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ANNO 2021

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Martedì nuovo incontro in compagna dell'associazione "Monte Chaberton"
Da torinoggi.it del 30 dicembre 2021

Con l’inizio del nuovo anno l’associazione riprende lo svolgimento degli appuntamenti culturali all’insegna delle fortificazioni e della storia militare.
Il primo del 2022 si terrà martedì 4 gennaio alle ore 17.30 presso il Palazzo delle Feste di Bardonecchia in Piazza valle Stretta 1, con una conferenza dal titolo “La retorica del confine” che tratterà la genesi e gli aspetti evolutivi delle opere militari erette nel territorio della conca bardonecchiese attraverso un’ampia panoramica delle principali opere militari alpine poste a presidio del confine ed erette tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX . Tra queste quelle del Vallo Alpino realizzate a cavallo degli anni ’30 e ’40 e facenti parte dell’allora VIII settore di copertura “Guardia alla Frontiera”. Oltre agli aspetti storici e tecnici legati alla fortificazione alpina gli storici Mauro Minola, Ottavio Zetta e Fabrizio Coniglio illustreranno al pubblico, attraverso la presentazione di oggetti e reperti originali dell’epoca, aneddoti e particolari della vita quotidiana trascorsa dai soldati durante gli interminabili turni di servizio ai presidi e ricoveri di  alta quota.

Per l’occasione e sino a tutto il 09 gennaio la mostra storica permanente dal titolo “Guerra sulle Alpi – dallo Chaberton al Vallo Alpino ” allestita all’interno della location sarà visitabile, con ingresso gratuito, nell’orario 16.30-19.00.

Si ricorda che per l’ingresso al palazzo è obbligatorio, in linea alle vigenti norme anti contagio da Covid-19, il possesso del green pass “ rafforzato” mentre, per la partecipazione alla conferenza, sarà richiesta anche la prenotazione del posto a sedere.

 

L'ultimo tramonto dell'anno a Forte Corbin
Da vicenzatoday.it del 28 dicembre 2021

Per salutare il 2021 in compagnia, lo staff del Forte Corbin propone una suggestiva visita guidata della fortezza e del suo museo.
L'occasione offrirà l'opportunità di ammirare l'ultimo tramonto dell'anno da una posizione ideale di ponente, dove meravigliosi tramonti invernali tingono il cielo dell'Altopiano e danno risalto al panorama, già mozzafiato, di questo luogo.

Venerdì 31 dicembre 2021 ore 16 - l'ultimo tramonto dell'anno visto dal Forte Corbin!

Quota di partecipazione: €10 adulti, €5,00 bambini 7-13anni comprensiva di ingresso al forte e museo, servizio guida e bevanda calda.
La prenotazione è obbligatoria telefonando al 349.2685543 ed è necessario il greenpass.
La visita durerà circa 1 ora e poi... tutti a festeggiare nei vari locali altopianesi.

FORTE CORBIN

Situato nella zona occidentale dell’Altopiano di Asiago, in prossimità del Monte Cengio e del paese di Treschè Conca, il Forte di Punta Corbin fu uno dei forti italiani che costituivano la linea difensiva sulle Prealpi vicentine. Costruito a partire dal 1906 su uno sperone di roccia proteso sulla Valle dell’Astico con lo scopo di difendere la vallata da eventuali invasioni austroungariche, il Corbin fu progettato per essere una delle fortificazioni più potenti dell’Altopiano.

Il Museo Storico Militare Forte di Punta Corbin è meta frequentata dai turisti, che possono visitare la fortezza con l’aiuto di una mappa con il percorso spiegato, una guida scritta o un accompagnatore. Inoltre, all’interno del forte è stato realizzato un museo dove i reperti originali trovati all’interno del forte.

Museo Storico Militare Forte di Punta Corbin, Località Corbin, Treschè Conca di Roana (VI),  Tel: 349.2685543

 

Il recupero dei bunker parte da “Caterina B”. Via ai primi visitatori
Da ilpiccolo.it del 27 dicembre 2021

Il rifugio vicino a Fiume costruito dall’Italia negli Anni Trenta. La ristrutturazione grazie al Programma Ue Interreg V-A

FIUMEUna potente accelerata alla valorizzazione del patrimonio archeologico militare a Fiume, da lunghi decenni finito ingiustamente nel dimenticatoio. Nella cinta collinare da cui si domina la città di San Vito, in zona Pulaz, sopra i rioni di Cosala e Belvedere, è stato restaurato il bunker Caterina B, costruito negli anni Trenta del secolo scorso quando Fiume era parte dell’Italia.

La struttura è andata incontro a capillari lavori di riparazione e recupero, grazie al progetto europeo intitolato Revival–rivitalizzazione del patrimonio architettonico nel panorama dell’area adriatica, che fa parte del programma di cooperazione transfrontaliera Interreg V-A Italia–Croazia 2014–2020, al quale, oltre a Fiume, hanno aderito Forlì, Campobasso, Cesenatico, Pesaro, Zara e Spalato.

 

Reperti bellici sulla spiaggia di Trapani: la ‘Casamatta’
Da primapaginatrapani.it del 26 dicembre 2021

Fortificazioni in cemento degli anni ‘40 del 1900, oggi luogo di degrado

Se ne trovano diversi, ma ce n’è uno che più di tutti fa bella mostra di sè e si trova sulla spiaggia di San Giuliano (precisamente Litoranea Nord di Trapani). Spesso, passando con la macchina, ci siamo chiesti la sua utilità: viene chiamata ‘Casamatta’ ed è un’opera di fortificazione militare in cemento armato, dove era situato il cannone o la mitragliatrice. La sua forma a tutto tondo conferiva una massima protezione al soldato che si trovava all’interno e che manovrava l’arma.

I proiettili venivano sparati solo tramite una feritoia (strettissimo buco ricavato nel cemento per far uscire la punta dell’arma da fuoco). Fortificazioni di questo tipo sono disseminate sulle coste siciliane e risalgono a un periodo intercorrente tra il 1940 e il 1943. Un patrimonio storico che conserva il ricordo doloroso della seconda guerra mondiale, quando Trapani fu duramente colpita: venne distrutto il Teatro Garibaldi, parte del Palazzo senatorio Cavarretta, il quartiere San Pietro (dove poi si costruì la nuova Corso Italia), numerose chiese, monumenti e palazzi privati.

Oggi questi ‘reperti storici’ sono oggetto di abbandono, inciviltà e degrado, perlopiù pieni di spazzatura - forse anche perché la coscienza collettiva ha voluto rimuovere dalla memoria quel brutto periodo.

 

Lavori al Forte San Felice un tavolo con i Ministeri
Da nuovavenezia.it del 24 dicembre 2021

CHIOGGIA A gennaio un tavolo tecnico e un nuovo sopralluogo al Forte San Felice. Lo ha annunciato l’assessore al Demanio Elena Zennaro rispondendo in Consiglio a un’interrogazione di Marco Veronese (M5s) che chiedeva conto di quando riprenderanno i lavori sul portale del Tirali, di quando tornerà a incontrarsi il tavolo tecnico che deve dar corso al protocollo per il recupero del bene, ed a come sia finita la richiesta di autorizzazione ambientale alla Regione per il progetto dell’oasi verde.

«Sul Forte San Felice l’attenzione rimane massima», spiega l’assessore Zennaro, «Abbiamo convocato il tavolo tecnico per il 13 gennaio e il giorno dopo si terrà un sopralluogo per vedere lo stato di avanzamento dei lavori. Al tavolo prenderanno parte rappresentanti di ministero della Difesa, Difesa spa, Marifari Venezia, Marina, Demanio, Genio civile, Provveditorato alle opere pubbliche, Consorzio Venezia Nuova, Soprintendenza, direzione generale dei Musei del Veneto, ministero delle Infrastrutture, Istituto nazionale dei castelli, ministero dei Beni culturali, comitato Forte San Felice e Regione. Il tema è di interesse collettivo e vi è la massima collaborazione fra tutti gli enti per arrivare al risultato. Il sindaco aveva già perorato la causa nella sua missione a Roma di novembre incontrando i vertici del ministero per ribadire la necessità di continuare nel percorso di recupero. Non nascondiamo però una certa difficoltà nel recuperare tutte le informazioni perché i contatti erano stati tenuti dal dirigente all’Urbanistica che a scadenza dell’incarico non ci ha ragguagliato. In questo senso l’ex assessore Veronese ci potrà di certo dare una mano».

 

Torri saracene, la storia, oltre il mito tutto quello che c'è da sapere
Da cilentolive.com del 23 dicembre 2021

Di Emanuela Dente

Le coste del Sud Italia sono caratterizzate dalla massiccia presenza di “strani” edifici in mattoni o pietra, dalla forma cilindrica, che di solito si trovano a picco sul mare. Alcune conservano ancora l’aspetto originale, altre sono ormai diroccate e ridotte a veri e propri ruderi. Questi edifici ricordano vagamente i torrioni dei castelli medioevali, presenti al lati della fortificazione e costruiti al fine di avvistare eventuali nemici, e prevenire gli attacchi esterni. Naturalmente costruire castelli fortificati per difendere le coste sarebbe stata un’operazione lunga e dispendiosa, che nemmeno il più munifico degli imperatori avrebbe potuto permettersi. Dunque la soluzione era semplicemente estrarre dal contesto la torre stessa, per renderla un edificio a sè stante. Sono nate, così, le torri saracene, edifici fortificati posti lungo le coste, in punti strategici, allo scopo di avvistare eventuali nemici provenienti dal mare. Il nome “saracene” deriva direttamente da quello che è il suo scopo, ovvero difendersi dai pirati, chiamati in modo gergale, e senza distinzioni, saraceni.

Torri costiere

Le torri di avvistamento sono da secoli uno degli strumenti di difesa più utilizzati, a riprova di questo vi sono le numerose torri normanne e torri aragonesi sparse un po’ dappertutto, lungo le coste del Sud Italia. L’esistenza di questi edifici fortificati, in realtà, inizia molto tempo prima, quando i Romani adottarono questo sistema di difesa per proteggersi dagli attacchi dei pirati che, all’epoca, dominavano il Mediterraneo.
Discorso diverso, invece, per quanto riguarda le torri fortificate presenti in altre zone d’Italia, per esempio in Sardegna. Gli edifici collocati lungo le coste sarde, infatti, hanno origini molto più recenti, esse risalgono all’imperatore spagnolo Filippo II il quale, a partire dalla seconda metà del 500, ne ordinò la realizzazione. Lo scopo rimaneva sempre quello di difendere i confini, ma i nemici in questo caso erano rappresentati da pirati proveniente dal nord Africa. L’appellativo “saracene”, dunque, in riferimento a queste costruzioni fortificate, sarebbe da ricondurre ad un periodo antecedente, intorno all’XI secolo, quando gli invasori arrivavano, in gran parte, dall’Oriente.

Torri saracene Positano

In Campania, in particolare nella zona di Positano e della Costiera Amalfitana, le torri di avvistamento fortificate sono state costruite in grandi quantità, sin dal periodo longobardo, con una ulteriore spinta durante la dominazione angioina e aragonese. I Comuni quasi sempre li restaurano e convertono gli spazi in luoghi adatti ad ospitare iniziative o mostre oppure, ancora, le torri vengono acquistate da privati e diventano ristoranti o alberghi, dove è possibile gustare il meglio della cucina locale, in una location suggestiva e unica nel suo genere.Torre sponda Positano, Torre del Saraceno Amalfi, Torre Saracena Seiano, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

La Costa Cilentana

La costa cilentana è ricca di torri saracene: le fortificazioni sul territorio sono ben 58, dislocate lungo la costa tra Sapri e Agropoli. Acciaroli, Villammare, e tanti altri, ognuno di questi Comuni ha una sua torre, ma questi edifici non restano abbandonati a loro stessi, anzi. Queste costruzioni diventano il simbolo delle città, e rappresentano le vestigia di un passato lontano, ma che non va mai dimenticato.

 

Cinta muraria, completata la prima parte
Da ilrestodelcarlino.it del 23 dicembre 2021

Una porzione era crollata, ora torna a vivere una parte del centro storico

Si è conclusa la prima parte dell’intervento di messa in sicurezza della porzione di cinta muraria, tra il Torrione del Calcinaro e quello della Rotonda, crollata lo scorso 18 febbraio. Una prima azione per permettere di rivivere, riattivando la viabilità, quella parte di centro storico rimasta coinvolta nel cedimento di una porzione di mura urbiche.

Inoltre, nel Consiglio comunale del 26 novembre, è stata approvato il progetto definitivo della ricostruzione della cinta muraria nel breve periodo.

Intanto già a fine estate, proprio a seguito del danneggiamento delle mura e della conseguente demolizione del fabbricato sovrastante lesionato, il Comune aveva appaltato i lavori di realizzazione di una palificata di protezione dell’abitato e di messa in sicurezza delle mura storiche nel tratto interessato dal crollo.

I lavori, dall’importo di 459mila euro, sono stati affidati alla ditta Graziano Belogi s.r.l. aggiudicatrice dell’appalto e constano nella realizzazione di una robusta paratia di pali trivellati, vincolata in sommità da una serie di ancoraggi. L’intervento a salvaguardia della sicurezza degli edifici si svilupperà quasi interamente lungo l’asse della via che corre fra l’abitato e il sedime del fabbricato demolito, con un risvolto di chiusura verso l’interno in corrispondenza del Torrione Della Rotonda.

 

Il Torrione restituito alla città piace anche ai turisti
Da lavocedeltrentino.it del 22 dicembre 2021

Dopo anni di chiusura, ora finalmente si può bere un caffè o dormire nella torre medievale. La soddisfazione della Fondazione Crosina Sartori Cloch. Il Torrione di piazza Fiera è uno degli edifici più iconici di Trento. Di proprietà della Fondazione Crosina Sartori Cloch, nel 2017 è stato oggetto di un bando per affitto e ristrutturazione, che sollecitava i privati a presentare un progetto capace di dargli nuova vita.

La sfida è stata raccolta da Giovanni Battista Cozzio e Daniele Maffezzoni e, oggi, il Torrione ospita un bar al piano terra e 15 camere ai piani superiori. Sono diversi i trentini che, rivolgendosi al personale e ai titolari dell’attività, affermano di non esserci mai entrati prima, pur avendolo sempre ammirato da fuori.

Per la Fondazione si tratta di un’opportunità importante di valorizzazione del patrimonio. Come spiega la presidente Debora Vichi: «La nostra mission è l’erogazione di servizi sociali e socio-assistenziali a favore di nuclei familiari in difficoltà con minori. La nostra attività principale è quella di soddisfare il loro bisogno abitativo attraverso l’assegnazione di alloggi, ma siamo anche promotori di altre attività, erogando contributi a realtà del terzo settore. Siamo un’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, ma non godiamo di finanziamenti pubblici. Le nostre attività sono possibili grazie alle rendite derivanti da terreni agricoli, locali commerciali ed edifici come questo, che fanno parte del nostro patrimonio».

La ristrutturazione è stata un’avventura professionale immersa nella storia, che ha coinvolto i due imprenditori. È Cozzio a raccontare qualche dettaglio. «Da un’epigrafe del 1595, tuttora visibile al bar, sappiamo che in quell’anno la struttura subì numerosi lavori di ristrutturazione. Questa è la fonte più antica che possediamo sul Torrione Madruzziano, eretto come baluardo di Porta Santa Croce. Di origine medievale, fu modificato intorno all’800 e nuovi importanti lavori furono realizzati nel 1834 quando il “caffettiere” Donato Perghem lo “trasformò”.

Abbiamo rimosso le saracinesche dell’ultima attività commerciale che è stata ospitata al piano terra (un fotografo) e questo ha fatto emergere le insegne in ferro battuto, che testimoniano l’attività di Perghem. Per questo ne abbiamo mantenuto il nome sui vetri della porta d’ingresso del bar. Gli infissi, per quanto possibile, sono stati conservati e quelli mancanti sono stati “copiati” dalle foto e dalle cartoline storiche, che abbiamo recuperato grazie anche all’architetto Fabio Campolongo della Soprintendenza per i beni culturali.

