RASSEGNA STAMPA/WEB

 2020 2019 2018 2017 2016 2015 2014 2013 2012 2011 2010  2009  2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 Archivio  

ANNO 2021

gennaio febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre

Cliccare sulle immagini per ingrandirle

 

La Torre di Talamonaccio, la perla tra gli scogli toscani da affittare privatamente
Da harpersbazaar.com del 31 maggio 2021

Sono molte le leggende che vengono tramandate per generazioni in terra toscana. Una di queste racconta la storia di un possente argonauta che aiutò Ercole nella ricerca del prezioso Vello d’oro e che, sulla via del ritorno, decise di riposare per sempre al riparo del promontorio che ancora oggi porta il suo nome ed è conosciuto come Talamone. Un luogo singolare e ricco di storia, nel cuore delle meraviglie naturali del Parco Regionale della Maremma, dal cui punto più alto si possono osservare tutte le isole dell’Arcipelago Toscano. Ed è proprio qui, sulla roccia a picco sul mare, che sorge la Torre di Talamonaccio.

Si tratta di una torre di avvistamento medioevale, risalente al tredicesimo secolo, che fa parte di un più ampio sistema difensivo, composto da numerose fortificazioni e torri costiere edificate quando il territorio era sotto il controllo della famiglia degli Aldobrandeschi, per proteggere la terra dalle invasioni saracene e piratesche. Dopo il passaggio sotto la Repubblica di Siena, nella seconda metà del Cinquecento, la struttura fu annessa ai territori degli spagnoli, i quali, dopo aver effettuato lavori di ristrutturazione, la fortificarono e la annessero allo Stato dei Presidi. Nella prima metà dell'Ottocento il complesso fu progressivamente abbandonato, in seguito alla presa di potere sull'intero territorio del Granducato di Toscana.

L’intera struttura si è conservata magnificamente nel tempo ed oggi è un posto perfetto per trascorrere delle vacanze da sogno. Nel corso dei decenni, infatti, il forte è stato trasformato in esclusiva residenza privata che, custodendo la sua lunga storia e la sua posizione unica, dona ai visitatori incredibili scorci nel confort più assoluto. Accuratamente ristrutturata con uno stile tipico della Toscana meridionale, la torre offre un accesso privato alla costa e alla scogliera sottostante. All'ingresso, un piccolo portoncino in legno, accanto al quale è affissa una mattonella acquamarina su cui è scritta la frase di benvenuto "Casa che guardi il mare, accogli sempre le persone care e dona loro con sincerità, pace, letizia ed ospitalità". L'edificio principale si estende su due piani: passando da un ampio ingresso si accede alla cucina principale, completamente attrezzata e provvista di camino; sono presenti poi una camera matrimoniale e due stanze singole, ciascuna con il proprio bagno. La scala conduce al secondo piano e al suo scenografico soggiorno che comprende la zona pranzo con l'ampio tavolo in legno antico che può ospitare fino a otto persone. La stanza si apre su una terrazza unica nel suo genere, ideale per pranzi all'aperto e godere di favolosi tramonti. La vista è incantevole, lo sguardo abbraccia il Monte Argentario, Porto Santo Stefano, la cittadina di Talamone, il parco dell'Uccellina, le isole Giannutri, Giglio e Montecristo.

Dall'edificio principale o dalla terrazza è possibile poi accedere alla torre, in cui sono presenti un’ulteriore stanza da letto e un bagno. Non solo, alla Torre di Talamonaccio è presente anche una guest house, luogo ideale in cui accogliere altri ospiti. Anche gli spazi all'aperto sono curati e poetici: passando per un romantico sentiero del sottobosco si raggiunge la piscina circondata dal solarium in legno che si fonde con i colori della macchia mediterranea circostante. Ma non è tutto: la proprietà comprende anche un ormeggio privato, dal quale è possibile raggiungere il mare in assoluta tranquillità.

A oggi sono molte le celebrità che hanno soggiornato o conosciuto le bellezze della Torre di Talamonaccio: è qui che il regista Marc Forster ha girato una scena di 007 Quantum of Solace, con Daniel Craig nelle vesti di James Bond.. Racchiusa in un guscio di scogli, remota eppure vicina alle meraviglie della Maremma Toscana, come Orbetello, Talamone o le rovine etrusche, questa perla mediterranea è un posto unico da scoprire, e da quest’anno aperta al pubblico, che ne può affittare i grandi spazi e godere di tutte le sue comodità.

 

Palmanova: apertura Gallerie e Baluardo Donato. Mercoledì 2 giugno
Da udine20.it del 31 maggio 2021

Dopo la chiusura forzata dei primi mesi dell’anno, riapre, senza obbligo di prenotazione, il percorso di visita attrezzato e illuminato tra le vie militari sotterranee della Fortezza UNESCO di Palmanova. I visitatori potranno immergersi nella Palmanova underground, nella Fortezza del 1600, seguendo i percorsi sotterranei utilizzati dalle milizie per difendere la città dai nemici, alla scoperta delle tecniche militari dell’epoca.

Le gallerie, che si snodano per alcune centinaia di metri sottoterra, e l’area visita di Baluardo Donato saranno aperte al pubblico da sabato 5 giugno, ogni fine settimana (sabato e domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19). È prevista anche l’apertura straordinaria nel giorno della Festa della Repubblica, 2 giugno 2021. Sono possibili aperture anche infrasettimanali su prenotazione, per gruppi da 8 persone in su.

Il Sindaco di Palmanova Francesco Martines, assieme all’assessore comunale al turismo Adriana Danielis: “Palmanova, la città stellata, patrimonio UNESCO, riparte e si riapre ai turisti, anche stranieri, che giorno dopo giorno, sempre più spesso, scelgono Palmanova come meta di visita. Torniamo alla normalità con i cicloturisti che sostano in Piazza Grande, consumano nei bar cittadini, visitano il Parco Storico dei Bastioni”.

E aggiunge l’assessore comunale con delega ai Bastioni, Luca Piani: “Si potrà nuovamente godere di una visita unica alla Palmanova sotterranea, tra le misteriose gallerie di contromina e l’unicità di Baluardo Donato, il meglio conservato della Fortezza UNESCO. Dai punti panoramici si può ammirare tutto il sistema difensivo veneziano e napoleonico, le tre cerchie di mura realizzate per proteggere la città, ammirando la tecnica ingegneristica della Serenissima, capire la complessa struttura di una città invisibile da fuori ma molto articolata al suo interno”.

Il biglietto d’ingresso all’area di visita prevede un costo di 3 euro (gratuito per under14, disabili e possessori di FVGCard). Ad ogni visitatore verrà data la possibilità di usufruire di un’audioguida, disponibile in italiano, inglese o tedesco. I biglietti possono essere acquistati all’Infopoint di Borgo Udine 4 oppure direttamente in galleria, durante gli orari di apertura.

DCIM\100MEDIA\DJI_0041.JPG

L’accesso alla gallerie sarà consentito per un massimo di 5 persone alla volta, muniti di mascherine protettive e previo disinfezione delle mani.
Per arrivare al percorso di visita attrezzato delle Gallerie Veneziane del Rivellino e Baluardo Donato, è necessario, fuori Porta Udine, scendere sotto le arcate dell’acquedotto veneziano e proseguire per circa 300 metri (5 minuti in biciletta) seguendo il percorso del Fossato. Dall’Infopoint di Borgo Udine 4, circa 600m (10 minuti a piedi).

I rivellini fanno parte della seconda linea di difesa della fortezza di Palmanova: sono nove, posti oltre il fossato, davanti alle cortine. La loro costruzione, su progetto dell’ingegner Verneda, fu decisa dal Senato veneziano per garantire la sicurezza difensiva, venuta meno per effetto dell’aumentata gittata dell’artiglieria pesante. L’intero intervento si concluse nel 1682. Tutta la cinta bastionata di Palmanova è percorsa nel suo sottosuolo da un sistema di gallerie, alcune delle quali percorribili e visitabili. Le gallerie costruite all’interno dei rivellini furono denominate “gallerie di contromina” perché, all’occorrenza, potevano essere “minate” e fatte esplodere, per danneggiare i nemici in avvicinamento.

Il Baluardo Donato fa parte della prima cerchia difensiva della Fortezza: una punta di freccia che crea la forma di stella a nove punte di Palmanova, famosa nel Mondo. Agli angoli del baluardo, gli “orecchioni”, sono presenti due logge di guardia per i soldati. Quella collocata sul lato sinistro è dotata di una rampa di sortita (galleria) che collega la Città direttamente all’esterno delle fortificazioni. Questa veniva utilizzata per i movimenti delle truppe, dotate di picche (aste) lunghe fino a sei metri, e delle milizie a cavallo. Sul Baluardo sono ancora visitabili la Riservetta delle Munizioni, le Logge e il Belvedere della Cortina.

Per i gruppi superiori alle 8 persone, è possibile organizzare aperture extra orario: la prenotazione è obbligatoria all’Infopoint Palmanova Promoturismo FVG – Borgo Udine 4, Palmanova tel. 0432 92 48 15.

 

Bastione dimenticato: «Interventi alle mura»
Da laprovinciacr.it del 31 maggio 2021

Il torrione Foscolo recintato per sicurezza. Bergamaschi: «È privato, prima il pubblico»

Di Dario Dolci

CREMA - È chiamato il torrione del capo Foscolo (http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A060-00376/), ma l’Ugo poeta non c’entra nulla. Il nome, infatti, compare nelle carte subito dopo il 1520, probabilmente a ricordo del rettorato di Andrea Foscolo in città. L’imponente opera difensiva facente parte delle mura venete (erette tra il 1488 e il 1509) si trova in via Stazione, dietro borgo San Pietro. Le sue attuali condizioni sono a dir poco precarie. Il torrione, oggi di proprietà privata, è stato avvolto in una sorta di rete plastificata di colore arancio, per metterlo in sicurezza, ma nemmeno poi  tanto, considerato il rischio che alcuni mattoni si possano staccare dalla parte più alta e cadere al suolo. Incolumità di chi transita nei paraggi a parte, non è un bel vedere dal punto di vista estetico e non rappresenta certamente un tributo alla sua storia.

Poco meno di nove anni fa, un pezzo del torrione si era staccato, cadendo a terra, a causa appunto dello stato d’abbandono nel quale si trovava e ancora si trova. Il suo lato est, l’unico in cui i mattoni sono visibili, è stato sistemato alla bell’e meglio dai vicini qualche anno fa, per evitare crolli. Il resto, invece, è quasi completamente stato inghiottito da rampicanti e erbe infestanti. Già da decenni del torrione esiste solo il ricordo, certificato da un solitario cartello: Torrione Foscolo.

«Il Foscolo – afferma l’assessore ai Lavori pubblici Fabio Bergamaschi  – è di proprietà privata. Come Comune abbiamo in previsione un progetto di recupero delle antiche mura venete, ma riguarda ovviamente la parte pubblica. Per questo lavoro siamo anche in contatto con la Regione per vedere di avere dei finanziamenti. Il ragionamento sull’acquisizione di porzioni private di mura, potrà essere fatto soltanto quando avremo recuperato il patrimonio che già ci appartiene».

Ragionamento condivisibile. Quest’anno, però, Crema partecipa alle celebrazioni di Venezia 1600  per ricordare l’anniversario dalla fondazione della città lagunare, sotto la cui Serenissima Repubblica la nostra città rimase per oltre tre secoli. Le mura venete, se restaurate, potrebbero arricchire il patrimonio storico di una località che a giusto titolo ha delle pretese turistiche.

 

Visita guidata in primavera: La Cittadella di Parma
Da parmatoday.it del 29 maggio 2021

Un viaggio fotografico alla scoperta delle caratteristiche storiche, architettoniche e artistiche

In compagnia dell’architetto Manrico Bissi, esperto dell’Associazione Culturale Archistorica “Memorie di Parma”, scopriamo le caratteristiche storiche, architettoniche e artistiche della Cittadella di Parma. La fortezza, dalla forma pentagonale e pentastellata, è circondata da ampio fossato e delimitata da cinque bastioni. Prototipo delle moderne fortificazioni italiane, fu progettata dall’ arch. e ing. Francesco Paciotti (1521-1591), nobile urbinato, presumibilmente tra il 1545 e il 1547, su incarico di Pier Luigi Farnese, primo duca del nobile casato a Parma. Il progetto della Cittadella, almeno sulla carta, ha rappresentato un modello tecnologicamente nuovo, rispetto a quello alto e turrito medioevale ed è stato punto di riferimento per le successive fortezze realizzate in Italia e all’estero, come a Torino e ad Anversa (1572), nelle Fiandre.

La struttura pentagonale incorpora ai lati i cinque bastioni con le cosiddette “traditoie”, “orecchioni”, aperture che permettevano alle bocche di fuoco di operare in sicurezza e con sorpresa, con il lancio di pesanti palle di pietra e successivamente di piombo sugli eventuali nemici esterni. All’interno dei bastioni sono ancora visibili i resti delle “casematte” o “piazze basse” tra loro collegate attraverso una galleria (v. immagine). In questi locali, venuti alla luce durante operazioni di scavo, erano sistemate le artiglierie. Il fossato che circondava la fortezza era allagato con poca acqua e risultava fangoso, coperto da melma, per mettere in difficoltà gli eventuali nemici esterni, appesantiti dalle armature. Il progetto prevedeva anche vie di fuga, che permettevano di uscire all’esterno, la cosiddetta “difesa manovrata” utile per prendere alle spalle gli assalitori, per recuperare viveri e altro, in caso di assedio prolungato. Un esempio di quelle sortite che, durante la battaglia di Parma del 18 febbraio 1248, pose fine all’assedio della città da parte dell’imperatore Federico II di Svevia, costretto alla fuga in seguito alla distruzione del suo accampamento “Victoria” e all’abbandono del tesoro e della sua stessa corona imperiale. All’interno della fortezza era presente anche una galleria delle acque, una sorta di acquedotto, essendo la fortezza, al contrario di quella di Piacenza, staccata e lontana dalle mura cittadine. Sul suolo dove sarà costruita la struttura difensiva, esisteva già l’originaria Chiesa dell’Annunziata che, nel 1566, il duca Ottavio Farnese decise di far abbattere e far ricostruire nella sede attuale di Oltretorrente.

La facciata dell’ingresso monumentale della Cittadella fu costruito da Giambattista Barra su progetto di Simone Moschino, nel 1596. Lo scultore orvietano, chiamato dal 1578 a Parma dal duca Ottavio Farnese, fu anche progettista di altre opere architettoniche cittadine. Nel progetto della facciata era sottinteso un asse immaginario che, dal sud, attraverso il ponte di accesso, arrivava fino al nord della Pilotta, sede della corte ducale. La Cittadella fu un’opera voluta e finanziata dalla nobile dinastia Farnese, a Parma dal 1545 al 1731. Per la sua costruzione fu necessario abbattere i bastioni di Porta Nuova e dello Stradello oltre la deviazione del Canale maggiore. Alla sua realizzazione, che doveva celebrare la grandezza del casato all’interno e all’esterno del ducato, si sono succeduti Pier Luigi, Ottavio, Alessandro e Ranuccio I Farnese. Nei secoli successivi i loro discendenti perfezionarono in parte il sistema difensivo originario, a parte qualche modifica fatta realizzare da Carlo III Borbone con la costruzione di trincee ed edifici per l’esercito.

Lo stesso Napoleone, prima temuto e poi acclamato, conquistò la città senza colpo ferire e non cambiò più di tanto la struttura. Sul progetto del Paciotti subentrarono altri tecnici come Giovanni Antonio Stirpio de’ Brunelli da Busseto, Bresciani e Smeraldo Smeraldi. I lavori di realizzazione della fortezza ebbero inizio nel decennio 1580-1590 e proseguirono anche oltre. La costruzione richiese più tempo del previsto e diede origine a molti problemi di natura tecnica, contabile e a controversie tra il committente dell’opera duca Alessandro, impegnato nelle Fiandre a combattere per gli Spagnoli, il Comune e gli interessi spesso contrastanti tra i casati nobiliari della città, che curavano la parte finanziaria. A seguito di ulteriori intrighi e sospetti, il tecnico incaricato dell’opera Stirpio de’ Brunelli fu richiamato nelle Fiandre dal duca farnese e sostituito da Smeraldo Smeraldi. Nel biennio 1591- 92, fu registrato un deficit di 100.000 ducati d’oro nella contabilità dei lavori. Lo sforzo finanziario enorme, messo in campo dal duca Farnese, servì anche a dare lavoro a molti popolani e a ridurre le frequenti proteste della popolazione, afflitta da carestie e indigenza. Nel corso dei secoli successivi, il suo interno prese l’aspetto proprio di una caserma, con strutture atte ad ospitare soldati, prigioni, corpi di guardia, magazzini, appartamento del castellano e anche una casa per il sacerdote. In una mappa della Cittadella risalente al 1840 la fortezza è denominata “Castello”.

Report e foto a cura di Antonio Nunno

 

Albania: bunker militari si trasformano in bar, ristoranti e B&B
Da dissapore.com del 28 maggio 2021

Di Marco Locatelli

In Albania ci sono almeno 150 mila bunker militari sparsi un po’ per tutto il Paese. È il lascito di mezzo secolo di regime stalinista del dittatore Enver Hoxha che ne ordinò la costruzione negli anni ’80, ma diversi risalgono anche agli anni ’60/’70.
Oggi, però, vengono utilizzati (ovviamente) per altri scopi, come stalle e musei e anche, appunto, come bar, ristoranti e soprattutto B&B grazie al progetto della Universiteti Polis di Tirana e dell’Università tedesca di Mainz “Bed & Bunker”.

Studenti albanesi e tedeschi hanno collaborato per convertire diversi bunker in veri e propri Bed & Breakfast decisamente sui generis. I primi prototipi risalgono al 2012-13 e sono stati realizzati nel nord del Paese, poi successivamente, nel 2015, è arrivato anche il premio Eumies dell’Unione europea per l’architettura contemporanea.

Oggi il bunker in Albania è diventato ormai simbolo del turismo locale e c’è pure un’agenzia di viaggio che ci ha costruito la sua offerta.

 

Dopo il "Bunker gate" il Comune ha deciso: revocato protocollo con i "Ragazzi della Trinacria"
Da agrigentonotizie.it del 28 maggio 2021

La lettera è stata pubblicata oggi sull'albo pretorio dell'ente: al monte di tutto l'intervento condotto a Cannatello su un bene tutelato

La "sconfessione" era arrivata praticamente subito dopo i fatti, e adesso si è passati agli atti formali. Nei giorni scorsi, si ricorderà, nel contesto di un'intervento di pulizia della frazione di Cannatello, i "Ragazzi della Trinacria", oltre ad aver ripulito da rifiuti ed erbacce l'area, hanno provveduto a ritinteggiare di blu un vecchio bunker della Seconda Guerra mondiale.
Un'azione che ha provocato molte polemiche e che lo stesso primo cittadino ha definito "improvvida" prendendone anche le distanze in modo formale e annunciando che si sarebbe fatto chiarezza sul tutto.

Adesso, attraverso il dirigente del settore Ecologia Gaetano Di Giovanni arriva la comunicazione di avvio procedimento per la revoca del protocollo d'intesa firmato tra il Comune e l'associazione nel marzo scorso e in forza del quale i "Ragazzi della Trinacria" potevano svolgere delle attività in accordo con il Municipio.
La motivazione esplicita è appunto quanto avvenuto a Cannatello ai danni, si legge, di un bene sottoposto a tutela. In particolare secondo il Comune l'associazione avrebbe contravvenuto all'articolo 3 dell'accordo, che prevede che "le singole attività di volontariato previste nel presente protocollo, vengono attivate, previa intesa tra il rappresentante legale dell’associazione ed il dirigente preposto o suo delegato che avrà l’onere della programmazione, controllo e predisposizione degli atti necessari all’avviamento della relativa attività".
Quindi, da quello che si legge, l'associazione non avrebbe concordato l'intervento nello specifico con l'Ente. I "Ragazzi" subito dopo l'avvio della polemica si erano limitati a commentare: "Stiamo cercando di chiarire la questione di questa mattina prendendo appuntamento con l'ente competete insieme all'organizzatore e l'altra associazione. Vi aggiorneremo sui dettagli, ci scusiamo del problema".

