbattere nulla se non alcune superfettazioni». Il forte,come si vede nel prospetto che pubblichiamo, viene diviso in vari livelli di tutela: l’area di massima tutela e conservazione è quella rossa, che racchiude le ali napoleoniche; l’ambito di ristrutturazione e rigenerazione è quello indicato in arancione nel perimetro più esterno, verso l’ingresso. Oltre il ponte, dove c’è l’attuale parcheggio, l’area di potenziale densificazione. A nord-ovest, la riqualificazine potrebbe lasciare strada ad una edificazione di 2.500 metri quadri di superficie di pavimento. Infine, attorno al forte quattro ambiti di aree verdi da rinaturalizzare. «L’edificazione possibile a Nordovest», spiega Micelli, «ricrea il collegamento, oggi mancante, con l’area di sviluppo di via Torino». Le funzioni sono quelle di produzione culturale, attività di artigianato di qualità, ricettive e di intrattenimento, con spazi che saranno assegnati in vista di un complessivo recupero con un bando di cui si occuperanno ora gli uffici dell’assessore al Patrimonio Bruno Filippini che ha collaborato con Micelli e l’assessore all’Ambiente Bettin alla stesura della prima parte del piano di recupero. «Ben prima di fine anno, spererei entro l’estate ci sarà il bando. Il piano è il risultato di un lavoro attento e finora mai realizzato e con la collaborazione della Soprintendenza», dice Bettin. Nel futuro di forte Marghera, un centro internazionale per la valorizzazione del patrimonio dei forti, laboratori d'arte, artigianato, negozi, bar e ristoranti di uno spazio che per il sindaco Giorgio Orsoni «rappresenta per la terraferma quel che l'Arsenale è per il centro storico». Mitia Chiarin

 

Palmanova, scoperto l’ingresso di una galleria del 1686

Da Messaggero Veneto - 24 marzo 2013

PALMANOVA. Ha stupito prima di tutto i forestali all’opera sulle fortificazioni nei pressi di porta Aquileia.

L’arco di ingresso a una “mina”, prima nascosto da terra e vegetazione, è venuto alla luce quasi per caso mentre gli uomini del Servizio gestione territorio rurale e irrigazione stavano pulendo e sistemando un tratto della cinta muraria lungo il fossato. Poi, liberato parzialmente l’ingresso, è arrivato lo stupore dello storico. Sì, perché quella galleria, a differenza delle altre, presenta un nome, uno stemma e una data: il 1686.

Spiega il professor Alberto Prelli: «Al momento, questa è l’unica “mina” che presenta tali indicazioni. Sulla chiave di volta s’intravede uno stemma, un po’ rovinato, ma che forse potrà emergere meglio dopo la pulizia. Chiarissime invece le iscrizioni, che fissano la data di esecuzione e citano il provveditore generale Girolamo Renier che fu in fortezza dal 1684 al 1686».

Per Prelli, questa “mina del rivellino”, profonda meno di una decina di metri, dev’essere una delle ultime realizzate in epoca veneta. Le “mine” servivano a collegare i diversi settori delle fortificazioni, a proteggere il passaggio delle milizie, ma erano anche un espediente difensivo. Vi sono infatti gallerie che non hanno sbocchi e che furono realizzate solo per essere “minate” e fatte saltare qualora il nemico si fosse avvicinato troppo.

«In fortezza - prosegue lo studioso - si lavora a lungo negli anni vicini all’assedio di Vienna, Le opere s’intensificano proprio nel 1683, quando lo scontro tra l’Impero degli Asburgo e quello turco arriva al culmine. A Palma la guarnigione passa da 800 a 3.000 uomini. Poi, conclusosi l’assedio e indebolitasi la minaccia turca, i lavori proseguono con maggiore lentezza. E comunque continuano se, come abbiamo visto, questa “mina” viene comunque realizzata tre anni dopo l’assedio».di Monica Del Mondo

 

Trekking al Bastione di Santo Spirito

Da l'Arena - 22 marzo 2013

VERONA. L'associazione Comitato per il Verde in collaborazione con l'assessorato all'Ambiente del Comune di Verona anche quest'anno organizza un calendario di visite guidate alla scoperta delle fortificazioni di Verona e del Parco dell'Adige.

Il prossimo appuntamento di questa stagione è fissato per domenica 24 marzo alle 10 con ritrovo presso il piazzale di Porta Palio.


Il trekking ci porterà a visitare il bastione di Santo Spirito (ex zoo), le gallerie di contromina e il bunker risalente al periodo della II Guerra Mondiale, ex poterna del bastione di Santo Spirito trasformata in bunker antiaereo, in cui verrà rievocato con uno spettacolo audio un bombardamento aereo.

Il giro si concluderà a Porta Palio con una visita al monumento sammicheliano.


Percorso: Porta Palio - Bastione di S. Spirito - gallerie di contromina - bunker della II Guerra Mondiale e ritorno a Porta Palio. L'iniziativa è libera e aperta a tutti. Ai partecipanti si consiglia l'uso di calzature adeguate e di una torcia elettrica.

 

 

 

 

“Insieme con gusto” la fiera delle tipicità

BRONDOLO Due giorni di porte aperte al mercato di Brondolo con la kermesse enogastronomica “Insieme con gusto” dedicata al radicchio e a tutte le tipicità locali. Torna nel prossimo weekend, dalle 9.30 alle 22, la fiera campionaria all’ortomercato che diventa vetrina non solo dei prodotti orticoli ma di tutte le attività artigianali e economiche della città. Due giorni di convegni, tavole rotonde, degustazioni ma anche intrattenimenti (concerti, danza, spettacoli) e escursioni all’aria aperta (bicicletta, barca, mongolfiera). Per la III edizione del progetto “Chioggia capitale del radicchio” la nuova presidenza dell’ortomercato ha scelto di cambiare slogan puntando su “Insieme con gusto”. «Proporremo spunti di diversa natura», spiega il presidente Marco Boscolo Bachetto, «dall’economia, con convegni e tavole rotonde tra cui la presentazione dello studio di fattibilità sul fotovoltaico, al folklore, con l’animazione degli antichi mestieri, dalla cultura, con la mostra sulle fortificazioni di Chioggia dal titolo, al turismo, con le escursioni guidate in bicicletta, in barca e le proiezioni sul turismo rurale della bassa veneziana».

