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Da fortezza militare a museo diffuso, sarà questo il destino di Verona
Da giornaleadige.it del 30 novembre 2021

(di Giorgio Massignan) Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia nell’ottobre del 1813; a febbraio del 1814, l’esercito austriaco occupò Verona, sostituendosi ai francesi. Nel 1815, con il Congresso di Vienna, Verona entrò a far parte del Lombardo-Veneto, uno stato dipendente dall’ impero austriaco. Rimase sotto gli Asburgo sino al 1866, quando, con la terza guerra d’Indipendenza, anche il Veneto si riunì all’Italia. La nostra città fu sempre considerata un luogo strategico per gli scambi commerciali e le difese militari, e gli Austriaci la strutturarono come una vera e propria città-fortezza, a danno dei commerci. A causa dell’importanza di Verona come piazza fortificata (nella foto, Forte Gisella o Dossobuono), la popolazione fu costretta a sottostare alla servitù militare, con vari divieti e con restrizioni sull’ubicazione delle costruzioni civili e industriali. Tutto questo incise non poco sull’economia cittadina e sullo sviluppo urbano del territorio. In generale, l’economia, la cultura, la socialità e la vita della città nel suo complesso, patì pesantemente il clima di stagnazione e ne contagiò negativamente anche le epoche successive.

La censura austriaca, vietò tra il 1814 e il 1848, la lettura del Decamerone, le opere di Macchiavelli, di Beccaria e di altri classici. La filosofia e la storia erano considerate, materie pericolose, così come le persone che vi si dedicavano.
Alla metà del 1800, in città risiedevano 36.000 militari, tra una popolazione di 56.000 veronesi. La struttura economica e commerciale si trasformò in funzione della massiccia presenza di soldati austriaci. La città mitigò il suo ruolo di piazza fortificata solamente dopo la prima guerra mondiale. Ma, per oltre un secolo, il suo sviluppo economico, sociale e culturale, fu gravemente limitato. In compenso, la gestione dei militari, lasciò ai posteri un vero e proprio museo diffuso. Volumi edilizi e aree verdi che, se pianificate all’interno di uno strumento urbanistico, potrebbero permettere un enorme miglioramento delle condizioni qualitative del nostro territorio.
Sarebbe tempo che a Verona fosse restituita almeno una parte delle opportunità che le destinazioni e i divieti militari le hanno tolto. Per esempio, adeguando il sistema culturale e museale di Verona, al valore del suo patrimonio storico e artistico. Ritengo sia antistorico e contro gli interessi della collettività veronese, che i militari impediscano lo sviluppo dell’ambizioso progetto di un Grande Castelvecchio, opponendosi all’allargamento del museo negli spazi ora occupati dal Circolo Ufficiali. E’ già stato ampiamento spiegato che, nella nostra città, esistono edifici prestigiosi in grado di ospitare il Circolo, con una eventuale foresteria, come richiesto dagli stessi militari. Impuntarsi per mantenere un privilegio a danno dei cittadini, significa non amare la città in cui sono ospitati.

 

La Russia punta sull'ipersonica. Il (nuovo) test del missile Zircon
Da formiche.net del 29 novembre 2021

Di Luigi Romano

Tra i missili del nuovo arsenale russo, tutto a tinte ipersoniche, lo Zircon appare il più testato, da nave e da sottomarino. Oggi la Difesa russa ha comunicato un nuovo lancio, con obiettivo nel Mar Bianco, a due settimane dall’ultimo. L’obiettivo della modernizzazione lo ha spiegato Vladimir Putin: “Rilevare nemici sott’acqua, in superficie o in aria e prenderli di mira, se è necessario, con un attacco letale”

Nuovo test da parte della Russia per il missile da crociera ipersonico Zircon, uno dei gioielli dell’arsenale promosso da Vladimir Putin, a sole due settimane dal precedente lancio. Ad annunciarlo è stato il ministero della Difesa di Mosca, che ha comunicato il successo delle manovre condotte dalla fregata Admiral Gorchkov contro un bersaglio nelle acque del Mar Bianco, nell’Artico, collocato a oltre 400 chilometri di distanza dall’unità navale e “distrutto”.
È il quarto test del missile in pochi mesi. Oltre quello di due settimane fa (del tutto simile al lancio odierno), a ottobre lo Zircon aveva segnato il primo lancio per un vettore ipersonico da un sottomarino a propulsione nucleare, il Severodvinsk di classe Yasen (categoria Ssgn, sottomarini a propulsione nucleari con capacità lanciamissili). Anche in quell’occasione la Difesa russa aveva comunicato il “successo” del test, finito nel Mare di Barents, durante il quale il vettore avrebbe raggiunto nove volte la velocità del suono, viaggiando cioè a oltre tre chilometri al secondo.
Come nota il portale Missile Threath dell’autorevole Csis, l’intelligence americana aveva riportato già nel 2015 i primi test sul vettore, seguiti da un altro più rilevante (in termini di distanza) a dicembre nel 2018. I piani ufficiali sono stati svelati da Vladimir Putin a febbraio del 2019 durante il discorso annuale alla Duma. Il presidente confermò allora l’entrata in servizio del Zircon nel 2022, annunciando altresì che il missile sarebbe stato capace di raggiungere Mach 9 con un range di mille chilometri. Sulla velocità l’obiettivo è stato centrato, per un vettore che si presenta come missile da crociera ipersonico lanciabile da unità navali e sottomarini, con funzioni prevalenti di anti-nave e descritto dagli esperti (russi) come “invincibile”, sia perché invisibile ai radar, sia per l’elevata velocità che può raggiungere, sia per la nuvola di calore che lo avvolge durante il volo e che gli permetterebbe di assorbire raggi di frequenza radio. Basta scorrere il sito della Difesa russa per avere un’idea della frequenza di test per il missile Zircon.
Il 7 ottobre del 2020, il test dalla fregata Admiral Gorshkov, dislocata nel Mar Bianco, fu il regalo della Marina russa per il 68 compleanno del presidente Putin. In quell’occasione lo Zircon viaggiò per 450 chilometri a un’altezza massima di 28 chilometri, impiegando quattro minuti e mezzo per raggiungere l’obiettivo posto nel Mare di Barents e raggiungendo Mach 8. Un altro test risale invece allo scorso luglio, anche in tal caso dalla fregata Admiral Gorshkov, con il missile che avrebbe con successo colpito l’obiettivo collocato a 350 chilometri di distanza, raggiungendo Mach 9. Ne seguirono “diversi” altri il dicembre successivo nell’ambito della campagna della fregata nei mari del nord.
Il test dello scorso luglio ha anticipato di pochi giorni la parata militare per il 325esimo anniversario della sua Marina. “Possiamo rilevare nemici sott’acqua, in superficie o in aria e prenderli di mira, se è necessario, con un attacco letale”, spiegava Putin presenziando le manovre nella baia della Neva, a San Pietroburgo, con oltre cinquanta tra navi e sottomarini. “Il lavoro sul sistema Zircon e i test di successo di questo missile sono un grande evento nella vita sia delle Forze armate sia dell’intera Russia”, aggiungeva il presidente. Poche settimane fa, in diretta televisiva, il presidente russo ha rilanciato il tema: “È particolarmente importante sviluppare e adottare le tecnologie necessarie per creare nuovi sistemi d’arma ipersonici, laser ad alta potenza e sistemi robotici che ci permetteranno di contrastare con efficace eventuali minacce militari, e dunque di rafforzare ulteriormente la sicurezza del nostro Paese”.

D’altra parte, il vettore in questione si inserisce in un arsenale variegato e già ampiamente testato, anche in scenari operativi. A giugno del 2017 un’unità navale russa lanciò dal Mar Caspio, contro postazioni dell’Isis in Siria, 26 missili Kalibr. Percorsero in quell’occasione circa 1.500 chilometri, volando a poche decine di metri di quota (restando dunque difficilmente individuabili dai radar) e accelerando nella fase finale del volo. I Kalibr sono missili da crociera dotati di capacità stealth, il cui sviluppo risale al tentativo sovietico di rispondere ai Tomahawk americani.
Imponente appare l’attenzione riservata dalla Russia all’ipersonica, considerata dagli esperti il vero “game changer” dei futuri scenari operativi. A dicembre 2018 la Difesa russa testò l’Avangard, un missile a planata ipersonica, capace di superare l’atmosfera come un missile balistico in fase ascendente, per poi rientrarvi a velocità ipersonica, cambiando traiettoria e aumentando di imprevedibilità. Anche in quell’occasione, Putin intervenne in prima persona per il test, annunciando la sua messa in servizio del sistema entro il 2019. Si aggiungeva tra l’altro ai test eseguiti nei mesi precedenti sul missile da crociera ipersonico “invincibile” avio-lanciato (il Khinzal, letteralmente pugnale), nonché sul missile balistico più che intercontinentale Satan 2. Per quando riguarda lo Zircon, fonti industriali hanno spiegato a Tass che entro la fine dell’anno ci dovrebbe essere un secondo test di lancio da sottomarino. Nel 2022 sono previste le consegne effettive alla Marina russa e dunque l’entrata in servizio.

Proprio la corsa all’ipersonica di Russia (e Cina) ha convinto da qualche anno gli Stati Uniti ad accelerare sul tema. È recente l’assegnazione di un contratto di sviluppo da parte della Missile defense agency (Mda) a tre colossi del settore per lo sviluppo di un intercettore ipersonico che dovrà neutralizzare le minacce potenziali nei differenti contesti regionali. Lockheed Martin, Northrop Grumman e Raytheon Missiles and Defense sono state chiamate a progettare il “Glide phase interceptor” (Gpi).