 

I bunker militari in Albania si trasformano in hotel e ristoranti
Da idealista.it del 27 maggio 2021

Women on the Road - Pinterest

David Galjaard

David Galjaard

Adnan Asllani Flickr

I bunker militari in Albania sono un retaggio della Guerra Fredda: ce ne sono a migliaia, realizzati tra gli anni ’60 e ’80 per difendere la popolazione da una eventuale invasione nemica. Oggi quelle costruzioni sono state riconvertite ad uso turistico: è possibile dormirci come in un hotel, pranzare o cenare, o semplicemente ammirarli come parte del paesaggio. Eccone alcuni.

Sono 750 mila, costruiti per volere di Enver Hoxha, alla guida del Paese (che conta 3 milioni di abitanti) per 40 anni fino alla sua morte nel 1985, con l’aiuto di tecnici cinesi che progettarono queste sorte di igloo di cemento armato in cui rifugiarsi e rispondere al fuoco in caso di invasione.

Dopo il 1991, quando il regime comunista giunse al termine, i bunker giacquero abbandonati, finchè il fotografo David Galjaard non ne fece oggetto di un proprio lavoro, attratto dall’unicità della loro storia.

Riportati alla ribalta, alcuni bunker sono stati adibiti ad usi alternativi, tra cui chioschi bar per i turisti.

Altri sono stati convertiti in parchi giochi.

Il recente progetto Bed&Bunker ha visto lavorare insieme studenti albanesi e tedeschi degli istituti della Polis University e dell’FH-Mainz, per realizzare un prototipo di alloggio turistico sfruttando questo tipo di costruzioni militari.

 

Il concetto di difea aerea russo
Da aresdifesa.it del 27 maggio 2021
Il concetto di difea aerea russo, riepilogato in una lastrina.
In questo studio è stato preso in considerazione il Distretto Militare Occidentale, quello che si contrappone alla NATO.
La prima tabella rappresenta i sistemi e la ripartizione ai livelli ordinativi.
La seconda tabella prende in considerazione i vettori aerei dedicati al DMO.
A seguire le foto dei sistemi attualmente in uso ed altro in arrivo...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fortezze e castelli ma anche Skoda e Tatra. Turismo da intenditori in Repubblica Ceca
Da lastampa.it del 27 maggio 2021

Il castello di Helfstyn (foto Martin Mecnarowski)

Di Marco Berchi

Europa. Pensate, dal punto vista turistico, di aver visto tutto o, almeno, di avere contezza di tutto quel che ci sarebbe da vedere? Attenzione, potreste sbagliarvi. E noi italiani, così lontani dal conoscere tutte le bellezze del nostro Paese, dovremmo essere doppiamente prudenti. Prendete la Repubblica Ceca; tutti hanno presente la splendida Praga e molti l’avranno visitata, qualcuno avrà in mente le birre e i cristalli di Boemia. E poi? Poi si scopre che nel Paese centro-europeo hanno approfittato della sosta obbligata della pandemia per ultimare progetti turistici in sospeso, portare a termine restauri di monumenti e allestire nuovi eventi e musei. Sono tutte situazioni poco appariscenti ma dalle forti radici storiche, per un turismo da intenditori. Vediamone alcune.

Iniziamo con un marchio ceco noto anche in Italia, quello delle vetture Skoda. A Mrac, non lontano da Praga, c’è il “Mondo delle Skoda”, una collezione privata aperta al pubblico di vetture sportive e veicoli commerciali del marchio, affiancata da una scuola guida d’epoca e da una mostra sui segnali stradali.

Il castello di Helfstyn, in Moravia, vede il termine di un lungo restauro che enfatizza la sua posizione panoramica grazie anche, su un’ala, a un tetto in vetro che rimpiazza quello originario, crollato da tempo.

A Pilsen sta per riaprire alle visite la cattedrale di san Bartolomeo; è un vero e proprio gioiello gotico e i visitatori potranno anche tornare a salire sulla sua torre, la più alta di tutto il Paese.

La Boemia è universalmente nota per il cristallo ma anche la produzione di ceramiche artistiche è stata notevole. Un museo internazionale della ceramica aprirà in settembre a Bechyne con mostre temporanee che spazieranno anche sul design e la grafica.

Inconfondibile la sagoma del santuario di san Giovanni Nepomuceno, un vero e proprio capolavoro barocco al confine tra Boemia e Moravia. La sua forma di una stella a cinque punte è frutto del progetto di un architetto di origine italiana, Giovanni Biagio Santini, e gli è valsa la tutela di Patrimonio dell’umanità Unesco. Dovrebbe riaprire entro l’anno.

Uno dei monumenti cechi più famosi e più amati è il castello di Pernstein, in Moravia. Ottimamente conservato e ben restaurato, punterà, per la riapertura al pubblico, sul suo splendido giardino sotto le mura, uno dei più belli di tutta la regione.

La fortezza di Dobrosov

Anche la storia più recente — e più cupa — fornisce spunti di visita. È il caso della fortezza di Dobrosov, nella provincia di Nachod in Boemia. Qui fu avviata la costruzione di un complesso di fortificazioni che la comprendevano e che dovevano servire da argine alle mire espansionistiche di Hitler. Ma la fortezza non potè essere ultimata prima degli accordi di Monaco che annettevano alla Germania i territori di confine della Cecoslovacchia. I visitatori saranno accolti da un nuovo centro visite, pronto entro l’autunno.

Abbiamo aperto con le Skoda, chiudiamo con i Tatra. La storia dei robusti camion che prendono il nome dalla catena montuosa è in mostra a Koprivnice, nella parte orientale del Paese. I mezzi esposti sono una settantina, accanto alla storica fabbrica e, per buon peso, i visitatori possono anche salire sullo storico treno Slovenska strela, proiettile slovacco, appositamente restaurato.

Info (in italiano) https://www.visitczechrepublic.com/it-IT

 

La vera storia dietro l'Area 51. Mito e realtà di un luogo avvolto nel mistero
Da meteogiornale.it del 27 maggio 2021

L'Area 51 è un luogo di cui si narrano molte storie, in particolare per aver ospitato i resti di un’astronave extraterrestre.

Di Paola Conti

Area 51
L’Area 51, ovvero la struttura dell’Aeronautica Militare del Nevada, è stata per anni oggetto di grandi discussioni e di gossip in quanto nasconderebbe al suo interno la verità sugli alieni provenienti da latri pianeti. Tra le domande più comuni che la gente si pone tutt’oggi spicca quella inerente all’esistenza di altri esseri provenienti dallo spazio, della loro tecnologia che secondo alcune fonti sarebbe decisamente più elevata di quella realizzata da noi terrestri. Tanti sono i veicoli che cercano di sorvolare il cielo dell’Aeronautica Militare del Nevada, o almeno cercano in tutti i modi di avvicinarsi per scoprire cosa si cela in questo territorio misterioso e segreto.

La vera storia dietro il mito dell’Area 51
Nel bel mezzo del deserto del Nevada esiste una strada ricca di polvere che porta direttamente all’entrata della famosa Area 51. Non è possibile accedere all’interno del cancello in quanto è una zona altamente protetta e controllata, ovvero c’è un vero e proprio divieto per entrare. Tutti coloro che tentano di oltrepassare la soglia stabilita dall’Area 51 vengono minacciati attraverso un intervento intimidatorio da parte dell’esercito. Qualunque azione si compie in questa zona del pianeta è decisamente controllata a 360°, con sofisticati sistemi di videosorveglianza.

Area 51, vietatissima
Quindi se si pensa di fare un passo in più oltre a quelli consentiti in questo territorio è vietato al 100%, le telecamere osservano, riprendono e registrano ogni angolo non consentito. In lontananza spicca un piccolo camion più precisamente sulla collina, dotato di un parabrezza stranamente colorato che tiene sotto controllo la situazione, e tutti coloro che fanno la prova ad avvicinarsi oltre al monitoraggio delle videocamere, e tutti i dispositivi che hanno come obiettivo quello di sostare sulla zona dell’Area 51. Le persone che popolano il deserto nel Nevada hanno dichiarato che la base segreta dell’Aeronautica Militare conosce ogni angolo del deserto, dalle lepri che saltano felici alle tartarughe che vanno addirittura in letargo che oltrepassano in maniera naturale il cancello realizzato per non consentire l’accesso al niente e nessuno. Altri testimoni invece hanno detto che sono stati installati anche dei dispositivi e dei sensori professionali che catturano i suoni e le vibrazioni che provengono da qualcuno o qualcosa che si trova nelle vicinanze della recinzione.

Cosa nasconde la base segreta dell’Area 51?
Negli ultimi anni ci sono state tante speculazioni e fake news che interessavano l’Area 51. Molte persone affermano che all’interno di questa struttura si nascondano creature aliene provenienti dallo spazio. Inoltre, una notizia che fa il giro del mondo dal 1947 riguarda l’astronave di Roswell. Si dice che il veicolo sia stato portato all’interno della base segreta insieme all’alieno che pilotava il veicolo spaziale. Altri invece pensano che l’America abbia addirittura accettato di filmare l’atterraggio dell’uomo sulla Luna del 1969 direttamente in una camera segreta più precisamente in uno degli hangar dell’Aeronautica Militare del Nevada.

Non si conosce ancora la verità su cosa o chi si nasconde dietro le mura dell’Area 51, ma di sicuro qualcosa adesso si sta muovendo. Le ricerche da fare in questo posto top secret sono ancora tante. Soltanto pochi privilegiati sono a conoscenza di cosa sta accadendo nella parte più profonda del deserto del Nevada, chissà forse con il tempo verrà alla luce la verità su cosa nasconde la base dell’Aeronautica Militare del Nevada.

 

Forte Gazzera riapre domenica 30 con tre mostrestoriche: la Venezia militare che sorprende
Da serenissima.news del 26 maggio 2021

Riapre Forte Gazzera ! Domenica 30 maggio 2021, alle 16, il Comitato Forte Gazzera ,che ha in affido la possente struttura militare dismessa di Mestre e ne cura la manutenzione e la valorizzazione, inaugura la stagione con tre mostre storiche allestite nei locali del Forte.
.
Visite guidate alle 10, alle 11 e alle 17

Due mostre sono dedicate alla Grande Guerra : “L’Arma della Cavalleria della Grande Guerra” e “Dalla trincea al ritorno a casa”. .

La terza mostra è dedicata all’esercito della Serenissima : “Le trionfanti armate Venete1785/97”.

La possente struttura militare di Forte Gazzera , che risale al 1883 ed è parte integrante della cerchia dei forti a difesa di Venezia , è stata affidata dal Comune di Venezia al Comitato Forte Gazzera che riunisce varie associazioni storiche venete, che utilizzano il Forte come museo etnografico e sede di varie manifestazioni.

Una Venezia diversa, una Venezia militare

Una visita al Forte Gazzera è l’occasione per scoprire una Venezia diversa dalla stereotipata immagine romantica, una Venezia militare che grazie alle associazioni di appassionati di storia veneta , che puntigliosamente si addestrano in divisa storica esecondo i rituali militari dell’epoca, viene fatta rivivere in un ambiente architettonico imponente immerso in un ambiente naturale davvero insospettabile.

Forte Gazzera si trova negli immediati dintorni di Mestre, in Via Brendole 109.

 

Reggio, tavolo di confronto per la bonifica dell'area ex Polveriera a Modena-Ciccarello
Da citynow.it del 26 maggio 2021

L'obiettivo è realizzare spazi puliti, ordinati e naturalmente fruibili dalla cittadinanza", le parole del sindaco Faòcomatà

L'Assessore alle Manutenzioni e alla Protezione Civile del Comune di Reggio Calabria, Rocco Albanese ha preso parte quest'oggi, insieme al sindaco Giuseppe Falcomatà, ad un tavolo di concertazione presso la Prefettura di Reggio Calabria per l'ultimazione dei lavori di bonifica, prepedeutici alla riqualificazione, dell'area della Polveriera nel quartiere Modena - Ciccarello di Reggio Calabria.

A margine della riunione l'Assessore Albanese ha riferito del proficuo spirito di collaborazione che si sta registrando tra le istituzioni coinvolte nel procedimento.

"La bonifica e la rigenerazione urbana di quell'area - ha spiegato Albanese - costituisce certamente una delle priorità per l'Amministrazione comunale reggina. Al tavolo convocato presso la Prefettura abbiamo condiviso il percorso fin qui promosso dall'Amministrazione, in accordo alle altre autorità coinvolte, e soprattutto i  prossimi passaggi da realizzare. L'obiettivo è quello di bonificare totalmente quell'area, che costituisce oggi una ferita in un quartiere residenziale molto importante della nostra città, e rigenerare l'enorme spazio dell'antica polveriera per restituirlo alla fruibilità dei cittadini, realizzando anche della strutture di servizio in accordo con le autorità militari e la Prefettura".

Soddisfazione per la proficua riunione è stata espressa anche dal sindaco Giuseppe Falcomatà che ha sottolineato la volontà dell'Ente di procedere nel percorso di rigenerazione urbana dell'area degradata della ex Polveriera.
"Credo sia un progetto altamente qualificante per la nostra città - ha affermato il sindaco - procederemo in questo senso verso la bonifica di quell'area, interessata da fenomeni di abusivismo e dalla presenza di numerose microdiscariche al suo interno, con l'obiettivo di realizzare spazi puliti, ordinati e naturalmente fruibili dalla cittadinanza".

 

Alla scoperta dei Castelli di Cannero, tra storia e leggenda
Da novaratoday.it del 26 maggio 2021

I Castelli di Cannero sono uno dei simboli più amati del Lago Maggiore. Scopriamo insieme la loro storia

Lo spettacolo suggestivo dei Castelli di Cannero, che affiorano a filo d'acqua sul Lago Maggiore, di fronte alle rive del comune di Cannero Riviera. I Castelli di Cannero Riviera, detti "della Malpaga", sorgono su due isolotti rocciosi, fortificati nel corso del Medioevo e utilizzati dai briganti per compiere malefatti e controllare i commerci con la vicina Svizzera. La storia dei Castelli di Cannero si intreccia con quella dei "fratelli della Malpaga", i cinque fratelli Mazzarditi che, approfittando delle cattive condizioni in cui versava il Ducato di Milano e dell'aspra contesa tra Guelfi e Ghibellini, tra il 1403 e il 1404, si impossessarono del palazzo pretorio di Cannobio, invasero Cannero, si impadronirono della Malpaga dalla quale per diversi anni compirono incursioni lungo l'intero Verbano senza disdegnare l'utilizzo di metodi violenti, allo scopo di crearsi una sorta di piccolo "Stato privato".

Fu solo con l’avvento al potere del nuovo Duca di Milano di Filippo Maria Visconti, nel 1412, che questo regno del terrore ebbe termine. Nel 1414, dando seguito alle suppliche degli abitanti del litorale, Filippo Maria inviò un esercito di 500 uomini per sconfiggere i Mazzarditi. La Malpaga, dopo un breve assedio, venne rasa al suolo e i Mazzarditi presero la strada dell'esilio.
Trent’anni più tardi le isole vennero cedute dal duca Filippo Maria Visconti al conte Vitaliano I, figlio di Filippo I Borromeo e Franceschina Visconti, ed entrarono da quel momento a far parte dei possedimenti della famiglia Borromeo. Il conte Lodovico, per difendersi dalle incursioni svizzere dopo la perdita del Canton Ticino da parte del Ducato di Milano, fece edificare nel 1519 una rocca fortificata sulle rovine delle isole: le diede il nome di “Vitaliana”, in omaggio alla famiglia padovana capostipite dei Borromeo. La morte del conte Lodovico coincise con il progressivo abbandono della rocca e con la sua inarrestabile decadenza. Attualmente rimangono solo le rovine delle antiche fortificazioni, interessate però da un ambizioso programma di recupero proprio da parte della famiglia Borromeo, ancora proprietaria degli isolotti.

La leggenda vuole che nelle giornate in cui la nebbia è particolarmente fitta sul lago, sia possibile scorgere un veliero fantasma che veleggia attorno al castello reclamando l’antico tesoro sommerso, gettato dai briganti per non consegnarlo al duca Filippo Maria Visconti.

 

Castello Oria, Pagliaro: “Bene straordinario da riaprire al pubblico. Ho presentato mozione per dichiarazione interesse eccezionale”
Da loradibrindisi.it del 26 maggio 2021

ORIA – Nota del consigliere regionale Paolo Pagliaro, capogruppo La Puglia Domani. “Un gioiello sepolto: questo è il castello di Oria, perla del brindisino. Da ormai quattordici anni questo maniero monumentale, che ha avuto un ruolo centrale nella storia del Salento e della Puglia, è chiuso al pubblico. Una strada per garantirne la più ampia fruizione è avviare il procedimento per la dichiarazione d’interesse eccezionale, come previsto dall’articolo 104 del decreto legislativo 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Possono essere dichiarati d’interesse eccezionale le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico particolarmente. Ed è proprio il caso del castello di Oria.

Ecco perché ho presentato una mozione che impegna la Giunta regionale ad attivarsi in questo senso, chiedendo alla Soprintendenza che venga avviato il procedimento per la dichiarazione d’interesse eccezionale del castello di Oria, in modo da renderlo nuovamente fruibile al pubblico come avvenuto per circa settant’anni fino al 2007, in considerazione dell’eccezionale valore storico, architettonico e culturale di questo bene fortemente identitario della Terra d’Otranto. D’altronde, il suo interesse particolarmente importante fu già riconosciuto nel 1955 con decreto dell’allora ministro della pubblica istruzione. Anche l’area archeologica sulla quale il maniero insiste, dichiarata di interesse rilevante nel 2010, possiede i requisiti stabiliti dalla norma affinché il Miur possa procedere alla dichiarazione d’interesse eccezionale.

Per imponenza e collocazione geografica, il castello domina l’ampia pianura circostante a ridosso dell’antica via Appia, a metà strada tra Taranto e Brindisi. Nelle sue mura è racchiusa una piazza che, potendo contenere sino cinquemila combattenti, costituisce un esempio forse unico per dimensioni nel panorama dell’architettura militare della Terra d’Otranto. Riaprire i battenti di questo monumento significherebbe rendere giustizia a pagine importantissime della nostra storia, che incrociano i destini di personaggi illustri come Federico II (che vi avrebbe dimorato per attendere la futura sposa, figlia di Giovanni di Brienne), Alfonso II d’Aragona (che da qui partì col suo esercito alla volta di Otranto per liberarla dall’occupazione turca), San Carlo Borromeo (che vendette il castello di Oria con il suo feudo per dispensare il ricavato della vendita ai poveri e alle opere pie).

Ecco perché è importante che il Consiglio voti compatto questa mia mozione, per restituire ad Oria l’orgoglio di un castello che merita un ruolo di primo piano nei percorsi turistici e culturali salentini”.

 

Fiume. Revival, recupero delle gallerie militari italiane
Da lavoce.hr del 25 maggio 2021

Foto: Goran Kovacic/PIXSELL

La Città di Fiume ha aderito al progetto europeo “Revival – rivitalizzazione e recupero del patrimonio architettonico nel panorama dell’area adriatica” (Revitalization and Reuse of the lost heritage in the Adriatic landscape), programma di Cooperazione transfrontaliera Interreg VA Italia – Croazia 2014-2020. Lo scopo del progetto è rimettere in funzione aree dismesse, caserme, fortificazioni militari, rifugi, gallerie e complessi industriali che hanno un significato architettonico e storico e rappresentano un esempio di archeologia industriale, architettura razionalista e moderna. costruiti durante il XX secolo.