Al piano terra è emerso il pavimento che si può vedere ora. Possiamo stimare sia del 1910: non è quello posato da Perghem ma ci siamo fermati: non sapevamo cosa ci fosse sotto e questo è al livello della strada. Dalle pareti sono riemersi alcuni affreschi, questi sicuramente dell’epoca del Perghem. Lo scalone ha una valenza architettonica e contribuisce alla stabilità dell’edificio, così come la particolarissima tecnica usata per creare i piani. Sulla copertura c’è la lanterna in stile liberty da cui è possibile ammirare, con un suggestivo 360°, tutta la città. Molte delle travature sono quelle originali, per quelle sostituite sono stati usati legni adeguati al contesto. Le stanze, pur dotate dei moderni confort, sono state arredate con mobili antichi restaurati».
Anche a causa della pandemia, la struttura non è stata inaugurata, sebbene sia operativa ormai da diverso tempo e abbia in breve ottenuto la classificazione di “Eccellente” su siti di riferimento turistico come Booking e Tripadvisor.

 

Katarina B: riemerge il bunker di Pulac
Da lavoce.hr del 18 dicembre 2021

Le illustrazioni inerenti il progetto

Assieme a partner croati e italiani, Fiume recupera la sua storia attraverso visite guidate nella galleria

Di Ornella Sciucca

C’è un tesoro nascosto nel sottosuolo di Fiume, un importante lascito del passato, una rete sotterranea di fortificazioni, bunker militari e opere difensive ormai dismessi, muti testimoni della storia. Trattasi di un patrimonio quasi totalmente perduto, che oggi dev’essere riscoperto, rivitalizzato e riutilizzato. A tal proposito, a partire da maggio scorso, la Città di Fiume, in collaborazione con le città di Forlì, Campobasso, Cesenatico e Pesaro per l’Italia, nonché Spalato e Zara per la Croazia, ha aderito al progetto europeo “Revival-rivitalizzazione e recupero del patrimonio architettonico nel panorama dell’area adriatica” – di cui è titolare Forlì –, programma di Cooperazione transfrontaliera Interreg V-A Italia-Croazia 2014-2020, grazie al quale è stata inaugurata ieri una nuova meta turistica per il capoluogo quarnerino, ovvero il bunker Katarina B in zona Pulac, lungo 780 metri. L’evento si è svolto alla presenza del sindaco Marko Filipović, del capodipartimento per lo sviluppo, l’urbanistica, l’ecologia e la gestione del territorio della Città di Fiume, Srđan Škunca, della direttrice dell’agenzia turistica Feral-tours di Zara, Iva Bencun, del direttore dell’ente turistico cittadino, Petar Škarpa, del presidente del Comitato di quartiere Brašćine-Pulac, Josip Rupčić e di numerosi ospiti.

Il progetto, del valore complessivo di 1.825,035,00 di euro, di cui 136.127,50 stanziati dall’Ue a fondo perduto e il rimanente importo assicurato dai partner, mira alla valorizzazione e alla riscoperta di aree dismesse, rifugi, gallerie, caserme e complessi industriali che hanno un significato architettonico e storico e sono testimonianze considerevoli dell’archeologia moderna della Seconda guerra mondiale. Il valore di quest’ambizioso progetto è da cercare in un’ottica di salvaguardia della nostra identità storica, evitandone l’oblio e ricordare, anche attraverso testimonianze materiali, la tragedia della guerra. Il progetto ha l’intento di mettere a sistema veri e propri percorsi storico-didattici per promuovere quel segmento di turismo culturale interessato al secondo conflitto mondiale, che sempre più si sta diffondendo.

Il sindaco Marko Filipović in visita al bunker

Unicità

L’area considerata nel progetto è un luogo spazialmente e architettonicamente unico, che racchiude tutti gli esempi di bunker, gallerie, postazioni anticarro e trincee, e che mostra il Vallo Alpino nella sua vetta. Nell’ambito dello stesso verranno realizzati piccoli interventi nel bunker Katarina B, ma verranno offerti anche nuovi contenuti a disposizione dei cittadini, al punto che questo diventerà un luogo di sosta nella natura nelle immediate vicinanze della città. Il sindaco Filipović, dopo avere ringraziato tutti coloro che hanno reso possibile la concretizzazione dell’iniziativa, ha dichiarato che “dopo sei mesi dalla mostra in Corso, con la quale si erano volute presentare le fasi del progetto, oggi siamo qui, praticamente alla sua conclusione. I sentieri da passeggio lungo l’area di Pulac sono stati messi a posto e il patrimonio rivitalizzato. Questa è la linea che, nel corso della guerra, era addetta alla difesa di questa parte del territorio. Trattasi di un complesso sotterraneo di bunker che rappresentano un prezioso patrimonio culturale della nostra storia, che abbiamo riconosciuto e, assieme a una serie di partner croati e italiani, tradotto nell’ambizioso progetto intitolato Revival. Lo stesso ci ricorda che la nostra città è ricca di patrimoni, di cui non eravamo nemmeno coscienti”.

Approccio diverso

Sulla scia delle parole del sindaco, il capodipartimento cittadino per lo sviluppo, l’urbanistica, l’ecologia e la gestione del territorio, Srđan Škunca, ha rilevato che, alcuni anni orsono, quando si è aperta la possibilità, grazie soprattutto alla collaborazione transfrontaliera tra l’Italia e la Croazia, di sviluppare un progetto come questo, si è subito riconosciuto il potenziale di sviluppo del nostro territorio e delle fortificazioni militari e si è deciso di candidarlo all’Interreg Italia-Croazia. “Non siamo i primi a occuparci di una tematica come questa – ha detto –, ma vi ci siamo approcciati in una maniera completamente diversa. Infatti, il progetto è pensato in modo che, oltre al risultato finale, che si dovrebbe cogliere attraverso la valorizzazione turistica, comporti anche una componente scientifica in quanto, nel corso della sua realizzazione, abbiamo testato tutte le strutture a disposizione, abbiamo effettuato una serie di ricerche, nonché messo in pratica la cosidetta geocodifica del complesso, unendo quello che si trova sottoterra con quanto c’è sopra il suolo. Esattamente così sono state collocate le gallerie. Il risultato di questo lavoro sono i depliant, sui quali si può benissimo seguire il tutto”, ha spiegato Škunca. Ha poi aggiunto che, tra circa un mese, all’ingresso del bunker verranno installate le tabelle informative con tutte le indicazioni necessarie. “Abbiamo scelto il Katarina B per sviluppare il progetto inerente alle fortificazioni costruite negli anni ‘30 dello scorso secolo in quanto è uno dei pochi accessibili e si presenta in forma circolare, il che lo rende adatto per le visite turistiche”, ha concluso Škunca, ringraziando la municipalità fiumana e l’Università di Zara, quest’ultima uno dei partner croati, le quali si sono occupate della parte metodologica e scientifica del progetto.

Una delle gallerie del bunker Katarina B

Percorso culturale-turistico

Iva Bencun, direttrice dell’agenzia turistica Feral-tours di Zara, altro partner, che ha curato l’ideazione del percorso culturale-turistico, ha ribadito l’importanza del momento concernente la rivitalizzazione dei patrimonio, sottolineando al contempo quella della sua manutenzione. A suo dire, ogni partner ha immaginato un tragitto culturale-turistico relativo al suo territorio i quali, successivamente, sono stati collegati digitalmente dall’Ateneo zaratino, per cui gli stessi sono ripercorribili anche in questo modo, oltreché tramite le agenzie turistiche addette alla sua promozione.
Il direttore dell’ente turistico cittadino, Petar Škarpa, si è detto convinto che, considerando il successo dell’apertura della galleria militare che collega la Cattedrale di San Vito alla via Dolac, anche quest’iniziativa sarà molto apprezzata e diventerà un’altra riconoscibile storia fiumana. Con lui anche il presidente del Comitato di quartiere Brašćine-Pulac, Josip Rupčić, che ha sottolineato il fatto che nell’area in questione c’è un’altra galleria, la Katarina A, che per il momento è ancora sotto ingerenza dello Stato, per cui non si possono fare progetti al riguardo.
Nel prosieguo si è tenuta un’interessante visita nel bunker Katarina B che, sotto l’esperta guida di Rajko Samueli Kačić, ha risvegliato molta curiosità tra i presenti e confermato la consapevolezza della ricchezza e dell’importanza storica e culturale delle nostre aree. I visitatori, suddivisi in due gruppi, hanno potuto osservare varie postazioni per mitragliatrici pesanti, depositi per l’acqua, viveri e munizioni, generatori elettrici, come pure un punto d’osservazione.

 

Mura urbiche, lavori in via di ultimazione. Soddisfazione del Comune
Da lanazione.it del 18 dicembre 2021

Piegaro, previste opere di riparazione e consolidamento dove si evidenziano condizioni di degrado o dissesto

In via di ultimazione i lavori di recupero di un tratto delle mura urbiche di Piegaro. Il progetto, secondo quanto spiega l’amministrazione comunale (nella foto il sindaco Roberto Ferricelli), prevede il consolidamento ed il recupero di un tratto delle mura che si sviluppa lungo la Strada provinciale n° 307 – 1°  tratto, per una lunghezza di circa 100 metri. Un recupero effettuato nel rispetto della tipologia dei materiali esistenti e delle caratteristiche murarie, ed in prosecuzione e uniformità con gli stessi interventi effettuati del Comune nel corso del 2009. Il tratto interessato riguarda parte dell’originaria cinta muraria del centro storico di Piegaro, esistente già nel XVI secolo e parte della cinta muraria edificata tra la prima e la seconda guerra mondiale.

Gli interventi previsti riguardano opere di riparazione e consolidamento, e ripresa o rifacimento di porzioni limitate di muratura, laddove si evidenziano segni di degrado o di dissesto, mediante la tecnica dello scuci-cuci, realizzazione di copertina in pietra serena lungo tutto il tratto oggetto di intervento, ed opere di protezione quali l’estirpamento di arbusti, cespugli e erbe infestanti, la realizzazione di fori di drenaggio al fine di eliminare la percolazione presente e la regimazione delle acque delle scarpate sovrastanti, con la posa in opera di viminate, e la realizzazione di canalette poste sulla sommità dei muri.

 

Progetto monte Moro: “Il percorso storico parte dai giardini Quinto”
Da ilnerviese.it del 18 dicembre 2021

L'inizio del percorso

SENTIERO DEI BUNKER E DELLE BATTERIE.

Il Sentiero delle batterie di Monte Moro non parte necessariamente dal Cimitero di Quinto.

La nostra proposta è di allungarne il tracciato di qualche centinaio di metri e di fissarne l’inizio ai Giardini di Quinto, in riva al mare.

Anche lo scalo di Quinto, infatti, nasconde alcune fortificazioni che sono ricollegabili alla nostra montagna fortificata.

“In questa splendida e abbastanza rara cartolina – spiegano gli storici del gruppo Facebook – possiamo vedere l’imponente cortina di Denti di Drago, elementi tronco piramidali in calcestruzzo, realizzati nel tardo 1944 per impedire possibili sbarchi di truppe sulla spiaggia.

La maggior parte di questi elementi è andata distrutta ma non tutti. Nella seconda immagine i pochi denti ancora visibili. Frammenti di storia che vogliamo salvare e valorizzare”.

 

Incontro dei partner dell’Unesco: in città interventi per 8 milioni
Da ilpiccolo.it del 18 dicembre 2021

PALMANOVA S’è tenuto in streaming l’incontro del gruppo di coordinamento internazionale Unesco del sito transnazionale “Opere di difesa veneziane tra XVI e XVII secolo: Stato da Terra – Stato da Mar occidentale”. Assieme a Palmanova, anche Bergamo e Peschiera del Garda, per l’Italia, Zara e Sebenico per la Croazia e Cattaro per il Montenegro. «Come città di Palmanova abbiamo portato un complesso di 8 milioni di euro di lavori in esecuzione. Dalla valorizzazione della Torre piezometrica all’infrastrutturazione tecnologica del centro visite nell’ex caserma Filzi, dalla sistemazione delle Gallerie del Rivellino al progetto di illuminazione dell’anello basso del fossato, dalla messa in sicurezza delle Fortificazioni a quello della loggia e della sortita di Bastione Del Monte, dalla riqualificazione di Porta Udine al restauro delle controporte su Porta Aquileia e Cividale, fino al consolidamento della Lunetta di Baluardo Barbaro e di parte della cinta fortificata su baluardo Donato», annuncia il vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici Francesco Martines, che reggerà la presidenza italiana triennale del Gruppo fino al 16 gennaio.

La nuova presidenza toccherà alla Croazia, per due anni alla città di Zara e per il terzo a Sebenico. Come vicepresidenza è stata indicata Pescheria del Garda e Cattaro per il Montenegro. I partner hanno lavorato per pianificare le attività del 2022 e che porteranno alla stesura di un documento unitario, entro dicembre 2022, da inviare all’Unesco. Per Palmanova la riunione è stata occasione per presentare formalmente il nuovo assessore alla Cultura e Turismo Silvia Savi, che ha già incontrato, in via informale, sempre in streaming, i partner italiani: «Tra le progettualità va evidenziato lo sblocco, lo scorso novembre, del progetto di turismo scolastico che ha ricevuto un finanziamento statale a valere sulla legge italiana per i siti Unesco e prevede un interscambio di alunni tra Bergamo, Peschiera del Garda e Palmanova. La speranza è che, nel 2022, con la ripresa delle gite scolastiche, anche questo progetto possa finalmente vedere la luce».

 

A che punto siamo con il recupero del Forte Portuense?
Da urloewb.com del 17 dicembre 2021

Ancora nessuna data certa per la conclusione del progetto riguardante la fortificazione di fine '800

PORTUENSE – Risale a maggio scorso il protocollo d’acquisizione dell’ex Forte Portuense da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM), che prevede la sua ristrutturazione e valorizzazione. Secondo il Protocollo, sottoscritto con Roma Capitale e Agenzia del Demanio, ADM provvederà con fondi propri alla ristrutturazione in toto dello spazio destinandolo ad attività museali e laboratori chimici, dando vita anche a laboratori multimediali per i ragazzi che saranno gestiti direttamente dal personale ADM. Sempre secondo l’accordo, gli ampi spazi esterni di pertinenza del Forte saranno resi disponibili a titolo gratuito ai fruitori secondo gli orari dei parchi pubblici capitolini e la Piazza d’Armi sarà messa a disposizione per eventi organizzati da Roma Capitale.

LA SCELTA DELLA PASSATA AMMINISTRAZIONE

Una decisione presa dalla scorsa amministrazione grillina e che la Sindaca Raggi descrisse come un progetto che avrebbe ridato vita ad uno spazio importante per Roma e i suoi cittadini. Anche l’ex assessore municipale all’Urbanistica, Mellina, oggi consigliere di opposizione per il M5S nell’XI Municipio, difende quella scelta e aggiunge: “La scorsa amministrazione ha lavorato molto per dar vita ad un progetto di recupero e valorizzazione di una grandissima e meravigliosa risorsa del nostro territorio quale è il Forte Portuense. Uno dei forti del campo trincerato romano della fine dell’800. Abbiamo attuato una visione sinergica ed integrata tesa all’idea di ridare ai cittadini un polo culturale e aggregativo, unitamente al parco circostante che dovrebbe essere risanato ed accessibile. Presso il Forte poi esistono due capannoni ex militari che avremmo voluto finire di acquisire dal demanio militare (attualmente il Campidoglio ne ha acquisito solo uno), per poterci trasferire il polo municipale di protezione civile, dato che questo dovrà lasciare la ex scuola ‘Quartararo’ e per poter anche svolgere una attività di implicita “guardiania” sulla confinante struttura del Forte”.