Spazio anche allo sport con il trofeo di mini volley e la simultanea di scacchi e alla formazione con i laboratori didattici e del gusto. Il programma prevede anche intrattenimenti con sfilate di moda e acconciatura, esibizioni di danza e concerti e proposte ricreative con il labirinto magico di siepi e la mongolfiera. Non poteva mancare l’angolo enogastronomico “Street food piazza Mercato” con degustazioni a base di radicchio preparate da sei operatori della ristorazione (Zafferano, Tavernino, Masci, Asi Ciao, Pro Loco, Op Fasolari) che si sfideranno nel concorso per il miglior piatto. La kermesse apre la stagione dei nuovi progetti messi in cantiere da Bachetto: recupero dei prodotti tipici; corsi di formazione per giovani orticoltori; completamento della filiera da prodotto grezzo a prodotto trasformato; realizzazione di un polo turistico che abbini risorse naturali e prodotti tipici. La kermesse si apre sabato, alle 10, con il convegno “Il radicchio di Chioggia e il suo futuro” con Renzo Rossetto (ricercatore di Veneto Agricoltura) e Corrado Giacomini (ordinario di Economia agroalimentare Università di Parma). (e.b.a.)

 

L’Unesco pronta a collaborare

«L’Unesco è pronta a collaborare con il centro di studi internazionali e per il recupero di Forte Marghera». Lo hanno detto ieri Anthony Krause e Mario Scalet, rispettivamente capo Unità Cultura e capo Unità Scienze dell’ufficio Unesco di Venezia, nel convegno che ha richiamato a Forte Marghera esperti di recupero delle fortificazioni da tutta Europa per la nascita del centro internazionale di studi. «Un centro che è compatibile con il progetto previsto dal Comune e che potrà essere d’aiuto anche per aiutare l’amministrazione a capire come poter recuperare l’area e gli edifici» spiega Pietrangelo Pettenò, amministratore di Marco Polo System, la società che dal 2004 gestisce, su affidamento del Comune con contratto di rinnovo annuale, il principale forte della città, luogo di ritrovo per molti giovani.

«Un progetto per il quale avevamo chiesto 3 milioni di euro, e che in un mese dovrebbe concretizzarsi con il primo stanziamento della Regione, contiamo in un milione circa» aggiunge Pettenò «soldi che ci serviranno per riqualificare l’edificio e allestire il centro studi al quale sono pronte a collaborare le università di Graz (Austria) Pola (Croazia), Leuven (Belgio) e Nova Gorica (Slovenia)». L’obiettivo, per il quale dovrà presto essere formato anche un comitato scientifico, è quello di fare del centro studi di Forte Marghera un punto di riferimento a livello internazionale anche per seminari e dottorati. Sono già centinaia i documenti e le tesi che abbiamo raccolto in tutta Europa». (f.fur.)

 

MUSEO DELLA PIAZZAFORTE AD AUGUSTA: UN ELICOTTERO FRA I NUOVI ARRIVI E PRESTO LA RIAPERTURA

Da Augustanews - 08 marzo 2013

AUGUSTA. Si è ufficialmente insediato  il nuovo comitato di direzione del Museo della Piazzaforte, nominato dal commissario reggente il Comune di Augusta, il palermitano La Mattina, che ha voluto cassare le nomine fatte dalla Giunta, affermando essere le nomine fiduciarie, come se un comitato onorario di un’istituzione museale potesse in qualche modo rappresentare un rischio per la amministrazione pro tempore di questo tecnico settantacinquenne, pensionato da circa dieci anni, voluto a quel posto dall’ex “governatore” Lombardo. Questo commissario reggente, che dovrebbe essere considerato tecnico, ha cassato anche le nomine i componenti della Commissione di Storia patria, scegliendo quasi tutte persone nuove non si capisce con quali criteri se non quelli discrezionali, visto che non ha nominato candidati con  più titoli specifici e numerose pubblicazioni rispetto a quelli scelti da lui,  primo fra tutti Elio Salerno, cui, per la protesta generale, ha consegnato giorni fa  la nomina di presidente onorario del museo civico, un museo che non è mai esistito se non sulla carta, di cui lo stesso Salerno era l’ideatore, il fondatore e il detentore di reperti che non hanno mai avuto collocazione, perché il museo civico mai ha avuto una sede, al contrario di quello della piazzaforte,  voluto fortemente dallo scomparso Tullio Marco, di cui Antonello Forestiere è stato il braccio destro, vicedirettore. ..

La riunione del nuovo comitato di quest’ultimo  è avvenuta nel palazzo municipale di Augusta su convocazione del direttore . Antonello Forestiere. L’ordine del giorno del primo incontro è stato ricco di interessanti argomenti di discussione: Tra i tanti argomenti si segnalano la meritoria prossima nomina del primo gruppo di collaboratori del museo; l’imminente cerimonia ufficiale di consegna dell’elicottero AB.212 della M.M. già montatoal’interno del il comprensorio della Polizia di Stato; la partecipazione del museo a una serie di eventi culturali che si terranno a Catania, Siracusa e Augusta in occasione del 70° Anniversario della Battaglia di Sicilia 1943;  l’avvio della verifica della sistemazione esterna di alcuni grossi cimeli del museo (parte in deposito o in arrivo, parte ancora nel Museo dello Sbarco in Sicilia 1943 a Catania) presso il comprensorio esterno del Castello Svevo, sempre sul lato di Piazza Castello; lo sviluppo di rapporti culturali del museo con un’importante ente internazionale di collezionismo storico-militare con sede a Malta. Il direttore Forestiere ha ribadito l’importanza della cessione in proprietà dell’elicottero da parte dello Stato Maggiore della M.M., costituendo un evento di portata notevole in quanto la città di Augusta ed il Museo della Piazzaforte hanno così il primato a livello nazionale di possedere un aeromobile militare per finalità storico-culturali esposto, diversamente da altri monumenti, all’esterno di Basi, Musei, Istituti, in luogo tutelato e direttamente accessibile al pubblico. Per quanto riguarda la riapertura al pubblico del Museo che, ha ribadito il direttore, è sempre pronto da subito a essere visitato, nei prossimi giorni dovrebbero verificarsi assieme al commissario reggente il Comune le modalità di accesso del pubblico, permanendo a tutt’oggi, come è noto, la chiusura del portone del Municipio sul lato di Piazza Duomo.  F. C.