 

ESCURSIONE SUI COLLI A FORTE CAMPONE
Da tempostretto.it del 29 novembre 2021

Sabato 4 Dicembre l’Associazione PFM propone un’escursione naturalisticostorica all’interno dei boschi alberati dei Colli S.Rizzo. Il sentiero condurrà al Forte Campone, uno dei forti Umbertini maggiormente conservato.

Programma

Ore 9:00 – Ritrovo partecipanti presso il Chiosco dei Colli.
Ore 09:30 – Inizio escursione al Forte Campone. Partenza a piedi dall’area attrezzata Musolino verso il Forte Campone. Il percorso è immerso nei boschi e solo per alcuni tratti scoperto alternando dei punti panoramici sulla valle e sulla costa tirrenica con la vista sulle splendide isole Eolie e su Capo Milazzo. Forte Campone, ancora in discrete condizioni, si trova a 510m s.l.m., fa parte delle fortificazioni umbertine ed è di modeste dimensioni. Conosciuto per la tragica vicenda legata alla giovane Graziella Campagna.
16:00. Fine escursione

Caratteristiche

Lunghezza: circa 13 km
Dislivello: 200 m
Altitudine max: 631 m s.l.m.
Durata: circa 6-7 ore, comprensive di soste e pranzo al sacco
Difficoltà: Facile – Medio
Le prenotazioni vanno effettuate via mail all’indirizzo:
escursioni@associazionepfm.it o tramite messaggio whatsapp al numero
3202281888. Nella prenotazione specificare “Escursione a Forte Campone”
indicando nome, cognome, recapito telefonico e città di provenienza

 

1866 - L'invasione italiana in Valsugana
Da ilmulo.it del 28 novembre 2021

 

Gli eventi bellici spesso modificano pesantemente il territorio e le architetture come nel caso delle fortificazioni costruite in Valsugana dopo l’invasione del 1866

Di Andrea Casna

Civezzano. Estate 1866, in occasione della guerra austro-prussiana (conosciuta anche come III guerra d’indipendenza) le truppe guidate dal Generale Giacomo Medici occupano Borgo Valsugana, Levico, Caldonazzo e Pergine. Si fermano a Civezzano e in Valsorda. Nel frattempo anche Giuseppe Garibaldi sul fronte occidentale entra in territorio austriaco giungendo a Bezzecca.
Dopo l’occupazione di Pergine da parte delle truppe del Generale Medici, a Civezzano gli austriaci improvvisano una difesa con la costruzione di trincee e postazioni di artiglieria. Stessa cosa in Valsorda dove gli italiani sono costretti a scontrarsi con le truppe austriache. Oggi un cippo ricorda quei drammatici eventi. In occasione di questa fase finale, che vede gli italiani arrivare alle porte di Trento, il generale Medici ordina di posizionare due pezzi di artiglieria sulla collina di Tenna.

Sbarramento – linea blu sbarramento in stile trentino anni 70 dell’Ottocento – linea rossa sbarramento di Tenna, anni 80 dell’Ottocento

I trattati di pace fra Austria e Prussia costringono Medici e Garibali ad abbondare il Tirolo di lingua italiana. Al termine della guerra del 1866 l’Italia estenderà i suoi domini a danno dell’Austria ottenendo il Veneto, Mantova e parte del Friuli (attuali provincie di Udine e di Pordenone).

Cronologia guerra 1866
15 giugno: la Prussia (alleata dell’Italia) dichiara guerra all’Austria
3 luglio: a Sadowa in Boemia pesante sconfitta dell’esercito austriaco contro le truppe prussiane
23 luglio: la colonna Medici occupa Levico Terme
25 luglio: scontri di Valsorda                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        12 agosto: firma Armistizio fra Italia e Vienna

Curiosità

Nella battaglia di Sadowa in Boemia (3 luglio 1866), le truppe prussiane utilizzarono per la prima volta fucili a retrocarica, sconfiggendo gli austriaci armati ancora di fucile ad avancarica. Rispetto alle guerre precedenti, i soldati iniziarono ad inserire una cartuccia in metallo nella parte posteriore della canna potendo sparare, anche da sdraiati, 8-10 colpi al minuto, quasi il doppio rispetto alle armi fino a quel momento utilizzate. Da quel momento tutti gli eserciti europei iniziarono ad utilizzare questi moderni sistemi aprendo la strada alla guerra moderna.

Le conseguenze in Trentino

A partire dal 1867 il comando militare austriaco inizia la costruzione dello sbarramento per la difesa del settore orientale di Trento. Si costruiscono postazioni permanenti nel settore di Civezzano-Cimirlo-Maranza-Valsorda. Sono fortificazioni a prova di scheggia, costruite in pietra e protette da fossato, filo spianto e postazioni per mitragliatrici. Fra questi lo sbarramento di Civezzano. Si tratta di un’opera composta da un forte principale e da due tagliate stradali (una sulla strada Civezzano-Trento – tagliata superiore; la seconda sulla strada Valsugana-Trento a difesa della futura ferrovia – tagliata inferiore).

Lo Stile Trentino

Fra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 dell’Ottocento l’Austria-Ungheria progetta e realizza nuove fortezze nel settore Cimirlo- Valsorda. Sono le batterie Roncogno, Maranza, Brusaferro e Doss Fornas, che hanno l’obiettivo di bloccare una seconda e possibile avanzata nemica proveniente da Bassano.
Queste nuove fortezze, chiamate “Stile Trentino” per la loro particolarità architettonica, sono costruite con l’utilizzo della pietra locale e armate con cannoni M61 e M75. Al termine della loro costruzione, fra il 1883-1884, risultano essere già obsolete e incapaci di resistere alle nuove tecnologie belliche. Inizia così, dal 1884, la costruzione di nuove fortezze moderne e all’avanguardia: sono i forti di Tenna e delle Benne.

Andrea Casna
Andrea Casna, iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, albo pubblicisti, è laureato in storia e collabora con l'Associazione Forte Colle delle Benne. È stato vicepresidente dell'Associazione Culturale Lavisana e collabora come operatore didattico con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto.

 

La Cittadella di Spandau: la fortezza-museo di Berlino
Da ilmitte.it del 28 novembre 2021

Foto di Stefano Comi

Contributo e fotografie a cura di Stefano Comi (Sito ufficiale, Pagina Facebook)
Anche se qui esisteva già un insediamento slavo con fortificazioni in pietra e una torre, la storia dell’attuale Cittadella di Spandau ha in qualche modo le sue origini in Italia. Con il progressivo uso delle armi da fuoco, la fortificazione aveva infatti perso la sua efficacia e il Principe reggente, Joachim II di Brandenburgo del casato degli Hohenzollern, chiamò a corte il costruttore Italiano, per la precisione bergamasco, Francesco Chiaramella di Gandino perché adeguasse la difesa alle nuove circostanze.

Due architetti italiani per un progetto ambizioso

Chiaramella, un esperto del settore, fregiato del titolo di Cavaliere per aver partecipato al pellegrinaggio a Gerusalemme, sviluppò il primo progetto e ne diresse i lavori dal 1560 al 1578. Giudicato poco affidabile e sospettato di corruzione durante altri lavori su incarico del Kaiser Karl V, venne sostituito da un altro italiano, Rocco Guerrini Conte di Linari, toscano. Guerrini, dopo aver servito alla Corte dei Medici e aver imparato l’arte della guerra a Ferrara, aveva partecipato a numerose battaglie attraverso mezza Europa dove si era fatto una fama di esperto. Rifugiato in Francia, sposò una certa Anne de Montot, si convertì al Calvinismo e fu costretto a riparare in Germania a causa della persecuzione degli Ugonotti.

Qui, al servizio del Principe di Sassonia, diede prova del suo talento di costruttore in opere militari e civili. Caduto in disgrazia a causa della sua confessione religiosa, riparò nel Brandeburgo dove gli venne affidato il compito di portare a termine la Cittadella. Anche in questo caso, la sua esperienza e capacità ingegneristica furono determinanti a realizzare la pianta simmetrica, completamente circondata dalle acque, della fortezza munita di quattro bastioni costruiti in modo tale da poter avvistare e contrastare con il fuoco dell’artiglieria, qualsiasi aggressore in ogni direzione. Guerrini venne lautamente ricompensato per i suoi servigi, non solo con grandi somme di denaro, ma anche con proprietà nella cittadina di Spandau, lucrativi incarichi nell’industria della polvere da sparo e del sale.

Le battaglie della Cittadella di Spandau

Nonostante il genio architettonico, la cittadella non sempre fu in grado di svolgere appieno il compito per il quale era stata costruita. Durante la guerra con la Francia, il comandante consegnò la fortezza alle truppe di Napoleone senza opporre alcuna resistenza e lo stesso Bonaparte la visitò il giorno successivo. Messa in crisi dalla campagna di Russia, la grande armata era in ritirata quando, nel 1813, il generale prussiano August von Thümen assediò la truppa francese e polacca asserragliata nella cittadella.

Non è chiaro se sia stato un colpo di fortuna o piuttosto una perfetta conoscenza delle strutture di difesa, fatto sta che il primo colpo di cannone prussiano colpì la santa Barbara di uno dei quattro bastioni. Francesi e polacchi furono costretti alla resa, ottennero però la garanzia di potersi ritirare senza rappresaglie. Alla fine del conflitto del 1871, la Juliusturm, all’interno della cittadella, venne trasformata in deposito blindato dove custodire le 1200 casse colme di monete d’oro pagate dalla Francia in riparazione dei danni di guerra.