Un patrimonio in prevalenza poco valorizzato e quasi perduto da ristrutturare mettendolo al servizio delle attività culturali, una promozione nell’offerta turistica come marchio riconoscibile comune della collaborazione trasfrontaliera e nuova rotta turistica. Alla presentazione del progetto hanno preso parte Srđan Škunca, capodipartimento cittadino per l’urbanistica, Maja Vuka, dell’ente pubblico Rera di Spalato e Antonija Mikota dell’Università di Zara. Sono state presentate le possibili aree di rivitalizzazione del capoluogo quarnerino e della città di Spalato.

Nel suo intervento Škunca ha informato i presenti che il progetto fiumano prevede la rivitalizzazione delle fortificazioni militari italiane, che negli anni passati sono state oggetto di studio e ricerca da parte di numerosi storici, archeologi e appassionati della storia di Fiume. Il progetto, dal valore di circa 2 milioni di euro, verrà finanziato a fondo perduto per l’85 per cento dal Fondo europeo di sviluppo regionale mentre la città di Fiume per la sua area di valorizzazione assicurerà il 10 per cento della cifra. Il titolare del progetto Revival è la città di Forlì mentre i partner progettuali sono le città di Campobasso, Cesenatico, Pesaro per l’Italia e le città di Fiume, Spalato e Zara per la Croazia.

 

Torre dell'Ovo. La “casamatta” non era “matta”. Ma…
Da lavocedimaruggio.it del 25 maggio 2021

Raffronto tra casamatta e casotto goniometrico

Planimetria originale

Di Tonino Filomena

Riceviamo e pubblichiamo una nota storica sulle origini della costruzione cosiddetta “casamatta” di Torre dell’Ovo.

Lo scrittore e storico locale Tonino Filomena ritiene che la costruzione presente nell’area della torre, non era una “casamatta” (fortino militare), ma un “casotto goniometrico” destinato dalla Regia Marina – servizio dei fari e del segnalamento marittimo già nel 1942. (foto planimetria a fianco)

I locali della torre erano stati destinati ad una postazione militare di osservazione e vedetta dotata di faro di segnalazione.

Casotto goniometrico

La postazione goniometrica consisteva di una garitta circolare corazzata (casotto) di circa 2 metri di diametro e 2,20 m di altezza, capace di contenere due persone.

Posizionata nella parte più alta dell’opera fortificata, era dotata di una feritoia rettangolare di circa 1 m, aperta sul fronte a mare, dalla quale era possibile traguardare trigonometricamente il bersaglio con un Telemetro e di alcune feritoie orizzontali sulle pareti dotate di chiusure scorrevoli entro guide di ferro o con sportellini a cerniera, funzionali all’osservazione.

 

Casematte, progetto per l’efficenza energetica
Da ilgiorno.it del 25 maggio 2021

Una casamatta tipo.

Prende forma il progetto che vorrebbe portare alla completa ristrutturazione e recupero delle Casematte nel lato nord.

Proprio con questo obiettivo il Comune di Pizzighettone ha affidato un incarico per la progettazione denominata "efficientamento energetico finalizzato alla realizzazione di una Casamatta" .

Si tratta di una fase progettuale, per cui è previsto un impegno di spesa di 10mila euro circa, che è stata affidata all’architetto Giambattista Frigoli di Maleo.

Rientra in una delle azioni previste per il recupero di questo lato delle antiche fortificazioni.

 

Mbda, al via la produzione di missili Camm-Er per Aeronautica ed Esercito. Al Fusaro commessa milionaria con nuove assunzioni
Da ildenaro.it del 25 maggio 2021

Si chiama Camm-Er (Common Anti-air Modular Missile Extended Range), è il nuovo missile in produzione presso Mbda, multinazionale impegnata in 45 programmi di sistemi missilistici e contromisure, con una quota di mercato globale pari al 20 per cento (oltre un terzo del mercato al di fuori degli Stati Uniti), e tre stabilimenti attivi in Italia: Roma, La Spezia e Fusaro. In quest’ultima località, frazione del comune napoletano di Bacoli, si produranno in particolare i seeker, radar che costituiscono il “cervello dei missili”, attraverso una commessa che ieri in conferenza stampa Lorenzo Mariani, executive group director Sales & Business Development e managing director di Mbda Italia, ha definito di “alcune centinaia di milioni”. La produzione di serie dei CAMM-ER comincerà nel corso del 2022. Il sito dei Campi Flegrei procederà alla realizzazione dei test equipment in radio frequenza, delle antenne e delle telemetrie. Per portare a termine tale commessa, la società conta di assumere altre 25 unità per il 2021 al Fusaro, in aggiunta alle 452 già in organico, con una crescita pari al 5,7 per cento per l’anno in corso. Nel 2020, in piena pandemia, lo stabilimento partenopeo aveva fatto registrare comunque 54 addetti in più (+12,3%).

Quattro settori di mercato, supporto a tutte le missioni delle Forze Armate
Mbda Italia realizza il 15 per cento del fatturato dell’intero Gruppo con il 12 per cento della forza lavoro di tutta Mbda. Quattro i settori in cui è protagonista: superiorità marittima, dominio aereo, difesa aerea a base terrestre e dominio sul campo di battaglia. Nel dettaglio, la parte italiana del Gruppo è in grado di garantire design authority nei segmenti di difesa aerea, anti-nave e anti-som; integratori di sistema terrestre e navale; sviluppo e fabbricazione di sistemi missilistici, missili e maggiori componenti (tra cui C2, Seeker Rf, Spolette Rf, Datalink Rf, Gnc, Ambiente sintetico) nell’ambito di programmi nazionali, multinazionali e transatlantici; logistic support authority e post vendita; supporto al cliente nazionale per la realizzazione di soluzioni dedicate per i clienti export nell’ambito di accordi CtoG (con prodotti nuovi o ricondizionati, prelevati dalle eccdenze del MoD IT).

Fusaro centro di eccellenza per tecnologie basate su radio frequenza
Con 20.000 metri quadri coperti e 450 dipendenti il sito Mbda del Fusaro è un centro di competenza per le tecnologie su radio frequenza all’avanguardia nel mondo. Con una capacità di produzione di 600 seeker l’anno, lo stabilimento di Bacoli vede impegnati, soltanto nel settore dei sensori Rf, 160 tra ingegneri e tecnici in laboratori dedicati allo sviluppo di apparati in radio frequenza che in totale occupano una superficie di 2000 mq. Tutto ciò che serve per interconnettere missili, sistemi di lancio e radar viene fatto nei Campi Flegrei.

Cooperazione con Università e Centri di ricerca
Su radar ed elettromagnetismo, tecnologie Rf, materiali, meccanica, elettronica, robotica ed intelligenza artificiale, Mbda ha in corso da decenni attività di collaborazione nell’ambito di progetti cofinanziati dal Miur, Mise e Regione Campania con Centri di ricerca/atenei nazionali tra cui il Dipartimento di Elettronica, Aerospazio e Materiali della Federico II, il Dipartimento Elettronica dell’Università Parthenope, l’Università Tor Vergata e la Sapienza di Roma, l’Istituto di Fotonica & Nanotecnologie Ifn, il Centro Sviluppo Materiali di Roma, Imast Cnr, Dac, Cira e Istec.

 

Casamatta Torre dell'Ovo: il vice sindaco Giovanni Maiorano fa chiarezza sulla vicenda
Da lavocedimaruggio.it del 25 maggio 2021

Di Fernando Filomena

Nella tarda serata di ieri, 24 maggio 2021, il vice sindaco del Comune di Maruggio, Giovanni Maiorano, fa chiarezza sulla vicenda della presunta “demolizione” della casamatta di Torre dell’Ovo. L’episodio è stato portato alla luce, qualche giorno fa dal giornalista Mimmo Carrieri, il quale sul proprio profilo del noto social Facebook aveva pubblicato alcune sequenze fotografiche che testimoniavano la presunta distruzione dell’ antica postazione militare risalente alla II Guerra Mondiale. Carrieri nella serata di domenica scorsa aveva inoltrato un esposto agli organi competenti.

Il vice sindaco del Comune Maruggio (foto in alto), con un comunicato pubblicato sul suo profilo pubblico di Facebook, chiarisce la sua posizione, in qualità di assessore ai lavori pubblici e dell’Amministrazione Comunale, a quanto denunciato da Carrieri. Di seguito riportiamo fedelmente il comunicato:

“Per coloro che hanno seguito la vicenda “casamatta” di Torre Ovo, tenutasi su Facebook durante questo fine settimana e per tutti gli interessati comunico che:

A seguito dell’esposto presentato dal giornalista Mimmo Carrieri (visibile ieri sera per pochi minuti su La Voce di Maruggio e poi rimosso) nel quale si diceva che, ” il 3 Maggio la ditta Aloisio con l’ausilio di una pala meccanica, aveva abbattuto la casamatta di Torre Ovo” ho deciso mettere nero su bianco e scrivere un documento-richiesta indirizzato al Responsabile dei LL.PP., al RUP, al Direttore Lavori ed anche ai CARABINIERI (dai quali sono andato personalmente a consegnare il documento).
Ho ritenuto doveroso, informare e coinvolgere anche la locale stazione dei Carabinieri perché, il fatto denunciato (se vero) è di una gravità inaudita e spero che con questa mia richiesta si possa accelerare a far luce sulla situazione e sull’accaduto.

In attesa degli accertamenti di competenza, vi posto un breve video ed alcune foto a dimostrazione che, IO NON SCAPPO DAVANTI ALLE RESPONSABILITÀ e quando dicevo che:

– la casamatta era fuori dall’area di cantiere
– la casamatta non era fatta di cemento armato
– i resti della casamatta non erano stati buttati a mare
– abbattere la casamatta non avrebbe avuto nessun senso logico
DICEVO SEMPLICEMENTE LA VERITA’. Vi terrò aggiornati… buonanotte.

Ci preme far notare che la vicenda si tinge di giallo. Scrutando tra le foto del profilo Facebook di Mimmo Carrieri, abbiamo notato delle foto scattate e pubblicate nei giorni precedenti e successivi l’inizio dei lavori per la messa in sicurezza e rifacimento del costone a mare della torre anticorsara. Nella foto datata 01.05.2021 si vede chiaramente la presenza della casamatta integra mentre nella foto 03.05.2021 magicamente scomparsa. Da ciò si può desumere che tra il giorni 1, 2 e 3 maggio c’è stato il crollo o l’abbattimento della casamatta.
Dalla lista delle principali rilevazioni di INGV nelle date dell’ 1 e 2 maggio non risultano terremoti in Puglia ed in particolare nel Mar Jonio.

Cosa allora ha fatto crollare la casamatta? Forse una forte vibrazione del terreno che magari ha fatto crollare pezzi della torre e demolire la casamatta?
Se così fosse, sarà stata la presenza di ruspe e gru a generare delle forti vibrazioni da far crollare la casamatta? Perché non hanno messo in sicurezza la torre? È preoccupante immaginare che poteva crollare totalmente la torre e creare un grande disastro e pericolo all’incolumità degli operai presenti nel cantiere.

Nelle foto del 03.05.2021 si notano delle persone che assistono ai lavori, possibile che non si siano accorti del crollo? Come mai il direttore dei lavori non ha messo al corrente del “disastro” l’ufficio dei lavori pubblici ed il suo responsabile del Comune di Maruggio?

A queste domante i cittadini attendono risposte.

 

Torre dell’Ovo, da 500 anni a difesa del nostro mare
Da lavocedimaruggio.it del 24 maggio 2021

Di Fernando Filomena

Cari amici, nell’attesa che venga fatta chiarezza sulla improvvida demolizione o crollo del fortino militare (“casamatta”) posto in adiacenza alla nostra Torre dell’Ovo, voglio a bassa voce ricordare che detta torre fu citata per la prima volta nel 1591.
Situata su un promontorio dominante un’ampia insenatura, dove, in epoca feudale, sorgeva l’antico porto di Maruggio, costituiva un presidio contro le minacce (pirati) provenienti dal mare.

La scelta del luogo per la costruzione della torre rispondeva a precise necessità di natura strategica poiché, occupando il punto più alto del promontorio, essa consentiva una visione ampia e completa per l’avvistamento di eventuali imbarcazioni corsare in avvicinamento.

Circa l’anno esatto della sua costruzione, alcune recenti ricerche hanno rilevato che nel marzo del 1566 (1568) si tenne in Taranto un’asta pubblica, da parte di Alonso Salazar, finalizzata alla costruzione di detta torre (erroneamente datata da Wikipedia nel 1473). Divenne presto “posto di avvistamento per cavallari (cavalieri di Malta) ai quali ultimi era affidata la guardania.”

Ai cavalieri crociati era comandato “a far la guardia di giorno e di notte, fare i soliti segni acciocché le genti (maruggesi) dei luoghi vicini avvisati, poiché accorrendo possano ritirarsi al Fronte dentro la Terra… (di Maruggio)”.

Nei secoli successivi prestarono servizio altre guardie… fino a che… nel secolo XIX la torre diventerà sede delle Guardie Doganali quindi, durante la prima guerra mondiale, verrà utilizzata come postazione logistico-militare. In seguito fu destinata, fino agli anni ’50 del secolo scorso, come sede della Marina Militare.

Gli ultimi interventi di piccola manutenzione risalgono agli anni 1968/’69, quando la torre ospitò i componenti di una spedizione archeologica della Marina Militare Americana, incaricati di esplorare il “prezioso” mare di Monte dell’Ovo.

Abbandonata all’incuria degli amministratori locali del tempo e all’ingiustificabile indifferenza della Capitaneria di Porto di Taranto, negli anni ’70 fu adibita (ahimè!) a pizzeria.

 Dagli anni ’80 ad oggi… è tutt’altra storia, di cui non voglio scrivere. Non ho occhi per vedere, né orecchie per sentire e tanto meno lingua per parlare.

Dopotutto Oscar Wilde scriveva: “A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio.”

 

Maruggio. Parte l'esposto sulla presunta demolizione della casamatta di Torre dell'Ovo
Da lavocedimaruggio.it del 23 maggio 2021

Non si è fatto attendere l’esposto annunciato da Mimmo Carrieri giornalista e responsabile regionale settore ambiente ed ecologia dell’Associazione CPA.

Ieri Carrieri aveva pubblicato sul suo profilo Facebook delle foto che mettevano in evidenza la “demolizione” della casamatta adiacente la torre anticorsara di Torre dell’Ovo in territorio di Maruggio.

Molti utenti indignati commentando la notizia hanno esortato il giornalista a denunciare l’accaduto agli organi di competenza.

La casamatta un’opera difensiva della Seconda Guerra Mondiale fa parte di una certa “archeologia militare” e che pure fa parte integrante del paesaggio locale, i manufatti esistenti insieme ad altri resti storici architettonici ed ambientali, sono sotto il vincolo dei Ministero dei Beni Ambientali e Culturali.

In particolare la casamatta di Torre dell’Ovo, a differenza di altre presenti sul territorio di Maruggio, serviva a scrutare l’orizzonte con particolari strumentazioni.

Poco fa, ci è stato comunicato che è stato inviato l’esposto indirizzato:

Al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alla Soprintendenza per il Patrimonio Culturale Subacqueo e per l’archeologia, le belle arti e il paesaggio, alla Soprintendenza per i Beni Culturali Architettonici e Paesaggistici, al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, all’Autorità di Bacino della Puglia e alla Capitaneria di Porto di Taranto – Sezione Demanio.

 

“Terza torre Massimiliana”, spostamento del serbatoio con variante urbanistica?
Da veronanews.net del 22 maggio 2021

Di Alberto Speciale

Sono stati depositati in forma telematica per dieci giorni consecutivi gli atti relativi allo “spostamento del serbatoio denominato ‘Terza torre Massimiliana’ variante allo strumento urbanistico del comune di Verona”.

E’ stato pubblicato il 20 maggio sull’albo pretorio del comune di Verona l’Avviso di deposito, dell’ATO Consiglio di bacino veronese, degli atti relativi allo “spostamento del serbatoio denominato ‘Terza torre Massimiliana’ variante allo strumento urbanistico del comune di Verona”.
Presente in allegato anche la relazione illustrativa riportante le motivazioni della richiesta di variante parziale al vigente Piano di Assetto del Territorio (PAT) del Comune di Verona formulata dalla Società Acque Veronesi S.C. a R.L. finalizzata alla realizzazione delle opere di cui al progetto denominato: “Spostamento del serbatoio denominato Terza Torre Massimiliana“

L’intervento riguarda la costruzione del nuovo serbatoio, comprensiva sia del comparto delle opere elettromeccaniche dedicate al rilancio dell’acqua da tale serbatoio al serbatoio di Monte Croson, che va ad eliminare l’utilizzo improprio del monumento storico Terza Torre Massimiliana concesso in uso dal Demanio Pubblico Soprintendenza delle Belle Arti del 30/08/2017 con scadenza al 31/08/2022.

La necessità di un nuovo serbatoio è dettata, si legge nella Relazione, da un duplice aspetto: il manufatto esistente è realizzato all’interno del monumento Torre Massimiliana con uso improprio, si presenta ad oggi in uno stato di conservazione precario a causa dei numerosi degradi manifestatisi nel tempo ed ha un volume utile di circa 300mc non è poi più sufficiente a garantire l’approvvigionamento idrico nei periodi di maggior richiesta d’acqua. Il nuovo serbatoio pertanto verrà realizzato in prossimità di quello esistente completamente interrato ed avrà un volume di invaso triplo rispetto l’esistente.

Le motivazioni della richiesta di Variante Parziale al vigente PAT riguardano il fatto che allo stato attuale le aree del serbatoio esistente e di progetto ricadono, nel vigente Piano degli Interventi, all’interno della Zona Forti Ottocenteschi (disciplinata dall’art. 91 delle Norme Operative d’Intervento). In virtù del comma 4°, lettera h) dell’art. 50 della Legge Regionale 61 del 1985, la richiesta di variante parziale prevedrebbe l’individuazione di detto terreno (avente superficie inferiore ai 10.000 mq, di cui al D.M. LL.PP. 2 aprile 1968, n. 1444 come modificato dall’articolo 25) quale “Area ed attrezzature pubbliche” (disciplinata dall’art. 124 c.3 cod. 63 (serbatoio) e 68 (cabina elettrica delle Norme Operative d’Intervento).

Dal punto di vista catastale le aree oggetto della richiesta di variante sono individuate nel Comune di Verona (VR) foglio n. 85 particella A e 277 per la cabina AGSM in spostamento.

Le torri Massimiliane, originariamente chiamate Türme San Giuliano n. XXX, XXXI, XXXII, XXXIII, sono quattro fortificazioni poste sulle colline a nord di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del settore dei forti collinari e dei forti avanzati di pianura, messo in opera tra 1837 e 1843.

Le torri sono quasi integralmente conservate. La torre n. 1 (XXX), abbandonata da alcuni anni, è in condizioni di degrado. La torre n. 3 (XXXII), senza evidenti alterazioni strutturali, è stata trasformata in serbatoio dell’acquedotto comunale; nella stessa torre, apparentemente abbandonata, si mostrano evidenti segni di degrado. La torre n. 4 (XXXI), in discrete condizioni, è compresa nelle pertinenze dell’Osservatorio Antincendio del Servizio Forestale di Stato. In tutti i casi la vegetazione ha invaso lo spazio prossimo alle torri, e si sta progressivamente diffondendo sulle opere stesse. La torre n. 2 ( XXXIII), è in pessime condizioni: in uso al C.N.R. (Centro Nazionale per la Fisica dell’Atmosfera e della Meteorologia) è ricoperta da una selva di antenne, tralicci e altri impianti assolutamente incompatibili (ed abusivi, ndr) che andrebbero rimossi dalla torre per la conservazione e il rispetto di un’opera soggetta a vincolo di tutela ambientale e monumentale (fonte mapserver comune di Verona).