 

Così si difendeva Venezia sul Mar Mediterraneo

VENEZIA Le sorti della Serenissima Repubblica furono per tutti gli undici secoli della sua storia indissolubilmente legate a quelle della sua marineria. Da sempre rivolta ai traffici col Levante Venezia fondò la propria forza commerciale sulla potenza della sua flotta riuscendo a conquistare nel tempo innumerevoli basi strategiche dall’Adriatico al Mar d’Azov, dando vita a quello che venne chiamato lo Stato da Mar: dall'Istria alla Dalmazia, dalla Morea alle Isole Egee fino a Candia. Per difendere i suoi domini dalle aggressioni delle flotte nemiche fondamentale fu l’organizzazione di un sistema di difese, fortezze e porti fortificati capace di respingere in caso di guerra qualsiasi attacco. A questo tema affascinate è dedicata la mostra Fortezze veneziane del Mediterraneo aperta al pubblico da oggi fino al 22 settembre a Palazzo Ducale a Venezia. Curata da Camillo Tonini e Diana Cristante, l’esposizione ricostruisce per exempla i sistemi militari veneziani di difesa e i “capisaldi” fortilizi dello Stato da Mar. Immagini “manoscritte” di grande suggestione, realizzate con grande perizia tra il 16° e il 18° secolo dai tecnici a servizio della Repubblica, ci raccontano quale fu il ruolo strategico dei baluardi veneziani nel Mediterraneo. «Questo complesso sistema di fortificazioni – spiega Camillo Tonini - doveva essere costantemente monitorato e aggiornato rispetto ai mutamenti geo-politici e all’evoluzione delle tecnologie difensive e balistiche: una bombarda nel ‘500 non riusciva a fare grossi danni ad un muro di 50-60 cm, ma una petriera seicentesca riusciva a mandarlo giù con un colpo solo. Ingegneri, disegnatori, tecnici di chiara fama venivano coinvolti in una attenta opera di ricognizione e documentazione dello stato di fatto e nella progettazione degli adeguamenti necessari. Le carte esposte in questa mostra provengono direttamente dalle famiglie veneziane che nel corso del tempo amministrarono i territori costieri. Dovendo affrontare un aggiornamento difensivo facevano realizzare piante e progetti in duplice copia, per gli archivi della Serenissima e per quelli personali». Tra le opere più interessanti oltre alle fortificazioni settecentesche del maresciallo Schulemburg, una pianta del ‘600 con il sistema di difensivo di tutta l’Istria e la Dalmazia e una grande immagine di Zara – sempre seicentesca - con lo stato di fatto delle fortificazioni sopra le quali sono apposti foglietti mobili con il progetto dei nuovi bastioni. Il linguaggio di queste carte tecniche è molto diverso da quello attuale: decorazioni, segni, virtuosismi rendono i documenti (spesso segreti) opere di notevole pregio estetico. Giovanna Pastega

 

I forti una battaglia la fanno: per il paesaggio

PATRIMONIO. Domani al Circolo Ufficiali Fiorenzo Meneghelli presenterà il suo libro illustrato sull'architettura militare attraverso i secoli in città e provincia
Mai usati in guerra, bastioni di città e forti di Lessinia e Val d'Adige hanno salvato dall'assedio edilizio rare oasi di territorio naturale

Da l'Arena - 6 marzo 2013

Una storia di pietre, posate da innumerevoli mani, in oltre due millenni. È un libro verticale, ancora saldamente fondato in terra nonostante l'incuria, quello in cui Verona può leggere per intero la propria epopea. I regni sorti e caduti, i momenti di splendore e abbondanza, oppure di povertà e paura. Sono le mura e i forti tra città e provincia, oggi abbandonati, tranne poche eccezioni. L'architettura difensiva, un'eredità che ha meritato alla città il titolo Unesco di «patrimonio dell'umanità», viene descritta nel volume Verona, un territorio fortificato da Fiorenzo Meneghelli. «Le nostre fortificazioni non furono mai coinvolte direttamente in azioni belliche», scrive l'autore, «conservandosi in gran parte intatte». Eppure una battaglia di tutto rispetto l'hanno combattuta eccome: a tutela del paesaggio. Lì dove ora i cittadini si riparano dal caos urbano, facendo jogging sui bastioni di San Zeno e dintorni, le opere militari hanno arginato la colata postbellica del cemento. Sempre che adesso, complice il cosiddetto federalismo demaniale con cui lo Stato cede la proprietà delle fortificazioni alle amministrazioni locali, l'esito non venga capovolto, con riconversioni di stampo commerciale e speculatorio. Anche sul territorio, il presidio militare ha difeso il paesaggio: basta guardare lo splendido imbocco della Val d'Adige (ma tra un po', sullo sfondo, sorgeranno le pale eoliche alte 80 metri: non c'erano altri posti?) Ma come si è accumulato questo grande patrimonio? Verona, fin dalla sua fondazione romana, ebbe un importante ruolo militare grazie alla posizione strategica tra Alpi e area padana, tra Nord Europa e Mediterraneo. Dal secondo secolo prima di Cristo, la città divenne crocevia di strade imperiali: la Postumia, la Gallica e la Claudia-Augusta. Per proteggere il primo nucleo abitato, estesosi dal colle San Pietro entro l'ansa dell'Adige, i romani innalzarono una cinta dallo sviluppo lineare di quasi mille metri. Le porte che vi si aprivano erano sugli assi del Cardo (porta Leoni) e del Decumano (porta Borsari). Solo in seguito, a metà del terzo secolo, l'Arena venne inclusa nella cinta voluta dall'imperatore Gallieno contro le invasioni barbariche. Regni che passano, mura che restano. Dopo la fine dell'Impero romano, ogni nuova dinastia si preoccupò di rafforzare le opere militari già esistenti, innalzandone anche di nuove. Così fecero l'ostrogoto Teodorico, re d'Italia dal 493 al 526, e gli imperatori germanici. I quali ultimi inclusero i borghi più vicini alla città, ponendo tale difesa in prossimità dell'Adigetto (da Castelvecchio a ponte Aleardi) e inserendovi, a partire dal 1113-1130, anche gli insediamenti in sinistra Adige. Durante la signoria scaligera (1277-1387), il perimetro della città si allargò notevolmente, inglobando monasteri, orti e campagne. Le mura raggiungevano un'articolazione di 10 chilometri, confermata in seguito da veneziani e austriaci. A quel punto, il tracciato iniziava dal monastero di San Giorgio, risaliva verso Castel San Pietro e Castel San Felice, per poi scendere nei pressi di Campo Marzio e Porta Vittoria. E alla destra del fiume, partendo da Porta Fura, venivano compresi l'abbazia di San Zeno e gli altri conventi. Si conservarono anche le vecchie difese comunali, cui venne aggiunto il castello scaligero di San Martino (Castelvecchio). Sotto il dominio veneziano (1405-1797), venne istituito l'ufficio dei Provisores ad fortilicia. Risalgono a quest'epoca le porte Vescovo e San Giorgio, la costruzione dei bastioni delle Maddalene e di Campo Marzio. Il grande protagonista, tra il 1530 e il 1559, fu l'architetto Michele Sanmicheli. Portano la sua firma Porta Nuova e Porta Palio, che furono definite dal Vasari le più belle d'Italia. Inoltre Sanmicheli creò una particolare conformazione della cortina muraria, inserendo bastioni che penetrano nella campagna. La trovata, introdotta anche in altre città (Peschiera, Legnago, Padova, Orzinuovi), si concretizzò a Verona in bastioni e rondelle come quelli di San Francesco, Santa Trinità, dei Riformati, di Santo Spirito, San Bernardino, San Zeno, San Procolo e Spagna. Ma fu l'epoca asburgica (1814-1866) la grande età dei forti. Verona diventò la principale piazzaforte del Quadrilatero, costituito poi dalle fortezze di Peschiera, Mantova e Legnago. Nella città si insediano strutture, caserme, polveriere e opifici necessari al mantenimento di una guarnigione di 13mila uomini, 1.600 quadrupedi, 500 bocche da fuoco. Risale a questo periodo la fortificazione dei colli, in primis con quattro torri dette Massimiliane, le Torricelle, e poi con i forti Sofia, San Leonardo, San Mattia, von Scholl, dal nome del generale del genio militare austriaco, oggi distrutto, e per ultimo forte San Procolo. Le opere difensive austriache si concentrarono molto anche in Val d'Adige, per controllare i collegamenti con il Tirolo, con tre opere a destra del fiume, Chiusa Veneta, Ceraino, Monte, e una a sinistra, Rivoli. Conclude Meneghelli: «La cinta muraria e i forti di Verona sono spazi di pausa urbana in cui i silenzi, le aree verdi, gli scorci panoramici, le memorie storiche costituiscono un valore immateriale che è parte integrante di questo patrimonio da salvaguardare e che deve essere riconosciuto e fatto proprio dai veronesi. Tempo libero, cultura, turismo potrebbero essere le idee guida per un recupero». Lorenza Costantino