La Cittadella di Spandau dal nazismo alla “bonifica”: oggi è sede di musei e gallerie

Un destino infelice ebbe la fortezza durante il periodo buio del nazismo. Dal 1935 infatti, furono attivati qui i laboratori di ricerca per la produzione di gas tossici, definitivamente bonificati solo nel 1976 quando iniziò la trasformazione in museo. Nel corso degli anni a venire, i musei si sono moltiplicati e oggi è possibile visitare la torre e la cittadella, la sala da parata dove sono raccolte vecchie armi e cannoni, i sotterranei con vista sulle fondamenta della fortezza e una raccolta di lapidi di un cimitero ebraico medioevale, il museo della città di Spandau, i magazzini dei viveri con 100 statue originali, fra le quali la testa di Lenin dalla statua di Friedrichshain, decapitata dopo la caduta del muro, un centro di arte moderna, una cantina dove stazionano alcune popolazioni di pipistrelli e circa quaranta atelier di artisti contemporanei.

Durante tutto l’anno la cittadella viene usata per mostre, convegni, uno storico mercatino natalizio e concerti: a giugno del 2022, corona permettendo, con Gianna Nannini. Il ristoro: all’interno della struttura un ristorante medioevale, in alternativa la numerosa offerta di ristoranti e bistro nella vicina città vecchia.

Come arrivare alla cittadella: U7, X33.

In automobile: digitare Am Juliusturm 60, 13599 Berlin, parcheggi dietro le concessionarie di automobili.

 

L'ex base militare sul Monte Venda ora è dismessa, ma nessuno la vuole: sindaci scettici, dal 2022 passa al Demanio
Da ilgazzettino.it del 25 novembre 2021

Di Lucio Piva

TEOLO - Nessun futuro all'orizzonte per uno dei luoghi più ameni dei Colli Euganei.

Ora che l'Aeronautica militare sta ultimando le operazioni di sgombero della ex base del 1° Roc, quello che fu uno degli avamposti strategici più importanti del nord Italia per il controllo del traffico aereo rischia di diventare terra di nessuno. Il bunker dei veleni sul monte Venda, nel quale decine di ufficiali e sottufficiali vennero in contatto con radon...

 

A San Michele Extra doppio appuntamento con la cultura
Da telenuovo.it del 25 novembre 2021

Piazza del Popolo, San Michele Extra

Doppio appuntamento con la cultura a San Michele Extra. Il 25 e 26 novembre si accenderanno i riflettori nelle sale della Settima circoscrizione, in piazza del Popolo. Giovedì, alle ore 20.45, si terrà la presentazione del libro “Il Forte di San Michele – Werk Kaiserin Elizabeth”, seconda opera scritta da Davide Peccantini di Quartiere Attivo. Venerdì, invece, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, verrà proiettato il film “La vita possibile” di Ivano De Matteo, una storia di riscatto e di rivalsa.

A presentare i due eventi, in municipio, il presidente della Settima circoscrizione Carlo Pozzerle, insieme ai consiglieri circoscrizionali Alessio Carbon, Giulia Fioravanti e Giovanni Bombieri. Presente anche il consigliere comunale Anna Leso e Giuseppe Passarelli, marito della poetessa Siviera Gonzato che interverrà alla seconda serata. Entrambi gli appuntamenti sono ad ingresso gratuito e verranno realizzati nel rispetto delle misure anticontagio. Necessario il green pass per entrare. “Due occasioni per riflettere – ha detto Pozzerle -, una sul nostro passato e la nostra storia, l’altra su una delle più gravi emergenze che stiamo vivendo. Siamo orgogliosi di proporre ai cittadini queste serate di approfondimento, un’opportunità anche per uscire di casa e stare insieme agli altri, in sicurezza”.
Libro. Il volume racconta la storia del Forte di San Michele, costruito tra il 1854 e il 1856, attraverso documenti reperiti nell’Archivio di Stato di Vienna, nell’archivio comunale di Verona e nel sistema bibliotecario cittadino. Il libro contiene notizie sul campo trincerato di Verona, sul passaggio del territorio dall’impero d’Austria al Regno d’Italia, sul tramway che collegava Verona a Soave. E poi sulla decisione del 1921 di demolire il forte e sulla cessione delle aree demaniali per creare il rettilineo della attuale strada provinciale. All’interno si trovano anche mappe e foto che riguardano i progetti del Forte.
Film. Anna abbandona la sua abitazione romana insieme al figlio tredicenne Valerio, per sfuggire a un marito violento che la tormenta e che le denunce e le diffide non sono riuscite a tenere a bada. Un evento che rientra nel programma delle iniziative cittadine organizzate dall’assessorato alle Pari opportunità per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. La serata vedrà la presenza della poetessa Silviera Gonzato Passarelli che reciterà poesie tratte dal suo libro “Beatrice Cenci”. Versi sulla storia di una nobile romana (1577-1599) vittima di grande brutalità e simbolo della lotta alla violenza.

 

Raytheon Missiles & Defense selezionata per sviluppare il primo missile anti-missile ipersonico
Da aresdifesa.it del 23 novembre 2021

Di Giacomo Cavanna

Raytheon Missiles & Defense, un’azienda di Raytheon Technologies, è stata selezionata dalla Missile Defense Agency (MDA) come una delle società da sviluppare e testare il primo intercettore specificamente progettato per sconfiggere le minacce ipersoniche.

L’arma, chiamata Glide Phase Interceptor (GPI), sconfiggerà una nuova generazione di missili ipersonici, armi che viaggiano a più di cinque volte la velocità del suono e si manovrano rapidamente in volo.

I sistemi Raytheon Technologies sono la pietra angolare delle odierne difese contro i missili balistici. Stiamo andando avanti su tale conoscenza per far progredire il sistema di difesa missilistica per minacce future”, ha affermato Tay Fitzgerald, vicepresidente di Strategic Missile Defense. “La velocità, la capacità di resistere al calore estremo e la manovrabilità di GPI lo renderanno il primo missile progettato per affrontare questa minaccia avanzata”.

GPI intercetterà le armi ipersoniche nella fase di planata del volo, che si verifica una volta che un missile è rientrato nell’atmosfera terrestre e si sta dirigendo verso il suo bersaglio.
La fase di sviluppo iniziale si concentrerà sulla riduzione del rischio tecnico, sullo sviluppo rapido della tecnologia e sulla dimostrazione della capacità di intercettare una minaccia ipersonica.

Sviluppato per conto della MDA, GPI sarà integrato nell’Aegis Weapon System della US Navy, un sistema di difesa navale e terrestre.
Il portafoglio di difesa missilistica di Raytheon Technologies combina sensori, intercettori e reti di comando e controllo per tracciare e sconfiggere un’ampia gamma di minacce.
Oggi, l’azienda è responsabile di sistemi su quasi tutti i sistemi di difesa aerea e missilistica schierati dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.

 

Servitù militari, le parole e la realtà: ecco i beni in mano alla Difesa
Da sardiniapost.it del 21 novembre 2021

“Fiumi di parole”, cantavano nel lontano 1997 i Jalisse a Sanremo vincendo il Festival. Non certo lo stesso risultato ottenuto dai politici regionali dal 2008 ad oggi che, con accordi, protocolli e intese, strombazzate ai quattro venti, hanno più volte annunciato una forma di ‘demilitarizzazione’ della Sardegna, con il ritorno di ampie fette di territorio alla collettività solo in parte realmente realizzata. È proprio partendo dall’accordo firmato il 28 marzo del 2007 dall’allora governatore sardo, Renatu Soru e dal sottosegretario alla Difesa, Emidio Casula, che Sardinia Post ha cercato, con non poche difficoltà, di tracciare una mappa, il più possibile aggiornata dei beni del Demanio militare passati alla collettività e quelli invece che, nonostante gli accordi e i  fiumi di parole spesi in questi anni, sono ancora sotto l’ala della Difesa.

La lista di beni è stata stilata tenendo come linee guida i due elenchi dell’accordo del 2008, cioè “beni dismissibili nell’immediato” e beni per i quali era necessario prima riallocare personale militare e attività che venivano eseguite all’interno: gran parte degli stabili, degli alloggi, dei magazzini del primo elenco sono tornati in mano al Demanio, del secondo invece, tutto o quasi è rimasto alle forze armate. Le promesse fatte erano diverse.

Nel 2008 viene annunciato l’accordo Soru-Casula. “Il ministero della Difesa, nel riconoscere che la Sardegna è la Regione italiana dove insistono, in percentuale più Servitù militari, conferma il suo fermo intendimento – sottolineava Casula – nel procedere in un regime di reciproca comprensione alla soluzione delle problematiche relative alla riorganizzazione della presenza militare sull’isola”. L’intesa prevedeva la dismissione di 43 beni senza condizioni e di altri 6 con alcuni precisi impegni da parte della Regione. Tutti i beni erano stati inseriti in due elenchi dettagliati.
“Un altro importante passo per la restituzione ai sardi di quello che gli appartiene”, aveva sottolineato Renato Soru, esprimendo soddisfazione per l’accordo che aveva tra i punti principali la dismissione e cessione alla Regione della quasi totalità dei beni militari a La Maddalena, cosa poi effettivamente avvenuta. Soru aveva poi sottolineato che la partita importante sarebbe stata quella relativa i poligoni presenti sull’Isola: ”È arrivato il momento – aveva detto – che l’intera comunità nazionale sia chiamata a sopportare il costo di questa attività che non può più gravare solo sulla Sardegna, frenandone lo sviluppo”. Fino al 2017, dopo la dismissione dei beni a La Maddalena con la chiusura anche della base Us Navy e quella di altre strutture “immediatamente dismissibili”, l’accordo non ha trovato piena applicazione e molte aree sono rimaste in mano alla Difesa.