Chiunque abbia la necessità di consultare gli elaborati progettuali può scrivere a info@atoveronese.it, per concordare le modalità di consultazione.
Il progetto in oggetto e la variante stessa sono in corso d’approvazione da parte del
Consiglio di Bacino Veronese, ai sensi dell’art. 158 bis del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i..
Chiunque sia interessato può formulare osservazioni ed opposizioni, entro venti (20) giorni dalla data di scadenza del periodo di deposito, scrivendo a Acque Veronesi Scarl, Lungadige Galtarossa n. 8 – 37133 Verona – PEC: protocollo@pec.acqueveronesi.it

 

Il nuovo sistema missilistico stealth antinave e contro-costa M.B.D.A.
Da svppbellum.com del 22 maggio 2021

Il nuovo sistema missilistico stealth antinave e contro-costa M.B.D.A. “Teseo Mk 2 / Evolved” per la Marina Militare Italiana

In data 17 marzo 2021, la European Missile Association MBDA conferma di aver ricevuto il primo contratto di lancio per la fornitura del nuovo sistema missilistico antinave e contro-costa “Teseo Evolved” alla MM.

Il Teseo Mk2 / Evo di ultima generazione affronta l'evoluzione delle minacce navali ostili con un arco di tempo di venti anni e oltre. E’ l’erede del Teseo Mk2 / A e incarna tecnologie all'avanguardia a doppio ruolo negli scenari marittimi e costieri. Rappresenta un punto di riferimento evolutivo per tutti i missili anti-nave a lungo raggio, aggiungendo la capacità di operare contro bersagli in profondità, riducendo il tempo di reazione a pochi secondi in condizioni completamente controllate, dalla preparazione della missione all'impegno del bersaglio.

Il nuovo missile avrà:
• Peso: 700kg (inizio fase di crociera)
• Lunghezza: <5 m (<5,5 m nel contenitore di lancio)
• Raggio d’azione rivelato: > 350+ km.

Il “Teseo MK2/Evolved” integra una sezione di guida “homing dual-mode” all'avanguardia che include una testa cercante RF coerente con capacità ECCM che il sensore EO per un impegno ad alta precisione, per obiettivi marittimi e/o terrestri. L’arma includerà un'innovativa pianificazione della missione con un tempo minimo di reazione tramite una soluzione di lancio automatico; i parametri della missione pianificata saranno regolabili in tempo reale dall'operatore del sistema d'arma in base al quadro tattico.

Potrà contare su di un sistema di data link bidirezionale per il controllo della missione fino alla fine dell'impegno, onde consentire l’aggiornamento, la eventuale riassegnazione del target e/o l’eventuale interruzione della missione d’attacco. Il Teseo Evo utilizzerà un'elevata velocità di crociera subsonica con una manovrabilità terminale ad alto numero di G con un'autonomia effettiva superiore ai 350 km (500?) al livello del mare.

Avrà un INS / GPS integrato completamente autonomo ed un sistema di navigazione radio-altimetro con capacità “seaskimming” autoadattata e capacità di volo terrestre. Il missile avrà un effetto letale attraverso l’utilizzo di un'efficace testata scalabile, semi-perforante / altamente esplosiva.

Il complesso Teseo Mk 2 / Evo è l’ultima evoluzione del noto sistema missilistico anti-nave OTOMAT con un missile anti-nave subsonico con motore turboreattore, tradizionalmente indicato nella Marina Militare Italiana come Teseo. Il complesso OTOMAT è stato sviluppato all'inizio degli anni '70 congiuntamente dalla società italiana OTO Melara e dalla francese Matra (ora le ex divisioni missilistiche di queste società fanno parte di MBDA), ma in realtà è stato prodotto solo in Italia presso la società OTO Melara (ora MBDA Italia) a La Spezia (dal 1974) ed è entrato in servizio con la Marina Militare Italiana, ed è stato anche ampiamente esportato. Una caratteristica speciale del complesso Teseo (con missili delle varianti OTOMAT Mk 2) era l'uso di apparecchiature di trasmissione dati per la designazione di bersagli esterni, che fornivano al missile la possibilità di essere utilizzato per un raggio significativo - fino a 180-200 km.

Dal 2007 la Marina Militare Italiana ha ricevuto il complesso Teseo Mk 2 / A con un nuovo missile OTOMAT Mk 2 Block IV con un nuovo sistema di controllo. Un ulteriore sviluppo di questo sistema è ora il complesso Teseo Mk 2 / E (Teseo Evolved), che utilizza un nuovo razzo, a volte indicato come OTOMAT Mk 2 E. La creazione del complesso Teseo Mk 2 / E è stata eseguita da MBDA Italia nell'ambito di un contratto emesso dal Ministero della Difesa italiano nel 2018 per un importo di 150 milioni di euro. Il complesso doveva entrare in servizio con la Marina Militare Italiana in base a questo contratto nel 2026.

Il complesso missilistico Teseo Mk 2 / Evo è completamente ridisegnato e dotato di un nuovo motore turboreattore della compagnia americana Williams International (apparentemente utilizzato nei missili da crociera Tomahawk), che consente di portare il raggio di tiro massimo a 360 km (secondo alcune fonti, anche a "più di 500 km").

Il motore Williams F107 (denominazione aziendale WR19) è un piccolo motore turbofan prodotto dalla Williams International progettato per spingere i missili da crociera. È stato utilizzato come propulsore per l' AGM-86 ALCM e il BGM-109 Tomahawk, nonché per la piattaforma volante sperimentale Williams X-Jet.

Caratteristiche generali del nuovo motore:

• Tipo: Turbofan
• Lunghezza: 24 pollici (610 mm)
• Diametro: 12 pollici (300 mm)
• Peso a secco: 67 lb (30 kg)
• Compressore: ventilatore bistadio, compressore assiale IP bistadio, compressore HP centrifugo monostadio
• Combustori : Camera di combustione anulare
• Turbina : turbina HP a 1 stadio, turbina LP a 2 stadi
• Tipo di carburante: JP-4 / JP-5
• Sistema di olio: Sistema di pressione con ritorno
• Spinta massima : 430 lbf (1,9 kN) Potenza massima continua
• F107-WR- 400610 libbre (2,7 kN)
• F107-WR-402 700 libbre (3,1 kN)
• Rapporto di pressione totale : 13,8: 1
• Rapporto di bypass : 1: 1
• Consumo specifico di carburante : 0,683 lb / lbf / h (69,6 kg / kN / h)
• Rapporto spinta / peso : 6.42.

Il Williams International F122 è una turboventola bialbero a flusso centrifugo assiale che è simile all'F107 nella configurazione ma ha una spinta massima di 900 libbre per spinta (da 3,33 a 4,0 kN). L'F122 è utilizzato per alimentare il misile stand-off KEPD 350 aero-lanciato.

La velatura del missile Teso Evolved è realizzata con l'introduzione di elementi stealth.

E' stato introdotto un nuovo sistema di guida a doppio canale, che combina una nuova testa di homing radar attiva con un AFAR sviluppato da Leonardo e un sistema di homing a infrarossi di tipo IIR (secondo alcune fonti, preso in prestito dal velivolo MBDA Scalp / Storm Shadow missile da crociera), che offre la possibilità di distruzione ad alta precisione di bersagli terrestri e saranno installate anche apparecchiature di trasmissione dati a due vie, che consente di implementare il controllo missilistico sull'intero percorso di volo e la "pianificazione innovativa della missione". Anche la testata è completamente nuova. Pertanto, il missile del complesso Teseo Mk 2 / Evo è in realtà un missile da crociera a doppio scopo.

Nella Marina Militare Italiana, questo complesso sarà imbarcato sui due nuovi grandi cacciatorpediniere di tipo DDX previsti per il 2030. Tuttavia, è possibile che il complesso Teseo Mk 2 / Evo sarà imbarcato sui pattugliatori Paolo Thaon di Revel che dovrebbero essere messi in servizio per complessivi 10 a 16 unità. Le prime navi di questo tipo riceveranno il sistema missilistico Teseo Mk 2 / A. In futuro si prevede che il complesso Teseo Mk 2 / Evo sostituirà i sistemi Teseo Mk 2 / A su tutte le navi della flotta italiana, e sarà attivamente promosso anche per l’export.

 

Tinteggiano il bunker di Cannatello, Micciché: "Azione improvvida"
Da agrigentonotizie.it del 22 maggio 2021

A sollevare il caso, documentandolo con delle fotografie, è stato Peppe Di Rosa. Il sindaco: "Ovviamente nessuna autorizzazione era stata concessa dal Comune"

Hanno autonomamente tinteggiato il bunker di Cannatello. A denunciare l'episodio - chiedendosi se la Sovrintendenza fosse stata o meno informata e se avesse o meno concesse il nulla osta per un bene monumentale risalente alla seconda guerra mondiale - è stato Peppe Di Rosa.

Il sindaco, Francesco Miccichè, ha espresso rammarico per "l'improvvido comportamento di alcuni de 'I ragazzi della Trinacria' che in occasione degli interventi di scerbamento, pulizia, in località Cannatello hanno autonomamente tinteggiato il bunker - ha scritto Micciché - .

Ovviamente nessuna autorizzazione era stata concessa in tal senso dal Comune di Agrigento e pertanto saranno adottati i rimedi utili e necessari per riparare all’accaduto, nonchè interessare le autorità competenti - ha chiarito il primo cittadino - .

Fermo restando che questa amministrazione già dall’insediamento ha manifestato e operato nella piena collaborazione con il mondo del volontariato e dell’associazionismo che sono un valore aggiunto per la collettività e che è interesse della mia amministrazione continuare con azioni di riqualificazione, decoro urbano e sano civismo.

Non si possono però avallare azioni 'legibus solutus' che non rispecchiano e che, anzi, danneggiano il valore civico di un bene e di un luogo che ha delle precise prescrizioni e passaggi amministrativi e politici".

 

Sottomarina: rinviate all’autunno le visite Fai al Forte San Felice
Da lapiazzaweb.it del 21 maggio 2021

Rinviate in autunno 2021 le visite al Forte San Felice di Sottomarina che dovevano svolgersi nell’ambito delle giornate Fai di primavera il 15 e 16 maggio

Nel 2018 e nel 2019 le visite primaverili promosse dal Fai grazie alla collaborazione del Comitato per il Forte e degli studenti “Ciceroni” dell’IIS Cestari-Righi avevano registrato la presenza di oltre mille visitatori tutti organizzati con il consueto sistema delle prenotazioni obbligatorie, un successo che si contava di ripetere anche nel 2020, ma la triste esperienza della pandemia ha bloccato tutto. Si contava di ripartire a maggio 2021, nel rispetto di tutti i protocolli per garantire una visita in sicurezza e riducendo il numero di visitatori per ogni gruppo, ma queste visite organizzate dal Fai si terranno in autunno.

Sottomarina, Forte San Felice: al via gli incontri con gli studenti

Nel frattempo il Comitato del Forte di San Felice ha già avviato una serie di incontri con gli studenti delle classi quarte dell’indirizzo Turismo dell’IIS Cestari-Righi di Chioggia coordinati dai docenti Erminia Vianello, Elisa Pagan e Roberto Assenza. Si tratta di una collaborazione ormai collaudata con il Fai, il Comitato del Forte e gli studenti di questo Istituto che saranno protagonisti delle visite guidate.

“Saranno loro a raccontare ai visitatori che giungono da ogni parte della nostra regione, ma anche da tutta Italia, le bellezze di questo monumento così ricco di storia” sottolinea Erminio Boscolo Bibi, presidente del Comitato del Forte. Per i giovani “Ciceroni” sono già stati organizzati alcuni incontri con studenti e docenti collegati on line a cui si aggiungeranno, quando sarà consentito, dei sopralluoghi al Forte S. Felice per imparare tutte le tappe della visita e per approfondire tutte le tematiche culturali e ambientali collegate con questo storico edificio le cui origini risalgono al 1385, dopo la famosa “Guerra di Chioggia”.

Il cantiere all’interno del Forte va avanti anche se con un certo ritardo. I lavori in corso riguardano in particolare il portale settecentesco che si affaccia sulla laguna, ma anche la rimozione della vegetazione che danneggia i bastioni. La conclusione di tali interventi di recupero consentirà di ampliare i percorsi di visita.

Eugenio Ferrarese

 

Mostre: da venerdì 28 maggio riapre Forte di Bard
Da ansa.it del 21 maggio 2021

Due novità in anteprima nazionale: Wildlife e mostra Ansa

La Valle d'Aosta torna in zona gialla e il Forte di Bard riapre al pubblico da venerdì 28 maggio. Due le novità espositive in anteprima nazionale: l'atteso lancio della nuova edizione di Wildlife Photographer of the Year, il più importante concorso al mondo di fotografia naturalistica, al suo 56esimo anno e il progetto in collaborazione con l'agenzia Ansa, C'era una svolta, come siamo cambiati e come è cambiata l'Italia attraverso 75 anni di immagini dell'ANSA. Le due esposizioni saranno aperte da venerdì 28 maggio sino a martedì 31 agosto. Giovedì 27 maggio alle 14.30, è prevista un'anteprima con visita guidata riservata ai possessori della Membership Card del Forte.

Inoltre sarà ancora possibile visitare la mostra d'arte I Macchiaioli, una rivoluzione en plein air - che presenta 80 capolavori del movimento artistico che ha rivoluzionato la storia della pittura italiana dell'Ottocento - prorogata sino a domenica 27 giugno. E l'Omaggio a Dante con l'esposizione, all'interno della Cappella di San Maurizio, di una preziosa Divina Commedia del 1487 proveniente dalla collezione del Castello di Castiglione del Terziere, proseguirà sino a domenica 27 giugno.

L'offerta espositiva comprende inoltre, la possibilità di visitare tutti e tre gli spazi permanenti: il Museo delle Alpi, il percorso storico all'interno delle Prigioni, il Museo delle Fortificazioni e delle Frontiere con la mostra La memoria dell'Aosta. Il sacrario del 4° Reggimento Alpini, con 124 pezzi tra i più rappresentativi e significativi della storia del Battaglione Aosta e del 4° Reggimento.

 

Revello 80mila euro per la Torre Merlata - Contributo in arrivo dal Gal
Da corrieredisaluzzo.it del 21 maggio 2021

È ufficiale. Il “Gruppo di Azione Locale” GAL – Tradizione delle Terre Occitane, ha concesso al Comune di Revello il contributo per il restauro della Torre Merlata, antica sede degli uffici comunali, che si erge a fianco dell’ala mercatale coperta.

Un contributo di 80 mila euro, a fronte dei 100 mila richiesti.

Il progetto ha una certa importanza perché si tratta di «una delle parti più antiche del paese», sottolinea il primo cittadino, Daniele Mattio.

Un intervento che si aggira sui 130 mila euro, consistente in opere di sostegno alla «struttura muraria di contenimento, con “chiavi” per impedire aperture e cedimenti; oltre al rifacimento del tetto e manutenzioni all’ala del mercato».

È probabile che l’antica torre fosse, inizialmente, scoperta, con la finitura tipica dell’architettura militare medievale.

L’immobile, al momento, è sede per l’Associazione nazionale Alpini, per la Pro Loco e per la Banda musicale.

Al suo fianco si apre la storica via della Ronda, il camminamento dei soldati per il controllo della cittadella; alle sue spalle la salita verso la collina.

 

I missili Patriot dispiegati vicino a Zara
Da lace.hr del 20 maggio 2021

Il sistema missilistico alla base militare “Colonnello Mirko Vukušić” di Zemunik

In Croazia sono state dispiegate per la prima volta alcune batterie di missili terra-aria Patriot.

Il sofisticato sistema missilistico in dotazione al X Comando per la difesa antimissilistica e anti-aerea dell’Esercito USA in Europa è stato presentato ieri alla base militare “Colonnello Mirko Vukušić” di Zemunik. I Patriot saranno impegnati nella simulazione “Astral Knight 21”.

Il loro compito consisterà nel proteggere i porti e le truppe alleate impegnate nell’operazione “Immediate Response 21”.

Quest’ultima rientra nell’ambito del programma “Bastione croato 1991- 2021”, indetto in occasione del trentennale dalla fondazione delle Forze armate croate.

 

Città murate e fortificazioni, due bandi da oltre 13 milioni per le riqualificazioni
Da luccaindiretta.it del 20 maggio 2021

Ciascun Comune può presentare domanda di concessione del contributo per un solo intervento

Due bandi per un valore complessivo di 13 milioni e 500mila euro a sostegno delle città murate, delle fortificazioni e del patrimonio storico e di pregio degli enti locali della Toscana. “Tutelare le nostre cinte murarie, lo nostre fortezze, recuperare i nostri edifici storici, simbolo della Toscana dei borghi, delle roccaforti che costellano con le loro cinte la nostra regione, forse più di altre, vuol dire proteggere la nostra identità e la nostra cultura – ha detto il presidente Eugenio Giani – . In Toscana le città murate, le lucumonie, le polis, i comuni, le repubbliche hanno seguito un percorso plurisecolare di storia, dalle civiltà preitaliche sino al tardo rinascimento e abbiamo il dovere di costruire azioni per difenderle e riqualificarle, per rispetto alla nostra storia e per sviluppare sempre di più quei percorsi tipici di viaggi affascinanti, come tali sanno essere gli itinerari quando sono sconosciuti ai più, che rendono la nostra regione disseminata di tesori e prospettive singolari e uniche, grande patrimonio del nostro territori”.

Il primo bando, che scade il 10 giugno, che ha una dote finanziaria di 6 milioni di euro è rivolto ai Comuni della Toscana per interventi a sostegno della valorizzazione delle mura storiche e degli edifici in esse inglobati o ad esse connessi, delle torri, dei castelli e dei ponti, mediante il ripristino dell’accessibilità ai luoghi e la creazione di percorsi culturali. Ciascun Comune può presentare domanda di concessione del contributo per un solo intervento che dovrà avere un costo totale non inferiore ai 100mila euro.
Il contributo regionale sarà pari all’80% e comunque non superiore all’importo massimo fissato a 200mila euro per ciascun intervento. Il secondo bando, che scade il 17 giugno ed ha una dote finanziaria di 7 milioni e 500mila euro è rivolto agli enti locali della Toscana per interventi finalizzati al recupero e alla riqualificazione degli edifici del patrimonio storico e culturale di pregio nonché alla loro piena fruibilità da parte della cittadinanza in quanto elementi significativi del carattere identitario del territorio regionale, nelle sue relazioni con le tradizioni e con le vicende storiche della Toscana in tutte le epoche del suo sviluppo.
Le tipologie di interventi oggetto di questo bando sono in via prioritaria in ordine decrescente: interventi di conservazione, recupero, rifunzionalizzazione e riqualificazione di immobili storici e di pregio di proprietà degli enti locali, in modo da consentire l’accesso e la fruizione alla cittadinanza per fini culturali e aggregativi; interventi di riqualificazione di immobili storici e di pregio di proprietà degli enti locali finalizzati all’uso istituzionale.
Ciascun ente può presentare domanda di concessione del contributo per un solo intervento il cui costo totale non dovrà essere inferiore ai 100mila euro di investimento.
Il contributo regionale sarà pari all’80% e comunque non superiore all’importo massimo di 320mila euro per ciascun intervento.

 

Completate le consegne del missile anticarro russo Vikhr-1 (che piace anche agli egiziani)
Da analisidifesa.it del 19 maggio 2021

Di Maurizio Sparacino

La società russa JSC Kalashnikov Concern ha completato prima del previsto la fornitura di missili guidati “Vikhr-1” (Codice NATO AT-16 “Scallion”) per le esigenze del Ministero della Difesa russo.

Lo ha dichiarato in una nota il Ministero dell’Industria e del Commercio russo sulla propria pagina web: – «Dal rinnovo del contratto statale firmato nella primavera del 2014 siamo riusciti nel più breve tempo possibile non solo a stabilire una produzione su larga scala di nuovi missili Vikhr-1 ma anche a risolvere il problema [ben più importante] della sostituzione dei componenti importati con quelli domestici» – si legge in una nota di Kalashnikov Concern.