 

Lavori di restauro al Forte Inglese

Da Il Tirreno - 3 marzo 2013

PORTOFERRAIO. Un intervento di restauro per il Forte Inglese. Oltre mezzo milione di euro previsti (grazie anche a un finanziamento pubblico mirato al ripristino di monumenti storici) dall'amministrazione comunale, per finanziare interventi di recupero e restauro del Forte Inglese, da tempo lasciato nel degrado e nell’abbandono. In pratica sono previste queste fasi di lavorazione: il recupero e consolidamento delle parti cadenti; il taglio e la potatura delle erbe cresciute sul piazzale e nelle zone limitrofe; la rimozione degli intonaci e il rifacimento delle parti sotterrane; le opere di restauro della pietra presenti nella struttura, il restauro degli elementi in ferro presenti; la sistemazione del piazzale con la posa in opera di ciottolato, la posa delle porte interne e infissi esterni la posa di corpi illuminanti e il completamento dell'impianto elettrico.

Il Forte Inglese, è vero si trova al di fuori della cinta muraria della Città cinquecentesca, ma fu costruito, nel 1728, sul medesimo sito in cui era ubicato il Forte di San Giovanni Battista che in un secondo tempo fu completamente distrutto. Intorno alla seconda metà del Settecento, durante il periodo di dominazione inglese, venne eretto l’attuale forte che riveste una certa importanza in quanto costituisce una rara documentazione di forte militare di matrice culturale inglese presente sull’intero Mediterraneo.

Un prezioso documento che è bene recuperare e valorizzare nelle forme più opportune. L’amministrazione comunale intende “sfruttare” culturalmente una simile struttura architettonica. Dai saggi compiuti sulla pavimentazione dell’ingresso e del piano terra è venuto alla luce la pietra precedente.

Si tratta adesso di recuperarla e di metterla in mostra. Inoltre nella copertura sono stati rinvenuti le vecchie pavimentazioni in coccio e un mattonato gravemente fessurato, da qui le infiltrazioni d'acqua piovana nei locali sottostanti.

 

 

 

La Fortezza di Fenestrelle con i suoi 4000 gradini.

Dal sito www.gallerialiarumma.it/

Icona della provincia di Torino, il Forte di Finestrelle rappresenta, di fatto, la più vasta e grande fortezza in muratura dopo la Grande Muraglia Cinese. Monumento unico nel suo genere che l’ente provinciale torinese si impegna a promuovere e valorizzare, la fortezza è meta ogni anno di molti visitatori, soprattutto di passaggio, attratti dalla caratteristica scalinata.

La grande muraglia piemontese dai 4000 gradini.

Non si può dire di aver visitato davvero il Piemonte senza essere stati in una delle più notevoli fortezze in muratura di tutta Europa, pari d’estensione solo alla nota muraglia cinese, ovvero la Fortezza di Fenestrelle. La storia del forte è legata a quella francese, e più precisamente alla figura di Luigi XIV, il Re Sole, che ordinò la realizzazione della fortezza denominata Fort Mutin in alta Val Chisone per difendere il confine francese contro le truppe sabaude. Nel 1708 però il forte fu preso dalle armate sabaude di Vittorio Amedeo II e nel 1713, in conseguenza dell’emanazione del trattato di Utrecht, non solo Fort Mutin ma anche la valle del Chisone divennero a tutti gli effetti di proprietà piemontese. Fu così che Vittorio Amedeo incaricò l’ingegnere reale Ignazio Bertola di progettare altre e più soddisfacenti fortificazioni che andarono a inglobare il forte già esistente, formando così un vasto complesso che comprendeva tre forti, San Carlo, Tre Denti e Delle Valli, tre ridotte, ovvero Carlo Alberto, Santa Barbara e Porte, e due batterie, Scoglio e Ospedale. L’intera struttura rappresenta oggi un vero e proprio gigante di pietra, che si dirama per quasi cinque chilometri riuscendo a coprire un dislivello di ben 650 metri. Tutte le costruzioni che fanno parte della struttura sono collegate fra loro dalla caratteristica Scala Coperta costituita da ben 4000 gradini, vera attrazione e peculiarità di Fenestrelle.