 

Breve storia sulla Bomba Zar, l'arma nucleare più potente mai realizzata
Da everyeye.it del 19 novembre 2021

Di Salvo Privitera

"I fisici hanno conosciuto il peccato", disse questo Robert Oppenheimer - scienziato del progetto Manhattan - dopo l'esplosione dell'atomica su Hiroshima. Conosciamo tutti la storia a grandi linee, ma le vicende di Hiroshima e Nagasaki furono solo l'inizio, perché di atomiche se ne costruirono molte e di più potenti, come la terrificante Bomba Zar.

Il 30 ottobre 1961 sull'isola di Novaya Zemlya, nell'Oceano Artico, un bombardiere sovietico sganciò una bomba termonucleare che esplose con una potenza impressionante di 50 megatoni, il cui lampo fu visto da oltre 1.000 km di distanza (come se a Roma gli abitanti vedessero un lampo provenire dalla Germania).

Era scoppiata la Bomba Zar, l'arma nucleare più potente mai realizzata e testata. Venne creata dai sovietici all'interno dello scenario della Guerra Fredda, dove la deterrenza nucleare era l'unica costante per evitare un attacco tra URSS e USA. Lo sviluppo della Bomba, un'arma in grado di distruggere una grande città con un colpo solo, venne commissionata dal leader sovietico Nikita Khrushchev nel 1956.

Per farvi capire, 50 megatoni di potenza equivalgono a circa 3.300 bombe atomiche dell'era di Hiroshima. C'è una differenza tra bombe atomiche e bombe all'idrogeno; quest'ultime sono molto più potenti. Nelle bombe atomiche classiche si impiega la fissione nucleare per rilasciare abbondanti quantità di energia dall'uranio o dal plutonio, mentre le bombe all'idrogeno hanno un secondo passaggio in cui l'energia della fissione degli elementi pesanti viene utilizzata per fondere gli isotopi di idrogeno deuterio e trizio. L'ordigno era circa 8 metri di lunghezza, aveva un diametro di circa 2 metri e un peso di 25 tonnellate. La Bomba Zar era così grande che nessun aereo dall'Unione Sovietica poteva trasportarla (e ovviamente non poteva essere lanciato come un missile). Andrei Sakharov, scienziato fondamentale per lo sviluppo della bomba, dovette modificare un aereo per permettere il trasporto dell'arma termonucleare.

L'ordigno venne sganciato da un'altezza di 10.500 metri e l'equipaggio aveva il 50% di possibilità di sopravvivere (e ne uscirono tutti vivi). L'esplosione diede vita a una nuvole di fumo alta 67 km, il calore dell'esplosione potrebbe aver causato ustioni di terzo grado fino a 100 km e, sebbene la testata sia stata fatta esplodere a circa 4.000 metri di altezza, ha generato un'onda sismica che è stata avvertita con una magnitudo stimata di 5,0-5,25. Ci sono anche i filmati: ecco un video segreto dell'esplosione della Bomba Zar.

La risposta degli Stati Uniti? Prima che i sovietici pensavano di realizzare il loro ordigno, Edward Teller, la mente della bomba all'idrogeno, voleva ottenere il via libera dalla Commissione per l'energia atomica per due progetti di superbombe: uno per 1.000 megatoni (20 volte più potente della Bomba Zar) e l'altro per 10.000 megatoni (200 volte più potente della Zar).
Tuttavia, una testata da 1.000 megatoni sarebbe stata così potente che la radioattività sarebbe stata impossibile da mantenere confinata all'interno dei confini di uno stato nemico, perfino oggi le Isole Marshall hanno livelli di radiazioni più alti di quelli di Chernobyl.

 

Malafede: fortificazioni militari dimenticate e nascoste dalla vegetazione
Da canaledieci.it del 18 novembre 2021

Di Giorgio Perla

Commissione di Riserva del Litorale Romano: «andrebbero valorizzate»

Malafede: due fortificazioni militari della seconda guerra mondiale sono nascoste in mezzo a una fitta vegetazione. La recente scoperta risale all’agosto scorso, quando un vasto incendio è divampato in un’area di campagna tra Vitinia e il quartiere Giardino di Roma e ha riportato alla luce le due strutture. La Commissione della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano chiede che siano recuperate.

Fortificazioni militari della seconda guerra mondiale dimenticate e nascoste. Necessario tutelarle e farle conoscere

Lungo il fosso di Malafede, quasi invisibili dalla strada e nascoste tra gli alberi e la vegetazione, esistono due fortificazioni militari risalenti alla seconda guerra mondiale. Si tratta di una cosiddetta “casamatta”, una struttura di cemento coperta posizionata a ridosso e controllo della Via Ostiense e di una postazione di artiglieria “a barbetta”, dotata di due camere fortificate e posizionata a ridosso e controllo della linea ferroviaria della Roma-Lido.

Le due strutture sono state riportate alla luce l’agosto scorso, quando un vasto incendio è divampato in un’area di campagna tra Vitinia e il quartiere Giardino di Roma.

 

La Commissione di Riserva del Litorale Romano chiede che vengano valorizzate.

Ieri, mercoledì 17 novembre, una delegazione della Commissione della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano ha effettuato un sopralluogo in zona per verificare lo stato delle due strutture.

«Si tratta di strutture censite e vincolate dai beni culturali, parte del paesaggio e della storia del nostro territorio, ma che purtroppo oggi giacciono semisepolte e dimenticate – ha commentato Matteo Signori Commissario della Riserva Statale del Litorale Romano – peccato, potrebbero insegnare tanto. Soprattutto a non ripetere gli errori del passato.» Sempre nel nostre territorio un altro avamposto bellico conosciuto come “bunkerino” si trova all’idroscalo di Ostia.

 

In ex base Usa, nord della Siria, la Russia schiera il sistema di difesa missilistica S-300
Da lantidiplomatico.it del 15 novembre 2021

L'Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH) dell'opposizione ha riferito del dispiegamento di un sistema di difesa aerea S-300 all'aeroporto di Al-Tabqa, dove erano schierate le forze statunitensi dopo aver proclamato l'espulsione dei terroristi del Daesh. La notizia è stata confermata, ieri, anche dall quotidiano Ashraq Al-Aswat.

Secondo le informazioni, Al-Tabqa "è attualmente considerata una base militare e un luogo importante per la Russia nella campagna di Raqqa". Esperti, citati dal media, affermano che il dispiegamento del sistema S-300 nel nord della Siria consente alla Russia di monitorare i movimenti militari nell'area. Nell'ottobre 2018, la Russia ha finalizzato la consegna dei sistemi S-300 alla Siria , nel tentativo di rafforzare la capacità di difesa aerea dell'esercito siriano contro i bombardamenti nemici e aumentare anche il livello di sicurezza dell'esercito russo presente nel paese levantino.
L'esercito russo ha spostato i suoi sistemi antiaerei S-300 dalla Siria occidentale alla provincia orientale di Deir Ezzor vicino alle postazioni militari statunitensi alla fine del 2018, sfidando le forze della cosiddetta coalizione.anti-Daesh guidata dagli Stati Uniti, schierata nella parte orientale del fiume Eufrate senza l'autorizzazione del governo di Damasco.
Tuttavia, le sfere di influenza militare nell'area sono cambiate dopo che l'allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ordinò il ritiro delle truppe statunitensi dal nord della Siria. Infatti, in seguito alla partenza delle forze statunitensi dalla Siria settentrionale, Mosca e Damasco hanno iniziato i preparativi per colmare quel vuoto.
Da allora, la Russia ha inviato rinforzi militari nell'area, in assenza delle forze statunitensi e, soprattutto, a causa dei conseguenti scontri tra gruppi armati appoggiati dalla Turchia e la milizia curdo-araba, Forze democratiche siriane (FDS), sostenute dagli Stati Uniti.

 

I rampari e le fortificazioni
Da cittadellaspezia.com del 14 novembre 2021

Un lettore chiede informazioni sui rampari, insolita parola che nella letteratura spezzina compare solo per l’incursione fatta nel 1800 da due navi inglesi ai danni di Santa Maria che alla Castagna era il fulcro della difesa del Golfo. Gli Inglesi minarono la fortezza ma caddero solo qualche muro ed i misteriosi rampari oggetto del quesito. Ramparo (dal francese rempart, baluardo) indica il terrapieno che corre lungo la cinta muraria per proteggere con il fossato la linea difensiva esterna.
Orbene, i soldati britannici, probabilmente per la fretta di compiere l’operazione prima che si facessero vivi i Francesi, misero le cariche male e di fatto “venarono” soltanto la cinta difensiva, una cicatrice ben visibile tanto che gli architetti di Napoleone realizzarono il pan de relief del Golfo (il plastico) riproducendo fedelmente anche la lunga fenditura. Il lavoro è da sempre conservato al Museo degli Invalidi a Parigi ma non è esposto al pubblico. Lo hanno relegato in uno sgabuzzino: per loro è roba da poco ma per noi è la nostra storia.
I rampari vennero alla luce nel XVI secolo quando la tecnica del combattimento s’era modificata dal profondo per la venuta dei cannoni.