Il missile guidato anticarro a guida laser Vikhr è stato sviluppato dallo Instrument Design Bureau di Tula (acronimo russo: KBP, una sussidiaria dell’High-Precision Weapons holding) a metà degli anni ’80.
Completato nel 1985, non venne mai avviato alla produzione. Negli anni 2000 l’ATGM è stato aggiornato e designato come Vikhr-1 mantenendo il nome in codice NATO.
La produzione in serie del missile 9A1472 Vikhr effettuata dalla Concern Kalashnikov è stata intralciata da diversi problemi tecnici emersi nei collaudi di Stato e che furono risolti entro la fine del 2015. In ottobre dello stesso anno il Ministero della Difesa russo ricevette il primo lotto a seguito del contratto siglato nel luglio del 2013 del valore di 13 miliardi di rubli per ben 6.000 missili.
Il missile a guida laser Vikhr-1 è progettato per distruggere veicoli corazzati, fortificazioni ma a che bersagli aerei a bassa velocità.

La gittata massima è di 8 chilometri ma secondo quanto dichiarato dal CEO di Kalashnikov, Dmitry Tarasov, allo scorso Forum Army-2020 (https://militaryleak.com/2020/08/23/kalashnikov-group-unveils-new-guidedmissile-at-army-2020-forum/), l’azienda era al lavoro sull’estensione della portata fino a 10 chilometri.
Il missile può essere lanciato da una quota fino a 4.000 metri e il suo vettore principale è l’elicottero da ricognizione e attacco Kamov Ka-52. Non a caso, secondo numerosi fonti del settore, Il Cairo sarebbe stato il primo cliente straniero del missile destinato ad armare i 46 elicotteri Ka-52 egiziani.

Foto JSC Kalashnikov Concern

 

Missili di nuova generazione | l' Europa deve accelerare o dipenderà ancora dagli Usa
Da panorama.it del 19 maggio 2021

«La minaccia delle armi ipersoniche è una realtà, e uno tra i driver principali delle tecnologie che ci ...

Missili di nuova generazione, l'Europa deve accelerare o dipenderà ancora dagli Usa (Di mercoledì 19 maggio 2021)

«La minaccia delle armi ipersoniche è una realtà, e uno tra i driver principali delle tecnologie che ci interessano come industria Missilistica. Si parla di tecnologie legate alla motoristica, all'aerodinamica, ai sensori e ai datalink, e in tutte queste specializzazioni la digitalizzazione ha un ruolo fondamentale». Sono parole di Lorenzo Mariani, amministratore delegato di Mbda Italia, intervenuto al seminario "Intelligence e difesa: la digitalizzazione delle operazioni militari" svoltosi il 18 maggio nel quadro della Intelligence Week. Il manager ha spiegato: "Nessun Paese o industria ha le capacità o la forza economica per affrontare le nuove tecnologie: la collaborazione, soprattutto a livello europeo, rappresenta un elemento fondamentale, e il Fondo europeo per la difesa giocherà un ruolo molto importante".

Certamente per Mbda i Missili sono il ...

 

Forte Puin, il bando del Comune di Genova per la concessione gratuita: le info
Da mentelocale.it del 18 maggio 2021

Ristrutturare, aprire al pubblico e rendere punto di riferimento per il tempo libero (eventi sportivi e manifestazioni) Forte Puin, uno degli edifici meglio conservati all'interno del complesso sistema del parco delle Mura. Si tratta del primo dei forti fuori le Mura che si incontrano dirigendosi verso nord, dopo essersi lasciati alle spalle Forte Sperone, che in passato rappresentava il limite nord della cinta muraria a protezione della città di Genova. È questo obbiettivo del bando pubblicato dal Comune di Genova e aperto fino al 31 maggio 2021, destinato a enti del terzo settore. L'amministrazione ha indetto una selezione a evidenza pubblica per l'affidamento in concessione di valorizzazione, a titolo gratuito, del forte sito in via delle Baracche per 9 anni.

Per la rinascita dei Forti di Genova si attendono i 70 milioni del Recovery Fund, con Forte Puin tra le strutture che si intendono valorizzare. Ma anche un impegno non da poco per chi dovesse aggiudicarsene la gestione. Il complesso ha una superficie di circa 520 metri quadri, con una torre centrale a pianta rettangolare a due piani. Quasi 400 metri quadri sono di aree esterne, e l'immobile è soggetto a vincolo paesaggistico.
La finalità del bando comunale è l'individuazione di un soggetto (o di un gruppo di soggetti) che, intervenendo nel processo di valorizzazione del Forte Puin, sviluppi iniziative socio-ricreative, culturali, ludiche e momenti conviviali finalizzate al potenziamento dell’offerta turistico-culturale ed alla messa a rete delle fortificazioni genovesi, nell’ottica di favorire la valorizzazione territoriale delle risorse culturali e paesaggistiche, nonché promuovere la mobilità dolce e il turismo sostenibile e supporto del camminatore, pellegrino e ciclista nella fruizione dei cammini e dei percorsi all’interno del Parco delle Mura.

In ragione della particolare finalità del presente bando, il concessionario dovrà garantire la massima fruibilità pubblica del bene, consentendo l’accesso ai visitatori nei weekend e nei giorni festivi per un minimo di 7 mesi all’anno. Al concessionario, però, a fronte della gratuità della concessione, farà capo, oltre alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei locali e dell’area prativa, un ulteriore eventuale intervento sugli impianti.
In particolare, il concessionario deve garantire, a proprie spese come indicato nel bando, l'esecuzione delle seguenti opere minime di manutenzione del complesso immobiliare: allaccio rete elettrica e installazione di interruttore differenziale magnetotermico; revisione ed adeguamento impianto elettrico interno; ripristino serramenti esterni; risanamento intonaci deteriorati e tinteggiature interne; sistemazione parapetti area esterna; allaccio a rete idrica e/o approvvigionamento acqua con altre soluzioni; ripristino funzionalità servizi igienici; sfalcio delle aree prative e la ripulitura dell’area dai rifiuti.

 

Pulizia di Ca’ Roman raccolti 170 sacchi
Da nuovavenezia.it del 18 maggio 2021

CHIOGGIA

Centosettanta sacchi di immondizia. Questo il bottino della pulizia straordinaria dell’arenile di Ca’ Roman, organizzata dall’associazione Amico Giardiniere in collaborazione con la Lipu. Gli oltre 100 volontari, arrivati anche da Padova (associazione Retake) e Venezia (Venice calls), si sono dati appuntamenti in piazza Vigo e da lì con barche private, il vaporetto e il bragozzo Ulisse si sono portati a Ca’ Roman. Chi lo desiderava poteva godere di una visita guidata all’oasi e alle sue bellezze nascoste. «Un grazie a tutti i volontari e agli sponsor», spiega Francisco Panteghini di Amico Giardiniere, «siamo attivi dal 2013 con pulizie periodiche a tutela dell’ambiente. Prossimo appuntamento il 20 giugno per pulire i dintorni del Forte san Felice». —

 

Le spie dell’etere ovvero il SIGINT
Da difesaonline.it del 17 maggio 2021

In qualunque parte del mondo, quando si sente parlare di servizi segreti, il pensiero corre istintivamente alla CIA (Central Intelligence Agency) con i suoi 20 mila agenti sparsi in tutto il mondo e un bilancio, sempre in crescita, di circa 15 miliardi di dollari.
Il vero gigante americano dello spionaggio, di fronte al quale anche la CIA scompare, è il Servizio Nazionale per la Sicurezza o NSA (National Security Agency) che impiega circa 60 mila dipendenti ed ha un bilancio, si suppone, di oltre 45 miliardi di dollari.

Della NSA si parla poco persino negli Stati Uniti, ove solo due/tre persone su mille ne hanno sentito vagamente parlare rispetto alla più nota CIA; a sottolineare la segretezza dell’organizzazione anche coloro che ne fanno parte, scherzosamente, dicono che NSA stia per “Never Say Anything”.
Il suo quartier generale si trova in Maryland, nel forte “George Gordon Meade” dal nome del generale comandante delle truppe nordiste vincitore della battaglia di Gettysburg contro i sudisti del più famoso Robert Edward Lee (3 luglio 1863).
Eccezionali misure di sicurezza lo proteggono esternamente ed internamente; non si contano i recinti con reti metalliche elettrificate o le barriere elettroniche che anche all’interno separano una zona dall’altra. Tutto il personale, schedato fino ai parenti di terzo grado, porta un cartellino di diverso colore che indica il livello di segretezza e le aree cui può accedere. Dei circa 60 mila dipendenti oltre 40 mila lavorano sparsi per il mondo da Okinawa, nell’omonima isola giapponese sul Pacifico, a Brindisi, da Sabana (Repubblica Dominicana) a Ediral in Scozia.

Il loro lavoro consiste nell’intercettare comunicazioni di ogni tipo (militari, diplomatiche, industriali, politiche...), infrangere i codici con i quali esse sono spesso cifrate, inviare i testi in chiaro a Fort Meade; ogni giorno arrivano alla NSA oltre seicentomila conversazioni intercettate che, se stampate su carta, equivarrebbero a 50 tonnellate di messaggi da esaminare!

Per fare un esempio, la NSA sapeva giorno per giorno in che luogo si trovasse ogni alto esponente dell’Unione Sovietica e conosceva i nomi di tutti i piloti militari russi distaccati nei reparti operativi in Europa e in Estremo Oriente, i loro nominativi radio, il numero distintivo scritto sul fianco dei velivoli. La NSA conosce l’esatta posizione di ogni sommergibile nucleare, di tutte le località della Russia in cui sono installati missili intercontinentali, l’ubicazione di ogni unità fino a livello battaglione, i nomi dei comandanti, le frequenze radio utilizzate per collegarsi in operazioni...

L’intercettazione e la goniometria delle emissioni elettromagnetiche consente alla NSA di conoscere con esattezza l’intero schieramento della difesa aerea russa, le tecniche d’ingaggio dei caccia intercettori, i loro tempi di intervento e valutarne così la prontezza operativa. Dalla NSA sono stati condotti degli studi per registrare il timbro di voce nel corso delle trasmissioni radio dei piloti russi e poterli riconoscere uno per uno pur nell’intrecciarsi dei messaggi dei vari controllori radio in volo. Questa è solo una parte delle sorprendenti attività SIGINT*/COMINT* della National Security Agency. Eppure gli statunitensi nella prima metà del ‘900 non eccellevano nelle intercettazioni e nella decrittazione dei codici di cifratura. Tutta colpa del loro puritanesimo grazie al quale nel 1929 un sottosegretario alla Difesa, Henry L. Stimson, colto da scrupoli, aveva stabilito che “i gentiluomini non leggono di nascosto la corrispondenza degli altri” e pertanto aveva soppresso quella che allora si chiamava la “camera nera”, un faticoso tentativo iniziato nel corso della 1^ Guerra Mondiale di creare un Servizio di Spionaggio delle Comunicazioni che era stato chiamato SIS (Secret Intelligence Service).

Si dovette arrivare al disastro di Pearl Harbor per dare la sveglia a quel puritanesimo vecchio stampo: l’episodio di quell’operatore statunitense che alle 07.03 del 7 dicembre 1941 vede sullo schermo del proprio radar una grande quantità di echi di aerei ma non dà l’allarme ritenendo che si tratti di velivoli amici al rientro da una esercitazione, è emblematico dell’approssimazione e della confusione che esisteva allora nel settore. È ben vero che durante la pianificazione e lo svolgimento dell’attacco gli alti comandi nipponici si scambiarono solo messaggi scritti, portati a mano, ma è pur vero che ci furono una serie di incredibili e imperdonabili trascuratezze del personale statunitense. I giapponesi avevano stabilito che l’attacco di sorpresa contro la flotta americana a Pearl Harbor sarebbe dovuto iniziare esattamente nel momento in cui il loro ambasciatore a Washington avrebbe consegnato al Dipartimento di Stato USA una nota contenente la rottura delle relazioni diplomatiche (07.55 del 7 dicembre 1941: ora di Pearl Harbor corrispondente alla 14.55 di Washington).
Il messaggio, considerati i tempi necessari per decrittarlo e per spostarsi dall’ambasciata giapponese alla sede del Dipartimento di Stato, fu fatto partire da Tokio esattamente 24 ore prima e fu fortunosamente intercettato dagli americani che, altrettanto fortunosamente, erano in possesso del codice “Purple” per decifrarlo. Purtroppo chi avrebbe dovuto farlo e portarne il testo in chiaro alle massime autorità politiche impiegò un tempo eccessivo cosicché la notizia arrivò a chi di dovere quando ormai era troppo tardi. È altresì vero che la rottura delle relazioni diplomatiche non era la dichiarazione di guerra ma sarebbe potuta servire da pre - allarme evitando che l’attacco giapponese assumesse proporzioni cosi disastrose come di fatto avvenne. Fu proprio lo smacco di quell’immane disastro navale e la constatazione della precaria situazione in cui si trovava l’intero settore COMINT che spinse le autorità statunitensi ad una globale revisione del servizio; subito dopo Pearl Harbor fu riattivata nell’ambito del SIS quella branca speciale che si occupava di intercettazioni, decrittazioni, analisi e valutazione delle comunicazioni.

Fu però a guerra ormai finita che il presidente Harry S.Truman (foto) si decise a creare una agenzia centralizzata che riunisse le varie organizzazioni militari che in ordine sparso si occupavano dello stesso problema, cui fu dato il nome di NSA: era il 4 novembre 1952. Non ci furono inaugurazioni né allora né dopo; tutto doveva essere top secret e in nessun documento ufficiale doveva risultare l’esistenza di questo nuovo Ente. Oggi sappiamo che il compito di questa agenzia è quello di intercettare le comunicazioni straniere e nazionali di qualsiasi tipo (telefoniche, telegrafiche, dati, emissioni radar, ecc), di decrittare i messaggi cifrati intercettati, analizzare e valutare il contenuto del traffico ai fini politici, militari o industriali. L’agenzia deve per contro proteggere le comunicazioni militari, diplomatiche e civili del governo USA prendendo tutti i provvedimenti necessari a impedire che un potenziale avversario possa conoscere i contenuti dei messaggi trasmessi da enti governativi statunitensi. Eppure, in quella continua lotta tra la spada e lo scudo, i sovietici cercarono di penetrare la NSA già dai primi anni della sua nascita; è stato l’obiettivo prioritario di tutti i tentativi di infiltrazione e malgrado le munitissime barriere di sicurezza e i ferrei criteri di selezione del personale, riuscirono ugualmente a infrangere l’impenetrabilità del segretissimo tempio della crittografia avversaria individuando, proprio tra il selezionatissimo personale, il solito punto debole: la corruttibilità di qualche infedele dipendente. Jack Edward Dunlap era un sergente dei marines che lavorava presso il quartier generale della NSA e aveva l’apparente modesto compito di fare lo svuotamento dei cestini della carta nei vari uffici (appunti, minute di lettere, documenti classificati scaduti, carta carbone usata ecc.) e bruciarli in un apposito inceneritore. Un giorno, nel corso della prova della macchina della verità a cui periodicamente venivano sottoposti tutti i dipendenti dell’agenzia, gli esperti addetti segnalarono qualche anomalia nel suo comportamento.
Messo sotto osservazione, si scopri che Dunlap (che effettivamente era stato agganciato diversi mesi prima dall’addetto aeronautico sovietico a Washington) dopo aver svuotato i cestini della carta dentro gli appositi sacchi che venivano portati all’inceneritore, ogni sera sceglieva qualche documento che gli sembrava importante e se lo portava di nascosto a casa. Periodicamente poi fu visto incontrarsi con l’addetto militare aeronautico sovietico cui consegnava una borsa piena di documenti trafugati. Successivi controlli misero in luce che il sergente possedeva una lussuosa Cadillac, aveva il vizio di scommettere alle corse dei cavalli e doveva soddisfare anche diversi costosi capricci della moglie. Accortosi di essere controllato e resosi conto che ormai stavano per arrestarlo, si suicidò, all’interno della sua Cadillac, il 23 luglio 1963.
Tornando al nostro filone principale, l’intercettazione e decrittazione dei messaggi è compito tutt’altro che facile; il settore delle macchine cifranti e dei codici segreti è in rapida costante evoluzione. Le moderne apparecchiature cifranti sono tutte costruite sulla base di programmi matematici studiati per uno specifico calcolatore elettronico. Tali programmi prevedono un numero così grande di combinazioni di numeri e lettere dell’alfabeto che anche avendo a disposizione migliaia di messaggi provenienti dalla stessa cifrante occorrerebbe uno stuolo di analisti che dovrebbero lavorare centinaia di anni per decrittare un solo messaggio cifrato con tale sistema.
E anche se gli analisti riuscissero a decrittare un messaggio, non è detto che il sistema scoperto sia valido per decrittare il messaggio successivo, seppur generato dalla stessa macchina, perché le formule matematiche sono studiate per rendere sempre più difficile il lavoro dei decrittatori. Ma non tutto il materiale COMINT consiste in messaggi cifrati; la maggior parte delle attività intercettate dalla NSA sono semplici comunicazioni verbali trasmesse via radio (ad esempio quelle terra-bordo-terra tra i piloti di aerei militari e i vari controllori del traffico aereo) oppure le comunicazioni telefoniche trasmesse via cavo o ponte radio. Ogni giorno i traduttori della NSA trasformano in inglese registrazioni in 50 lingue diverse; non esiste al mondo un centro traduttori così grande.

Prima dell’avvento dei computer, quando si voleva decrittare un messaggio, si cercava di localizzare quei gruppi di lettere o cifre che nel testo ricorrevano con costanza o corrispondevano a parole standard specie nelle comunicazioni tra comandi militari: ad esempio il gruppo data-orario, il fuso orario, frasi fatte tipo “con riferimento a...”, “per conoscenza…”, “Si trasmette in allegato...” ecc.; in altre parole si cercava di ricostruire il codice nemico partendo da lettere cifrate che corrispondevano a parole di cui si conosceva sicuramente il significato. Ora tutte queste operazioni di raffronto vengono fatte autonomamente dai calcolatori con velocità inimmaginabili per il cervello umano; già dal 1976 la NSA fu in grado di introdurre in servizio un cervello elettronico che fu battezzato “CRAY-1” (foto): a similitudine del cervello umano il sistema era suddiviso in due lobi, due super computer che furono chiamati rispettivamente “Carillon” e “Loadstone”. “Carillon” consisteva a sua volta di quattro enormi calcolatori IBM 3033 interconnessi tra loro e collegati a stampanti capaci di battere 22.000 linee al minuto; “Loadstone”, per contro, era in grado di “processare” 320 milioni di parole al secondo effettuando fino a 200 milioni di calcoli al secondo. Per dare una idea delle capacità di questo sistema si può dire che esso era in grado di elaborare il numero di parole contenute in 2500 libri da 300 pagine cadauno nel tempo che un essere umano impiegava a leggere il titolo di uno solo ditali libri!
Anche la Russia - e già prima L’Unione Sovietica - ha avuto ed ha una organizzazione simile alla NSA statunitense, sicuramente inferiore dal punto di vista qualitativo ma certamente non sotto il profilo quantitativo.