Visita al forte

Nel corso dei secoli il forte è stato usato come prigione per i detenuti comuni, carcere di Stato e bagno penale e ancora fino all’epoca fascista finirono rinchiusi al suo interno i politici più ostili o meno collaborativi con il regime. Oggi il forte di Fenestrelle è aperto al pubblico e l’80% delle sue sale sono visitabili esclusivamente attraverso l’istituzione di tre differenti percorsi turistici che permettono di conoscere la fortezza da un punto di vista storico-architettonico ed escursionistico.
Ideale per escursioni domenicali e per ospitare le scolaresche in gita, il forte offre tre tipologie di itinerari tra cui scegliere, denominati “La passeggiata reale”, “Un viaggio affascinante dentro le mura” e “Scopri il San Carlo”. Il primo percorso consente di trascorrere l’intera giornata fino al tardo pomeriggio all’interno della fortezza: una guida specializzata porta i visitatori alla scoperta del forte San Carlo, della panoramica Scala Reale con i suoi gradini posti sul tetto della più famosa Scala Coperta, è prevista la visita anche delle ridotte e delle batterie, nonché dei luoghi più caratteristici del complesso fino a raggiungere i 1800 metri d’altezza per scoprire il forte Delle Valli. Nel pomeriggio è previsto il rientro attraversando la Strada dei Cannoni, che si trova all’interno della pineta che fiancheggia il forte. Il secondo itinerario è forse più accessibile a tutti perché dedicato alla storia e alla cultura della fortezza: prevede infatti una visita minuziosa del Forte San Carlo attraverso i diversi palazzi e sotterranei che lo contraddistinguono. Dopo il forte, si percorre un tratto della famosa Scala dai 4000 gradini e si rientra dopo aver attraversato la Strada Reale ed esser saliti a ben 1400 metri per apprezzare la Garitta del Diavolo, uno degli splendidi punti panoramici che offre la fortezza. Il terzo e ultimo percorso, per la sua brevità, è indicato ai turisti “en passant” e a chi ha poco tempo da dedicare alla visita della fortezza o che reputa poco adatti per sé gli altri tipi di itinerari. Il terzo percorso infatti permette di visitare solo il Forte San Carlo, soffermandosi in particolare sulla Piazza d’Armi, i palazzi, la chiesa e le tenaglie occidentali che ne fanno parte. Tutti e tre i percorsi permettono di soffermarsi anche presso il Museo allestito sul piano nobile del Palazzo del Governatore, dove sono conservati più di duecento esemplari di animali imbalsamati di ogni parte del mondo, donati al forte dalla famiglia Isoli di Lecco. Particolarmente istruttivo e interessante per le famiglie e i gruppi scolastici, il museo permette di far conoscere ai suoi visitatori le più particolari specie che popolano la fauna terrestre, alcune anche in via d’estinzione, come l’orso bianco canadese, il grizzly, il puma del Guatemala, i galli forcelli austriaci, l’oca pigmea dell’Egitto. All’interno invece del Padiglione degli Ufficiali si trova il Museo del 3° Alpini, in cui si conservano diari, foto, memorie storiche di ogni tipo, tra cui anche l’intero ufficio del generale Faldella all’epoca di quand’era colonnello del 3° reggimento, e i resti della bandiera salvata durante la prigionia tedesca nel ’44.

 

Valorizzare i fortini militari, al Cea i progetti degli studenti

LA MADDALENA Si svolgerà domani alle 10.30 al Cea, il Centro di educazione ambientale del Parco Nazionale dell’arcipelago della Maddalena situato a Stagnali, nell’isola di Caprera, la presentazione dei progetti realizzati dagli studenti del V anno del corso di progettazione ambientale del dipartimento di architettura dell'università di Sassari, con sede ad Alghero. Il tema è la “Riqualificazione e valorizzazione del paesaggio storico difensivo del sistema degli ex fortini militari della Maddalena”. Durante l’incontro verranno presentati al pubblico i migliori elaborati frutto del laboratorio di progettazione e le proposte di valorizzazione del territorio gallurese. Ad esporre i progetti sarà Stefan Tischer, coordinatore del dipartimento. Lo studio delle fortificazioni, condotto dai ragazzi, è cominciato alcuni mesi fa e l’attività di ricerca e studio condotta in questi mesi dai giovani studenti ha portato alla realizzazione di nuove proposte di valorizzazione dei fortini militari. (a.n.)

 

Un coordinamento dei forti mestrini per contare di più

GAZZERA Ricostituire il coordinamento dei forti per avere un maggior peso nei rapporti futuri con le istituzioni. È questo uno degli obiettivi dell'incontro che si terrà il prossimo 22 febbraio a forte Carpenedo e che vedrà presenti oltre che ai rappresentanti di quella ex postazione del campo trincerato di Mestre anche quelli dei forti Tron, Pepe, Mezzacapo e Gazzera. «In questo momento dobbiamo affrontare il problema dell'assenza di una convenzione con il Comune», afferma Graziano Fusati, presidente del comitato di gestione di forte Gazzera, «per questo credo sia opportuno questo incontro. Non vorremmo che si decidesse di fare pagare l'affitto a chi opera all'interno dei forti, in questo caso posso già assicurare che il nostro comitato abbandonerebbe immediatamente forte Gazzera. Non avremmo alternative, non possiamo chiedere alla gente di lavorare all'interno di una struttura e poi anche di tirare fuori i soldi». Il faccia a faccia di forte Carpenedo, insomma, potrebbe avere importanti conseguenze anche per tutta Chirignago-Zelarino, considerata l'importanza che i forti Gazzera e Mezzacapo hanno assunto all'interno della programmazione culturale. (m.t.)

 

Conto alla rovescia per Forte Ardietti

Sono giorni davvero importanti e decisivi per Ponti del Mincio. Mentre si avvia il restauro del castello scaligero, si avvicina al compimento un’altra operazione importante nell’ottica di un rilancio del comune in ottica culturale e turistica. Un altro monumento storico, il Forte Ardietti, opera difensiva austriaca (dell’epoca del famoso “quadrilatero” difensivo) sta per passare al Comune che, come è stato annunciato nei mesi scorsi, intende restaurarlo e realizzarci un ostello a disposizione dei tanti turisti che attraversano la zona del Garda o viaggiano in bici lungo la ciclabile Mantova-Peschiera. «A che punto siamo? Manca pochissimo. Il progetto è già passato al vaglio del ministero che ha presentato due piccole osservazioni che abbiamo già recepito. Ora è il turno del demanio che ha chiesto di vedere il piano – spiega il sindaco Amicabile – il sì definitivo? Spero possa arrivare nel giro di una trentina di giorni».

 

Una fortezza militare nascosta tra le rocce di Capo d’Orso. Dove oggi passano gli yacht, un tempo c’erano le navi da guerra.

Da Sardegnaabbandonata.it - 5 febbraio

Oggi è uno dei centri del del turismo sardo e uno dei paesaggi più spettacolari dell’isola, ma negli ultimi due secoli e mezzo il tratto di costa compreso tra Palau e l’arcipelago della Maddalena è stato uno dei punti strategici di quel complicatissimo scacchiere geopolitico che era il Mediterraneo. Le acque che che venivano solcate dapprima dai vascelli sabaudi, francesi e inglesi, dagli incrociatori italiani e infine dai sottomarini nucleari americani, sono oggi dominio incontrastato dei battelli che ripercorrono incessanti la tratta per l’isola di La Maddalena e, durante i mesi estivi, degli yacht e dei barconi carichi di turisti.L Le guerre sono finite e anche qui i militari hanno fatto le valigie, ma l’imponente sistema di fortificazioni che ci ricorda lo spettro sempre presente della follia e dell’aggressività umana è ancora lì, a due passi da hotel, piscine, ville da sogno e villaggi vacanze. Paradisi artificiali il cui numero sembra comunque relativamente contenuto rispetto ad altre aree della Costa Smeralda. Qui la cementificazione selvaggia è stata limitata anche dalle piazzeforti militari. Tra le tante fortificazioni militari presenti in Sardegna, la postazione di Palau merita un’attenzione particolare sia per le dimensioni, sia per il suo ruolo storico nella difesa da un ipotetico tentativo di invasione dell’Isola. Invasione che non c’è mai stata, ma la fortezza ha continuato ad esistere e ad aspettare, quasi come quella immaginata dallo scrittore Dino Buzzati nel suo romanzo “Il deserto dei Tartari”. A causa della sua particolare posizione geografica (e conformazione fisica), la Sardegna ha ricevuto l’ingrato nominativo di “portaerei del Mediterraneo”. Ma già più di un secolo prima dell’avvento della guerra moderna, gli strateghi militari avevano già puntato gli occhi sull’isola. Nel 1793, durante il Regno dei Savoia, l’arcipelago della Maddalena e la costa antistante furono teatro di un fallito tentativo di invasione da parte della flotta francese – a cui partecipò tra gli altri il giovane Napoleone Bonaparte – respinto dall’ammiraglio maddalenino Domenico Millelire. Successivamente l’ammiraglio inglese Horatio Nelson, consapevole del pericolo francese, scrisse:

“…se noi possiamo possedere la Sardegna non avremmo più bisogno né di Malta né di altro: essa, quale stazione navale e militare, è la più importante isola del Mediterraneo: possiede alla sua estremità settentrionale il più bel porto del mondo. La Maddalena è a 24 ore di vela da Tolone; copre l’Italia e la sua posizione è tale che il vento favorevole ai Francesi per navigare verso est è egualmente propizio a noi per seguirli [...]. Se io perdo la Sardegna perdo la flotta francese”.

Pertanto, nel 1803, Nelson elegge quel tratto di mare come base della Marina inglese, il che fece desistere i Francesi da ulteriori tentativi di sbarco. Proprio in questo periodo emerse la necessità di potenziare la rete di vedette costiere con un complesso sistema di fortini e caserme. Nacquero, tra le altre, le fortezze di punta Altura e di Capo d’Orso, e le postazioni di Montiggia e punta Sardegna. Inizialmente di piccole dimensioni, vennero progressivamente ampliate nel corso dei successivi anni di relativa calma. Nel 1851, subito dopo la prima Guerra d’Indipendenza, i Savoia inviarono a Palau il Generale Verani, che esaminò il sistema difensivo ipotizzando lo scenario di una nuova invasione della Sardegna. Giunto alla conclusione che l’asprezza dell’entroterra gallurese avrebbe costituito già di per sé una difesa naturale contro un eventuale nemico, propose di concentrare la presenza militare solo sulla costa, rafforzando selettivamente alcune delle preesistenti installazioni. Venne data la priorità al forte di Capo d’Orso, per la sua posizione che permetteva di spaziare sul golfo di Arzachena e su La Maddalena e Caprera. Tuttavia, a causa della mancanza di fondi deputati al potenziamento delle strutture, nel 1857 il governo sabaudo fu costretto a decretarne l’abbandonoTrent’anni più tardi, nel 1887, con il cambiamento dello scenario geopolitico locale e l’introduzione di armi sempre più distruttive, si tornò a riconsiderare il concetto di fortificazione costiera: il nuovo obiettivo strategico non era più la difesa della Sardegna, ma il controllo delle Bocche di Bonifacio. Per questo motivo, anche Capo d’Orso venne recuperata e assunse un “ruolo attivo”: il che, tradotto dall’asettico lessico militare, equivale a dire che le installazioni si dotarono di artiglieria in grado di colpire le navi anche su lunghe distanze.La fortezza venne ampliata con la costruzione di una nuova caserma con capienza di cinquanta uomini, e altri edifici (tra cui scuderie e una polveriera) verso l’entroterra. Venne largamente utilizzata la pietra locale, il granito, che offriva agli edifici sia una grande resistenza, sia una mimetizzazione con il paesaggio circostante. Si riparlò anche di un’invasione che, sempre secondo gli strateghi, avrebbe potuto seguire il tracciato della nuova strada Palau-Tempio, per cui un ulteriore obiettivo del forte era proprio la difesa di Palau. Per l’epoca, queste installazioni rappresentavano l’apice della tecnologia conosciuta in termini di difesa costiera. Fortunatamente, i cannoni tacquero e per la batteria di Capo d’Orso non si presentarono occasioni per partecipare ad azioni belliche. Durante la Prima Guerra Mondiale il conflitto si tenne al di fuori della Sardegna, ma le fortezze di Palau vennero ulteriormente rinforzate e mimetizzate, nell’eventualità di incursioni aeree. Le ostilità arrivarono invece con la Seconda Guerra Mondiale, in cui Capo d’Orso ricoprì un ruolo primario nella difesa del porto di La Maddalena, di vitale importanza per le navi della Regia Marina italiana. Pesantemente equipaggiata con cannoni e mitragliatrici antiaeree, non riuscì a impedire il bombardamento alleato che nell’aprile del 1943 portò all’affondamento del famoso incrociatore “Trieste”, in rada nelle acque antistanti all’isola.Dopo la fine della guerra, nonostante la massiccia presenza statunitense nell’arcipelago della Maddalena, tutte le fortificazioni di Palau persero ogni importanza e vennero lentamente abbandonate. Negli ultimi decenni l’area è passata dalla Marina allo Stato, che a sua volta l’ha ceduta alla Regione, senza che al momento vi sia un preciso piano di ristrutturazione o valorizzazione (come è invece avvenuto, ad esempio, per punta Altura). Oggi le rovine di Capo d’Orso si trovano a poche centinaia di metri dalla celebre roccia omonima, meta di migliaia di visitatori. Per merito della robustezza del granito, la struttura si è preservata in condizioni relativamente buone, nonostante la ruggine e l’umidità abbiano in gran parte minato l’integrità degli elementi in ferro e legno. Aggirandosi tra l’intricato labirinto di gallerie, camminamenti e ponti sospesi che compongono questo imponente scheletro di pietra, si ha l’impressione di trovarsi in un una strana via di mezzo tra un castello medievale e un tempio precolombiano. Nella parte più interna si trovano il caratteristico ponte di ingresso, le caserme, le scuderie e gli edifici che probabilmente erano le polveriere, ormai invasi dalla macchia mediterranea. Risalendo il sentiero si arriva a quota 109 metri, dove si apre un piazzale che domina l’arcipelago, con le vecchie postazioni dell’artiglieria ancora in attesa di un invasore che fortunatamente non arrivò. E a questo punto, forse, possiamo dire che non arriverà mai.DOVE SI TROVA: a Capo d’Orso, nei pressi di Palau, di fronte all’isola di Santo Stefano e de La Maddalena. Ci si arriva dal sentiero che parte dalle indicazioni per la roccia dell’orso (l’orso è sulla sinistra, la fortezza sulla destra).   http://www.sardegnaabbandonata.it/fortezza-capo-dorso/

 