Prima del loro avvento una città o una qualsiasi fortificazione era difesa da un muro rettilineo, alto e dritto, che piombava al suolo perfettamente (o quasi) perpendicolare al terreno su cui era piantato. Quel tipo di difesa fu validissimo finché gli attacchi erano condotti all’arma bianca, ma si dimostrarono totalmente inefficaci contro il tiro dei pezzi di artiglieria. Erano bocche da fuoco rozze e primitive, con l’alzo sballato ma se si puntava una canna da poca distanza contro un muro liscio, era inevitabile che si creasse un bel buco per cui gli attaccanti potevano agevolmente fare irruzione nella città assediata.
Occorreva trovare un diverso sistema di fortificazione ed ecco  che gli ingegneri militari escogitano la difesa con mura più basse ma più profonde che hanno come ulteriore protezione i terrapieni che svolgono la stessa funzione dei sacchetti di sabbia.

Quella difesa in Italia viene chiamata “le mura alla moderna” ma per il resto dell’Europa sono “le mura all’italiana” perché a progettarle furono ingegneri e architetti del Bel Paese. In questo modo nascono i rampari ma non va dimenticato che le mura ora scendono a scarpa per creare angoli acuti che spezzino per l’inclinazione l’impatto con le palle da fuoco. Per vederne un bell’esempio, basta salire al castello che fu ristrutturato a inizio ‘600: bello dentro ma anche all’esterno i bastioni sono spettacolo costruttivo da gustarsi.

 

S-550, fonti rivelano le caratteristiche del nuovo sistema missilistico antiaereo russo
Da sputniknews.com del 13 novembre 2021

© Sputnik . Mikhail Fomichev

L'S-550 diventerà il primo sistema mobile di difesa anti-missile e spaziale al mondo, secondo le fonti.

Il nuovo sistema missilistico antiaereo S-550, sviluppato sulla base dell'S- 500 Prometey, diventerà il primo sistema di difesa antimissile e antispazio mobile specializzato al mondo in grado di distruggere efficacemente i missili balistici intercontinentali, hanno riferito a Sputnik due fonti del complesso industriale della difesa.

Durante una teleconferenza, il 9 novembre, il ministro della Difesa Sergey Shoigu ha annunciato che la Russia sta sviluppando il nuovo sistema missilistico antiaereo S-550. Nell'occasione non erano stati divulgati ulteriori dettagli.

 

ESERCITO: FUOCO PLURICALIBRO IN MONTAGNA
Da difesaonline.it del 12 novembre 2021

Si è conclusa oggi, al poligono alpino del Monte Bivera, a cavallo delle province di Udine e Belluno, l’esercitazione“Frozen arrow 2021” durante la quale il 3° reggimento artiglieria terrestre (da montagna) ha sparato integrando il fuoco dell’obice da 105/14 e del mortaio da 120 mm.

Lo scopo principale dell’addestramento svolto,ambientato in uno scenario definito tecnicamente“warfighting e combined arms”, ovvero in cui sono state ipotizzate situazioni di reale combattimento, è stato di esercitare la funzione di comando, controllo e gestione del fuoco del posto comando di artiglieria del gruppo “Conegliano”.

La complessità derivava dall’impiegare in modo integrato e complementare “sorgenti di fuoco” con caratteristiche balistiche diverse, come i mortai e gli obici, riuscendo a sfruttarne le capacità in un’area caratterizzata da cambiamenti di pendenze,avvallamenti e rilievi, che rendono difficile sia colpire gli obiettivi più nascosti, sia osservare l’arrivo delle granate per correggere il tiro.
In questo contesto, è stato inserito l’impiego dei tiratori scelti del 7° e dell’8° reggimento alpini. Infatti,se i mortai e gli obici, avvalendosi del puntamento indiretto, riescono a colpire obiettivi non visibili, posti oltre creste e dossi, il puntamento diretto dei fucili di precisione permette di individuare in modo selettivo obiettivi non remunerativi per le artiglierie. Per completare lo spettro delle ipotesi digestione del fuoco in modalità “joint”, cioè congiunta tra forze armate diverse, è stato simulato l’impiego di fuoco aereo guidando da terra i passaggi di due velivoli “Eurofighter” appartenenti al 51° stormo di Istrana dell’Aeronautica Militare.
Il colonnello Francesco Suma, comandante del reggimento e direttore dell’esercitazione, nell’illustrare al generale Fabio Majoli – comandante della brigata alpina “Julia”, che ha assistito all’ultima giornata di addestramento, ha espresso la propria soddisfazione per il livello di integrazione dimostrato e la capacità di adattamento in un ambiente ormai invernale.

L’esercitazione è durata complessivamente due settimane. La prima settimana è stata utilizzata per condurre attività preparatorie, quale il riconoscimento, la ricognizione delle aree di schieramento, la preparazione topografica e l’allestimento della struttura logistica di sostegno costituita per lo più da tende, ma, soprattutto, è stato ottimizzato il tempo a disposizione per acclimatarsi in un ambiente in cui le condizioni meteorologiche sono state prevalentemente ostili ed addestrarsi “in bianco” (senza l’utilizzo di munizionamento) nell’esecuzione delle prese di posizione e di calcolo dei dati di tiro e di esecuzione simulata degli esercizi.
Durante la seconda settimana è stato raggiunto l’obiettivo addestrativo, con l’impiego reale dell’obice OTO-Melara M-56 da 105 millimetri e 14 calibri di lunghezza e del mortaio Thomson-Brandt TR-61 a canna rigata da 120 millimetri. Questi pezzi, assieme all’obice FH-70 da 155 millimetri, non impiegato durante questa esercitazione, costituiscono la linea del gruppo “Conegliano”, la componente operativa del 3° reggimento artiglieria terrestre da montagna.

Il poligono del Bivera, teatro dell’esercitazione è caratterizzato da un’area rocciosa, da ghiaioni, da ripidi pendii e da boscaglia tra l’altopiano di Casera Razzo e le pendici del monte Bìvera, montagna carnica di 2474 metri che separa l'Alta Val Tagliamento, a sud, dalla Val Lumiei, a nord. L’esercitazione, svolta con l’applicazione delle norme dettate dalle disposizioni anti-Covid, è stata condotta nel pieno rispetto dell’ambiente secondo la normativa vigente.

 

Sara Cunial “via la NATO dal Grappa”
Da corrierepl.it del 12 novembre 2021

Completati i lavori di demolizione dell’ ex base NATO in Cima Grappa; Sara Cunial si è spesa per questa operazione sin dal primo momento in cui è entrata in Parlamento. Cunial: “Sul nostro suolo, presso le basi aeree di Aviano e di Ghedi, vi sono oltre 100 ordigni atomici, di cui non si può conoscere con la precisione il numero. I rischi per la nostra incolumità e la nostra terra sono altissimi”.

Di Silvia Pedrazzini

L’ex base NATO sita in Cima Grappa è risalente a fine anni sessanta. Sul Grappa, l’Aeronautica militare italiana aveva installato una base missilistica, armata con una batteria di missili Nike-Hercules con il compito principale di proteggere lo spazio aereo nazionale. Con la caduta della cortina di ferro, l’area era caduta in disuso ed era diventato un vero e proprio un rudere.
Da una dichiarazione dell’Onorevole Sara Cunial si apprende che l’8 novembre 2021 era previsto l’abbattimento dell’ultimo residuo della vecchia costruzione e sono stati avviati sin da subito i lavori di bonifica e smaltimento materiali. Sara Cunial si era spesa sin dal primo momento in cui era entrata in Parlamento, per l’operazione di demolizione dell’ex base NATO, operazione che ha trovato compimento grazie anche alla sinergia di istituzioni locali e nazionali. L’8 novembre l’ Onorevole Cunial ha affermato “Proprio oggi è previsto l’abbattimento dell’ultimo residuo della vecchia costruzione e poi già subito il via ai lavori di bonifica e smaltimento dei materiali. Con la speranza che questo sia metaforicamente l’inizio di un ben più imponente smantellamento: quello dell’adesione dell’Italia alla Nato. Da troppo tempo, anche a causa di questo legame, il nostro Paese è colonia, schiava di accordi geopolitici che erodono la nostra sovranità.

Ogni anno siamo costretti a spendere miliardi per aderire all’enorme macchina da guerra che è la Nato: basti pensare alle ignobili spese per gli F-35 degli ultimi anni, basterebbero questi per incentivare anche cospicuamente la nostra morente economia nazionale. Sul nostro suolo, presso le basi aeree di Aviano e di Ghedi, vi sono oltre 100 ordigni atomici, di cui non si può conoscere con la precisione il numero. I rischi per la nostra incolumità e la nostra terra sono altissimi.
Con la proposta di legge n. 3274 presentata il 7 settembre 2021, ho chiesto “l’adesione della Repubblica italiana al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, fatto a NewYork il 7 luglio 2017″.
Il Trattato richiede che tutti i Paesi che lo ratificano «mai in nessuna circostanza (…) sviluppino, sperimentino, producano, fabbrichino o altrimenti acquisiscano, possiedano o accumulino armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari». Vieta, inoltre, qualsiasi trasferimento o uso di armi nucleari od ordigni esplosivi nucleari – e la minaccia di utilizzare tali armi – e richiede alle Parti di promuovere l’adesione degli altri Stati al Trattato.