La centrale della organizzazione COMINT russa si trova nella regione di Mosca in un sito sotterraneo super segreto e super protetto, dove giornalmente arrivano milioni di conversazioni e di messaggi in tutte le lingue, equivalenti, qualora stampati, a centinaia di tonnellate di trascrizioni. Per quanto attiene, in particolare, alle intercettazioni telefoniche all’interno della Russia i servizi segreti, non avendo alcun problema di carattere giuridico ed etico, possono svolgere liberamente tutte quelle attività che tanto scandalo provocherebbero nel mondo occidentale come di fatto avvenuto e continuamente avviene.
Invece le intercettazioni delle comunicazioni all’estero arrivano oltre che dai satelliti, dagli aerei spia o dai finti pescherecci COMINT, dalle ambasciate, dai consolati e da altre fonti; una di queste e la ITAR- TASS (Informacionnoe Telegrafnoe Agentstvo Rossii ), erede della sovietica TASS attiva fino al 1992 e fondata nel 1925 come fusione di diverse agenzie russe e di altri paesi un tempo parte dell’impero zarista, con uffici in un centinaio di capitali e di grandi città in tutto il mondo.
Più di una volta corrispondenti della TASS sono stati accusati di spionaggio. La lista dei casi dagli anni ‘90 ad oggi è lunghissima: il fatto più significativo resta la constatazione, verificata da esperti, secondo la quale il numero di parole dei comunicati stampa emessi dalla TASS è infinitamente inferiore al numero di parole trasmesse alla sede di Mosca dai vari corrispondenti dell’agenzia sparsi in tutto il globo!
La considerazione finale è che ormai lo spionaggio elettronico, l’intelligence volta a carpire al competitore quanto più possibile, è giunto a permeare ogni strato sociale in ogni settore: tutto concorre a cercare di mantenere il passo, a non rimanere indietro.
Siamo nell’epoca degli aerei invisibili, dei satelliti che tutto vedono, sentono e fotografano; le guerre prima che sul campo di battaglia sono già decise in anticipo sulla base delle disponibilità dei mezzi tecnologici. Concludo dedicando questo articolo a tutti coloro che negli anni hanno prestato servizio nell’8° battaglione ricerca elettronica “Tonale” (del quale ho avuto l’onore e il privilegio di essere stato comandante), unica unità SIGINT/COMINT del nostro Esercito, allora inquadrata nel Centro Informazioni e Difesa Elettronica in Anzio, oggi disciolta e le cui funzioni sono state in parte assorbite dai nostri Servizi di Informazioni; professionisti preparati e riservati che in sede o nei distaccamenti sparsi lungo tutta la penisola e le isole maggiori, hanno svolto per anni un delicato e, per i più, oscuro lavoro.

* SIGINT: acronimo di SIGnal INTelligence, è l’attività di raccolta informazioni mediante l’intercettazione e l’analisi di segnali elettromagnetici di qualunque tipo. In particolare, la branca COMINT si occupa specificamente di spionaggio delle comunicazioni.

 

I tunnel: l’arma strategica di Hamas
Da difesaonline.it del 17 maggio 2021

Di Tiziano Ciocchetti

La scorsa settimana le IDF avevano annunciato, alla stampa internazionale, l’imminente inizio di un massiccio attacco terrestre contro la Striscia di Gaza. Dopo poche ore si è cominciato a capire che si trattava solamente di disinformazione (concetto della cd "Guerra Ibrida"), finalizzata ad obbligare i miliziani di Hamas a rifugiarsi nei tunnel. Una volta sottoterra i caccia con la stella di david hanno cominciato a bombardarli - utilizzando ordigni anti-bunker come le GBU-28 da 2.200 kg - uccidendo così diversi miliziani.

La rete di tunnel costruita da Hamas trae ispirazione da quella realizzata dagli Hezbollah, nel Libano del sud. Grazie all’aiuto degli iraniani (ma sembrerebbe che anche i nord coreani abbiano dato sostegno) il Partito di Dio sciita è stato uno dei pionieri nella costruzione dei rifugi sottoterra, creando (dopo il ritiro delle forze israeliane nel 2000) qualcosa come oltre 500 gallerie.
Si tratta di cunicoli ben mimetizzati, dai quali i miliziani di Hamas sono in grado di lanciare i razzi guidati (grazie alle tecnologie fornite da Teheran) contro il territorio dello Stato d’Israele. Tali ordigni sono nascosti in luoghi dall’apparenza normali, come un campo coltivato oppure una stalla per animali.

Grazie al massiccio sostegno iraniano è aumentata anche la sofisticazione: alcuni tunnel hanno portelli automatici che si possono aprire a tempo, limitando così il tempo di esposizione al fuoco nemico. Nel corso del conflitto del 2006 (Operazione Piogge Estive), gruppi di miliziani pesantemente armati hanno messo in seria difficoltà l’apparato militare israeliano. I miliziani uscivano dai tunnel, all’improvviso, tendendo agguati alla componente corazzata delle IDF con sistemi anticarro moderni, come i Kornet e i lanciarazzi Rpg-29. Infatti, molti MBT e IFV vennero distrutti oppure seriamente danneggiati.

Subito dopo la fine delle operazioni, Hamas estese ulteriormente il dedalo di tunnel, trasformandoli in una vera e propria arma strategica. Per rimediare a questo l’Aviazione israeliana, nel 2009, cominciò a ricevere le bombe anti-bunker a guida laser GBU-28 e GBU-37, ma anche gli ordigni di produzione nazionale MPR-500 da 227 kg. Inoltre nell’ottobre scorso, al Congresso, è stato presentato un disegno di legge per la vendita a Israele delle nuove bombe bunker-buster MOP (Massive Ordnance Penetretor) GBU-57 A/B, a guida GPS. Del peso di 14.000 kg (l’unico velivolo in dotazione all’Aviazione israeliana in grado di trasportarle è il C-130J), sarebbero in grado di penetrare fino a 60 metri di terreno o 18 metri di cemento.

Ha scritto Michael Barak, sul sito dell’International Institute for Counter-terrorism, che i tunnel offrirebbero 4 vantaggi: garantiscono un’azione occulta, al fine di un raid in territorio nemico oppure per tendere un’imboscata; sono una ottima via di fuga; proteggono dalla reazione israeliana; permettono di limitare le perdite. Tuttavia, per ciò che concerne l’utilità in fase difensiva, le IDF hanno imparato le lezioni apprese nelle precedenti operazioni. Infatti evitano di utilizzare i pesanti MBT (come il Merkava Mk-4) come apripista, privilegiando l’utilizzo di piccoli distaccamenti di incursori, equipaggiati con sensori sismografici in grado di rilevare la presenza dei tunnel. Una volta individuati, gli operatori JTAC (Joint Terminal Attack Controller) guidano gli aerei verso gli obiettivi.

 

Dufour: l'ingegnere che mantenne unita la Svizzera
Da leganerd.com del 17 maggio 2021

La Guerra del Sonderbund è stato l'ultimo vero conflitto combattuto sul suolo elvetico, una guerra civile vinta da... un ingegnere.

Di Lorenzo Ippolito

La Svizzera è una nazione talmente atipica rispetto al contesto geografico e politico che la circonda da ispirare spesso una naturale curiosità. Va da sé che tale condizione ha portato nel tempo ad una forte stereotipizzazione del modo in cui gli stranieri immaginano la Confederazione Elvetica. Chi dice “Svizzera” pensa spesso a immagini come montagne innevate, prati verdeggianti, orologi, cioccolato, etc. Al di là del sentire comune, è un dato di fatto che questo Paese ad oggi risulta essere uno dei più evoluti dal punto di vista democratico, economico e sociale. La politica neutrale ha inoltre garantito un lungo periodo di pace alla nazione, periodo che può dirsi iniziato con la conclusione della Guerra del Sonderbund, ultimo vero conflitto combattuto in suolo svizzero.
Qualche lettore potrà stupirsi nell’apprendere che si trattò di una vera e propria guerra civile e che venne vinta da… un ingegnere. Ed è proprio dell’ingegnere, generale e cofondatore della Croce Rossa Guillaume Henri Dufour di cui parleremo in questo articolo, analizzando anche il periodo storico in cui visse.

La formazione ingegneristica e militare

Guillaume Henri Dufour nacque a Costanza nel 1787 da genitori ginevrini. Quando aveva solo due anni, tutta la famiglia tornò a vivere a Ginevra. Da adolescente il giovane Guillaume si dimostra uno scolaro non particolarmente brillante ma con la passione per il disegno. Col tempo comincia però ad interessarsi alla matematica e alla fisica, quindi studia prima all’Ecole polytechnique di Parigi e poi all’École supérieure d’application du génie di Metz. È qui che apprende le nozioni che lo formeranno come ingegnere civile. In questo periodo Ginevra fa parte della Francia, quindi nel 1811 decide di arruolarsi nell’esercito francese.
Diventa ufficiale del Genio nell’esercito napoleonico, specializzandosi nella costruzione di fortificazioni (che vengono tutt’oggi chiamate “fortificazioni Dufour”)

Nel 1815 Ginevra entra a far parte della Confederazione Elvetica costituendo il cantone omonimo. Dufour diventerà a tutti gli effetti svizzero solo un anno dopo. Durante il servizio nell’esercito di Napoleone, Dufour ottiene una solida formazione militare, a tal punto che nel 1819 è tra i fondatori della prima scuola militare federale di Thun, diventandone anche il direttore.
Fra i molti ufficiali che si formeranno nella scuola di Thun ci sarà anche il nipote di Napoleone Bonaparte, colui che sarebbe diventato Napoleone III e di cui Dufour sarà insegnante. In questo periodo si fa largo nel suo animo lo spirito di appartenenza alla Confederazione. Inizia ad impegnarsi per la creazione di un esercito nazionale, dotato di un’unica uniforme e una sola bandiera, risultato che otterrà solo molti anni dopo. In quel periodo infatti ogni cantone possedeva la propria milizia, ognuno con la propria bandiera cantonale.

Le strategie militari di Dufour si basano su un principio particolare per un uomo che si occupa della cosiddetta “arte della guerra”. Egli era infatti convinto che per vincere un conflitto fosse necessario esibire la propria forza militare al fine però di non doverla poi utilizzare: secondo Dufour lo scopo finale di un conflitto non è l’annientamento del nemico, bensì il costringerlo a porsi sulla difensiva, fino ad indurlo alla resa.

In qualità di ingegnere civile, Dufour si rivela essere un vero e proprio visionario. Realizza molte opere all’avanguardia e si specializza soprattutto nella costruzione di ponti. Il ponte pedonale di Saint-Antoine, dotato di una struttura sospesa e permanente, diventa il primo in Europa. Realizzato nel 1823, esso era costituito da due campate di ben 40 metri l’una. Partecipa anche attivamente allo sviluppo della ferrovia nella tratta Lione-Ginevra.

L’inizio dei tumulti in Svizzera

Nel 1830 a Parigi scoppiano insurrezioni contro il potere monarchico. Il vento rivoluzionario si diffonde anche in Svizzera, a tal punto che molti cantoni decidono di adottare una Costituzione cantonale di tipo liberale. Guidati da James Fazy, i radicali di Ginevra si battono per vedere istaurata la democrazia.
Dufour è un volto ormai noto anche nel panorama politico grazie ai continui e innovativi progetti di rinnovamento urbano che propone per la città, in qualità di responsabile dell’urbanistica e delle fortificazioni di Ginevra. Una volta scoppiate le rivolte, il governo conservatore chiede a Dufour di sedarle mediante l’esercito. Egli è contrario ad un’azione militare, ma comprende che l’alternativa è lasciare la città nell’anarchia. Dufour chiede che si negozi con le forze radicali, ma alla fine Ginevra cade in mano ai rivoluzionari.
In seguito a tali eventi la classe politica subisce un rinnovamento, rendendo il cantone di fatto liberale. La popolarità di Dufour diminuisce in quanto considerato legato all’azione repressiva intrapresa dal governo in carica all’epoca.

La creazione della Carte Dufour

Dufour decide di ritirarsi dall’ambiente politico, tornando a dedicarsi alla professione che più lo appassiona, l’ingegneria. È in questo momento della propria vita che inizia ad impegnarsi ad un progetto molto ambizioso: la redazione della prima carta topografica della Svizzera, la Carte Dufour, basata su misurazioni di precisione ed in scala 1:100.000.
Riesce a convincere i cantoni che una simile mappa è importante anche ai fini militari, ottenendo i finanziamenti necessari. La realizzazione non sarà comunque facile: Dufour in persona ed i suoi collaboratori gireranno la Svizzera effettuando misurazioni topografiche nei posti più impervi della nazione. Quando i finanziamenti cantonali finiscono, Dufour dimostra di credere così tanto nel progetto da decidere di pagare di tasca propria il suo personale. L’opera che otterrà sarà d’esempio per tutta l’Europa.
Dufour divenne inoltre il fondatore e primo direttore dell’Ufficio topografico federale, che fondò a Ginevra nel 1838. In onore dell’impresa realizzata dall’ingegnere, la vetta più alta della Svizzera venne ribattezzata Punta Dufour.

Gli scontri fra conservatori e liberali

Nel frattempo, in questo periodo fa la sua ascesa Josef Leu, un lucernese di umili origini che pian piano assumerà la guida dei conservatori di stampo cattolico. Il successo è tale che nel 1841 a Lucerna viene addirittura accettata una Costituzione che concede il diritto di voto ai soli cattolici. In tutta risposta il governo di stampo liberale di Argovia fa chiudere tutti i conventi accusando monaci e suore di istigare la popolazione contro l’ordine statale. Queste categorie ecclesiastiche vengono cacciate, obbligando la Dieta (la massima autorità federale, costituita dai rappresentanti dei cantoni) ad intervenire sulla questione. Viene presa la decisione di riaprire almeno i conventi ospitanti le suore. I lucernesi da parte loro fanno insegnare nelle loro scuole i gesuiti, incontrando il parere contrario dei liberali.

Nel 1844 un insieme di bande armate illegali di liberali, i cosiddetti Corpi Franchi guidati da Ulrich Ochsenbein, danno il via ad una serie di attacchi ai cantoni cattolici della Svizzera centrale, seguiti da scontri violenti. Viene persino condotto un vero proprio raid su Lucerna che fallirà, causando attorno ai 120 morti. All’innalzamento della tensione contribuisce la perdita della guida dei conservatori:Leu viene assassinato nel pieno della notte da un contadino cattolico indigente che spera di ottenere una ricompensa dai liberali, ottenendo solo l’impiccagione. I conservatori hanno ora il loro martire. È ormai evidente a tutti che la situazione sta precipitando. Sebbene si possa essere portati a pensare che le problematiche nascenti in questo periodo siano dovute a questioni di natura religiosa, la realtà è che i conflitti risultano essere intrisi da ideali di natura fondamentalmente politica: i liberali desiderano un forte governo centrale con una Costituzione nazionale, i conservatori vogliono invece una maggiore indipendenza cantonale. Sotto questo aspetto, i motivi dello scontro che ne seguirà ricordano in parte quelli della guerra di secessione americana.

La nascita del Sonderbund

Constantin Siegwart-Müller succede a Leu nella guida dei conservatori. Viene quindi fondata un’alleanza segreta fra 8 cantoni cattolici (ovvero Uri, Svitto, Lucerna, Nidvaldo, Obvaldo, Zugo, Vallese e Friburgo), il Sonderbund (traducibile dal tedesco con l’espressione “lega separata“). La segretezza dura però molto poco e la notizia arriva alle orecchie della Dieta, presieduta ora da Ochsenbein. Viene richiesto lo scioglimento immediato del Sonderbund ma i conservatori ricordano che nessun patto federale ne vieta l’esistenza. La Dieta vota una mozione per lo scioglimento della coalizione, approvata dalla maggioranza dei cantoni ma respinta dai cantoni separatisti. Nonostante i tentativi diplomatici, i cantoni del Sonderbund si armano in vista dell’ormai imminente guerra civile, appoggiati (almeno sulla carta) dai sovrani europei cattolici.
La Dieta è costretta a reagire, nominando Dufour generale in capo dell’esercito. Sebbene contrario al conflitto, Dufour accetta l’incarico in ottemperanza dei propri doveri di soldato. Pone però alcune condizioni: vuole poter scegliere liberamente gli ufficiali, basando tale scelta sulle capacità militari e non sulla confessione religiosa; chiede inoltre che gli venga lasciata carta bianca sull’organizzazione delle truppe e sulle strategie di guerra da adottare, rendendo chiaro sin da subito che ogni sua azione militare sarà volta a garantire il minimo dispendio di vite umane, anche nell’ottica che l’imminente conflitto sarà combattuto fra cittadini della medesima Patria.

L’inizio della guerra civile

Vi chiedo di servire la Patria anche al costo del vostro sangue. Sopporterete pazientemente la fame e il freddo. Il Paese vi sta chiedendo di fare delle vittime, ma io metto sotto la vostra protezione i bambini, le donne, i vecchi, i rappresentanti del clero. Chi alza la mano su degli esseri indifesi si disonora e tradisce la sua bandiera e sarà severamente punito. Dagli ordini del Gen. Dufour all’esercito federale

È bene ricordare che l’esercito di Dufour non è un esercito “di fazione”: è infatti costituito da protestanti e cattolici, radicali e liberali, tutti uniti per la medesima causa, ovvero il mantenimento dell’unità nazionale in contrasto con l’azione separatrice intrapresa dal Sonderbund. Sarà questa la prima vera occasione in cui l’esercito svizzero adotterà la croce bianca su sfondo rosso come bandiera di riferimento.
La prima fase di quella che verrà poi ricordata come Guerra del Sonderbund, è caratterizzata da alcune vittorie dei cantoni conservatori. Per far fronte a tale situazione, Dufour attua una strategia molto semplice.
Considerando che i cantoni costituenti il Sonderbund sono geograficamente collegati fra loro ad esclusione del canton Friburgo, il generale decide di far partire l’attacco proprio da quest’ultimo cantone, nella speranza di indebolire l’alleanza nemica.

La campagna di Friburgo

Le truppe della Dieta, forti di venticinquemila soldati, vengono posizionate attorno alla città di Friburgo, in attesa dell’ordine di attaccare, mentre le forze friburghesi sono in minoranza, contando solo quindicimila uomini.
Dal proprio quartier generale, Dufour non si esime dal minacciare i propri generali di mandarli alla corte marziale nel caso decidessero di far partire l’attacco senza il suo consenso. Dufour decide quindi di mandare un messaggero nella città, attraverso il quale rende nota la potenza militare del proprio esercito: fornisce tutti i dati sull’entità delle forze a propria disposizione, numero di uomini e tipo e quantità di armamenti.
I suoi ufficiali rimangono sbigottiti da tale condotta: sanno che in guerra l’effetto sorpresa è fondamentale, rendere note quelle informazioni può permettere al nemico di organizzarsi meglio per far fronte alla battaglia.
Nonostante ciò, Dufour è convinto della validità della propria tattica. Non verrà smentito: dopo qualche giorno di fremente attesa Friburgo si arrende. La città verrà conquistata senza alcun spargimento di sangue, esattamente secondo i piani del generale.

La campagna di Lucerna e la fine della guerra

Nonostante l’importante vittoria ottenuta, Dufour sa che è necessario agire con celerità. Più il tempo passa, maggiore diventa la possibilità del sopraggiungere dei rinforzi a favore del nemico da parte di una potenza cattolica straniera. Il secondo obiettivo è Lucerna. Nei dintorni della città si affronteranno decine di migliaia di soldati, ma l’arrivo dei rinforzi federali permette di concludere velocemente quella che verrà chiamata battaglia di Gisikon. Il 22 novembre 1847 la città di Lucerna si arrende, praticamente senza combattere. I restanti cantoni del Sonderbund depongono uno dopo l’altro le armi. La guerra civile finisce, dopo appena 26 giorni e con un numero di morti che non supera il centinaio. Dufour ha ottenuto il suo scopo, riuscire a vincere la guerra senza impartire una grande ferita alla nazione, cosa che permetterà una riappacificazione più veloce e meno problematica. Siegwart-Müller fugge dalla confederazione con i fondi di guerra del Sonderbund in compagnia di altri capi della coalizione. Essendo stato accusato di alto tradimento, non tornerà mai più in Patria in quanto, nel caso lo facesse, lo attenderebbe la pena di morte.

La nascita dello Stato Federale

Alla fine della guerra viene elaborata una nuova Costituzione nazionale basata su ideali liberali. Con questo passaggio la Svizzera passa dall’essere una Confederazione di Stati ad un vero e proprio Stato Federale (nonostante ancora oggi mantenga il nome ufficiale di “Confederazione Elvetica”). Viene inoltre adottato il suffragio universale maschile e vengono garantite libertà fondamentali come quella di stampa. La bandiera ufficiale della Svizzera diventa quella che tutti conosciamo oggi.

Dufour diventa un vero e proprio eroe nazionale, ammirato non solo in Svizzera ma anche in tutta Europa. La sua effige appare ovunque. Si trova persino costretto a rifiutare alcune manifestazioni di gratitudine eccessivamente apparenti, come il titolo di pacificatore della Svizzera che il Canton Ticino gli vuole conferire, oltre che un grande progetto scultoreo in suo onore.