LE OPPOSIZIONI CHIEDONO NOTIZIE

Ad oggi non abbiamo informazioni sulle tempistiche della conclusione di questo progetto, si resta pertanto in attesa di aggiornamenti da parte della neo amministrazione targata Pd. Sul tema però sono molto chiare le posizioni delle opposizioni di centrodestra del Municipio XI: “Restiamo contrari all’idea che un bene come il Forte Portuense sia finito all’Agenzia delle Dogane: pur rispettando questa istituzione, riteniamo che il sito dovesse essere assegnato al Municipio XI – hanno commentato Fabrizio Santori, Consigliere comunale della Lega, Daniele Catalano ed Enrico Nacca, Consiglieri della Lega in Municipio XI – Purtroppo abbiamo vissuto 5 anni in cui si è provato in tutti i modi ad evitare il confronto con i territori. Auspichiamo che la nuova amministrazione avvii il prima possibile una proficua interlocuzione con l’Agenzia per mettere davvero il Forte nella condizione di poter ospitare attività culturali, ricreative ed aggregative. Appena istituita chiederemo una commissione trasparenza per capire al meglio tutti i passaggi burocratici”. Anche da Fdi arriva la richiesta che questo spazio sia a servizio dei cittadini: “Bisogna sostenere il rilancio del Forte e i progetti di riqualificazione e ridare vita a uno spazio importante per Roma e i suoi cittadini – afferma il Capogruppo di Fdi in Municipio XI, Valerio Garipoli – E per fare questo serve un forte impegno anche da parte del Presidente Lanzi. Perdere questa occasione – inserita nelle Linee Programmatiche 2021-2026 del Municipio XI, ndr – significherebbe continuare a lasciare nel degrado una parte del quartiere di Portuense e non valorizzare una delle 15 fortificazioni edificate a fine ‘800 per la difesa della Capitale”.

Marta Dolfi

 

Potenziamento ed ammodernamento del Joint Force Air Component Command italiano
Da aresdifesa.it del 17 dicembre 2021

Presentato in Parlamento il programma pluriennale di A/R n. SMD 14/2021 di interesse dell’Aeronautica Militare Italiana.

ll programma pluriennale in esame è relativo al potenziamento e all’ammodernamento del Joint Force Air Component Command (JFACC) nazionale, quale Comando di Componente Aerea Interforze, per permettere la condotta di operazioni aeree di più ampia portata nell’ambito di operazioni interforze in ambito nazionale e multinazionale.

Le azioni di potenziamento e ammodernamento riguarderanno opere afferenti l’infra e infostruttura delle due componenti costituenti il JFACC:
-quella stanziale;
-quella rischierabile, quest’ultima nelle sue configurazioni expeditionary e deployable.

La missione del Joint Force Air Component (JFAC) è quella di pianificare, sviluppare, assegnare e condurre missioni aeree in conformità con quelle che sono le direttive del Joint Force Command (JFC).

Al Joint Force Air Component Commander (JFACC) sono delegati l’autorità di comando e controllo delle operazioni aeree dal Joint Force Commander.

Durante le operazioni, solitamente alla figura del JFAC Commander è associata anche quella del Joint Force Air Defence Commander (JFADC) e Joint Force Airspace Control Authority (JFACA).

Il NATO JFAC è una struttura di comando e controllo che è attivata, all’occorrenza, durante una crisi.
In tempo di pace la struttura permanente è chiamata “Core JFAC”.
Il NATO Core JFAC è situato presso l’Air Command Headquarter di Ramstein in Germania ed è responsabile dello sviluppo delle Standard Operating Procedures (SOPs) che saranno impiegate durante le operazioni.
Il NATO Core JFAC ha un numero limitato di persone. Per questo motivo la sua attivazione necessita di adeguati rinforzi in termini di personale.
Oltre il NATO JFAC esistono anche i National JFAC, inseriti nella NATO Force Structure, impiegabili per operazioni nazionali e internazionali.
La struttura standard di un JFAC è composta da 5 divisioni: Strategy, Combat Plans, Combat Operations, ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) and Combat Support.
Tale struttura può cambiare a seconda del tipo di operazione; può essere attivato completamente o parzialmente, con diversi livelli di personale.
Il JFAC italiano (ITA-JFAC) ha la medesima composizione del NATO JFAC e la sua struttura permanente “Core JFAC” è situata a Poggio Renatico (FE), sede del Comando Operazioni Aeree (COA).
L’obiettivo del programma è il consolidamento della capacità operativa del JFACC nazionale, con adeguamenti successivi incrementali delle capacità expeditionary/deployable.
Secondo il concetto NATO, infatti, quando le capacità CIS (Communication Information System) stanziali del JFACC non consentono la gestione in real time delle operazioni aeree con un adeguato livello di reach-forward e reach-back, è necessario proiettare gli elementi di C2 (Command and Control) aereo in posizione avanzata (in modalità scalare e modulare) per realizzare una maggiore aderenza al Teatro Operativo.
In particolare: una componente tattica Air C2 expeditionary ad altissima prontezza, come Air Operational Liaison Reconnaissance Team (AOLRT) ed Immediate Response Team (IRT); una componente deployable composta da un Deployable-Air Operation Centre (D-AOC) e da un Deployable Air Surveillance And Control System (D-ASACS).

La standardizzazione sarà perseguita in termini di compatibilità, interoperabilità, intercambiabilità e comunanza con quanto già in servizio presso le Forze Armate e i Paesi Alleati.
Il programma, di previsto avvio nel 2021, presenta uno sviluppo pluriennale, con una presumibile conclusione nel 2033.
L’onere previsionale complessivo del programma è di 33,32 milioni di Euro a condizioni economiche 2021, e sarà completamente finanziato sul bilancio del Ministero della Difesa per mezzo delle risorse recate da:
– fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese di cui all’art. 1 co. 95 LdB 2019 per 14,2 milioni di Euro;
– capitoli del settore investimento a “fabbisogno” del Bilancio Ordinario del Ministero della Difesa per complessivi 19,12 milioni di Euro.

L’intervento sarà destinato al:
-soddisfacimento di una soluzione ad interim basata su tende, shelter, moduli abitativi e lo sviluppo della componente expeditionary costituita dalla capacità di proiezione dell’ AORTL (Air Operational Liaison Reconnaissance Team) e dell’IRT (ImmediateResponse Team);
-consolidamento della capacità con il transito della componente stanziale ad una soluzione infra/infostrutturale definitiva e lo sviluppo incrementale della capacità proiettabile tramite strutture “shelterizzate”, fino al completo raggiungimento della Full Operational Capability (FOC).
La prosecuzione del programma si svilupperà attraverso nuove tranche auto-consistenti ed è assentita nell’ambito della programmazione tecnico-finanziaria dello Stato Maggiore della Difesa a valere sugli stanziamenti del Bilancio Ordinario del Ministero della Difesa nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.

Nel periodo di riferimento del Documento Programmatico Pluriennale (DPP) 2021-2023 sono allocate risorse per 13,12 milioni di Euro a partire dall’anno corrente.
Forze Armate Forze Aeree

 

All'asta i beni del Demanio: in vendita gli ex complessi militari a Ca' Bianca e Forte Vecchio
Da ilgazzettino.it del 16 dicembre 2021

Di Lorenzo Mayer

LIDO-CAVALLINO TREPORTI - L'Agenzia del Demanio mette in vendita due antichi gioiellini dell'estuario. Andranno all'asta la Batteria Ca' Bianca Forte Emo al Lido e l'ex Forte Vecchio a Cavallino Treporti in lungomare San Felice. L'avviso d'asta è stato pubblicato, in queste ore, nel sito ufficiale dell'ente. I due manufatti sono inseriti in un pacchetto complessivo di sei lotti di cui il Demanio intende liberarsi dopo essere stato preventivamente autorizzato alla vendita dal ministero dei Beni culturali.

LE CIFRE

Per l'ex Forte Vecchio a Cavallino (indicato nella procedura di gara con il lotto numero 3) si parte da un base d'asta di 2 milioni e 270 mila euro, mentre per le fortificazioni Emo e Ca' Bianca (lotto 4) la quota da cui si comincerà a trattare è stata fissata in 2 milioni 383 mila euro. Valori impegnativi e non facili da reperire, ma i potenziali acquirenti avranno tempo per documentarsi: l'asta è stata fissata per il 29 marzo prossimo dalle 10, nella sede regionale del Veneto dell'Agenzia Demaniale. Le proposte di acquisto dovranno pervenire entro il giorno precedente all'apertura delle buste da parte della commissione aggiudicatrice, e cioè non oltre mezzogiorno del 28 marzo. Tra i requisiti richiesti, pena l'esclusione dalla gara stessa, c'è anche il versamento di una cauzione pari al 10 per cento del valore del manufatto e cioè 238 mila e 300 euro per la Batteria Ca' Bianca e di altri 227 mila euro per Cavallino. I potenziali investitori potranno, ovviamente, recarsi in sopralluogo sul posto, accompagnati dai responsabili del Demanio, previo appuntamento concordato. Per quanti non conoscono la zona ricordiamo che entrambi gli edifici sono, al momento, liberi e inutilizzati senza alcuna funzione: a Cavallino parliamo di una superficie pavimentata di 5mila metri quadrati, più altri 11 mila di superfice scoperta, a Ca' Bianca invece 2.700 metri quadri, completati da 24mila scoperti.

A Ca' Bianca il complesso è costituito da un terreno di ampie dimensioni sul quale insistono le due fortificazioni militari, l'austriaca Batteria Casabianca e la più recente italiana Batteria Angelo Emo, con relativi fabbricati di servizio; completano il lotto altre aree utilizzate come giardino, parcheggio, orti e un fabbricato uso sportivo con relativa pertinenza esterna, quest'ultimi occupati da privati e quindi ordinariamente manutenuti. Sempre all'interno del compendio, si trova un'area in cui sono presenti due alloggi di servizio per il personale militare tutt'ora utilizzati dal ministero della Difesa (Marina), ricavati all'interno di una costruzione già pertinenza della Batteria Casabianca.

Il forte di Cavallino, invece, si presenta come un complesso di fabbricati militari realizzati tra la seconda metà del 1800 e i primi del 1900, con la relativa area di pertinenza, delimitati esternamente da un fossato comunicante con la laguna di Venezia e da un muro di cinta in mattoni. Gli ingressi, entrambi posti a Nord-ovest del Forte, sono rappresentati da un varco privo di cancello che consente di raggiungere l'area retrostante al ridotto e da un accesso che conduce alla corte dello stesso. Il complesso del Forte risulta costituito da un corpo di fabbrica principale denominato ridotto di due piani fuori terra con torre centrale ed altre 11 piccole costruzioni militari comprese nel perimetro della fortificazione. Il complesso è da valorizzare; impianti e infissi, laddove presenti, risultano obsoleti, danneggiati, non funzionanti e non a norma.

 

Raccontare le storie di confine attraverso le fortificazioni
Da riforma.it del 16 dicembre 2021

Di Susanna Ricci

Un progetto con capofila la città di Pinerolo, tra i cui partner c’è il Centro Culturale Valdese, vince un finanziamento da 75.000 euro

Un progetto di area vasta del pinerolese ha vinto il bando “In Luce. Valorizzare e raccontare le identità culturali dei territori” della compagnia di San Paolo, col progetto "Paesaggio fortificato nell’evoluzione del rapporto storico tra il Piemonte e la Francia”.
Un finanziamento di 75.000 euro, a cui ne sono stati aggiunti 25.000 per portare a un totale di 100.000 euro, destinati alla valorizzazione del paesaggio fortificato del pinerolese.
I partner del progetto sono i comuni di Fenestrelle, Prali e Usseaux, l’Accademia di Musica di Pinerolo, la Fondazione La Tuno e la Fondazione Centro Culturale Valdese.

Francesca Costarelli, assessora allo sviluppo economico della città di Pinerolo, dice: «Il punto era raccontare il nostro territorio come una terra di confine tra Italia e Francia che è stata prima terra di scontro, adesso terra di incontro. Questo soprattutto andando a individuare e promuovere le specificità fortificate, primo tra tutti il Forte di Fenestrelle, ma anche la Strada dell’Assietta, la zona dei 13 laghi a Prali, la cittadella francese di Pinerolo e anche i castelli fortificati di pianura come quello di Villafranca. Abbiamo cercato di raccontare l’evoluzione storica ed ecumenica partendo dalle fortificazioni e dalla vicinanza col confine francese».
L’attuazione del progetto passerà attraverso l’allestimento, la produzione di mostre e con un cartellone di eventi anche musicali, essendo coinvolta l’Accademia di Musica di Pinerolo, presso le fortificazioni alpine. «Quello che era interessante di questo bando - continua Costarelli - è che cercava di mettere in luce un patrimonio storico attraverso degli eventi. Noi abbiamo deciso per delle mostre, eventi legati alla performing arts, alla musica e a delle visite guidate esperienziali».

Gli eventi saranno poi organizzati per il periodo tra marzo e settembre del 2022.

 

Le mura e le fortificazioni di Cesena nel libro strenna della Fondazione Carisp
Da corrierecesenate.it del 16 dicembre 2021

Giovedì 16 dicembre alle 17 nel salone di Palazzo Ghini

Giovedì 16 dicembre, alle 17, nel Salone di Palazzo Ghini, a Cesena, si terrà la presentazione del libro – strenna "Ad munitionis firmamentum", pubblicato per iniziativa delle Fondazioni della Cassa di Risparmio di Cesena e della Cassa dei Risparmi di Forlì in occasione delle festività 2021.

Il volume è dedicato ai sistemi difensivi e alle cinte murarie di Cesena, Forlimpopoli e Forlì e al suo interno contiene i saggi di Pino Montalti, che firma il testo dedicato a Cesena, Sergio Spada, autore di quello su Forlì, Alberto Bacchi di quello su Forlimpopoli. A completare il quadro un ricco apparato iconografico con oltre 120 immagini tra foto d'epoca ed odierne, cartoline, documenti d’archivio e tavole ricostruttive.

L’idea di dedicare la strenna 2021 ai complessi di mura e fortificazioni cittadini è stato suggerita dalla Fondazione Carisp Cesena che già da molti anni è impegnata per la conservazione e la valorizzazione delle antiche mura malatestiane, con la loro caratteristica forma di scorpione. La più recente iniziativa in questo senso è stato il protocollo d’intesa siglato con il Comune l’estate scorsa e il successivo incarico affidato agli architetti Pino Montalti e Sanzio Castagnoli per elaborare uno studio di fattibilità per il recupero dell’intero sistema della cinta , compresi gli edifici di Porta Fiume”, dell’Ex Lazzaretto, della Rocca Vecchia e della Rocca Nuova.

A introdurre l’incontro di giovedì 16 dicembre saranno il presidente della Fondazione di Cesena Roberto Graziani e il suo collega della Fondazione forlivese Maurizio Gardini. A seguire gli interventi degli autori.
Al termine della presentazione il volume sarà offerto in omaggio a tutti i presenti.
L’ingresso è libero fino a esaurimento posti nel rispetto delle norme anti-Covid (per accedere alla sala sarà richiesto il green pass e bisognerà indossare la mascherina).
Si replica il 20 dicembre (sempre alle 17) a Forlì nella Chiesa di San Giacomo (in Piazza Guido da Montefeltro).

 

Castello di Aymavilles: la storia e le visite turistiche
Da viaggiamo.it del 16 dicembre 2021

In Valle D’Aosta si trova il Castello di Aymavilles, con una storia antichissima. Le visite, però, saranno permesse solo nell’Aprile 2022

Nel cuore della Valle d’Aosta, alle pendici di una collina, si trova un castello ricco di storia. Il Castello di Aymavilles del XIII secolo. Purtroppo visitarlo non è ancora possibile, perchè nel 2014 sono iniziati i lavori di ristrutturazione, che termineranno, si pensa, ad Aprile 2022.