Attualmente il Trattato è stato firmato da 86 Stati e ratificato da 51 di essi. Tra i Paesi che non hanno firmato figurano gli Stati Uniti d’America (USA), la Russia, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna, il Pakistan, l’India, lo Stato d’Israele e la Corea del Nord. Solo 6 dei 49 Stati europei hanno approvato e ratificato il Trattato: l’Austria, l’Irlanda, Malta, la Repubblica di San Marino, il Liechtenstein e lo Stato della Città del Vaticano. L’Italia non ha firmato né ratificato il Trattato, pur essendo uno dei cinque Stati europei che ospitano testate nucleari statunitensi, nell’ambito degli accordi dell’Alleanza atlantica.
Sottoscrivere questo documento sarebbe un atto di buon senso e, soprattutto, di dignità: un segnale di indipendenza dall’impero statunitense, di sovranità nazionale, e di pace nei confronti di tutti quei popoli che in questi anni sono stati aggrediti dalla Nato”.

 

Padova, presentato restauro del cinquecentesco Bastione Moro
Da ansa.it del 10 novembre 2021

Spazio recuperato dal Comune per attività culturali e ricreative

PADOVA, 10 NOV - E' stato presentato oggi il restauro del Bastione Moro II, tratto delle mura cinquecentesche di Padova che si trova all'altezza di Via Sarpi e che è accessibile da Via Citolo da Perugia.
Con un investimento di 848 mila euro, è stato realizzato il restauro complessivo di una della parti più importanti e meno conosciute della cinta muraria cinquecentesca.

I lavori oltre ad un attento recupero delle strutture originarie comprendono anche una scenografica illuminazione dell'area accessibile da Via Citolo da Perugia che a breve rientrerà negli itinerari delle visite guidate.
"Oggi - ha detto il vicesindaco Andrea Micalizzi - abbiamo riconsegnato ai padovani un altro luogo straordinario. L'area del Bastione MoroII è sconosciuto ai più, dietro il portone chiuso da anni c'era una discarica orribile: oggi con tanti residenti del quartiere abbiamo aperto questi cancelli e potuto presentare alla città un lavoro di restauro che riconsegna ai padovani un logo straordinario e dalle enormi potenzialità".
Tra i lavori, apprezzata dai cittadini l'illuminazione che crea un'atmosfera suggestiva e mette a risalto la bellezza delle mura. Presto uscirà anche un bando per la gestione dello spazio con chiosco che sarà promotore di iniziative culturali e ricreative:

 

Eurodeputati, possibile ritorno missili medio-raggio in Ue
Da ansa.it del 9 novembre 2021

BRUXELLES - Il ritiro dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (Inf) da parte degli Stati Uniti e della Federazione Russa potrebbe determinare il possibile riemergere di missili nucleari a raggio intermedio in Europa: questo l'allarme lanciato dagli eurodeputati della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo in una relazione approvata con 35 voti favorevoli, 7 contrari e 2 astensioni. Nel testo gli eurodeputati sottolineano come l'erosione degli accordi internazionali di non proliferazione, disarmo e controllo delle armi di distruzione di massa sia aggravata dal rapido sviluppo di tecnologie nuove e potenzialmente destabilizzanti come i sistemi d'arma basati sull'intelligenza artificiale, i missili ipersonici e i droni.

Gli eurodeputati chiedono quindi a tutti gli stati dotati di arsenale nucleare di considerare la riduzione del ruolo e della rilevanza delle armi nucleari nelle loro dottrine di sicurezza. La relazione esprime inoltre il pieno sostegno al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (Tnp) come uno degli strumenti più giuridicamente vincolanti e invita gli Stati parte del trattato a fare tutto il possibile per contribuire a un risultato positivo e ambizioso nella prossima 10a Conferenza di revisione sul Tnp.

Nel testo gli eurodeputati esprimono preoccupazione per le continue attività nucleari della Corea del Nord e chiedono all'Ue di continuare il suo impegno nei dialoghi per eliminare tutte le armi di distruzione di massa dalla penisola. La relazione infine segnala la pericolosità dell'attuale processo di modernizzazione e ampliamento dell'arsenale nucleare cinese, compresi i nuovi missili ipersonici con capacità nucleare costruiti da Pechino.

 

Fortificazioni militari Al via un censimento
Da messaggeroveneto.it del 5 novembre 2021

Entro il 2022 sarà completata la ricerca sul territorio Prevista la realizzazione di convegni, mostre e un libro

Di Piero Cargnelutti

Le fortificazioni militari del Gemonese saranno censite per promuovere in futuro nuovi percorsi turistici. È il progetto che ha avviato la Comunità di montagna del gemonese: si tratta di “Le fortificazioni del Gemonese dagli anni Trenta alla Guerra Fredda: da testimoni di cemento a tassello di una rete ecologica transfrontaliera” per il quale sono stati investiti 24 mila euro in buona parte provenienti da contributo regionale con i quali è stato affidato all’associazione Friuli storia e territorio il compito di effettuare la ricerca, in particolare nei territori di Gemona, Venzone, Trasaghis e Montenars dove sono presenti fortificazioni militari non ancora censite.
«L’obiettivo – fanno sapere dall’ufficio Cultura dell’ente montano – è quello di censire questi manufatti con la datazione, tenendo presente che dagli anni Trenta alla Guerra fredda ci sono stati molti interventi con finalità diversa e che spesso si sono sovrapposti in determinati punti. La ricerca, che dovrà essere presentata entro la fine del 2022, permetterà di avere dati verificati».

Il progetto prevede la realizzazione di una pubblicazione storica, l’organizzazione di due convegni, l’allestimento di una mostra fotografica compresi pannelli illustrativi, attività di promozione e la collaborazione per l’organizzazione di visite guidate sui punti oggetto della ricerca. In particolare, fortificazioni militari sono presenti a Gemona sul monte Ercole, area in cui si approfondirà ancora di più sui resti di ulteriori manufatti nel vicino monte Cumieli, ma anche nell’area di Portis a Venzone, a Montenars e a Trasaghis sono presenti strutture di origine militare. «In particolare – fanno sapere sempre dalla comunità di montagna – oggi sappiamo poco dei manufatti realizzati dai tedeschi sui nostri territori: con questa ricerca si avranno maggiori informazioni in proposito. L’obiettivo sarà quello di scegliere alcuni dei punti oggetto della ricerca e intervenire per riqualificare l’area e realizzare dei percorsi a disposizione del turismo lento. Questi percorsi saranno inseriti in una rete transfrontaliera, che potranno venire incontro al turismo slow interessato a questi temi. Sul fronte delle fortificazioni militari, il Gemonese è molto ricco di manufatti perché è un’area di confine a forma di imbuto dove i contatti dovevano necessariamente passare».

Alcuni punti come lo stesso monte Ercole a Ospedaletto sono già stati sistemati e oggi possono essere visitati: la ricerca della Comunità di montagna permetterà di saperne di più in futuro e arricchire ancora di più i percorsi. Il progetto aderisce alla rete ecologica transfrontaliera European green belt per mezzo di attività e iniziative quali l’ecoturismo, la slow mobility, il cicloturismo, il recupero della memoria. —

 

Turchia, Ankara nega il trasferimento di sistemi missilistici S-400 alla base di Incirlik
Da sputniknews.com del 4 novembre 2021

I media turchi, nei giorni scorsi, avevano dato per fatto lo spostamento degli S-400 nella base situata nel sud del Paese anatolico.

Il ministero della Difesa turco ha smentito le notizie di aver spostato i suoi sistemi di difesa aerea S-400, di fabbricazione russa, alla base aerea di Incirlik, dove sono schierate le forze statunitensi, secondo quanto riferito dall'agenzia Anadolu, che cita una fonte del Dipartimento della Difesa. Un certo numero di media turchi, all'inizio della settimana, ha riferito che l'esercito aveva spostato i suoi sistemi missilistici di difesa, acquistati dalla Russia contro il volere di Washington, nelle vicinanze della base aerea strategica nel sud del Paese.

"Queste affermazioni sono assolutamente false", ha riferito Anadolu citando la fonte.
La stazione fa parte del sistema di difesa missilistico della NATO in Europa, dove sono immagazzinate fino a 50 armi nucleari tattiche.
Nel contesto degli attriti con gli Stati Uniti sull'acquisto di sistemi di difesa missilistica russi S-400 da parte della Turchia, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che Ankara avrebbe chiuso le basi di Incirlik e Kurecik alle forze armate americane, se fossero state imposte sanzioni.

 

S-400, la Turchia li ha portati veramente nella base Nato di Incirlik?
Da lantidiplomatico.it del 4 novembre 2021

I sistemi antimissile russi S-400 tengono ancora banco in Turchia. Questa volta non per l’acquisto effettuato da Ankara nonostante l’irritazione e la contrarietà di Washington che ritiene il sistema di difesa missilistico prodotto dalla Russia una minaccia per i propri armamenti. Sky News Arabia ha affermato che "la Turchia ha portato le batterie S-400 alla base di Incirlik utilizzata dagli Stati Uniti e dalle forze della NATO" in un tweet, dove si cita un funzionario del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

La notizia è pero stata smentita da funzionari militari turchi contattati dal quotidiano Daily Sabah, secondo cui non ci sarebbe stato alcuno spostamento del sistema di difesa missilistica di produzione russa presso la base Nato di Incirlik. Gli S-400 costituiscono un punto di grossa tensione tra Stati Uniti e Turchia. L’acquisto del sistema missilistico russo ha messo a dura prova i legami Ankara-Washington. La decisione turca ha spinto Washington a rimuovere la Turchia dal programma F-35 Lightning II nonostante Ankara avesse già pagato per ottenere alcuni esemplari, e aziende turche producano parti importanti della fusoliera del caccia stealth di quinta generazione. Gli Stati Uniti hanno anche minacciato di imporre nuove sanzioni se la Turchia decidesse di acquistare nuovi lotti del sistema missilistico, o altri armamenti prodotti da Mosca.
La Turchia ha però sempre ribadito che si tratta di questioni interne e ogni ingerenza su questi temi significa vulnerare la sovranità nazionale.