 

Cofondatore della Croce Rossa

Successivamente Dufour accetterà con entusiasmo la proposta dell’amico Henry Dunant di creare un’organizzazione che si occupa delle vittime di guerra su entrambi i versanti del fronte. Insieme fonderanno la Croce Rossa Svizzera, il cui simbolo prenderà ispirazione della nuova bandiera nazionale, invertendone semplicemente i colori. Da qui nascerà un’organizzazione mondiale, il CICR (Comitato Internazionale della Croce Rossa), di cui Dufour sarà il primo presidente e successivamente presidente onorario. Parteciperà a ben 214 dei 227 incontri della Comitato. Rimase sempre molto legato all’associazione e ne fece parte fino alla sua morte, avvenuta nel 1875.

 

“FORTI CENTRO CADORE” LA BELLA GUIDA AI LUOGHI DELLA GRANDE GUERRA 1915-18
Da radiopiù.net del 16 maggio 2021

di Renato Bona

Dopo aver presentato quelle su Prima linea. Auronzo-Cortina (testi di Antonella Fornari), Prima linea. Col di Lana-Marmolada (testi di Paolo Giacomel e Mario Fornaro) e Seconda linea. Monte- Rite Valle Imperina (testi di Giovanni De Donà e Walter Musizza), concludiamo la rassegna delle guide storico-escursionistiche ai luoghi della Grande Guerra con “Seconda Linea-Forti Centro Cadore” (degli stessi due autori precedenti), parte integrante del cofanetto proposto per il coordinamento generale della Comunità montana Agordina nell’ambito degli interventi di recupero e valorizzazione nei territori del “Parco della Memoria” progetto cofinanziato dall’Unione Europea mediante il fondo di sviluppo regionale iniziativa comunitaria Interreg IIIA Italia-Austria 2000- 2006,

Le quattro guide sono state stampate dalla bellunese tipografia Piave nel settembre di 15 anni fa, nel 2006. Per quanto concerne i Forti del Centro Cadore, lunga, preziosa, documentata ed esaustiva premessa storica che illustra la concezione ed origine della Fortezza Cadore-Maè, con la sottolineatura che: “A 90 anni dalla loro distruzione i forti cadorini costituiscono un’interessante pagina di storia e di archeologia fortificatoria per cui da molte parti sono stati spesso ventilati progetti di valorizzazione e conservazione, se non proprio di recupero e restauro” e che: “Dopo che nell’ultimo decennio del secolo scorso sono stati effettuati interessanti lavori di ripristino delle strutture di Batteria Castello ed è stato avviato con fondi europei un piano di valorizzazione turistica del forte di M. Tudaio, nel 2002 si è assistito all’inaugurazione nel forte di M. Rite del ‘Museo delle nuvole’ concepito da R. Messner all’interno della vecchia struttura militare, riattata e rivisitata con sovrastrutture e materiali non propriamente filologici. Un’iniziativa che dimostra la grande potenzialità di un autentico patrimonio di storia che, ubicato in diversi luoghi, ma sempre abbinato a notevoli attrattive paesaggistiche e naturalistiche, chiede prossimamente solo di essere considerato e sfruttato convenientemente in chiave culturale e turistica”. Seguono le illustrazioni, in altrettanti capitoli, di: “Col Ciampon”, “Batteria di Col Pelos”, “Il forte di Monte Tudaio”, “Forte Monte Ricco”, “Batteria Castello”, “Forte Col Vaccher”, “Anello dei Colli”, “Passo Mauria-“Monte Miaron, “Il forte di Pian dell’Antro”, Vodo-Rifugio G.P. Talamini-Becco di Cuzze (accesso A)”, “Vodo-F.lla Cuzze-Becco di Cuzze (accesso B)” , “Il forte di Monte Rite”. COL CIAMPON (m 1050): le postazioni sul colle, dominante la stretta di Tre Ponti sono raggiungibili attraverso una comoda strada militare, concepita e costruita per il transito dei cannoni. Ritrovo: Laggio di Vigo, piazzale Arena; dislivello 100 metri, durata 3-4 ore per un percorso turistico adatto anche a persone con ridotte capacità motorie. L’uscita può includere anche una visita alla Biblioteca storica cadorina e alle chiese monumentali nazionali: s. Martino, Madonna della Difesa, s. Orsola, s. Margherita, s. Antonio abate, s. Bernardino.

BATTERIA DI COL PELOS (m 861): raggiungibile dopo un chilometro per comoda carrareccia, partendo dalla piazza di Pelos. La postazione, predisposta per ospitare due cannoni, era ritenuta importante per il suo dominio su Tre Ponti, Ponte Nuovo e sull’antica via che da Tre Ponti portava a Lozzo per Col Campion e la Madonna di Loreto, sulla destra del Piave. Ritrovo nella piazza san Bernardino di Pelos, dislivello circa 100 metri, durata 2 ore, escursionismo idoneo anche a persone su carrozzine.

FORTE DI M. TUDAIO (M 2114): i ruderi del grande forte corazzato sono raggiungibili attraverso la strada militare che dal Rio Soandre (m 897) si sviluppa per circa 8,200 chilometri fino alla vetta (m 2114), dalla quale si può godere uno spettacolare panorama sul Centro Cadore e sulla Val Ansiei. Ritrovo a Laggio (m 945) piazzale Arena dal quale si può proseguire in auto fino al posteggio poco oltre Lo chalet “Pino solitario” (m 897): poi si attraversa la Val Ciariè e si prosegue a piedi lungo la strada militare. Dislivello 1217 metri con percorso in costante salita e pendenza media dell’11%; durata:8-9 ore a seconda di cosa si intende visitare lungo la strada e sulla cima; il percorso non è adatto a persone con ridotte capacità motorie.

FORTE MONTE RICCO (m 953): facilmente raggiungibile con amena passeggiata nel bosco. Dal centro di Pieve si scende verso Sottocastello e si imbocca la stradina militare che porta in meno di mezz’ora ai poderosi resti dell’impianto. Suggestiva la visita sul lago sottostante e su tutto il Centro Cadore. Ritrovo in piazza Tiziano di Pieve, dislivello 70 metri circa, durata sulle due ore, nessuna difficoltà.

FORTE COL VACCHER (m 992): facilmente raggiungibile con bella passeggiata nel bosco da Tai lungo la strada aperta alle auto in zona appartata e silente; ritrovo nel piazzale dell’ex stazione ferroviaria; dislivello 150 metri circa, durata 3-4 ore; con digressione di circa un’ora si può salire alla vetta di monte Zucco (1197) dove vi sono i resti di un ricovero militare. ANELLO DEI COLLI: consente di visitare una serie di apprestamenti militari complementari al forte di Col Vidal, realizzati nel 1890-1917 per controllare gli accessi all’Altopiano dei Buoi. Ritrovo in piazza IV novembre di Lozzo all’inizio della strada militare che sale a Pian dei Buoi oppure nella località Bivio Pellegrini, a quota 1820; dislivello 1100 metri, durata 4-5 ore per l’escursione a piedi; punto di riferimento e ristoro: rifugio Cai “Ciareido” a quota 1969.

PASSO MAURIA-MONTE MIARON: l’itinerario parte dal Passo della Mauria e si snoda lungo i tornanti della strada militare che raggiunge dopo 4 chilometri lo spiazzo destinato al posizionamento dei medi calibri; un ulteriore tornante porta alla caserma del Ponte Miaron: panorama mozzafiato dalle Marmarole alle Tre Cime di Lavaredo, dal Tudaio alle Terze e fino verso la Carnia. Ritrovo a Passo Mauria, dislivello 400 metri, durata 3-4 ore. FORTE DI PIAN DELL’ANTRO: si possono visitare i ruderi del forte corazzato, su uno splendido “balcone” proteso verso il Pelmo e l’Antelao; ritrovo alle case Giau di Venas (m 889), dislivello150 metri fino al forte, 450 fino alla caserma di S. Anna, durata un’ora e mezza da Venas; facile passeggiata turistica fino al forte.

VODO-RIFUGIO G.P. TALAMINI-BECCO DI CUZZE (accesso A): la visita consente di percorrere un classico itinerario di aggiramento delle difese italiane alla Chiusa di Venas alla volta di Zoppè e dello Zoldano in un suggestivo ambiente dominato dalla mole maestosa del Pelmo: seguita la carrabile e superato il Talamini (1582) dopo circa un chilometro e mezzo si imbocca la strada che porta a Forcella Cucei (m 1693) e quindi su sentiero per la dorsale del Becco di Cuzze (m 1750) ricca di postazioni, trincee e riservette. Ritrovo in piazza S. Lucia a Vodo, dislivello 900 metri, durata: 4 ore, escursione impegnativa.

VODO-F.LLA CUZZE-BECCO DI CUZZE (accesso B): la visita permette di avvicinarsi ad interessanti opere di difesa realizzate dall’esercito italiano sulla riva destra del Boite nel contesto della famosa ‘Linea gialla’, in ambiente appartato e suggestivo dominato da bellissimi scorsi verso Pelmo e Antelao. Si attraversa il ponte sul Boite (m 828) sotto Vodo e si sale per carrabile a Forcella Cuzze, proseguendo per altri 350 metri in direzione di Malga Ciauta e del sentiero verso Seria (m 1600) da dove parte il tracciato per le 4 postazioni del Becco di Cuzze; dislivello 900 metri, durata 5-6 ore, difficoltà: escursione impegnativa.

FORTE DI MONTE RITE: la visita permette di ammirare l’ultima e più moderna realizzazione della Fortezza Cadore-Maè, in gran parte riconoscibile pur nel contesto della ristrutturazione dell’intera opera per la realizzazione del Museo delle nuvole e dell’Hotel Dolomites. Da Forcella Cibiana si segue la carrabile militare che (pendenza costante massimo 11%) risale le falde del monte Rite toccando Forcella Deona (m 2053) prima di arrivare alla batteria. Dai Fienili La Costa (m 1600) è possibile prendere un bel sentiero nel bosco che sbocca sulla strada presso Forcella Deona. Ritrovo all’albergo Remauro a Forcella Cibiana (m 1536) da dove si può salire alla vetta (m 2183) a piedi o in navetta; dislivello 650 metri, durata: due ore a piedi, facile camminata su carrabile.

 

E sotto il giardino di Villa Necker c’è il bunker degli anni della Guerra fredda
Da ilpiccolo.it del 15 maggio 2021

La rete sotterranea avrebbe dovuto ospitare i soldati in caso di conflitto

Di Pietro Spirito

TRIESTE È una delle ultime testimonianza della Guerra fredda. Sotto Villa Necker si nasconde una rete di sotterranei che negli anni prima della caduta dell’Unione Sovietica e del crollo del Muro di Berlino costituirono il bunker dove in caso di guerra si sarebbe dovuto rifugiare il Comando dell’Esercito. Accanto a un passaggio che dalle cantine conduce all'esterno della villa, fuori, nel grande parco, un cancello immerso nel verde nasconde l'accesso a una galleria di 160 metri che, collegandosi a un grande rifugio antiaereo, in un percorso a semicerchio porta fino a via Bonaparte, un'uscita attualmente murata. Realizzato durante la seconda guerra mondiale, tra gli anni ’50 e ’70 il sotterraneo venne in parte usato come bunker dove trasferire il comando militare italiano in caso di conflitto, e come tale è stato a lungo teatro di esercitazioni fino alla dismissione. Oggi il complesso sotterraneo è chiuso.

Dieci anni fa la sezione Ricerche e studi sulle cavità artificiali del Club alpinistico triestino (Cat) effettuò un'approfondita esplorazione dei sotterranei, pubblicando uno studio a cura di Maurizio Radacich intitolato "Gli ipogei artificiali del parco e della Villa Necker a Trieste". L'entrata del bunker segreto, nel parco della villa, è chiusa da una porta in ferro che dà accesso a uno stanzone - già rifugio antiaereo dei tedeschi durante l’occupazione di Trieste - dove sono ci sono ancora tracce di impianti e suppellettili in uso ai tempi in cui era stato previsto il trasferimento immediato degli uffici del comando militare sottoterra in caso di guerra. Da qui una galleria porta al più ampio tratto concepito e realizzato nel 1944 dal Comune di Trieste come rifugio antiaereo pubblico, parte di quello che doveva essere un collegamento con le gallerie antiaeree dei cantieri, un sotterraneo che avrebbe dovuto unire via Bonaparte a passeggio Sant'Andrea, ma che non fu mai realizzato. Lo studio del Cat analizza anche i lavori da fare in caso di una possibile apertura al pubblico

 

L’attacco austriaco in Trentino non sfonda: 105 anni fa cominciava l’Offensiva di primavera. Bertè: “Si allargò il fronte e fu più facile smorzarlo”
Da ildolomiti.it del 15 maggio 2021

Il 15 maggio 1916, le truppe austro-ungariche sul fronte trentino-tirolese cominciano a tirare con l’artiglieria. Si cerca di sfondare le resistenze italiane, riconquistando il lembo di terra perduto e tagliando i collegamenti con l’Isonzo. Era l’inizio dell’Offensiva di primavera, passata alla storia come “Strafexpedition” (ecco perché). Lo storico del Museo della Guerra Bertè: “Dopo il primo attacco, gli imperiali non riuscirono ad avanzare con i cannoni. Per questo il Regio esercito, dopo aver indietreggiato, riesce a tenere”

Di Davide Leveghi

TRENTO. “L’attacco austriaco avrebbe dovuto sfondare la linea italiana, scendere in pianura e tagliare le comunicazioni con il fronte isontino, lasciando gli avversari in una sacca. La resistenza di questi ultimi, però, bloccò l’avanzata”. Spiega così, l’Offensiva di primavera del 1916, Tiziano Bertè. Lo storico lagarino, collaboratore del Museo della Guerra di Rovereto, illustra dettagliatamente quella che in Italia è passata alla storia con il “nomignolo” di “Strafexpedition”, la “spedizione punitiva” lanciata dal vecchio alleato – al tempo stesso storico nemico – austriaco contro i “traditori” italiani. “L’origine del nome risale a un episodio in cui un disertore austriaco a Lavarone, interrogato, disse d’aver sentito gli ufficiali dell’esercito imperiale parlare di spedizione punitiva – spiega Bertè – una Strafexpedition contro gli italiani traditori della Triplice alleanza. Non è quindi un nomignolo inventato dalla popolazione italiana. Di certo, questo nome è ben più immediato rispetto a quello utilizzato ufficialmente dagli imperiali: ‘Offensiva austroungarica di primavera del 1916”.

Il fronte trentino-tirolese, a quasi un anno dalla dichiarazione di guerra italiana all’Austria-Ungheria (QUI l’articolo), è fermo alla linea di difesa fortificata austriaca. Gli italiani hanno conquistato una lingua di terra ai lembi meridionali del Tirolo, attestandosi in Vallagarina fino ai sobborghi di Rovereto e su alcune importanti cime, dallo Zugna al Pasubio. L’eccezionale sistema di fortificazioni predisposto già a partire dalla seconda metà del XIX secolo rende il Trentino difficilmente espugnabile. “Perché gli italiani attaccheranno sempre sul fronte orientale, più che su quello trentino? – esordisce Bertè – perché Cadorna, conoscendo le disposizione austro-ungariche e l’orografia del territorio, sapeva che i forti avrebbero impedito di avanzare e il Regio esercito non aveva le necessarie e potenti artiglierie per disarticolarli”. “Nelle trattative che portano al Patto di Londra, gli alleati chiedono all’Italia di adottare un atteggiamento offensivo – continua – così da richiamare truppe austro-ungariche dal fronte russo. Di conseguenza, a sostituirle ci sarebbero state delle truppe tedesche, sottratte al fronte francese. Il Regio esercito, dunque, avrebbe dovuto puntare verso Est, trovando una frontiera più aperta e con obiettivi strategici importanti come Trieste e la piana di Lubiana”.

“Da parte austriaca, invece, il piano, predisposto già nel 1908, prevedeva in caso di guerra con gli italiani due attacchi simultanei. Uno dal Tirolo puntando verso Vicenza e Padova e l’altro da Caporetto verso Udine. Nel primo caso, si prevedeva che due armate attaccassero una verso Schio e Vicenza attraverso la Vallarsa, l’altra lungo la Val d’Astico verso Thiene”. Ma al momento dell’attacco lanciato dal capo di stato maggiore Franz Conrad von Hötzendorf, il 15 maggio 1916, qual è la situazione? “La linea di difesa austriaca attraversa la Vallagarina. Dalla Sella di Serrada scende lungo la displuviale fino al Finonchio, poi scende a Rovereto, attraversa la Vallagarina, sale sulle alture sud del Biaena per poi ricongiungersi fino ai forti di Riva del Garda. Cadorna, da parte sua, non può che difendere il terreno conquistato. Nel dicembre del 1915, Conrad chiede rinforzi all’omologo tedesco Falkenhayn ma la Germania in quel momento pensa a Verdun e non presta aiuto. Nell’inverno si allargano gli scali ferroviari fra Calliano e Bronzolo, così da poter rifornire meglio il fronte”. A questo punto, l’attacco austriaco può partire (11ª e 3ª armate), riuscendo a far indietreggiare gli italiani. “L’attacco, come detto, prevede l’utilizzo di due armate – racconta Berté – se inizialmente solo una, divisa in due ali, avrebbe dovuto attaccare da una parte verso Schio e dall’altra verso la Valdastico e Thiene, poi, per gelosie e interessi interni all’esercito, si decide di allargare il fronte anche alla Valsugana. Questo diluirà l’attacco e renderà più facile smorzarlo”. La mattina del 15 maggio 1916 l’artiglieria austriaca inizia a battere la linea italiana. Il fuoco costringe le truppe italiane a indietreggiare, mentre la difficile avanzata imperiale “rosicchia” piano piano le conquiste ottenute fino a quel momento dal Regio esercito. In questo contesto, già nei primi giorni, il sottotenente Damiano Chiesa, roveretano irredentista passato a combattere con l’esercito italiano, viene catturato a Costa Violina. Verrà fucilato la sera del 19 nella fossa del Buonconsiglio, a Trento.

L’avanzata austriaca spinge gli italiani verso Grigno e Strigno in Valsugana, mentre tra Trentino e Vicentino gli austriaci riescono a scendere verso Arsiero. Sullo Zugna gli italiani, attestati la sera del 17 maggio al trincerone, resistono agli attacchi del giorno successivo. Sul Pasubio gli austro-ungarici occupano il Col Santo, il Testo e lo Spil con la testata della mulattiera che scende ad Anghebeni. Per evitare l’aggiramento delle proprie posizioni, gli italiani abbandonano Pozzacchio e si ritirano fra Parrocchia e Obra. Sullo Zugna, montano una batteria di cannoni per fermare il traffico stradale austriaco. Le truppe imperiali attaccano invano l’abitato di Parrocchia, sferzati dalle artiglierie dello Zugna, che tirano alle loro spalle. A questo punto si rivolgono verso Passo Buole, nei pressi della strada che riforniva lo Zugna. Al Passo gli italiani resistono, così come sulla Zugna, e a fine maggio l’ala destra dell’offensiva viene bloccata. A Vezzena l’attacco austriaco del 20 maggio costringe gli italiani a ripiegare fino alla parte meridionale dell’Altopiano di Asiago. Lì Cadorna invia uomini dal fronte isontino, costituendo la 5ª armata, schierata fra Vicenza e Cittadella.