Ma a grande sorpresa dal 22 dicembre 2021 al 9 gennaio 2022 ci sarà un’apertura straordinaria. Chi è interessato, quindi, non esiti a prenotare, perchè ne varrà la pena. La sua storia è molto antica, le prime testimonianze, infatti, risalgono al 1287, ma era un semplice blocco di muratura a pianta rettangolare, situato su una collina morenica che degradava verso la Dora Baltea. Un punto strategico per sorvegliare tutta la vallata centrale e la via delle Gallie, sfruttata per l’estrazione del marmo.

Castello di Aymavilles: le origini antiche e come visitarlo

Nel XIV secolo passò nelle mani della famiglia Challant legata ai Savoia. Iniziarono, così, i lavori di ampliamento, infatti venne costruito un piano verso ovest, chiamato dongione.

Si aggiunse un’altra cinta muraria e un fossato per proteggerlo ancora meglio. Il castello aveva molte funzioni, sia di abitazione, luogo di rappresentanza, ma anche fortezza difensiva. Nel XV secolo si costruirono le quattro torri, che oggi rendono il castello molto particolare e imponente. Fatte in tofu e travertino, sono collegate tra loro da gallerie e logge. Dove i signori dell’epoca, sicuramente, facevano delle lunghe passeggiate, discutevano di politica e affari. Accanto al Castello, inoltre, si può notare ancora oggi una piccola struttura che faceva da stalla. Nel XVI secolo, il castello per un breve periodo passa alla famiglia dei Madruzzo, valdostana, perchè il figlio aveva sposato Isabelle de Challant. Ma alla fine del 1600 ritornerà a far parte delle loro proprietà. Dal 1713 al 1728 Joseph-Felix de Challant cominciò alcuni lavori di miglioramento del Castello.

Il castello valdostano di Aymavilles: la storia e le visite

Nel XVIII secolo le logge vennero decorate con bellissimi elementi a stucco, mentre le stanze interne vennero completamente trasformate. Tutte le fortificazioni vennero distrutte, per trasformare il Castello in una maestosa residenza signorile secondo la moda settecentesca. Accanto si costruì un grandissimo parco a terrazzamenti, invece sul lato meridionale un viale d’accesso abbastanza ripido, con una scalinata a due rampe proprio davanti alla porta d’accesso. E per finire una grande fontana, per simboleggiare la grandezza e ricchezza della famiglia. Alla fine, quindi, diventò una perfetta dimora signorile settecentesca in stile rococò e così è rimasta fino ad oggi. L’ultimo erede maschio della famiglia Challet, purtroppo, morì a sette anni, quindi durante il XIX e XX secolo il Castello passò da un proprietario all’altro, dato che la dinastia si era estinta. Con il passare del tempo vennero fatti lavori di miglioramento e diventò il luogo e la sede delle vacanze delle famiglie piemontesi e liguri. Fino al 1970 quando lo Stato acquistò il Castello e divenne Bene Patrimoniale della Regione Valle D’Aosta.

 

Torre Astura: una storia che attraversa i secoli
Da viaggiamo.it del 16 dicembre 2021

La storia di Torre Astura è affascinante; dalla parole di Cicerone appare come un luogo ameno, ricco di pinete e foreste, che fanno da sfondo al suggestivo castello.

La storia di Torre Astura percorre secoli ed ere diverse, dai tempi di Cicerone fino ai giorni nostri. La torre è una delle varie fortificazioni della costa laziale, a 10 km dalla cittadina di Nettuno, parte della città metropolitana di Roma, ma per le sue caratteristiche e peculiarità rappresenta davvero un unicum nel suo genere.
Il nome deriverebbe dal latino Astur, Astore in italiano, un rapace di media grossa taglia.
Ai tempi dei romani il sito era un porto sulla foce del fiume Astura, lungo la Via Severiana, via percorsa da letterati e studiosi, luogo di ville e abitazioni di villeggiatura. Si pensa che lo stesso Cicerone avesse una casa ad Astura, dove risiedette nel periodo della fuga da Marco Antonio. Dai suoi scritti Astura appariva come un vero e proprio paradiso, ricco di amenità.
Difatti il porto era circondato di pinete, ampie foreste di querce e cerri millenari, affacciata sul mare, perfetta come luogo di otium per i ricchi romani.

Storia di Torre Astura: epoca romana I secolo a.C.

La storia della fortezza e della sua torre, risale al I secolo a.C. il secolo appunto di Cicerone; si pensa che in quell’epoca la fortezza fosse parte del villaggio sulla già citata Via Severiana, che collegava la città di Portus con Terracina. Il castello di Torre Astura, ancora oggi visibile, era allora costituito da due parti, unite fra loro da un ponte. Una parte sulla terraferma, e un’altra insulare, posta su un’isola artificiale.
La descrizione del luogo si ha in parte grazie agli scritti di Cicerone, che fanno pensare che egli avesse vissuto proprio in quel castello, poi successivamente modificato.

Storia di Torre Astura: epoca medioevale

In epoca medioevale, dopo essere molto probabilmente diventata una villa imperiale, e dopo la costruzione del porto artificiale, di cui oggi si possono ancora ammirare due bracci, la fortezza fu adibita a costruzione militare. Fu per questo costruita una struttura quadrata con una torre, le cui documentazioni risalgono alla fine del 1100. La fortezza passò poi nelle mani di varie famiglie, dai Frangipane, ai Caetani, agli Orsini, fino ai Colonna.

Storia di Torre Astura: epoca rinascimentale

La famiglia Colonna nel 1427 decise di ristrutturarla e renderla un castello vero e proprio. In funzione difensiva fu anche aggiunta una torre di vedetta di base pentagonale. La struttura fu poi ulteriormente ingrandita, secondo le teorie urbanistiche rinascimentali, fino a che la torre si trovò al centro dell’intero complesso.

Storia di Torre Astura: dal 1800 ai giorni nostri

Nel corso del 1800 la fortezza passò nelle mani di altre famiglie, finché la famiglia Borghese decise di trasformarla in abitazione, sottoponendola ad altre forme di restauro.
Alla fine del 1900, il Ministero della Difesa entrò in possesso del territorio, compreso il Castello e la pineta circostante, rendendolo aria protetta, in quanto parte del Poligono di tiro militare di Nettuno.
Per questo motivo l’accesso al pubblico è consentito solo in alcuni periodi.

 

Volterraio, la fortezza degli avvoltoi
Da popolis.it del 14 dicembre 2021

Fervono i preparativi per le festività natalizie all’Isola d’Elba e sono numerosi i comuni coinvolti in iniziative straordinarie, aperture esclusive, concerti, visite guidate e appuntamenti pensati per grandi e piccini.

Organizzare una fuga fuori stagione sarà l’occasione giusta per scoprire le tradizioni e il fascino dell’isola immersa in una luce e un’atmosfera inedite.
La meta che vi proponiamo è il Castello del Volterraio è la più antica fortificazione di tutta l’Isola d’Elba. L’origine del nome è incerta.
Alcuni studiosi lo fanno risalire a Volterra o volterrano, attribuendo quindi la fondazione agli Etruschi. Altri partono dalla stessa radice, legandola però a quello che viene considerato il vero fondatore del forte, l’architetto Vanni Gherardo Rau, incaricato dai Pisani di curare la ricostruzione del castello e che era originario appunto di Volterra.
Infine un’altra ipotesi fa risalire il nome al latino Vultur (avvoltoio), che un tempo avrebbero nidificato quassù.

Il Castello del Volterraio è situato su un’aspra altura di 394 metri, visibile da quasi ogni punto dell’isola e anche dal traghetto in arrivo a Portoferraio.

Il Castello del Volterraio è una delle poche fortezze elbane mai espugnate dai pirati turchi che nelle loro scorribande razziarono più volte l’Elba: fu utilizzata anche come rifugio da parte di molti elbani che negli assedi del 1544 e del 1554 vi trovarono asilo.

Domenica 19 dicembre, con VisitElba, ritrovo presso la Villa Romana delle Grotte e visita guidata della durata di 1 ora circa. Trasferimento con le proprie auto fino all’inizio del sentiero per la Fortezza del Volterraio (tempo di percorrenza del sentiero compreso visita all’interno del monumento 2 ore e 15’ circa).

Ritrovo: ore 15 presso la Villa Romana delle Grotte (Strada Provinciale 26, Località Le Grotte, Portoferraio) – Ticket € 30, ridotto € 20 per residenti Ridotto € 10 per residenti over 65 e bambini 5-12 anni. Gratuito per studenti residenti (fino a 19 anni). Età minima 5 anni. Il costo comprende la presenza della Guida per tutta la durata del trekking e gli ingressi alla Villa Romana e alla Fortezza del Volterraio.

 

A piedi tra i forti di Nava
Da liguria.today.it del 14 dicembre 2021

Di Gianni Dall'Aglio

Forte Ballerasco -foto Lauro LAURA- IM- diritti riservati

Questo è un breve giro escursionistico, non più lungo di tre ore.
Un giro intorno ad alcuni forti militari ottocenteschi voluti dai Savoia sul crinale di spartiacque ligure-padano (quello su cui passa l’Alta Via dei Monti Liguri) presso il Colle di Nava. Un facile valico di poco più di 900 metri di quota che mette in comunicazione l’alta Val Tanaro piemontese con la Valle Arroscia, e da essa Oneglia e quindi Imperia.

Fu storicamente un importante punto di transito per i piemontesi (e ancora lo è, dal punto di vista turistico), giacché i Savoia dalla metà del XVI secolo governavano Oneglia, ricevuta in feudo dai Doria, che però era separata dai loro possedimenti piemontesi dai territori di Pieve di Teco che appartenevano alla Repubblica di Genova.
Ma questa è storia molto passata, ora non ci interessa più…

I Forti di Nava hanno origine più recente, quando sia il Piemonte sia la Liguria facevano parte del giovane Regno d’Italia.

Per controllare il Colle di Nava fu realizzato fra il 1880 e il 1888 un campo trincerato e fortificato destinato a impedire l’eventuale salita verso il Piemonte di truppe francesi che fossero sbarcate sulla costa di Imperia.

Forte Centrale – foto Lauro LAURA- IM- diritti riservati

Sul colle sorsero i grandi Forte Centrale e Forte Bellarasco, appoggiati a levante dal piccolo Forte Richelmo su un poggio di crinale a 1206 metri di quota e a ponente dal gemello Forte Pozzanghi e dalla più distante batteria di protezione del Forte Montescio, anch’essi sul crinale di spartiacque.
Altre batterie semipermanenti su poggi vicini completavano lo schieramento difensivo.

Nel Forte Centrale passava la strada nazionale Oneglia-Ormea (l’attuale SS 28 che però oggi corre a fianco al forte) che valicava due ponti levatoi interni al forte e poteva quindi essere interrotta in caso di pericolo. Oggi il Forte Centrale è in buone condizioni ed è visitabile, gestito da un’associazione locale.

Il percorso inizia sul Colle di Nava (934 m). Dopo aver attraversato il grande prato in lieve pendenza che sta a levante del Forte Centrale si entra nel bosco lungo un sentiero un poco zigzagante che procede sul crinale fra due vallette sino al crinale di spartiacque presso il Poggio Richermo (1206 m) col suo piccolo forte, “fratello minore” dei due forti precedenti.
Il poggio si affaccia a nord sulla valletta del Rio Boschetti che dal Colle di Nava scende verso Ponte di Nava dove incontra il fiume Tànaro e il Piemonte. A sudovest osserva Pornassio e l’alta valle Arroscia coperta di boschi e vigneti e a sudest scende verso le borgate di Armo nella valle del torrente Arogna che scorre fra pascoli e boscaglie sino ad affluire nell’Arroscia a Pieve di Teco.

Forte Pozzanghi

Dal Richelmo si può seguire il boscoso crinale in direzione nord sino alla Colla di San Bernardo d’Armo presso un bel prato silenzioso e bucolico sul punto di valico di un’antica via del sale, dove si incrocia la strada che da Nava raggiunge Armo e che qui coincide con l’ottava tappa dell’Alta Via, Colle di Nava – Passo di Prale.
Attraversando la strada si salga lungo una carrareccia di crinale mentre la vista spazia sui pascoli della valle Arogna e i boschi della valle Arroscia, fino al baluginare del mare quando l’aria è limpida.
A nord fitti boschi scendono verso il fiume Tànaro, sovrastato dalla vetta piramidale del Pizzo d’Ormea e dalle altre cime calcaree delle Alpi Liguri.

Chi non fosse stanco potrebbe completare la giornata con una facile passeggiata lungo una strada pianeggiante, carrabile ma priva di traffico, che in un quarto d’ora porta dal Forte Centrale al Forte Bellarasco, di proprietà militare, che controllava il versante meridionale del valico rivolto verso la valle Arroscia e gli ultimi tornanti della strada che sale da Oneglia.

Questi edifici militari non furono mai utilizzati in operazioni belliche ma durante la prima guerra mondiale ospitarono prigionieri austriaci e durante la Resistenza furono teatro di scontri tra truppe tedesche e formazioni partigiane.

 

Lugano ritrova il suo castello
Da cdt.ch del 12 dicembre 2021

Riportata in vita grazie a un certosino lavoro di ricerca voluto dalla Città per celebrare il Rinascimento, la fortezza sforzesca sorprende, lascia di stucco e accende la fantasia

Di Andrea Bertagni

Imponente. Maestoso. Solenne. Ecco com’era il castello sforzesco di Lugano.
Riportato in vita grazie a un certosino lavoro di ricerca voluto dalla Città per celebrare il Rinascimento a Lugano. Una fortezza che sorprende, lascia di stucco e accende la fantasia. Anche se di fantastico c’è ben poco. «È una raffigurazione certamente di impatto ma non è fantasiosa, perché si basa su dati scientifici e sulle cronache dell’assedio al castello dell’epoca», dice Luigi Di Corato, direttore della Divisione cultura di Lugano. «La ricostruzione dell’aspetto presumibile del castello - afferma Marino Viganò, storico - si basa su scarsi documenti, sui resti di una torre tonda e di mura posti per breve tempo in luce durante gli scavi per la costruzione del Palazzo dei Congressi nel 1970-73 e sulla somiglianza deducibile con la Rocca nuova di Vigevano del 1496-97».
Anche Lugano ebbe dunque il suo castello sforzesco. Al pari di Bellinzona e naturalmente Milano, capitale del Ducato. Anche se per pochissimo tempo. Perché l’edificio fu eretto nel 1498 nell’area tra l’odierno Parco Ciani, Villa Ciani e il Palazzo dei Congressi per volere di Ludovico il Moro. Ma quando la Città finì sotto il dominio degli Svizzeri nel 1517 fu distrutto. Diciannove anni di esistenza.
Diciannove anni di vicende travagliate per Lugano, all’epoca borgo di 1.500 abitanti. Perché passò da essere milanese a francese e infine svizzera. Pochi anni eppure importantissimi. Perché «è proprio in quel breve torno d’anni, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, che la nostra identità inizia ad assumere la sua vera consistenza, fatta di tradizione linguistica e figurativa lombarda e di cultura istituzionale elvetica», spiega Pietro Montorfani, responsabile dell’Archivio storico e dell’Ufficio patrimonio della Città di Lugano. «L’iniziativa Lugano nel Rinascimento - precisa Di Corato - è in realtà un insieme di iniziative storiche che da un lato hanno l’intenzione di fare ricerca e dall’altra di facilitare l’accesso a queste ricerche da parte del grande pubblico attraverso modalità anche nuove. La ricostruzione del castello perduto di Lugano si inserisce proprio in questo senso».

Abbattuto perché...