Gli Stati Uniti sostengono il sistema potrebbe essere utilizzato dalla Russia per ottenere segretamente dettagli riservati sui caccia Lockheed Martin F-35 e che sia incompatibile con i sistemi Nato. La Turchia, tuttavia, insiste sul fatto che l'S-400 non sarà integrato nei sistemi Nato e costituisce una minaccia per l'alleanza.
Per l’acquisto del sistema missilistico russo la Turchia è stata sanzionata dagli Stati Uniti in base a una legge del 2017. Si è trattato della prima applicazione della Countering America's Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA) nei confronti di un paese alleato.

 

Il conflitto dimenticato dei forti: storia segreta della Grande Guerra
Da insideovre.com del 3 novembre 2021

Di Alberto Bellotto

Nella Grande Guerra che infiamma l’Europa tra il 1914 e 1918 c’è un conflitto nel conflitto. È quello dei grandi forti che si lanciano cannonate, in particolare sull’Altipiano di Asiago. Se si pensa alla Prima guerra mondiale e alle tante forme che il conflitto ha assunto in Italia, difficilmente vengono alla mente le immagini di fortezze arroccate sulle montagne. Eppure proprio da uno di questi, il Forte Verena nel vicentino, alle quattro del mattino del 24 maggio 1915, parte il primo colpo di cannone che dà ufficialmente inizio alla guerra. Per i successivi tre anni questi forti hanno avuto destini più o meno avversi, ma secondo molti storici non sono mai stati decisivi nelle sorti della guerra e nello spostamento dei fronti. Nonostante questo hanno rappresentato comunque uno sforzo bellico ed economico notevole per i Paesi coinvolti con storie a tratti uniche.

Le fosche previsioni di fine secolo

Gran parte dei forti italiani e austro-ungarici viene costruita diversi anni prima della guerra. Da un lato e l’altro del confine c’era una certa ostilità nonostante la firma della Triplice alleanza del 1882. I governi unitari italiani di fine secolo creano un comitato incaricato di pianificare la realizzazione di una serie di barriere difensive che vengono poi messe a cantiere tra il 1883 e 1896. L’obiettivo principale individuato dal comitato è quello di difendere le città di Verona e Venezia in Veneto, per questo viene progettato un sistema di difesa di valli e valichi.

Tutto si arresta però nel 1896 quando l’Italia si imbarca nell’avventura coloniale in Eritrea. I progetti vengono congelati per otto anni, fino al 1904, quando, complice un miglioramento dei conti e maggiori innovazioni tecnico-militari, riparte la costruzione degli avamposti.

Ma la vera accelerazione arriva a ridosso della guerra tra il 1808 e 1914 soprattutto dal lato austriaco. Vienna, sotto la spinta di Franz Conrad von Hötzendorf, capo di stato maggiore dell’esercito austriaco, si lancia in una vasta operazione di costruzione e fortificazione del suo confine meridionale. Conrad non era solo un sostenitore della guerra contro la Serbia, ma un fervente sostenitore che l’Italia sarebbe stata un problema e che fosse necessario attaccarla per prima. Nel 1908, ad esempio, prova a convincere l’imperatore Francesco Giuseppe ad attaccare per approfittare dello stato di debolezza nazionale causato dal terremoto di Messina senza però riuscite a convincere l’Imperatore. Passano tre anni e da Vienna arriva l’impulso finale per completare le fortificazioni.

L’avamposto austriaco Spitz Verle

Il centro logistico austriaco di Campo Gallina

Secondo molti storici, questa “corsa” ai forti è una delle tante dimostrazioni di come la guerra sia già predisposta da tempo. Per averne un’idea plastica basta fare un viaggio in località Campo Gallina, oggi una zona montana tra le province di Vicenza e Trento, ma nel 1900 punto sensibile del confine tra Regno d’Italia e Impero Austro-Ungarico. Nella conca gli austriaci costruiscono in breve tempo uno dei centri nevralgici della Strafexpedition, la spedizione punitiva austriaca contro l’Italia per il tradimento e il passaggio con i nemici di Francia, Regno Unito e Russia. A oltre 1.800 metri d’altitudine viene costruita una vera e propria cittadella con tanto di cinema, chiese, ricoveri, magazzini, spaccio alimentare e ospedale, un complesso capace di ospitare fino a 25 mila uomini. Segno evidente di una premeditazione.

Ai margini della guerra

Nei piani di Roma e Vienna i forti devono svolgere una doppia funzione, difensiva e offensiva. Il problema è che il Regno e l’Impero si presentano alla vigilia dello scontro in situazioni molto diverse. Per quanto riguarda il fronte italiano il fatto di aver iniziato la loro edificazione quasi trent’anni prima dello scoppio delle ostilità li rende superati dato che molti non hanno mura in calcestruzzo armato o cupole corazzate in acciaio. In più la particolare conformazione delle montagne costringe architetti e ingegneri “spacchettare” i forti collocando al di fuori delle strutture depositi, armerie o ricoveri per la guerra ravvicinata. Allo stesso modo polveriere e laboratori per i proiettili vengono posizionati in lunghi defilati allungando le linee di rifornimento. Il genio austriaco, diversamente, crea strutture molto più corazzate. Ironicamente già negli stessi anni del conflitto si sottolinea come i forti autrici siano realizzati soprattutto per reggere l’urto dei proiettili di grosso calibro, senza concentrarsi su aspetti più architettonici come fatto invece gli italiani.

Ad essere diverse sono però le stesse filosofie di gestione dei forti. L’idea dell’Italia era stata quella di costruire una rete di fortezze capaci di colpire e martellare le artiglierie nemiche ma non le truppe. I forti austriaci invece sono collegati in maniera più organica e rispetto agli italiani sono capaci di fungere da presidio per la fanteria. In più Vienna li considera come strumento chiave per dare supporto alle truppe. Le fortezze italiane invece sono isolate, quasi come castelli medievali, ma a differenza possono essere conquistati con facilità.

Dopo i primi successi nel 1915, il periodo più difficile per l’esercito italiano lungo la linea del fronte nell’Altipiano di Asiago arriva nella primavera del 1916 quando le forze austriache lanciano la spedizione punitiva contro il traditore italiano. Il fuoco di artiglieria che anticipa l’offensiva scatta il 14 maggio del 1916, quasi un anno dopo l’apertura delle ostilità. Nel giro di 15 giorni le truppe italiane ripiegano e le forze austriache arrivano ad affacciarsi sul fiume Brenta, prendendo parte della Val d’Assa, Arsero e entrando ad Asiago tra il 27 e 29.

Successivamente Conrad è costretto a far ripiegare le truppe in posizioni più difendibili anche per una maggiore pressione in altri punti del fronte. Nonostante questo l’operazione ferma lo slancio italiano e anzi permette all’Impero di mettere piede sull’Altipiano e continuare a puntare alla Pianura Padana.

Forte Lisser

Avamposto nei pressi di forte Luserna (foto Alberto Bellotto)

 

Storia di due forti

In questo contesto il sistema dei forti si mostrò marginale nel fermare le operazioni belliche. Simbolicamente la storia di due forti racconta molto bene limiti e fragilità delle fortezze montane. Prendiamo proprio il forte Verena, quello da cui viene sparato il primo colpo della guerra. Costruito tra il 1910 e 1914, è il fiore all’occhiello del genio italiano, costruito con materiali all’avanguardia. Nei piani doveva essere la punta di diamante contro le forze austriache. Propio all’inizio delle ostilità è il punto privilegiato per tenere sotto tiro la linea del fronte sulla vicina piazza del Vezzena, dove si trovavano le forze austriache. Uno scenario ideale che gli vale il nome di “Dominatore dell’Altopiano”. Eppure il “dominatore” ha vita breve, per uno strano mix nel quale l’ingrediente fondamentale è la fortuna.

Meno di un mese dopo l’inizio del conflitto, il 12 giugno, dalla piana del Vezzena, parte un colpo e un proiettile da 305mm arriva sul forte ed entra nella struttura. Qui le versioni divergono. Secondo alcuni penetra nel vano dell’ascensore del forte scoppiando all’interno delle casematte. Secondo altri il proiettile entra attraverso un’intercapedine aperta temporaneamente per combattere l’umidità presente all’interno.

La deflagrazione, indipendentemente dal punto di ingresso, provoca la morte del capitano Umberto Trucchetti e di altri 40 soldati. La struttura regge il colpo ma i comandanti danno l’ordine di abbandonarla: una mossa che di fatto cambia tutto il piano difensivo che i forti come il Verena possono garantire alla linea del fronte. Un anno dopo la struttura cade nelle mani degli austro-ungarici durante la spedizione punitiva sancendo di fatto la fine del “dominatore”.

Il colpo da 305 che sancisce la fine precoce del forte è arrivato da un settore chiave per le forze dell’Impero, quello della piana del Vezzena, “coperta” da almeno tre avamposti ravvicinati. Lo Spitz, usato come avamposto per osservare i movimenti in Valsugana, il forte Verle, il primo a finire nel mirino del Verena nel maggio del 1915, e soprattutto il forte di Luserna. Soprannominato “il Padreterno” per al sua sicurezza, è uno di quelli che subisce il fuoco delle artiglierie italiane più violento. Secondo una stima nelle prime fasi della guerra sono piovute sul forte qualcosa come 5 mila proiettili in poco meno di quattro giorni. Nonostante questo il forte regge e si guadagna anche il soprannome di “frontiera d’acciaio”.