Mobilitiamoci tutti per Forte Marghera

Nel consiglio comunale del 14 gennaio, contrariamente a quanto previsto dall’ordine del giorno, non sono state discusse le Linee guida partecipate e condivise per il futuro di Forte Marghera, prodotte dalla cittadinanza. L’occasione infatti è stata “sfruttata” per presentare lo stato d’avanzamento del piano di recupero che la giunta sta predisponendo. Piano che prevede anche la possibilità di edificare nella lunetta centrale a nord-ovest del Forte. Cosa che, se avvalorata dalla Soprintendenza, appare ai più scandalosa, trattandosi questa di un’area vincolata dal punto di vista monumentale, ambientale e archeologico. Nel corso del Consiglio, non una parola sulle Linee guida è stata spesa negli interventi degli assessori Micelli e Bettin, né dal presidente Turetta, mentre non è stato concesso ai promotori del documento il diritto di replica. Tale diritto sarebbe limitato, da quanto ha sostenuto Turetta, alla discussione nell’ambito delle commissioni consiliari. Ricordiamo allora, in particolare al presidente della settima commissione, il consigliere Cavaliere, che in occasione dell’audizione concessa il 18 aprile scorso, non ci è stato possibile esercitare tale diritto in quanto, proprio nel momento in cui la parola doveva tornare a noi cittadini, era venuto a mancare il numero legale, e la commissione non è più stata convocata. E questo nonostante le richieste avanzate dagli stessi cittadini, anche tramite il Difensore civico, la cui segreteria attende, ancora oggi, la risposta di Cavaliere all’istanza presentata il 4 novembre scorso. Così come attendiamo anche la risposta formale, promessa da Turetta nel Consiglio del 14 gennaio, alla richiesta di istruttoria partecipata su piano e bando per Forte Marghera, richiesta presentata da 4.620 cittadini oltre 9 mesi fa. Abbiamo anche assistito all’audizione di lunedì 28, promossa dall’attuale gestore del Forte, la partecipata Marco Polo System, che da 13 anni è nelle mani dello stesso amministratore unico e che solo da due mesi, grazie all’intervento del Difensore civico, ha visto nominato il suo Collegio dei revisori. Anche tale audizione a Commissioni congiunte non ha riservato alcuno spazio al dibattito, in particolare ai cittadini intervenuti (in numero maggiore rispetto ai consiglieri), in quanto quasi tutto il tempo a disposizione è stato impiegato dai relatori invitati. Dall’intervento dell’olandese Peter Ros, ospite d’onore del consesso, abbiamo comunque appreso che il modello al quale dovremmo fare riferimento costituisce il frutto di una compartecipazione di più enti pubblici (nazionali e locali) e della cittadinanza, processo che ha consentito un graduale e progressivo recupero delle fortificazioni in Olanda. E abbiamo anche appreso come lì siano sempre state previste destinazioni d’uso a servizio della cittadinanza, ben lontane dunque da visioni “internazionaliste” su Forte Marghera, come quelle tanto care al consigliere Borghello.La partecipazione della cittadinanza alle decisioni sembra dunque limitarsi alla possibilità di essere vagamente ascoltati una tantum, oltre a quella di ricevere aggiornamenti sullo “stato d’avanzamento dei lavori” (forse perfino via web) senza altre possibilità di interagire con gli amministratori, che non siano quelle obbligatoriamente previste dalle leggi vigenti, come ad esempio le osservazioni ai piani urbanistici e agli accordi di programma, le quali risultano però sempre di più uno strumento spuntato e spesso tardivo rispetto alle decisioni “politiche” già prese. Oppure quelle previste dal nuovo statuto comunale, peraltro ancora inapplicabili per quanto riguarda gli Istituti di partecipazione poiché, a 13 mesi dalla sua approvazione manca ancora il regolamento d’attuazione. Confidiamo allora nella capacità della cittadinanza di mobilitarsi a difesa dei propri diritti, compresa la possibilità di poter partecipare direttamente alle scelte e alle decisioni che riguardano il proprio territorio, nel quale ricade anche Forte Marghera scampato, solo due anni fa, alla privatizzazione e alla sua consegna all’Impregilo, proprio grazie alla mobilitazione dei cittadini. * Gruppo di lavoro per Forte Marghera

 

Forte Marghera, l’Olanda in aiuto

Su Forte Marghera c’è l’interesse a collaborare del governo olandese che da anni porta avanti il progetto “Atfort” per il riutilizzo dei patrimoni fortificati europei. Una idea da copiare a Mestre, per l’intero campo trincerato. Una fondazione, con vari volontari, interviene nei forti olandesi dove gli affitti commerciali degli spazi vanno a pagare le manutenzioni e se un forte è in perdita, gli altri coprono sempre i costi. Ieri a presentare la collaborazione è arrivato il professor Peter Ros che ha parlato a Ca’ Farsetti ad un incontro organizzato dalla Marco Polo System con le commissioni comunali (per la verità non molto partecipato). “Atfort” e Marco Polo System collaborano per pensare al futuro del gioiello mestrino dove la società di Piero Pettenò vorrebbe creare un parco culturale di valenza europea. «Usando la rete internazionale vorremmo creare una struttura di specialisti per gli interventi», dice Piero Pettenò. Il 18 marzo gli olandesi torneranno con gli altri partner europei per un convegno. A forte Marghera, dopo la mappatura degli edifici, si attende il bando della giunta comunale per la valorizzazione degli spazi. Ma esistono anche evidenti differenze, sottolinea Camilla Seibezzi, presidente della commissione Cultura. «In Olanda per i forti il governo ha stanziato 180 milioni di euro. Qui mancano i fondi strutturali dalla Regione e dopo diciotto anni di studi, i primi risalgono al 1996 con lo studio Konver, siamo ancora a chiederci cosa fare senza un euro di investimento vero». La Marco Polo ha chiarito che i fondi olandesi sono arrivati da fondi per interventi infrastrutturali. Fondi, per ora, sono arrivati ma sono pochi: 200 mila euro della Regione per il museo delle imbarcazioni tipiche. Per l’arte contemporanea per il 2013 arriveranno 70 mila euro. All’incontro è intervenuto anche Carlo Di Raco dell’Accademia di Belle Arti, presente nel forte da circa sei anni, e che qui ha sviluppato un centro di produzione artistica specializzato in scenografia e laboratori estivi. Interessante la proposta di Pietro Zennaro, docente dello Iuav di Venezia, che ha ribadito la vocazione di forte Marghera come centro di recupero, valorizzazione e riqualificazione dell’architettura fortificata e ha proposto anche workshop per cassintegrati e disoccupati che potrebbero imparare nuovi mestieri per poi metterli in pratica direttamente per il restauro del forte, che lentamente in alcune sue parti, sta cadendo a pezzi. (m.ch.)