Imponente. Maestoso. Solenne. Eppure abbattuto. Ma perché? «Arduo ipotizzare una sorte diversa - riprende Viganò, che mercoledì 15 dicembre presenterà al pubblico il volume da lui curato assieme a Roberta Ramella «Lugano francese 1499- 1512 » -. Gli svizzeri nel 1517 hanno smantellato tutte le rocche dell’area - specie Capolago, Morcote e appunto Lugano -, sì da levare ai francesi motivi per un riacquisto. Non fosse accaduto, credo comunque difficile che il castello potesse sopravvivere al 19. secolo: troppo ingombrante e prossimo al centro, è probabile che sarebbe stato abbattuto per lasciar spazio all’espansione dell’abitato luganese». Eppure le fortezze di Bellinzona e Milano sono arrivate fino a oggi. Ma «dal 1500, periodicamente, si affaccia il progetto dei III Cantoni sovrani di abbattere anche i castelli di Bellinzona - continua Viganò -. Si salvano, si direbbe, perché fuori del tessuto urbano. Pure del Castello sforzesco di Milano, per dire, nel 19. secolo rudere smozzicato, esistono proposte di demolizione. Se sussiste lo si deve all’architetto Luca Beltrami, il quale ha dedicato due decenni a ricostruirlo come reputava si presentasse nel 1450».

Un’epoca cruciale

Diciannove anni travagliati. Turbolenti. Che hanno nel castello perduto di Lugano il proprio simbolo. Un anno dopo essere stato costruito, Lugano con la conquista del Ducato di Milano da parte del re di Francia Luigi XII nell’estate del 1499 diventa francese e tale rimane fino alla cessione ai XII Cantoni confederati nel 1512. Passano solo cinque anni e la fortezza venne smantellata per ordine degli stessi confederati per scongiurare potenziali utilizzi contro di loro. «Tra la fine del dominio sforzesco e il chiudersi dell’epoca balivale - afferma Montorfani - si giocano i nostri destini ed è ragionevole ritornare ciclicamente a interrogarci su quegli snodi cruciali». Uno di questi è proprio il passaggio tra la dominazione milanese e quella svizzera. Un passaggio epocale. Sul quale la Città ha deciso di accendere i riflettori. Non soltanto con la rielaborazione del castello. Ma anche con pubblicazioni, mostre e conferenze. Sulla fortezza perduta. Ma anche, il prossimo anno, sul convento francescano di Santa Maria degli Angeli.

 

La Maddalena, forte di Sant'Andrea sarà restaurato e diventerà un museo
Da galluraoggi.it del 12 dicembre 2021

Di Maria Verderame

Il restauro del Forte di San’Andrea a La Maddalena.

Il Forte di San’Andrea di La Maddalena diventa un museo delle fortificazioni militari. L’amministrazione comunale intende restaurarlo, nell’ambito del più ampio progetto di offerta culturale. Il Comune intende realizzare un progetto per inserire il Forte nel Programma triennale delle opere pubbliche, ai sensi del decreto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, dopo la realizzazione di un progetto di fattibilità economica che l’amministrazione farà per ristrutturare il monumento. Per il progetto sono stati stanziati dall’ente 260mila euro.

“Questo intervento è in linea con il progetto del rilancio culturale di La Maddalena, Capitale della Cultura – dichiara l’assessore alla Cultura e Turismo Gian Vincenzo Belli -, per la valorizzazione dei borghi. L’edificio diventerà un museo delle fortificazioni dell’arcipelago e sarà allestito con i reperti settecenteschi militari. Ora siamo al progetto preliminare, dove andremo a concorrere per poter accedere ai fondi del Ministero, che saranno di circa 300mila euro per il restauro del Forte e se tutto va bene l’iter durerà qualche mese”.

Il Forte di Sant’Andrea, risalente tra il 1787 e il 1790, è stato uno delle prime fortezze realizzate nell’arcipelago, grazie ai sardo-piemontesi che decisero di occupare militarmente l’arcipelago e farne una base di appoggio alle navi della Regia Marina Sarda. L’insediamento militare fu teatro della battaglia del 1793, che portò alla sconfitta di Napoleone Bonaparte e proprio dalle sue mura venne issata la famosa bandiera dei maddalenini, con il simbolo di Santa Maria Maddalena, nome da cui deriva l’isola. Fu sede, durante la seconda guerra mondiale, del Comando Marina, con il carcere. Dopo alcuni restauri, per diventare un museo, il destino dell’edificio restò incerto fino ad oggi, dove risulta avere urgenti necessità di interventi di recupero.

 

200mila euro per lavori impianti Forti Gazzera e Mezzacapo
Da italpress.com del 11 dicembre 2021

VENEZIA (ITALPRESS) – La Giunta comunale di Venezia, riunita nei giorni scorsi, ha approvato, su proposta dell’assessore ai Lavori pubblici Francesca Zaccariotto, il progetto definitivo, comprensivo di quello di fattibilità tecnica ed economica, che riguarda l’attuazione di interventi di messa in sicurezza, miglioramento della fruibilità ed efficientamento energetico di alcuni Forti di proprietà e il prosieguo nell’attuazione del programma di recupero e riqualificazione del patrimonio comunale fortilizio della terraferma denominato “Campo Trincerato di Mestre”. In particolare si è stabilito di dare priorità di intervento a quei compendi che maggiormente necessitano di lavori. Nel dettaglio si interverrà quindi a Forte Gazzera e Forte Mezzacapo. Nel primo caso si prevede la realizzazione dell’illuminazione dei percorsi esterni nel cortile del Forte, a completamento delle opere già in corso con altro appalto, e la realizzazione dell’illuminazione interna al Traversone centrale comprensiva di illuminazione di sicurezza. Per quanto riguarda invece il Forte Mezzacapo si prevede la realizzazione dell’illuminazione del viale d’accesso, della casa del Maresciallo e del nuovo parcheggio.

“Un intervento – commenta Zaccariotto – che questa Amministrazione ha deciso di sostenere investendo 200mila euro e che consentirà di procedere in quel percorso che dal 2015 ad oggi ha portato a destinare ben oltre 20 milioni di euro per restaurare i nostri forti, investendo in primis nel compendio di Forte Marghera, e consentirne un utilizzo alla cittadinanza e alle tante associazioni che ne fanno richiesta. Il progetto iniziale del Campo trincerato di Mestre, datato 1873, prevedeva la costituzione di una serie di Forti a sostegno di quello napoleonico di Marghera. Sorsero così Forte Tron, Forte Carpenedo, Forte Gazzera, Forte Pepe, Forte Mezzacapo, Forte Manin e Forte Rossarol che ancor oggi rappresentano un importante patrimonio storico, culturale ed ambientale che questa Amministrazione vuole tutelare e fare in modo di conservare per le future generazioni”.

Il finanziamento consentirà inoltre di procedere con la valutazione di impianti esistenti attraverso rilievi, accertamenti e indagini conoscitive finalizzati alla progettazione di futuri interventi di completamento delle attività di messa in sicurezza, recupero e accessibilità dei compendi fortilizi. (ITALPRESS).

 

Fiumicino, mareggiate a sorpresa e dalla sabbia spunta un bunker della Seconda Guerra Mondiale
Da ilmessaggero.it del 11 dicembre 2021

Avanza il fenomeno erosivo sulla spiaggia dei naturisti a Fiumicino e spunta un bunker tedesco della Seconda Guerra mondiale: la scoperta è avvenuta sulla spiaggia naturista tra Ostia e Fiumicino. Si tratta di una postazione difensiva costiera tipo tobruk in calcestruzzo, ancora totalmente interrata, che mostra la zona circolare dove veniva collocata una mitragliatrice girevole e sotto un ambiente a forma di parallelepipedo quale riparo per i soldati. Come le altre strutture belliche, ubicate sul litorale del Comune costiero, anche questa rientra nei monumenti di interesse storico-artistico. «La costa di Fiumicino e Ostia precisa Andrea Grazzini, esperto di storia militare e delle fortificazioni, autore del libro A difesa di Roma! Bunker e capisaldi italiani intorno alla Capitale durante la Seconda guerra mondiale - era stata presa in considerazione dagli Alleati per lo sbarco, poi avvenuto ad Anzio, e per questo il Regio Esercito aveva progettato una serie di opere difensive. Parliamo di posti di avvistamento, collegati con strutture fisse costruite lungo le strade di accesso a Roma, e dotate di armi anticarro».

L'appassionato di storia ha poi individuato 10 bunker tra la costa di Isola Sacra e Passoscuro: 7 di costruzione tedesca e 3 italiani, oltre a un rifugio antiaereo dentro Villa Guglielmi, un posto di blocco a Maccarese e una postazione per mitragliatrice sulla via Portuense, prima del quartiere di Porto. «Durante la guerra furono posizionate a Fregene e Isola Sacra anche alcune batterie di cannoni antinave di cui però non restano tracce concrete prosegue l'esperto di Passoscuro -. Il lavoro di fortificazione delle coste, iniziato dagli italiani tra il 1942 e il 1943, fu poi proseguito dai tedeschi dopo l'armistizio dell'8 settembre. Le tipologie di bunker italiani e tedeschi differiscono per forma e costruzione e rappresentano oggi un'interessante testimonianza del nostro recente passato». A Isola Sacra, nel comprensorio Passo della Sentinella, è presente un tobruk a difesa della foce di Fiumara grande. Sul lungomare della Salute, davanti al ristorante Amelindo quindi oltre le scogliere gettate a protezione della costa, c'è un bunker sommerso. Alla fine di viale della Pesca a Fiumicino, sul ciglio della strada, sorge una maestosa postazione costiera. Il tour delle strutture belliche individua a viale di Focene, nella località omonima, un grosso fortino costruito dall'esercito italiano. A Fregene, secondo la testimonianza di Grazzini, due strutture costiere si trovano nella zona dell'ufficio della Capitaneria di Porto e un'altra è stata purtroppo demolita per far posto a un parcheggio. Due tobruk, ben conservati, dominano invece il tratto costiero di Passoscuro.

 

La Cittadella e i suoi cinque bastioni: storia di un simbolo di Ancona
Da anconatoday.it del 10 dicembre 2021

Fu progettata dall’architetto Antonio da Sangallo il Giovane. Con i suoi cinque bastioni e il parco pubblico è diventato uno dei monumenti più cari agli anconetani

Nel quartiere Capodimonte, sulla sommità del colle Astagno e per opera dell’architetto Antonio da Sangallo il Giovane (1484 – 1546), sorge “La Cittadella”, un’edificazione militare rinascimentale realizzata nel 1532 che si affaccia sulla città e sul porto.

All’interno dell’antico campo trincerato si trova il Parco della Cittadella. La fortezza ha cinque bastioni chiamati della “Guardia”, della “Punta”, della “Campana”, “Gregoriano” e del “Giardino”; ha il suo punto di massima altezza nella Torraccia, il mastio centrale, e nel suo sottosuolo si dipana una rete di sotterranei. La struttura del parco risente dell’origine militare dell’area, infatti i camminamenti e le opere presenti sono generalmente incassati, come la vecchia polveriera napoleonica “Beato Amedeo”. Tuttavia il parco è decorato da un’abbondante vegetazione e numerosi saliscendi e tratti pianeggianti. Il 19 giugno 2008 la Fortezza di Ancona è divenuta sede del Segretariato permanente dell’Iniziativa Adriatico Ionica, Ente internazionale che coordina l’azione politica di Italia, Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania, Bosnia ed Erzegovina e Grecia.

Diventando sede di un tale organismo, per la Cittadella è stato eseguito un restauro importante che ha interessato il bastione della Guardia ma che sarà esteso alle altre zone. (Tratto da Anconatourism - portale turismo Comune di Ancona).

 

FIUMICINO, SCOPERTO UN BUNKER DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE NELLA SPIAGGIA DI COCCIA DI MORTO
Da fiumicino-online.it del 10 dicembre 2021

Anche questa struttura bellica rientra nei monumenti di interesse storicoartistico

Un rifugio, risalente alla seconda guerra mondiale, nascosto nella sabbia, è stato scoperto sulla spiaggia naturista nella zona Coccia di Morto a Fiumicino.
A permettere l’eccezionale ritrovamento il fenomeno erosivo del mare che ha consentito al bunker di venire alla luce.

Si tratta di una postazione difensiva costiera dove veniva collocata una mitragliatrice girevole e sotto un ambiente a forma di parallelepipedo come riparo per i soldati.
Come le altre strutture belliche, ubicate sul litorale del comune di Fiumicino, anche questa rientra nei monumenti di interesse storico-artistico.

 

«Pellico incarcerato a Forte San Felice» Il comitato progetta un evento in ricordo
Da nuovavenezia.it del 9 dicembre 2021

Di ELISABETTA B. ANZOLETTI

Forte San Felice quale prigione di Silvio Pellico? Lo narra una leggenda locale in base alla quale il patriota piemontese avrebbe trascorso qualche giorno nella cella ricavata nel castello della Luppa, prima di raggiungere Venezia. In onore a questa tradizione, il comitato del Forte vorrebbe organizzare un evento commemorativo, magari coinvolgendo proprio la scuola secondaria di primo grado intitolata a Pellico con un concerto degli allievi dell’indirizzo musicale. L’anniversario riguarda la conclusione del processo dove Pellico fu condannato prima a morte e poi al carcere duro. Duecento anni fa, il 6 dicembre 1821, a Venezia si concluse il processo del tribunale austriaco contro Pellico, Pietro Maroncelli e altri patrioti accusati di cospirazione.

Pellico e Maroncelli furono accusati di alto tradimento e puniti, in prima battuta, con la condanna a morte, tramutata poi in carcere duro. Per Pellico 15 anni da scontarsi nella fortezza dello Spielberg. E qui si innesta la leggenda che vuole Pellico transitare per Chioggia. La tradizione orale risalente all’Ottocento racconta che Pellico, dopo l’arresto a Milano da parte della polizia austriaca, lungo il tragitto per Venezia fu trattenuto alcuni giorni a Chioggia, nella prigione di Forte San Felice. La cella era stata ricavata, forse nel 1700, negli antri bui al piano terra del castello della Luppa, con l’apertura di una finestra, l’unica del castello, forando il muro dello spessore di due metri e 60 centimetri. Spazi che ancora oggi sono visibili e con un restauro potrebbero essere valorizzati.

«Perché non pensiamo appena possibile ad un evento commemorativo di questo episodio?», spiegano gli attivisti del comitato Forte San Felice, «magari con la scuola intitolata nel 1954, allora unica scuola media in città, a Silvio Pellico, e un piccolo concerto degli alunni del suo corso musicale».
La priorità però al momento è quella che riprendano i lavori della prima parte del progetto di recupero, concentrata sul restauro del portale del Tirali, che si sono interrotti a ottobre per i problemi di liquidità del Consorzio Venezia Nuova da cui dipende la ditta incaricata. La ditta è andata avanti finché ha potuto, ma senza fondi non si possono pagare i fornitori, il noleggio delle chiatte per portare il materiale e gli operai e quindi è stata costretta a fermarsi.
I lavori sono però indispensabili per fermare lo stato di degrado del compendio e avviare il recupero previsto dall’accordo di programma siglato da ministero della Difesa, ministero delle Infrastrutture, ministero della Cultura, Agenzia del Demanio e Comune.

La preoccupazione del comitato riguarda non solo il proseguo di quanto già finanziato per due milioni di euro, ma anche gli interventi successivi per i quali ancora mancano i progetti esecutivi. Altri sette milioni di euro sono stati stanziati con i fondi delle opere compensative del Mose e ulteriori cinque con l’ultimo riparto della Legge Speciale.

 

Questa sera, in streaming alle ore 18, la conferenza su I treni armati e la difesa costiera nella Grande Guerra
Da cefalunews.org del 9 dicembre 2021

Il Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari organizza una Conferenza in streaming sulla pagina Fb di Cefalunews,

https://www.facebook.com/cefalunews.net , su “I treni armati e la difesa costiera nella Grande Guerra”.

La conferenza ha ricevuto l’alto patrocinio dal Comune di Termini Imerese.
Inizio ore 18.00.
Introduce e modera il Prof. Mario Macaluso (Giornalista, Direttore di Cefalunews).
I saluti istituzionali saranno portati dalla Dott.ssa Maria Terranova, Sindaco di Termini Imerese e dagli Assessori: Dott. Giuseppe Lucio Maria Preti e dalla Dott.ssa Maria Concetta Buttà, rispettivamente Assessore allo Sport e Turismo e Assessore alla Cultura.
Parteciperà il Prof. Umberto Balistreri (Presidente dell’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici (I.S.P.E.).