Lontano dai grandi teatri della guerra i forti e il fronte sull'Altipiano si conferma essere meno importante per gli esiti della guerra, se non per le operazioni difensive dell'esercito italiano. Già nel 1916, durante la Battaglia degli Altipiani, le fortezze, da una parte e dall'altra, mostrarono i limiti davanti a una guerra nuova, diventando un elemento di sfondo agli alterni rovesci del conflitto. Oggi di quelle fortezze restano i ruderi e i tentativi di recupero soprattutto in occasione del centenario della Grande Guerra, testimoni del sacrificio di migliaia di giovani gettati nel fuoco della guerra per espugnarli.

 

Crolla parte del muro di cinta di Torre Avalos, antica fortificazione spagnola ad Augusta
Da siracusanews.it del 2 novembre 2021

Il lato interessato è quello prospiciente l’ingresso del porto, già caratterizzato da profonde spaccature

Una parte del muro di cinta nella parte sud di Torre Avalos, l’antica lanterna-forte spagnola del XVI secolo che si trova dentro il comprensorio militare, di proprietà del Demanio militare, è crollato nei giorni scorsi a causa dell’eccezionale ondata di maltempo legata al ciclone Apollo che ha colpito Augusta.

Il lato interessato è quello prospiciente l’ingresso del porto di Augusta e, quindi, meno protetto dai frangiflutti su cui le precipitazioni meteoriche di lunga durata ed eccezionale intensità hanno provocato un improvviso e imprevedibile indebolimento del rivestimento di conci causando un parziale collasso del muro.
A renderlo noto è la Marina militare che con il “suo personale tecnico ed insieme con la Sovrintendenza di Siracusa effettuerà nei prossimi giorni una analisi tecnica del danno per valutare la messa in sicurezza della struttura. Già dal 2019 la Marina militare, in collaborazione con la facoltà di architettura di Catania (sezione distaccata di Siracusa), ha avviato un iter progettuale per il restauro del monumento” – conclude la nota.
Già da qualche anno nello stesso lato del muro di cinta dell’antica lanterna e fortezza militare oggi crollato a mare erano presenti del profonde ferite, visibili ad occhio nudo che avrebbero reso necessari interventi urgenti di manutenzione straordinaria.

 

Un convegno dedicato alle mura di Domodossola
Da ossola24.it del 2 novembre 2021

DOMODOSSOLA - Dopo l'inaugurazione dell'esposizione della pergamena storicache narra le vicissitudini legate alla costruzione delle mura della città di Domodossola, Fondazione Paola Angela Ruminelli e Associazione Culturale Mario Ruminelli hanno organizzato per sabato 6 novembre un convegno dai titolo "Difendere il borgo - La cinta muraria di Domodossola fra le aspirazioni comunali e la contestazione giuridica vescovile nelle pergamene dell’Archivio Storico Diocesano di Novara", una ricca giornata di studi sulla storia delle mura del capoluogo ossolano, a partire dalle ore 15.30, presso la ex Cappella Mellerio di Domodossola. L'Arch. Paolo Mira, Direttore dell'Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Novara e don Paolo Milani, Direttore dell'Archivio Storico Diocesano di Novara, analizzeranno gli aspetti conservativi e il ruolo degli archivi diocesani; lo storico Enrico Rizzi – che ha curato l'opuscolo informativo che accompagna l'esposizione delle pergamene – approfondirà alcune fasi storiche della vicenda. Ci sarà spazio anche per un'analisi delle tematiche giuridiche del processo di Avignone e Asti, a cura della Prof.ssa Angela Santangelo, docente di diritto medievale dell’Università Statale di Milano. Concluderà il denso pomeriggio l'Arch. Paolo Negri con la presentazione di mappe, disegni e foto di quanto rimane testimoniato nei secoli dal punto di vista iconografico.

Ecco nel dettaglio il programma del pomeriggio di sabato 6 novembre:
- ore 15.30: apertura dei lavori
- ore 15.45: arch. Paolo Mira, Direttore Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Novara - “L’ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Novara e la conservazione del patrimonio culturale”
- ore 16.00: don Paolo Milani, Direttore Archivio Storico Diocesano di Novara - “Pergamene ossolane negli archivi Diocesano e Capitolare di Novara”
- ore 16.30: Enrico Rizzi, Storico delle Alpi - “La guerra delle mura”
- ore 17.00: prof. Angela M. Santangelo, Professore di Storia del diritto medievale e moderno, Università degli Studi di Milano - “Risvolti processuali nella controversia tardomedievale sulla cinta muraria di Domodossola”
- ore 17.30: arch. Paolo Negri - “Le mura di carta. Breve repertorio iconografico”

È gradita la prenotazione: segreteria 392 2082902 - SMS/Whatsapp 392 2082902 - e-mail: info@associazioneruminelli.it .
Il numero degli ingressi sarà limitato sulla base delle normative COVID19 vigenti al momento dell’evento; per accedere allo spazio dell’evento è necessario esibire il Green Pass.
Le pergamene, conservate nell’Archivio Storico Diocesiano di Novara e per la prima volta a Domodossola, sono esposte in un'apposita teca nella Cappella della Madonna del Rosario all'interno della Chiesa Collegiata di Domodossola fino a sabato 20 novembre, negli orari di apertura della Chiesa Parrocchiale, nello specifico: da lunedì a venerdì dalle ore 10 alle 17, il sabato dalle ore 10 alle 15.30, la domenica dalle ore 12.30 alle ore 17.30.

L’esposizione rimarrà chiusa durante le celebrazioni religiose. Informazioni sulle attività dell'Associazione Culturale Mario Ruminelli e della Fondazione Paola Angela Ruminelli www.ruminelli.it – www.facebook.com/associazionemarioruminelli – info@fondazioneruminelli.it

 

Torrione di Santa Sofia: Treviso Sotterranea ripulisce il leone marciano
Da trevisotoday.it del 2 novembre 2021

I soci, armati di guanti, forbici e strumenti di giardinaggio, si sono messi al lavoro per eliminare erbacce e rampicanti pericolosi per la cinta muraria

Nella giornata di sabato Treviso Sotterranea, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale e Contarina S.p.A, e grazie alla disponibilità del dirigente scolastico delle scuole Prati, si è ritrovata con i suoi soci e volontari presso il torrione di Santa Sofia per pulire le strutture interne del macello e liberare dalla vegetazione infestante uno dei simboli della cortina muraria cinquecentesca, il leone posizionato nei pressi del bastione e ormai non più leggibile.

L’apparato scultoreo raffigurante il leone marciano di Santa Sofia è stato restaurato oltre vent’anni fa e rischia di essere completamente invaso dall’avanzata della vegetazione infestante, composta da edera ed erbacce varie. L’attecchimento di tale vegetazione tende a compromettere nel tempo l’integrità delle giunzioni di malta e favorire il lento ed inesorabile degrado degli stessi elementi lapidei. Risultava indispensabile, pertanto, intervenire quanto prima per bloccare questo degrado, assolutamente prima del periodo invernale. Tuttavia la situazione del contesto murario è assai precaria e rischia di dover necessariamente richiedere a breve termine un nuovo e radicale intervento di restauro, soprattutto per il consolidamento strutturale dell’attigua vasca in pietra d’Istria, la quale presenta una pericolosa crepa generata dall’apparato radicale degli arbusti cresciuti al proprio interno.

Per riportare questo angolo di mura alla sua originaria bellezza, i soci di Treviso Sotterranea, con guanti, forbici e strumenti di giardinaggio si sono messi al lavoro per eliminare erbacce e rampicanti pericolosi per le strutture murarie. Esperti speleologi, calandosi dal giardino delle scuole Prati, hanno raggiunto il leone marciano e lo hanno liberato dall’edera riportando alla luce i rilievi prima nascosti. Con questo intervento l’associazione continua nel suo impegno di tutelare, pulire e rendere fruibile ai cittadini la cortina muraria cinquecentesca della città.

 

Al via i lavori alla storica Batteria - Si valorizza il patrimonio culturale
Da iltelegrafolivorno.it del 1 novembre 2021

Il cantiere aprirà a fine anno. La conclusione è prevista. prima dell’inizio . della prossima estate

Restauro e valorizzazione della batteria, camminamenti ed accessi alle fortificazioni della piazzaforte di Portoferraio tra la muraglia del Forte Stella e la residenza napoleonica. Il progetto di restauro prevede le opere finalizzate all’accesso e valorizzazione della Batteria nelle fortificazioni della piazzaforte di Portoferraio per funzioni di pubblico interesse, rivolte alla creazione di itinerari legati a interventi di carattere sociale e culturale di una parte delle fortificazioni attualmente interdette alla pubblica fruizione.

La Batteria è tra il piede della muraglia del Forte Stella ed i giardini della residenza napoleonica dei Mulini. L’area museale che si intende creare con la valorizzazione della batteria ed il tracciato di accesso è in una posizione strategica e indispensabile, per consentire il collegamento dei percorsi della zona nord delle fortezze, grazie al tunnel sotterraneo che permette l’accesso ai bastioni dai quali si accede ad un percorso che consente di leggere le possenti fortificazioni medicee. I lavori prevedono lo sfalcio della vegetazione infestante per riportare alla luce l’originaria forma e gli spazi della fortezza militare. Si prevede sia l’illuminazione tracciato viario con lanterne identiche a quelle già presenti nella aree limitrofe del centro antico di Portoferraio. E’ prevista una spesa di 380mila euro.