 

In cantina le foto dei forti austriaci degli altipiani

ISERA Le fortificazioni della Grande Guerra in una mostra. Alle 18 si inaugura alla Cantina d'Isera la mostra fotografica "Fortezze di un impero perduto" di Andrea Contrini. Nel punto vendita di Cornalé il fotografo espone una serie di foto su quanto resta della Grande Guerra a Folgaria, Lavarone e Luserna. In questi luoghi dai primi del '900 l'esercito austro-ungarico edificò una serie di fortificazioni. Tranne Forte Belvedere, tutte le fortezze furono fatte saltate in aria alla conclusione del conflitto e ora ne rimangono solo i ruderi. La mostra rimarrà aperta fino al 15 febbraio. (pa.t.)

 

Nel 1997 divenne la base radio dei «Serenissimi»

Da l'Arena - 23 gennaio 2013

Nell'ultimo ventennio del XIX secolo, il Genio Militare del nuovo Regno d'Italia realizzò attorno a Verona una linea di fortificazioni difensive antiaustriache. Anche il forte San Briccio rientra tra di esse, con la propria batteria a Monticelli. Il progetto copia i forti austriaci studiati da Andreas Tunkler. Altre fortificazioni sono il Santa Viola ad Azzago, Monte Castelletto a Cancello, Monte Tesoro a Sant'Anna d'Alfaedo, Masua a Breonio e San Marco a Rivoli. Alla fine del 1882, don Serafino Manzatti, allora parroco a San Briccio, venne convocato dal Genio Militare a Verona per definire gli atti di esproprio della prebenda parrocchiale. Con la vecchia chiesa del XV secolo, erano circa 42.000 metri quadri dei 74.000 ritenuti necessari dai militari per la realizzazione del forte. In cambio ottenne 57.000 lire, circa 228.000 euro. La costruzione del forte fu aggiudicata ad Eugenio Laschi, che la cedette all'impresa Giovanni Antonio Ronchi e cav. Federico di Cirillo Bagozzi di Villa Cogozzo (Brescia). Durante gli scavi del 1883, vennero alla luce importanti reperti medievali, romani e preistorici. Il complesso, comprendente un manufatto di 5.115 mq, inserito in un bastione a trapezio di 22.000 mq., circondato da un fossato, tutto in un'area di circa 74.000 mq.. Fu completato nel 1888. Il forte poteva contenere una guarnigione di 290 soldati. L'opera costò 12, 13 milioni di euro, ma non fu mai in prima linea di guerra e venne presto superata dall'evolversi del modo stesso di combattere. Così, da presidio offensivo e difensivo, venne declassato a deposito militare. Cosa che preoccupò la popolazione di San Briccio e dei paesi limitrofi, soprattutto durante l'ultima guerra mondiale quando venne occupato dalle truppe tedesche che lo minarono. Alla liberazione, i partigiani, guidati da Marino Composta, occuparono il forte e, con la popolazione di San Briccio, lo svuotarono della polvere e delle munizioni che conteneva. Finita la guerra, il forte fu vigilato da una trentina di volontari e poi da militari con guardie giurate scelte fra la gente di San Briccio. Solo alla fine del 1960 i militari ripresero il controllo del forte fino al 1979. Dopo un periodo in cui venne gestito da volontari coordinati da Lino Pasetto, il manufatto fu abbandonato. Da segnalare che nel 1997 venne usato dagli indipendentisti veneti, i «Serenissimi», come stazione radio per interferire sui programmi del Tg1.G.C.

 

La Base torna a casa

 

Il percorso europeo dei forti un'idea che fa bene al turismo

DOLCÈ. Il Comune ha inserito le sue fortificazioni, quelle di Ceraino e della Chiusa, nel progetto finanziato dall'Unione. Castelletti: «La route delle fortezze asburgiche sarà un'occasione di sviluppo per le attività legate alla cultura ma anche al vino e alla ristorazione»

Da l'Arena - 9 gennaio 2013

«Le fortificazioni presenti nel Comune di Dolcè? Potranno essere inserite nel progetto finanziato dall'Unione europea per valorizzare e mettere in rete i forti della Val d'Adige e della Provincia di Verona, con l'inserimento in un itinerario europeo, la route delle fortezze asburgiche». E' ottimista Ivan Castelletti, consigliere comunale ma anche presidente della commissione cultura della Provincia. Sarà un'importantissima occasione per i comuni della cosiddetta Terra dei Forti, che finalmente vede premiata la lungimiranza del progetto di valorizzazione delle fortificazioni, e un'occasione di crescita con la costruzione di un percorso europeo delle fortificazioni e una «filiera» certificata. «Siamo consapevoli», spiega Castelletti, «che la provincia di Verona è la più ricca di fortificazioni costruite tra il 1848 e il 1852. Con il Progetto Forte cultura sono stati assegnati 1.629.000 euro ai dodici partner di otto Stati europei; capofila del progetto è la polacca Urzad Miasta Kostrzyn nad Odra; al veronese sono stati assegnati 164.300 euro, finanziati direttamente». E' un progetto importante, secondo Castelletti, perché grazie a questa catalogazione, sarà possibile ottenere finanziamenti europei per la ristrutturazione delle fortificazioni. Nel comune di Dolcè sono presenti il Forte di Ceraino, costruito dagli Austriaci tra il 1850 e il 1851, che fu da questi intitolato al luogotenente feldmaresciallo Johann von Hlavaty come riconoscimento per la sua attività di architetto militare. E' stato da pochi anni dismesso dall'Esercito Italiano, veniva usato dalla Forestale e oggi il Forte è visitabile dall'esterno. Altra fortificazione presente a Dolcè è il forte della Chiusa, che faceva parte di un quadrilatero difensivo destinato a controllare lo sbocco della Val d'Adige. «Le fortificazioni negli ultimi anni», continua Castelletti, «hanno assunto grande rilievo in chiave promozionale e i tour operator e i turisti sono molto attenti a queste realtà. Anche per il progetto Terra dei Forti, a cui è legata la denominazione del Consorzio vini, è un traguardo importante in quanto potrà avere dei risvolti per lo sviluppo enogastronomico della Val d'Adige e le aree limitrofe». Il progetto entrerà nel vivo già il 24 e 25 gennaio, con le iniziative organizzate in città con un workshop specifico di valutazione degli indicatori socio economici. A tal proposito la Provincia ha costituito un gruppo intersettoriale e sono state assegnate delle specifiche competenze. Sarà di fondamentale importanza il lavoro di catalogazione delle fortificazioni; mentre la fase due del progetto sarà centrata sulla costituzione di un data-base con tutto l'elenco delle fortificazioni a disposizione del pubblico e con l'idea di creare un software avanzato per guidare i turisti all'interno dei Forti. «Tutto questo lavoro porterà ad un possibile e importante sviluppo turistico», continua Castelletti, «Ci sono quindi, priorità di progetto importanti che permettono di indicare un percorso di storia, cultura e multimedialità. Inoltre ci sono molti aspetti che seguiranno il progetto: sarà possibile valorizzare beni architettonici e individuare i beni su cui intervenire». Giancarla Gallo