Relatori della conferenza:

Gen. (Ris.) Mario Piraino: “La difesa costiera tirrenica durante la Prima Guerra Mondiale: punti di avvistamento, dirigibili, idrovolanti e MAS”.
Gen. (Ris.) Mario Pietrangeli: “Storia delle linee ferroviarie dal Risorgimento alle guerre mondiali”.

L’iniziativa è ideata e curata dal Giornalista Giuseppe Longo.

Hanno aderito all’iniziativa:

L’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici (I.S.P.E.), l’Associazione
Nazionale Polizia di Stato (A.N.P.S.) – Sez. Termini Imerese; Associazione
Nazionale Finanzieri d’Italia (A.N.F.I.) – Sez. di Palermo; l’Associazione
Nazionale Artiglieri d’Italia (A.N.Art.I) – Sez. Termini Imerese;
L’Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori d’Italia (A.N.G.E.T.) – Sezione di Como; L’Associazione Nazionale Carristi d’Italia (A.N.C.I.) – Sezione Firenze; l’Associazione Europea Ferrovieri (A.E.C.), e l’Associazione Nazionale Ferrovieri del Genio(A.N.F.G.).

I treni armati della Regia Marina furono istituiti nel 1915 allo scopo di contrapporre la loro azione a quella del naviglio austro-ungarico, resosi minaccioso lungo il litorale italiano dell’Adriatico. Tali treni, allestiti dalla Direzione di Artiglieria ed Armamenti nel Regio Arsenale Marittimo di La Spezia, si componevano di due convogli: uno per il combattimento e l’altro per la logistica. Ciascun treno, numerato dall’uno al dodici, aveva una locomotiva in testa e una in coda. I carri pianale (tipo Poz), opportunamente modificati secondo la destinazione d’uso, furono delle vere e proprie batterie mobili con pezzi di piccolo e medio calibro, sia antiaereo che antinave.

 

Per i forti Tron e Pepe via al bando di idee per gestirli per 9 anni
Da nuovavenezia.it del 8 dicembre 2021

La giunta comunale, su proposta dell’assessora al Patrimonio, Paola Mar, avvia una sorta di concorso di idee progetti per l’apertura al pubblico, dopo anni di attesa, dei forti Tron e Pepe, parte del campo trincerato di Mestre e tutelati dalla Soprintendenza. Un bando per idee e proposte che è il preludio ad una procedura di manifestazione di interesse alla gestione delle due fortificazioni per una durata di massimo 9 anni.

Lo scorso aprile un centinaio di volontari e l’associazione “Buongiorno Marghera” sono andati a ripulire Forte Tron in via Colombara, costruito attorno al 1890, gemello di Forte Carpenedo e oasi ambientale. E avevano chiesto l’apertura del Forte alle attività di cittadini e associazioni. Forte Pepe del 1909 si trova in zona Montiron e fu l’unico forte ad essere riarmato nella Grande Guerra, ma non venne mai utilizzato per combattimenti. L’assessore Mar, reduce dai sopralluoghi nei mesi scorsi, spiega: «Questa è una operazione attesa, che vuole dare risposta a varie istanze. Apriamo alla valutazione di idee e progetti, sperando ne arrivino molti».

Il bando è rivolto ad associazioni, persone fisiche o giuridiche, cooperative, fondazioni o società con limite di partecipazione al 49 per cento. I progetti devono comprendere oltre alla manutenzione ordinaria, attività di promozione, punti di ristoro e aree picnic per i visitatori, visite ed escursioni, laboratori e iniziative che siano di qualità e che valorizzino i siti sia dal punto di vista storico che da quello ambientale. Sempre ieri in giunta l’assessore ai Lavori Pubblici Zaccariotto ha visto approvato un piano da 200 mila euro per l’efficientamento energetico nei forti (escluso il Marghera) e l’illuminazione dei viali dei Forti Gazzera e Mezzacapo.

 

Forte Procolo, grandi pulizie «Parco fruibile entro l’estate»
Da larena.it del 7 dicembre 2021

Forte Procolo cambierà proprietario. Passerà dall’Agenzia del Demanio al Comune entro il 2027. Il primo passo per il recupero del manufatto militare asburgico, edificato nel 1840-1841, sarà la liberazione dalla boscaglia che lo circonda «e che ne impedisce la vista», ammettono Francesca Toffali e Marco Padovani, assessori rispettivamente ai Patrimoni Unesco e ai Giardini. «Un investimento per 410mila euro, destinato a riconsegnare ai cittadin, entro l’estate prossima, uno spazio abbandonato da decenni, di cui molti ignorano persino l’esistenza». Che tradotto in cifre equivale ad un futuro parco di 76mila metri quadrati. L’area verde, a ridosso di un complesso fortificato «assai ben mantenuto sia sotto il profilo strutturale che architettonico», come spiega Toffali, è attualmente, descritta con le nelle parole di Ettore Napione, il responsabile dell’ufficio comunale Unesco, come «ormai simile in tutto e per tutto a una giungla cambogiana». Una boscaglia fitta di essenze infestanti che rende impossibile la vista ed impensabile, al momento, la fruizione pubblica dell’ex caposaldo austriaco.

Nei prossimi mesi si procederà con il progetto esecutivo, seguito dalle indagini tecniche propedeutiche all’affidamento dei lavori con gara pubblica ed infine ai veri e propri interventi. Il benestare da parte dei Carabinieri Forestali è già agli atti. Ed il Demanio, con una concessione «anticipata», ha già concesso il via libera all’apertura, una volta eseguiti i lavori di ripulitura, di una zona di parco liberamente accessibile al pubblico. «L’obiettivo»,confermano Toffali e Padovani, «è rendere il complesso frequentabile dai cittadini». «In primis» quelli dei popolosi ed adiacenti quartieri Catena, Navigatori e Saval, inclusi nel territorio amministrativo della terza Circoscrizione. Si tratta del primo stralcio della riqualificazione complessiva, strutturale e monumentale, di Forte Procolo. Un intervento che richiederà anni. «Elimineremo in questa prima fase le piante infestanti, tutelando però le varietà, vegetali e faunistiche, che costituiscono un patrimonio preziosissimo», spiega Marco Padovani. «Sarà comunque di un risultato importante per la città e per la valorizzazione complessiva dei nostri Forti». L’accordo con il Demanio per l’acquisizione del compendio «sarà inevitabilmente lento ma prosegue», spiega l’assessore Toffali. «Intanto partiamo con i necessari lavori preliminari. Si tratta dell’ennesimo intervento da parte dell’amministrazione comunale rivolto alla tutela dei manufatti che compongono la cinta muraria magistrale.

Un patrimonio per anni rimasto completamente abbandonato». Una serie di operazioni di ripulitura e ripristino che finora include, oltre all’intervento già ultimato in collaborazione con la Provincia alla Rondella delle Boccare, anche la sistemazione delle aree verdi sul Bastione San Francesco. Un compendio, quest’ultimo, in cui, nelle prossime settimane, si procederà con l’esecuzione delle ordinanze per l’ulteriore demolizione di una serie di manufatti abusivi costruiti nel corso degli ultimi anni. «Da molto tempo non si metteva mano a questo nostro patrimonio monumentale», osserva Francesca Toffali. «Entro la prossima estate, anche per il complesso di Forte Procolo, saranno visibili i primi risultati». Un altro passo verso il lento recupero della cinta muraria fortificata scaligera.•.

 

Vicenza, via ai lavori del villaggio Usa: investiti 366 milioni di dollari
Da corrieredelveneto.it del 7 dicembre 2021

Aperto il maxi cantiere che porterà alla costruzione di 478 nuove abitazioni: è la più grande operazione immobiliare all’estero. Arruolate anche ditte italiane

di FEDERICO MURZIO

È l’operazione logistica immobiliare più imponente dell’esercito Usa all’esterno dei confini nazionali. Ammonta a 366 milioni di dollari l’investimento del governo statunitense per rifare la abitazioni nel Villaggio della Pace in via Zamenhof, costruito sul finire degli anni Cinquanta per alloggiare i soldati della caserma Ederle. Lunedì l’inaugurazione dei lavori del primo dei cinque stralci e l’unica cosa mutata rispetto a settant’anni fa è che in questo sequel la pellicola è a colori e i volti degli attori sono meno impettiti.

LA REALIZZAZIONE DI 111 UNITÀ ABITATIVE Il primo lotto vale 82 milioni di dollari: la demolizione dei primi edifici vetusti è iniziata circa un mese fa e porterà alla realizzazione di 111 unità abitative. Di queste cinquanta all’interno della caserma Ederle, sessantuno nel Villaggio. Il progetto complessivo di riqualificazione residenziale prevede di radere al suolo 249 alloggi esistenti e la successiva costruzione di 478 nuove abitazioni in modalità villette a schiera e condòmini. Da qualsiasi parte la si osservi, anche a detta dei militari a stelle e strisce, è un’impresa destinata a stabilire un nuovo record, vuoi per la mole di denaro stanziata per strutture residenziali militari nel mondo, vuoi per un cronoprogramma che vede da qui a 24 mesi la consegna degli alloggi, vuoi perché interessati saranno in 12 mila tra soldati e familiari (che al momento hanno trovato soluzioni esterne). Ad essere impegnate nei cantieri saranno circa 300 persone.

LE IMPRESE CHE REALIZZERANNO L’OPERA L’altro tema, infatti, tocca le imprese che realizzeranno l’opera. Anche alla luce delle tradizionali polemiche che si trascinano ad ogni progettualità inerente alle installazioni miliari Usa in Italia e che sono riassumibili nell’adagio: «Almeno facciano lavorare le aziende italiane». Sono stati accontentati: i cantieri, accanto alla statunitense Mvl (con uffici in Gran Bretagna, Dubai, Libano), impegneranno la bergamasca Percassi e la vicentina Gemmo che si sono aggiudicate i lavori in joint venture. Nel Belpaese, stando ai dettami del Dipartimento della Difesa statunitense la competenza alla direzione dei progetti spetta alla Us Navy. Il cui Genio, il Navfac (Naval facilities engineering systems command), ha una sede anche in città ed è l’ente appaltante. Nei lavori sono interessati anche l’Imcom (Installation management command Europe) e l’Usace (United States army corps of engineers).

LE SERVITÙ MILITARI Il progetto è nato all’incirca sei anni fa ed è transitato per il Comitato misto paritetico per le servitù militari in Regione. Nel 2019 - qualche mese prima dello scoppio della pandemia che ha successivamente rallentato l’inizio dei lavori - il Comipa ha accolto in parte le osservazioni edilizie sollevate da Palazzo Trissino. In particolare quelle in relazione all’altezza degli edifici: ossia che la stessa non superi i quattro piani fuori terra (dovrebbero attestarsi tutti sui quattro metri) al fine di limitarne l’impatto giacché l’installazione Usa dista poche manciate di metri dall’oasi di Casale. L’altro aspetto riguarda la mobilità. Il via vai di camion potrebbe verosimilmente creare disagi in una zona città già sotto stress. Se le prescrizioni in tema di viabilità riusciranno nel loro intento è ancora presto per dirlo.

 

Le due torri da farsi da Mola a Scaula (Scauri)
Da tuttogolfo.it del 5 dicembre 2021

Di Salvatore Cardillo

Presso l’Archivio di Stato di Napoli è presente un documento riguardante la costruzione di due torri, sul promontorio di Gianola/Scauri, nel 1568.

E’ presente presso l’Archivio di Stato di Napoli, un interessante documento riguardante la costruzione delle torri sul litorale del Golfo di Gaeta (1) , decisa dall’ amministrazione vicereale spagnola a difesa delle coste contro le incursioni ottomane. “Torre da farsi da Mola fino a’ Scaula delle pertinenze di Gaeta, numero due; istruttioni dati al magnifico Sabastiano Iagnes soprestante alla fabrica di dette due torri. Finis dicti regestri” (2) è l’intestazione del documento stesso. Molto interessante è rilevare che nella fonte archivistica compaia per ben due volte il toponimo “Scaula”, a confermare l’ipotesi che l’etimologia del borgo scaurese sia di origine marinaresca, dovuta alla funzione capitale e al suo essere porto naturale (3) . Nel manoscritto, che non è un inedito (4) , ma siamo andati a verificare l’originale, non fidandoci mai delle fonti secondarie, oltre al toponimo, non segnalato nei testi già pubblicati, si possono rilevare molti spunti curiosi.

Datato al “de decimo ottavo mensis May 1568” (18 maggio 1568), nel f. 224 – recto e verso – si dispone che “Sebastiano Yagnes, hispano, soprastante le fabbriche de le torri di Gaeta”, debba occuparsi della costruzione di due nuovi edifici costieri nel territorio che va da Mola (attuale Formia) a Scaula (Scauri) (5) . Siamo evidentemente davanti ad un appalto, ad un affidamento di incarico. Dopo una nota di merito ad Altobello Marocco “fabricatore” (6) , si delibera che lo Yagnes “done se hauerrano datar dette due turre”, si dispone cioè che lo stesso soprastante possa decidere dove debbano essere costruite le nuove fabbriche. Si ordina – inoltre – il compenso dovuto al funzionario spagnolo, nella somma di “ducati sei ogni mese”.

Nel f. 225, recto e verso, si dispongono poi parecchi “consigli” allo Yagnes nel gestire la costruzione delle nuove torri. Si scrive che “… si fabrichj senza intromissioni acciochè il servizio si feci con più prestezza…” oppure che “…la fabrica sia bona … (e di) far bona miscula…”, ancora viene stabilito che “…la fabrica sia ben bagnata di acqua … accio che faccia meglio liga …”. Si obbliga il soprastante di Gaeta ad essere costantemente presente alla costruzione delle due torri, pena la decurtazione del salario, nella somma di due giorni lavorativi per ogni volta che si è assenti.
Sia il f. 224 che il f. 225 riportano come data di ratifica il 19 giugno 1568, vergata da “Petri del Lique hispani” o “Petri de Luque hispani”.
Ma ancora nel mese di luglio 1568, come sembra desumersi dalla nota a fine testo, queste indicazioni vennero rimesse a tal Petro Della Monica, forse un uomo di fiducia dello Yagnes, e sembra comparire la scrittura “spiagia de fiuvio rigolo et ponta della pietra” ad indicare presumibilmente uno dei due siti, o almeno i paraggi, localizzati per la costruzione delle torri o di una di esse (7) .

1- Sulle torri costiere Cinquecentesche nel Golfo di Gaeta e nel Lazio molto si è scritto in questi anni e la letteratura relativa è davvero imponente. Citiamo, solamente a livello di informazione, i testi di: Giovanni Maria DE ROSSI, Torri costiere del Lazio, De Luca 1971 o anche, dello stesso autore, Le torri costiere del Lazio, Newton Compton 1984 e la prima trattazione dell’argomento in Onofrio PASANISI, La costruzione generale delle torri marittime ordinate dalla R. Corte di Napoli nel sec. XVI, in: Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli 1926, pagg. 423-442. Anche V. FAGLIA, La difesa anticorsara in Italia del XVI secolo. Torri costiere – edifici rurali fortificati, Roma 1974 e Achille MAURO, Le fortificazioni nel Regno di Napoli: note storiche, Napoli: Giannini, 1998. Ancora fondamentale Lucio SANTORO, Le torri costiere della Campania in: Napoli Nobilissima, vol. VI, 1967, fasc. 1-2, pagg. 38-49. Per le torri formiane, in particolare, Lucio SANTORO, Torri e castelli tra Medioevo ed Età Moderna in: Formia in Età Moderna. Pratola Serra: Sellino, 2000, pagg. 103-126. Imponente la produzione di Cesare CROVA sull’argomento. Citiamo, tra tutti i saggi prodotti: Torri costiere di Terra di Lavoro : storia e conservazione, 2018.

2- ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Regia Camera della Sommaria, Inventario, Vol. 558, 1567-1569, f. 244; f. 245.

3- Messe in soffitta le suggestioni romane dovute alla affinità con il cognomen “Scaurus”, legate soprattutto alla figura del console e senatore Marco Emilio Scauro, il toponimo sembra doversi invece avvicinare al lemma scarium / scaria, approdo, cantiere navale, luogo dove le imbarcazioni si tirano in secca, toponimo presente in innumerevoli testimonianze lungo tutto il Mediterraneo. In particolare sembra potersi legare al termine scaula, barca piatta, antenata della gondola, la cui testimonianza documentale arriva sino al XIV secolo, in particolare nell’Alto Adriatico. Entrambi i termini sono di origine greco-romana, tra Basso-Impero ed Alto-Medioevo. Si verifichi al riguardo: Salvatore CARDILLO – Massimo MIRANDA, Scauri. Un territorio tra Longobardi e Bizantini. Nuove prove etimologiche in: Annali del Lazio Meridionale – Storia e Storiografia, Anno XVII, n. 33, giugno 2017, pagg. 21-48, ed anche: Salvatore CARDILLO, Tra Scauro e scarium. Toponimi marinareschi nel Mediterraneo e loro diffusione in: Memorie Romane del Promontorio. Mamurra e Scauro tra tradizioni ed etimologia, Atti della Giornata di Studi, Comprensorio Archeologico di Minturnae – 23 settembre 2017. Gaeta, deComporre Edizioni, 2019, pagg. 163-179.

4- Il manoscritto viene citato infatti già in: Mirella MAFRICI, Mezzogiorno e pirateria nell’ età moderna (secoli XVI-XVIII). Napoli : Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, nota 13 e nota 24, pag. 261, citazione ripresa poi da altri autori.

5- Nel tratto compreso tra Mola di Gaeta ed il Garigliano vennero nel tempo costruite, per iniziativa vicereale, varie fabbriche. Ricordiamo la torre Foce, presso il Rio Santacroce, la torre di Gianola, la scomparsa torre di San Vincenzo, mai ben localizzata, la torre del Fico o di Sant’Angelo, la torre del Monte di Scauri e la torre di Monte d’Argento o di Arienzo.

6- Si tratta presumibilmente di Marco Altobello, citato da O. PASANISI, op. cit., 1926, pag. 435 nota 5, e da L. SANTORO, op. cit., 1967, pag. 43.

7- Troppo vaghe le indicazioni nel testo per poter esprimere anche delle sfumate ipotesi. A titolo di curiosità, si segnala che nel CDC, documento CCVI a. 1059, si nomina la località “… ad Sancta Cruce de flumicellum…”. La stessa torre del Monte di Scauri era nei pressi di un canale, che riforniva i mulini, derivante dal Rio Capodacqua.

Salvatore Cardillo

Salvatore Cardillo è laureato in Storia Moderna e Contemporanea  presso La Sapienza Università di Roma. Funzionario di Biblioteca, è attualmente in servizio presso l'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Cultore di Storia Locale, ha pubblicato varie monografie incentrate - in particolar modo - sulla storia di Scauri di Minturno e la sua etimologia. Ha pubblicato vari contributi presso i periodici "La Città del Golfo", "Annali del Lazio Meridionale - Storia e Storiografia", "Studi Cassinati".

 

Crema. Tornano a splendere le mura venete, da porta Serio fino al Torrion del castello
Da cremaonline del 2 dicembre 2021

Da porta Serio al Torrion del castello sono stati restaurati 1600 metri quadrati e una porzione molto importante delle antiche mura torna all’antico splendore. L’area interessata al restauro conservativo risale al periodo dal 1488 al 1509 (realizzate inizialmente dal cremasco Giovannantonio De Marchi e in seguito dal bergamasco Venturino Moroni) e una zona all’inizio dell’Ottocento, all’epoca in cui vennero realizzati i giardini pubblici. In tutto sono stati spesi 339 mila euro, 95 mila coperti dal Ministero dei beni culturali. I lavori curati dall'architetto Gabriele Costi dello studio Moruzzi hanno consentito di rimuovere la “vegetazione infestante, gli intonaci e gli agenti degradanti”. Sono stati puliti i mattoni, consolidate le fughe con “intonaco coccio pesto e malta certificata, traspirante e resistente all’aggressione chimica delle piogge acide e dello smog, simile all’originale per composizione, conformazione e colorazione, così da rispettare la storicità del monumento”.

“Completare la cinta muraria”

L’assessore ai lavori pubblici Fabio Bergamaschi ha ricordato che “l’intervento è frutto di un serrato confronto e all’unità di intenti con la Soprintendenza: abbiamo cominciato quello che, ho fiducia, diventerà un percorso virtuoso e poderoso di recupero e valorizzazione di uno tra i manufatti più importanti di tutta la storia della città in termini di pregio storico e monumentale. L’esito di questo cantiere, che restituisce tutto il fascino delle originarie fortificazioni, infonde ancor maggiore convinzione sull’opportunità di completare l’intervento sulla cinta muraria, partendo dai tratti di proprietà pubblica, potendo poi estendersi, nel medio periodo, anche a quelli in proprietà privata”.

Campo di Marte e via Stazione

“Le mura rappresentano un patrimonio storico verso il quale i cremaschi nutrono molta considerazione e affetto, ma anche un valore in termini di attrattività turistica, cui Crema risulta essere sempre più vocata negli anni recenti. Per questo motivo abbiamo già inserito a bilancio, per il 2022, la somma di 330.000 euro per l’estensione dell’intervento anche ai tratti del Campo di Marte e di via Stazione. Saremo impegnati anche ad intercettare possibili finanziamenti in merito alla conservazione del patrimonio storico e culturale. Il cantiere appena concluso è in continuità con gli interventi di riqualificazione già attuati nell’area, a partire da piazza Garibaldi, restituendo alla città un intero quadrante rigenerato, più bello e ordinato. E, lanciando uno sguardo al prossimo futuro, il restauro di porta Serio, inserito nella programmazione delle opere pubbliche del 2022, costituirà la degna conclusione di un percorso di riqualificazione urbana di ampio respiro”.

 

Zara. Riaffiora la cinta muraria veneziana
Da lavoce.hr del 2 dicembre 2021
A Zara importante scoperta durante il restauro della vecchia Scuola tecnica

Riaffiora a Zara uno scorcio della Serenissima che si credeva perduto.

Nel corso dei lavori di restauro dell’edificio della vecchia Scuola tecnica sono tornati alla luce i resti della porzione della cinta muraria che un tempo collegava i bastioni Moro e Grimani. Lo ha reso noto il Dipartimento per l’archeologia dell’Università di Zara.

La fortificazione era stata demolita nel 1907, come testimoniato da una lapide tutt’oggi presente sul bastione Grimani. Le mura difensive di Zara, quali testimonianze delle “Opere di difesa veneziane tra XVI e XVII secolo: Stato da Terra-Stato da Mar occidentale”, figurano dal 2017 nella Lista dei patrimoni dell’umanità stilata dall’Unesco.

 

Servitù militari, i beni ceduti dalla Difesa abbandonati e depredati
Da sardiniapost.it del 1 dicembre 2021

Sono 48 i beni militari passati in mano alla Regione dopo gli accordi siglati nel 2008 e rinnovati negli anni successivi. Ci sono caserme, palazzine, alloggi, capannoni, intere aree dismesse, torrette, fari, poligoni di tiro, piccoli ospedali e depositi. Strutture la cui manutenzione, ma anche la sorveglianza, erano a spese della Difesa e delle Forze armate, ma che passate in mano al Demanio e alla Regione, sono finite per pesare sulle già magre casse pubbliche.

La coperta è corta, soprattutto se si pensa che ogni stabile deve essere in qualche modo ristrutturato e bonificato prima di destinarlo ad un uso diverso da quello per cui era stato realizzato. Ed è proprio l’aspetto dei costi che ha influito in passato e probabilmente continua a farlo oggi quando si parla della cessione dei beni delle Forze armate alla collettività. Molti, infatti, non sono stati incorporati proprio a causa dell’eccessivo costo che le amministrazioni, regionale o comunale, avrebbero dovuto sostenere e quelle ‘poche’ che sono passate immediatamente in mano alla Regione , in molti casi, non hanno ancora trovato la giusta destinazione: sono in balia delle intemperie, dei vandali e in completo stato di abbandono.

Sardinia Post si è soffermata su alcune di queste strutture per dimostrare quanto ancora non è stato fatto. L’esempio, sotto gli occhi di tutti i cagliaritani, è l’area di Monte Urpinu, dove si trovava il gigantesco deposito di carburanti dell’Aeronautica militare, che da oltre dieci anni attende di essere riqualificato. È stato infatti ceduto dal Demanio militare alla Regione Sardegna nel 2011 e da allora è stato al centro di progetti e iniziative. A dicembre del 2020 la Giunta regionale, con una apposita delibera ha deciso di assegnare quello spazio a Cral e Cra Sardegna che vorrebbero realizzare in quell’area, grande 2,4 ettari, campi da tennis, padel e calcio, giardini e orti.

 

MONTE CELO (ZELO) ED ALPENFESTUNG
Da radiopiu.net del dicembre 2021

Bunker di Noach

Di Tiziano De Col

PRIMA PARTE

La Germania Nazista approntò in questo territorio nel periodo tra l’inverno del 1944 e la primavera del 1945 dei grandi lavori per la costruzione di bunker e gallerie. Questi lavori, condotti dall’ organizzazione TODT portarono alla costruzione, sul solo massiccio del Monte Celo, nella zona tra Noach e Roit, di 25 bunker finora censiti. Agli operai locali che lavoravano per la TODT, i tedeschi raccontavano che tutti questi lavori venivano realizzati per il solo scopo di tenere sotto controllo gli uomini in modo che non si aggregassero alle formazioni partigiane. Questo era vero solo in minima parte, come effetto riflesso, visto che tutti questi lavori rientravano nel progetto di Hitler di realizzare, nel territorio compreso tra il sud della Baviera, il Tirolo, il Salisburghese, il sud- Tirolo (Alto Adige) e le Dolomiti , un “ ridotto alpino”, ossia una concentrazione di fortificazioni atte ad autodifendersi come un unico sistema fortificato. Questo progetto, la cui localizzazione era tenuta segreta, veniva però utilizzato dalla propaganda nazista come sprono all’opinione pubblica tedesca per continuare a credere in una continuazione del Terzo Reich in un territorio iperprotetto, dal quale poi il nazismo avrebbe potuto gestire la sua riorganizzazione per riconquistare la potenza che stava perdendo. In questo territorio, Hitler contava di poter portare a termine la realizzazione della sua “arma segreta”, probabilmente la bomba atomica nazista, con la quale capovolgere le sorti di una guerra che vedeva ormai come persa. Per fare questo serviva però più tempo di quanto la guerra sembrava concedergli ed allora prese così corpo, su suggerimento di Hofer, governatore nazista del Sod-Tirolo, il progetto del “ ridotto alpino” o “fortezza alpina”, denominato dai tedeschi “Alpenfestung” e dagli Alleati “National Redoubt” o anche “ Nazi’s last-stand” ossia “ultimo luogo del Nazismo”. L’idea di una “fortezza alpina” nella quale far convergere le truppe tedesce in una eventuale ritirata da sud e da nord, venne ad Hofer presubibilmente durante una visita alle fortificazioni della “ Linea Littorio” , strutture difensive anti asburgiche della Grande Guerra che erano state adattate da Mussolini nel dubbio di qualche “scherzo” tedesco. Hofer capì che con poche innovazioni, la “Linea Littorio” e la “Linea Gialla”, linee italiane risalenti alla Grande Guerra, potevano essere utilizzate per la realizzazione di una cintuta difensiva intorno al “cuore” dell’Alpenfestung. Le strutture del Monte Celo e della stretta dei Castei rientravano nella “Linea Gialla” della Grande Guerra e quindi anche qui si concentrò l’attività della TODT per riutilizzarle in senso inverso. Ritardare quindi l’avanzata alleata di qualche mese e permettere così di protrarre la guerra fino all’ottobre del 1945, mese in cui Hitler pensava fosse pronta la bomba atomica tedesca. A questo punto una domanda: considerato l’uso alleato dell’atomica sul Giappone dopo la caduta di Hitler, avrebbero potuto gli alleati utilizzare l’atomica anche sul “Nazi’s last-stand” nel caso i  nazisti fossero riusciti ad asserragliarvisi e per evitare che in qualsiasi modo la Germania nazista potesse avere il tempo di realizzare la “sua” atomica? Certamente questa non era una felice prospettiva per le nostre vallate, considerato che i Nazisti avevano scelto nelle nostre zone, proprio le strette gole d’imbocco della Valle del Mis, del Cordevole, del Maè, del Piave per sbarrare il passo nei fondovalle agli Alleati ed erigere così la prima linea fortificata dell’ Alpenfestung. In Agordino, nella gola dei Castei ed alle pendici del Monte Celo, per continuare fino a Forcella Moschesin ed in Val di Zoldo, trovarono posto, ricalcando le fortificazioni della Grande Guerra, bunker e gallerie per ospitare truppe, munizioni e viveri. Il sistema prevedeva la realizzazione di sistemi fortificati di fondovalle per impedire l’accesso alle vallate, tali sistemi dovevano essere a prova di attacco aereo e quindi realizzati in caverna. Essi dovevano essere completamente autosufficenti e quindi predisposti per l’alloggiamento degli uomini e lo stoccaggio dei viveri. Il progetto prevedeva il trasferimento nell’ Alpenfestung di tutto lo stato maggiore nazista, Hitler, Goering, Goebbels e Bormann ovviamente compresi ed al loro seguito era previsto il trasferimento di circa 250.000 S.S. da utilizzare come milizia interna alla “ Fortezza Alpina”. Nei prossimi numeri del nostro giornale analizzeremo le modalità con cui questo doveva avvenire e perchè non avvenne. Considereremo inoltre le fonti di informazione ed i dubbi degli Alleati sull’ Alpenfestung, divisi sul dubbio che la fortezza alpina fosse realtà o semplice frutto della propaganda nazista. Per noi, abitanti in questi luoghi, sicuramente una certezza c’è, ed è quella dei bunker presenti a pochi passi dalle case di La Valle ed anche una sensazione s’impadronisce di noi pian piano che iniziamo a comprendere queste cose: la sensazione d’averla scampata per poco.

Scala d'uscita

SECONDA PARTE

Nei primi giorni di maggio del 1945, i soldati della settima armata Americana, spingevano i Nazisti verso Innsbruck, mentre la terza armata Americana conduceva verso Linz. Gli Alleati erano conviti di dirigersi verso un complesso sistema fortificato, difficilissimo da espugnare, da loro chiamato “National Redoubt” e dai Nazisti era chiamato “Alpenfestung”. I rapporti dell’ intelligence alleata davano per certa l’esistenza di questa “fortezza alpina”, composta da bunker e fabbriche sotterranee, nella quale i Nazisti speravano di asserragliarsi per guadagnare qualche mese di tempo per la costruzione di armi segrete con le quali poi ripartire dalle Alpi alla riconquista dell’Europa. Le notizie in possesso dei servizi segreti Americani davano per certa l’esistenza di questa struttura che doveva avere una larghezza longitudinale di 300 Km circa e una profondità latitudinale di 100 Km circa e come già detto in precedenza essa aveva come baricentro la zona di Salisburgo, in questa zona, gli Alleati si attendevano una resistenza fanatica da parte dei Tedeschi, attuata con vaste azioni di guerriglia che dovevano partire dai bunker nascosti sui monti per colpire l’esercito Alleato. A questo scopo, le notizie in possesso dei comandi Americani davano per certo l’avvenuto trasferimento nell’ Alpenfestung, dei reparti più fidati ed addestrati delle SS (Schutzstaffel), in tutto circa 250.000 uomini. In effetti l’esercito alleato non trovò la resistenza prevista e quindi si pensò e si continua a pensare che l’Alpenfestung sia stato solo frutto della propaganda Nazista. Noi sappiamo che così non fu, considerando la grande mole di bunker presenti sul monte Celo e sulla stretta dei Castei, così come in Valle del Mis, a Malga Foca (in Comune di La Valle Agordina) ed a Forcella Moschesin, sul confine tra Agordino e Val di Zoldo. 23 bunker finora censiti nella zona di Noach-Roit ; 3 a Malga Foca; 7 a forcella di Forca sui Colli di Fades; 1 a Forcella Moschesin; 7 in prossimità del Sasso di San Martin in Comune di Rivamonte Agordino; 3 in prossimità di Agre in Comune di Sedico, per un totale provvisorio di 44 bunker in prossimità del massiccio del Monte Celo. Difficile pensare che siano puro frutto della propaganda Nazista. Gli Alleati avevano attivato un progetto di spionaggio chiamato ULTRA, con il quale intercettavano e decifravano le comunicazioni radio degli alti comandi Nazisti. Alcuni storici sono a tutt’oggi convinti che Eisehower sia rimasto vittima dei propri preconcetti credendo nell’esistenza dell’ Alpenfestung. Il fatto di non aver trovato la resistenza attesa portò gli Alleati a pensare che non esistesse niente, invece le strutture esistevano, ma erano in via di completamento e probabilmente il solo ritardo di un mese avrebbe permesso a Hitler di installare le sue truppe nel territorio della “fortezza alpina”. Infatti, alcuni dei bunker sul monte Celo, erano stati anche centinati con centine in legno e foderati con faesite e carta catramata, mentre i pavimenti erano in cemento con le canalette per drenare le infiltrazioni d’acqua. Essi sono prevalentemente scavati nella dolomia principale, molto compatta ed hanno grosse coperture rocciose tali da renderli praticamente invulnerabili ai bombardamenti. Il materiale di scavo veniva disperso sul territorio esterno in modo da evitare le ricognizioni aeree. I ragazzi più giovani al lavoro con la Todt, venivano occupati nel disperdere i materiale di scavo sulle scarpate e non rendere così identificabile dagli aerei la localizzazione dei bunker. Tant’è che anche al giorno d’oggi, per alcuni bunker, si arriva davanti all’ingresso o all’uscita senza riscontrare tracce di sentieri d’accesso o di discariche di materiale di risulta, come invece si riscontra per le postazioni in caverna della precedente Grande Guerra. In un resoconto Alleato si legge che: a partire dal maggio 1945, l’Alpenfestung cessò di essere un mistero e diventò leggenda. Una leggenda che in parte è disponibile ai nostri occhi, quindi una ben strana leggenda ! Alla fine della guerra, il generale Eisehower ebbe a dire che: “…per molte settimane noi abbiamo ricevuto rapporti sulle intenzioni Naziste, che erano, alla fine, di trasportare la crema delle SS, Gestapo, ed altre organizzazioni fanaticamente devote ad Hitler, nelle montagne comprese tra il sud della Baviera, ovest Austria e nord Italia. Essi pensavano di bloccare i tortuosi passi montani e tenere così indefinitivamente contro gli Alleati…… L’evidenza era chiara, che i Nazisti intendevano attuare questo ed io decisi di non dare loro l’opportunità di attuarlo.”
Sul come gli Alleati agirono per impedire il trasferimento dei Nazisti nell’Alpenfestung lo tratteremo nella prossima parte.

Uscita dal bunker

Approfondimento: L’Organizzazione Todt (chiamata comunemente TOT) Quando parliamo della Todt (comunemente chiamata Tot dai valligiani), forse non sappiamo effettivamente di che tipo di organizzazione si trattava. Queste poche righe possono aiutare a capire il funzionamento della struttura. L’Organizzazione Todt prese il nome dal suo fondatore, l’ingegnere Fritz Todt. Essa venne costituita nei primi anni ’30, ma in quel periodo non divenne mai un’appendice del partito Nazista, mantenendo una sua peculiarità ed indipendenza operativa. Era vista però dagli Alleati come il “braccio ingegneristico” del regime Nazista, tant’è che era effettivamente era un’organizzazione militare configurata come un’agenzia governativa. Le due “menti” dell’organizzazione furono lo stesso Todt e l’architetto Albert Speer che già lavorava a stretto contatto con Hitler e Goering per allestire le mega-scenografie dei raduni e comizi Nazisti. Ufficialmente la Todt fu costituita il 28 giugno 1933 con la definizione di “Reichsautobahnen”, ed al suo comando fu messo ovviamente l’ing. Todt con la qualifica di Ispettore Generale. L’Organizzazione costruiva acquedotti, ponti, strade, linee difensive e bunker all’interno del territorio germanico. Durante la costruzione della “Linea Sigfrido”, nel 1938, Todt sperimentò una fattiva collaborazione tra il governo tedesco e le imprese locali, in questa collaborazione il governo forniva i materiali e la manodopera, mentre le imprese locali fornivano le basi tecniche. L’ing. Todt morì, in un dubbio incidente aereo l’ 8 febbraio del 1942 e le redini dell’intera organizzazione furono prese in mano da Albert Speer che convertì la Todt intera alla costruzione di manufatti bellici ed introdusse dei contratti fissi tra organizzazione ed imprese per la gestione dei lavori. Così, tra il 1942 ed il 1943 la Todt costruì il Vallo Atlantico e le fortificazioni in Norvegia, continuando anche la costruzione di bunker nel sottosuolo tedesco. Durante gli ultimi mesi del 1944, la Todt iniziò a lavorare anche in Agordino, nella fattispecie sulla stretta dei Castei e Monte Celo, ma anche in Valle del Mis, per la costruzione della “cintura esterna”, fatta di trincee e bunker a protezione dell’ Alpenfestung.

Fonti: Combat Studies Institute – Kansas; L’organizzazione Todt – Alessandra Belleli; Eisenhower, Berlin, and the National Redoubt – Jeff Korte; Departement of History – Universtity of Saskatchewan; Altausse – Oscar den Uijl; Il Ridotto Valtellinese – Guerracivile.it; The Alpenfestung – Jeroen Eeckelaers (Belgium); La strage dell’aprile del 1945 e la resa del 75° Corpo d’armata – Ezio Manfredi (“l’impegno” 3 dicembre 2001 – Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli); History MMAS Example – Combat Studies Institute – Kansas; O Reduto Alpino – Rui Martin; American Intelligence Efforts Regarding Nazi and Early Postwar Austria – Professor Sigfried Beer (Karl Franzes Universitat – Graz – Austria); Central Europe – The U.S. Army Campaigns of World War II – General Gordon O.Sullivan – United States Army.

TERZA PARTE

Il mancato trasferimento dei Nazisti nell’Alpenfestung

Uscita dal bunker

Durante l’ultimo mese di guerra, nella primavera del 1945, inspiegabilmente, gli Alleati lasciarono campo libero all’Armata Rossa nel prendere Berlino. Come mai questa decisione, di lasciare ai Russi la capitale della Germania ? I comandi Alleati erano convinti che ormai fosse in atto il trasferimento dei gerarchi Nazisti verso il sud della Germania, nella zona Alpina e precisamente nell’Alpenfestung, chiamato dagli Alleati anche German National Redoubt. Questa convinzione era così forte che si pensava che Hitler con i suoi fedelissimi fosse già sulle Alpi, tanto da tralasciare Berlino per concentrarsi sul sud della Germania ? Sembrerebbe di sì !
Gli Alleati dovevano quindi concentrarsi su un target: il centro della Germania ed il Nord, Berlino compresa, oppure il centro con il sud, ossia l’Alpenfestung o ridotto Alpino. La SHAEF (Supreme Headquarters, Allied Expeditionary Force), decise quindi di concentrarsi sul sud della Germania per eliminare ogni possibilità di concentrazione di Nazisti sulle Alpi da dove poi sarebbe stato molto difficile snidarli e lasciare quindi la conquista di Berlino ai Russi con le conseguenze di divisione della Germania poi accadute.
Il cuore dell’Alpenfestung era Berchtesgaden, il “nido d’aquila” di Hitler, lì lui voleva asserragliarsi, dopo aver abbandonato Berlino, insieme ai suoi fedelissimi e da lì organizzare la resistenza Nazista. Il 22 Aprile del 1945, Hitler prese la decisione di rimanere a Berlino e non traferirsi più a Berchtesgaden, il 30 Aprile si suiciderà nel bunker di Berlino con l’Armata Rossa distante poche centinaia di metri. L’Alpenfestung era visto dagli Alleati come probabile base del gruppo di fanatici guerriglieri chiamato WerWolf e sicuramente l’area, montuosa ed impervia, era già di per sè una buona difesa per cui si fosse ritirato in quelle valli. Gli alleati trovarono opere di difesa già realizzate a nord ed a sud (quindi nelle nostre zone) rispetto all’Alpenfestung. Nelle zone a sud erano state utilizzate anche parte delle fortificazioni italiane della Grande Guerra, la cosiddetta Linea Gialla, che passa proprio sul Monte Celo. Già dal 1943 la Wehrmacht aveva iniziato a sorvegliare e monitorare l’area alpina in questione. Dopo l’ 8 settembre del 1943, la Wehrmacht, a seguito dello sbarco di ingenti forze alleate in Italia, diede l’ordine di fortificare le Alpi meridionali, la lenta risalita degli Alleati lungo la penisola italiana diede tempo ai Nazisti di concepire qualcosa di più che una semplice linea difensiva, infatti nel 1945, la ricognizione aerea da parte del SHAEF evidenziava più di 20 zone nelle quali si stavano costruendo fortificazioni sotterranee, caverne artificiali nelle quali doveva venir stoccato, stando ai rapporti di spionaggio della SHAEF, materiale bellico e viveri per 200.000 persone per 18 mesi. L’assenza dal fronte di alcune divisioni di SS, dopo la battaglia delle Ardenne, cominciò a preoccupare gli Alleati, i quali pensarono ad un inizio della concentrazione di truppe nell’Alpenfestung. La grande preoccupazione degli Alleati era che restasse, sulle Alpi, una grande concentrazione di fanatici Nazisti dediti ad azioni di guerriglia e pronti ad azioni suicide, in quella che doveva essere la zona di influenza Americana nel dopoguerra. La prova provata dell’esistenza dell’Alpenfestung era che Hitler aveva deciso di trasferirvici , ma non solo questo, si aggiunse anche che un rapporto spionistico del 10 Aprile 1945, dava per certo un numero di veicoli pari a circa 2000, in trasferimento verso Berchtesgaden, centro dell’Alpenfestung. Un altro rapporto dell’intelligence Alleata, dava come presenti nel sud della Germania, i due terzi di tutte le forze Naziste che potenzialmente potevano asserragliarsi nella zona Alpina, sempre rapporti segreti davano per certo l’impiego di 20.000 o 30.000 operai per realizzare le opere di difesa nella zona alpina (gli operai che lavoravano per la Todt). Il perimetro della “fortezza alpina” percorreva, nel territorio italiano, per sommi capi, quel che era il confine di Stato prima della Grande Guerra, in questo modo i Nazisti potevano pienamente utilizzare, in senso inverso, le difese italiane del ’15-’18. Mussolini volle imitare i Nazisti e pensò di realizzare “in proprio” un’altra “fortezza alpina” in Valtellina, con gli stessi presupposti di difendibilità che aveva l’Alpenfestung, per questo fece concentrare molti uomini delle Brigate Nere proprio in quella zona, in primavera del 1945. Il piano fallì per il grande ritardo con il quale iniziarono i lavori, comunque sembra che i Nazisti fossero anche disposti ad accogliere Mussolini e quel che restava della Repubblica Sociale Italiana nell’Alpenfestung. A metà aprile del 1945, il maresciallo Kesserlin aveva dato ordine di attrezzare la difesa dell’Alpenfestung, ma fu scioccato quando, recatosi a verificare di persona i lavori, vide il grande ritardo che questi avevano accumulato, la sua preoccupazione fu grande, perchè grande era l’importanza che lui dava alla “fortezza alpina”. Quando, verso la fine di Aprile, anche il generale Von Hangle, controllò i lavori dell’Alpenfestung, rimase attonito per il grande ritardo accumulato dai lavori e per il completo scoordinamento di truppe e mezzi all’interno dell’area. Il generale von Hangle, al suo arrivo, era convinto di trovare 250.000 uomini nella “fortezza alpina”, ma trovò solo non combattenti e funzionari, nessuna divisione operativa era installata nell’area. Quando, il 4 maggio del 1945, penetrando da nord, gli Alleati entrarono nell’Alpenfestung, si trovarono di fronte circa 60.000 uomini, non sufficentemente armati e disorganizzati. La sorpresa fu però grande, quando, calcolate tutte le truppe tedesche che si erano arrese nell’area dell’Alpenfestung, nei dintorni di Salisburgo e Innsbruck, si arrivò al numero di 250.000-300.000. La non funzionalità della difesa dell’area fu dovuta al ritardo con cui Hitler ordinò la sua attivazione, il 24 Aprile 1945 e del ritardo con il quale indicò le modalità di attivazione, emanate il 29 Aprile. Non vi fu dunque il tempo, per i Nazisti, di organizzarsi sulle Alpi in una estrema difesa e l’avanzata degli Alleati verso il centro-sud della Germania, spaccò la stessa in due impedendo ad Hitler di muoversi da Berlino e bloccando tutti i trasferimenti verso il sud, verso le Alpi.

 

Milano Marittima, l'azienda dona una pompa sommersa per salvare il bunker della seconda guerra mondiale
Da ravennatoday.it del 1 dicembre 2021

La donazione è stata fatta da una ditta emiliana: "Da più di 20 anni frequentiamo con continuità Milano Marittima. Per noi è motivo di orgoglio aver contribuito a preservare questa importante storia"

Il sindaco di Cervia Massimo Medri ha incontrato Roberta Caprari delegata alle attività di responsabilità sociale della ditta Caprari di Modena, che ha donato una pompa sommersa a salvaguardia del bunker Regelbau a Milano Marittima. All’incontro era presente anche la Delegata alle Bellezze e Beni culturali consigliera Federica Bosi. Sono tre i bunker tedeschi della Seconda guerra mondiale ritrovati durante i lavori del nuovo lungomare di Milano Marittima, ora restaurati e visitabili. Il Regelbau 668, testimonianza considerevole dell’archeologia moderna, è particolarmente interessante in quanto all'interno è conservato un murales con una frase del poeta tedesco Schiller. La pompa è indispensabile per evirare che infiltrazioni d’acqua danneggino il restauro della struttura, così da preservare il recupero del bunker.
L’azienda Caprari, specializzata nella produzione pompe, motori sommersi ed elettropompe centrifughe, da anni ha sviluppato un programma di Corporate Social Responsibility che include sistemi di gestione ambientale, ottimizzazione dell’uso dell’energia, ricerca e innovazione, supporto alle comunità locali e progetti internazionali. Il progetto a sostegno del recupero del bunker di Cervia rientra in questa visione di solidarietà nei confronti del territorio e della cultura.
Così ha commentato Roberta Caprari: “Da più di 20 anni io e la mia famiglia frequentiamo con continuità Milano Marittima sia d’estate e che d’inverno, la nostra passione per la storia e le tradizioni dei posti in cui viviamo ci ha fatto scoprire anche la storia di Milano Marittima, dalla sua nascita sino ai giorni nostri. Conoscevamo quindi già l’esistenza dei bunker del territorio, dell’aeroporto degli alleati in pineta, la storia delle ville liberty e delle colonie. Siamo dunque sostenitori, frequentatori e amanti del territorio cervese e della sua storia, ed è per noi motivo di orgoglio l’aver contribuito a preservare questa importante storia con la donazione di una pompa sommersa per il recupero del bunker”.