“La conquista dello Zugna sarebbe stata molto importante per gli austriaci – spiega – perché avrebbero così protetto la puntata verso il Pian delle Fugazze per poi scendere a Schio". L’impeto offensivo degli austriaci viene meno già alla fine di maggio. Ma perché? “Fermare il primo attacco era difficile durante la Grande guerra. Lo schieramento delle artiglierie serviva infatti per disarticolare le difese. La gittata è però limitata e una volta disarticolata la prima linea bisogna avanzare con l’artiglieria. Non è un compito facile, perché è necessario spostarsi e anche le munizioni pesano. Sono cose che portano via tempo e gli italiani riescono a riorganizzare la difesa dopo aver indietreggiato”. Mentre sul fronte trentino-tirolese lo scontro sta già spegnendosi – o quantomeno perdendo impeto – sul fronte orientale i russi attaccano, costringendo l’Imperial regio esercito a spostare le risorse, d’uomini e mezzi, a Est. Il 4 giugno, l’Offensiva Brusilov, dal nome del generale zarista che guida l’attacco, travolgerà le truppe degli Imperi centrali, costringendo i tedeschi a destinare a loro volta delle truppe a Est, togliendole dal settore di Verdun. “Gli attacchi austriaci ad Asiago continuano fino a metà giugno, ma solo lì”, precisa Berté.

“Se anche le truppe austriache fossero riuscite a sfondare, arrivando in pianura, sarebbero arrivate stanche e si sarebbero trovate di fronte la quinta armata italiana predisposta da Cadorna – spiega l’esperto – a questo punto avviene la controffensiva italiana, che oltre a riconquistare il terreno perduto, punta a distogliere l’attenzione degli austro-ungarici dall’altro fronte. Ad agosto verrà infatti conquistata Gorizia”. Ogni mossa da parte delle singole forze in campo va quindi letta in una prospettiva più ampia. Gli attacchi sono coordinati, lo scacchiere è europeo. All’attacco russo del 4 giugno, seguirà quello italiano in Trentino e poi nella Venezia Giulia. “I fronti sembrano staccati, ma è uno unico, che dalla Russia scende fino ai Balcani, passa da Trieste e arriva in Tirolo, per poi risalire dal confine svizzero su fino alla Manica. Gli Imperi centrali sono circondati”. Le perdite, in entrambi gli schieramenti, sono ingenti. Nella sola offensiva austriaca, conclusa alla metà di giugno, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri gli italiani contano quasi 70mila perdite, gli austriaci meno della metà. Tuttavia, le truppe dell’Imperial regio esercito pagheranno un costo di vite tremendo nell’attacco scatenato dai russi in Galizia. Tra maggio e luglio del 1916, perdono la vita anche alcuni dei soldati i cui nomi compaiono sui cippi ritrovati in un orto di Pilcante di Ala, a partire dallo scorso gennaio (QUI l’articolo). Feriti, vengono portati all’ospedale da campo di Ala, dove perderanno la vita e verranno sepolti nel cimitero civile.

Il caporale originario di Rottanova di Cavarzere Domenico Guzzon, effettivo al 208° fanteria, muore il 3 giugno 1916 nell’ospedale da campo numero 029 di Ala, un giorno prima dell’attacco russo in Galizia (QUI la sua vicenda). Due giorni prima aveva perso la vita il caporale del 117° reggimento fanteria Domenico Brighi. Originario di Cesenatico, venne ucciso dalle schegge di una granata poco sotto passo Buole, nella casa Tognotti di Marani. Era il 4 giugno 1916 quando il caporale del 118° reggimento fanteria Girolamo Di Blasi, di Castelvetrano, periva ad Ala a seguito di ferite riportate in combattimento. Da ultimo, anche Francesco Passarin, effettivo al 6° reggimento alpini, di Marostica, sarebbe morto a causa delle ferite. Nel suo caso, però, erano appena passati alcuni giorni dalla fine della controffensiva italiana: muore il 30 luglio, dopo che il 27 il generale della 1ª armata Guglielmo Pecori Giraldi aveva deciso la fine dell’azione controffensiva. Oltre ai caduti militari, le perdite sono ingenti anche tra la popolazione, sfollata solo in parte. “L’Austria-Ungheria sfolla la popolazione per Comuni. In un primo momento sfollerà Marco, Mori e Besagno, ma non Brentonico, Serravalle e Chizzola. Gli italiani sfolleranno popolazione nel maggio del 1916, come a Brentonico. Nel mentre, i paesi vengono colpiti dall’artiglieria e si contano perdite fra i civili”, conclude.

 

Una famiglia di ingegneri e costruttori: gli Antonelli, eccellenza italiana
Da ilprimatonazionale.it del 15 maggio 2021

Roma, 15 mag – Se chiedessimo “Chi sono gli Antonelli?” probabilmente, ma solo dopo una ricerca, tutti risponderemmo con i nomi di Roberto e Luca, padre e figlio, entrambi ex giocatori del Milan. Nessuno – mettiamo la mano sul fuoco sicuri di non scottarci – parlerà di una famiglia romagnola.

Di Marco Battistini

Originaria di Gatteo, piccolo paese situato nella campagna tra Cesena e Rimini, a metà strada tra la costa adriatica e il primissimo appennino, a cavallo tra il 1500 e il 1600 fu espressione di quel genio italico che tanti riconoscimenti ha avuto all’estero. E che per secoli ha permesso alla nostra amata nazione di essere davvero centro del mondo. Erano anni in cui l’Italia, seppur divisa, rappresentava la frontiera orientale dell’impero spagnolo. Ultimo baluardo contro l’avanzare turco. Per ovvi motivi quindi i rapporti commerciali e culturali tra le due penisole, italiana e iberica, erano più vivi che mai.

Sulle orme di Colombo

Tre generazioni di ingegneri idraulici e architetti militari. Poco noti nella storia locale e pressoché sconosciuti a livello nazionale. Protagonisti per un secolo di fortificazioni nel levante spagnolo, nelle coste nordafricane e nell’area caraibica. Connazionali che contribuirono all’affermazione spagnola in Europa e alla sua espansione nel nuovo mondo pochi decenni dopo le imprese di un altro italiano ben più famoso, ossia Cristoforo Colombo. Delle esperienze prettamente nostrane della famiglia si poco. Solamente che il fratello maggiore di questa famiglia, gli Antonelli appunto, fu “inzegnere” per i conti Guidi, casata allora dominante in Toscana, in Emilia e in Romagna, e che partecipò tra il 1552 e il 1559 all’assedio di Siena a fianco di Carlo V e di Vespasiano Gonzaga Colonna, l’umanista che avrà il merito di formare professionalmente la famiglia cesenate.

Il capostipite: Giovanni Battista Antonelli

Giovanni Battista Antonelli (1527-1588) fratello maggiore di 5, prestò servizio al re di Spagna Filippo II. Si suppone che viaggiò prima dei trent’anni, coltivando quella che diventerà una profonda preparazione. Tra il 1560 e il 1580 si occupa di fortificazioni nel levante spagnolo e nei porti del nord Africa. Dal 1580 fino alla morte si dedica con successo allo studio di opere idrauliche per la navigazione dei fiumi iberici. Il primo impegno è un sopralluogo per la fortificazione costiera tra le città di Cartagena e Valencia.
Nel 1580, in seguito all’occupazione del Portogallo, inizia a studiare le vie di comunicazione lusitane per favorire il trasporto logistico di vettovaglie e materiale militare. Viste le irregolarità dei terreni e le pessime condizioni in cui si trovano le strade, l’architetto romagnolo pensa bene di sfruttare le reti fluviali, in particolare il fiume Tago, per il trasporto di queste pesanti attrezzature. La relazione presentata lascia il monarca positivamente colpito, soprattutto per i vantaggi commerciali e il prestigio internazionale che l’opera completa avrebbe garantito.

Quattro anni più tardi lo stesso Filippo II volle verificare personalmente l’avanzare dei lavori. Nel gennaio 1588 abbiamo testimonianza del primo viaggio di 7 scialuppe che in 15 giorni da Toledo raggiungono Lisbona. Nel viaggio di ritorno un improvviso malore è fatale a Giovanni Battista, mentre si trova alle prese con l’elaborazione di altri progetti di navigazione fluviale.

Dalla penisola iberica ai caraibi

Battista Antonelli (1547-1616) minore dei cinque e unico fratello ad attraversare l’Atlantico (sbarcò a Rio de Janeiro nel 1582), si trasferisce in Spagna poco più che ventenne su chiamata del fratello maggiore Giovanni Battista. Si tratta del personaggio di spicco della famiglia. Dotato di maggior talento e con più sicurezza nelle questioni tecniche e capace di realizzare le opere più importanti.
Mentre è impegnato con il fratello e con il nipote Cristoforo Roda nello studio delle vie di comunicazione portoghesi, gli viene affidata un’importante missione nel Nuovo Mondo: raggiungere lo stretto di Magellano (attuale Cile ed ex dominio portoghese), unico passaggio navigabile allora conosciuto tra l’Atlantico e il Pacifico, e costruire due forti a ogni lato del canale per assicurare così alla corona spagnola il controllo di questo snodo strategico. La spedizione però è un fallimento totale, in quanto nel gennaio 1583 la nave affonda con tutto il carico.

Battista torna per un breve periodo a Madrid ma riparte per un secondo viaggio oltreoceano e raggiunge l’area caraibica nel 1586. Obiettivo studiare le locali coste con l’incarico di individuare i punti da fortificare per mezzo della costruzione di bastioni. Il progetto venne denominato “Piano di difesa delle Indie Occidentali”. E’ un periodo in cui il predominio marittimo spagnolo nelle americhe è seriamente messo in discussione dalle esplorazione di Inghilterra, Francia, Olanda e dai saccheggi dei pirati. Il Mar dei Caraibi da ispanico sta diventando sempre più europeo.

Le fortificazioni tra Atlantico e Pacifico

La cedola reale che incarica Antonelli prevede lo studio di nuovi sistemi difensivi per Cartagena delle Indie (attuale Colombia), Chagre, Portobello, Panama e L’Avana (Cuba). In particolare la baia di Portobello e il fiume Chagre sono oggetti di studi approfonditi per le caratteristiche naturali in quanto funzionali alle vie del commercio con le coste del Pacifico (Filippine e Perù). Nella capitale cubana invece viene progettato (1587) e successivamente eretto il Castillo del Morro, definito dagli storici come “complesso omogeneo che integra organicamente la natura con l’eredità medievale e l’astrazione geometrica del razionalismo rinascimentale”. Torna quindi in Spagna per presentare le intuizioni al re proprio mentre le flotte inglesi e olandesi mettono fine all’egemonia della Invencible Armada nei mari americani. La forticazione delle terre ispano-caraibiche diviene quindi la priorità.
Nel 1588 un’altra cedola regia incarica il nostro Battista alla costruzione di strutture difensive nei 5 siti già visitati (Cartegena delle Indie, Chagre, Portobello, Panama, L’Avana) e alla progettazione e relativa edificazione militare anche a Santo Domingo, Puerto Rico e in Florida. Nel mandato reale sono comprese anche un’ispezione in Messico, più precisamente a Veracruz, e alla Baia di Fonseca.

Un’impresa ciclopica

Il terzo viaggio oltreoceano di Antonelli dura un decennio. Nonostante l’impresa richiesta si possa tranquillamente definire ciclopica (chi commissiona queste opere molto spesso non poteva né conoscere le distanze, l’estensione e la conformazione fisica proprie del continente americano né paragonarle quindi con la realtà spagnola), il lavoro svolto dall’ingegnere romagnolo è qualcosa di stupefacente e glorioso.
Le “vecchie” soluzioni di fortificazione iniziano infatti a mostrare la loro inefficienza a fronte dell’evoluzione dell’artiglieria e dello sviluppo delle città. Pertanto gli studi si direzionano verso risposte di architettura militare che fossero innovative per l’epoca. I bastioni caraibici antonelliani hanno una particolarità che differenzia la scuola italiana rispetto ai modelli con base regolare e simmetrica: presentano un tracciato irregolare ma armonioso che meglio si adatta alla forma del terreno. Stesse caratteristiche che, ad esempio, ritroviamo anche a Pisa e a Ostia.
Vale la pena ricordare che in quel periodo il continente americano è area periferica, sia a livello culturale che di genio civile e militare. Lavorare tanti anni lontano dal centro del mondo (l’Europa) voleva spesso dire non essere al passo con nuove teorie e nuove tecniche. Nonostante questo “handicap” Battista si occupa anche di organizzare la difesa del territorio per mezzo di trincee, fossati e barriere. Questo forte senso di pragmaticità militare risulterà utile a Panama quando nel 1596 il corsaro inglese Francis Drake non riuscirà a saccheggiare il lembo di terra posto tra Costa Rica e Colombia.

Non solo strutture militari

Il lavoro caraibico di Antonelli non si ferma però solo all’arte del fortificare. Nella capitale cubana, ad esempio, nel 1590 viene progettato anche l’acquedotto che consentirà a L’Avana, prima piazza fortificata dei Caraibi, l’arrivo di acqua potabile dalla canalizzazione del fiume La Chorrera. Terminato il decennio americano, vengono lui commissionate opere nel levante spagnolo, a Gibilterra e nelle coste marocchine. Il quarto e ultimo passaggio al di là dell’Atlantico lo vede accompagnato dal figlio Gian Battista (1585-1649 chiamato “el mozo”, unico Antonelli nato in Spagna e figura conclusiva dell’attività di famiglia), con meta le preziose saline nel litorale venezuelano orientale, minacciate dagli illegali traffici olandesi. Sarà poi lo stesso discendente a fortificare la zona nel 1622.
Poco prima di morire, come da testamento dona 625 scudi per istituire nel paese d’origine il “Monte Frumentario”, banca del grano a favore dei più poveri. Lascito importante, una casa di tre piani adibita a magazzino e abitazione dei custodi, rimarrà in vigore fino a metà Ottocento. Degli ultimi anni di Battista abbiamo poche notizie, tra queste che si isola dagli affetti e muore a Madrid nel 1616.

Gli “altri” Antonelli: la dinastia continua

I nipoti di Giovanni Battista e di Battista, figli di due delle tre sorelle, usarono il cognome delle proprie madri per beneficiare di tale prestigio.

Cristoforo Roda Antonelli (1560-1631) figlio di Rita, sorella di Giovanni Battista e Battista. Il più longevo della famiglia, grande lavoratore, vive per 40 anni nelle americhe. Impegnato fin dalla giovane età insieme agli zii nelle fortificazioni levantine e nordafricane, approda, su chiamata di Battista, a Cuba nel 1591. E’ il principale artefice delle fortificazioni di Cartagena. Definito “l’uomo delle mura” della stessa città: accompagnato dal cugino Gian Battista, addirittura migliora il progetto dello zio. Personalità dal carattere spigoloso, muore povero in terra colombiana.

Cristoforo Garavelli Antonelli (1550-1608) e Francesco Garavelli Antonelli (1557-1593) figli di Catalina, sorella di Giovanni Battista e Battista, servono i reali di Spagna più che altro nella penisola iberica e nel Nordafrica come architetti militari e idraulici. A differenza del fratello Cristoforo, che non superò mai l’Atlantico ma viaggiò ed edificò molto in territorio spagnolo con lo zio (Navarra, Catalogna, Valencia, Cartagena, Cadige, Malaga e Gibilterra), Francesco raggiunse nel 1591 all’Avana il cugino Cristoforo Roda.

Preparazione e professionalità: buon sangue non mente

In questo nostro viaggio nel tempo e nello spazio, abbiamo potuto constatare che Battista Antonelli fu il personaggio con più talento. Tutti gli Antonelli di cui vi abbiamo parlato dimostrarono però preparazione e professionalità. Un filo che lega per stile, capacità di integrarsi al terreno e utilità militare quanto costruito da questa famiglia italiana. Dalla fortezza di Mazalquivir (1574 – attuale Algeria) al castello d’Araya (1622 – attuale Venezuela).

Riconoscimenti postumi alle opere antonelliane vengono anche dall’Unesco, che include nei “patrimoni dell’umanità” il Castello del Morro e quello di San Salvador de la Punta a L’Avana, il castello di San Pedro de la Roca a Santiago de Cuba, i porti e le fortezze di San Felipe e di Santa Cruz a Cartagena de las Indias in Colombia, la fortezza di San Juan di Porto Rico, la città vecchia e la fortezza di Portobello a Panama.

Come la storia ci insegna, per noi italiani dopo una Caporetto c’è sempre una battaglia di Vittorio Veneto da vincere. Così è successo a Battista Antonelli. Se si fosse arreso al flop della prima spedizione oltreoceano il suo genio probabilmente non si sarebbe potuto esprimere in tutta la sua grandezza. A volte la semplicità dei personaggi tende a far scivolare vere e proprie eccellenze nel dimenticatoio. Rimangono però gli spunti, le opere, le azioni a testimonianza eterna di quello che dovremmo riscoprire ogni giorno. La bellezza e l’orgoglio di appartenere ad un popolo che può trovare il suo posto nel mondo solamente ponendosi al centro di esso.

Marco Battistini

Classe 1988, dalla ridente terra di Romagna, cresce a piadina e pallone. Laurea breve - anzi brevissima - in Economia, con tesi sul marketing applicato al calcio. Piedi di legno, cuore di stagno: uno stopper degli anni '60 che si ritrova nel dilettantistico mondo pedatorio del duemila. Più cartellini che presenze, al tikitaka ha sempre preferito il tiki-tackle.

 

Dalla Regione Toscana 6 milioni per mura e fortificazioni
Da verdeazzurronotizie.it del 15 maggio 2021

E’ stato pubblicato un bando importante per la valorizzazione del patrimonio artistico delle nostre bellissime città.

Di cosa si tratta? Con la legge del 3/03/2021 n°8 approvata dal Consiglio regionale della Toscana abbiamo messo a disposizione dei #Comuni 6.000.000,00 di euro (distribuiti nelle annualità 2021, 2022, 2023) per favorire interventi di sostegno per le città murate e le fortificazioni della #Toscana, cosi da aiutare gli enti locali a prendersi cura dei beni storico/artistici che si trovano nel loro #territorio.

Il nostro patrimonio culturale fa parte di noi e della nostra identità, prendersene cura va a beneficio di tutti i cittadini che lo abitano: pensate solo quante persone e quanti turisti passeggiano ogni anno sulle nostre splendide mura di #Lucca !

MARIO PUPPA

 

Dopo un anno riapre la torre di Civitella. Menchetti: "Importanti ritrovamenti, a breve nuovi scavi"
Da arezzonotizie.it del 15 maggio 2021

Oltre 300mila l'investimento del Comune che ha usufruito del contributo del Gal. Il nuovo resede e il camminamento attorno alla cinta muraria

opo un anno la rocca e la torre di Civitella, simbolo del Comune, ha riaperto le porte al pubblico. Un lavoro immane quello sottolineato dall'assessore Ivano Capacci per liberare la torre e la terrazza da cui si può dominare la Valdichiana, fino all'Amiata, e scorgere la Valdambra, dai detriti. Sotto il fuoco alleato infatti parte della torre crollò durante la Seconda Guerra Mondiale. E proprio la scorsa estate, durante i lavori per sgomberare l'edificio, venne ritrovato un ordigno bellico.

Oggi la torre ha aperto nuovamente il suo cancello. Il parco sottostante è tornato a disposizione di tutti i cittadini ma anche dei turisti compresa quella terrazza che era inagibile da anni. "L'importo dei lavori è di 300mila euro - ha spiegato il sindaco Menchetti, precisando poi due aspetti - 200mila euro, risorse comunali, sono serviti per liberare la torre e altri 100mila sono serviti per recuperare il camminamento attorno alla cinta muraria. Un lavoro reso possibile grazie anche al contributo del Gal".

Ma l'apertura della torre non è un punto di arrivo. La soprintendenza con i suoi archeologi infatti ha riportato alle luce importanti reperti. Dentro la torre, per adesso off limits, infatti sono presenti quelle che una volta dovevano essere delle cisterne ma soprattutto dentro il simbolo di Civitella sarebbe presente un'altra torre, ancora più antica, forse di epoca etrusca come i reperti (ceramiche e non solo) rinvenuti nel corso degli scavi.
Scoperte che in parte puntalizzano o per certi versi modificano la storia così come è conosciuta di Civitella. "Presto rimprenderanno gli scavi per aprire anche l'ultima parte della torre - ha detto il sindaco Menchetti - simbolo di una comunità che oggi può tornare ad ammirare la sua bellezza".

 

Al Kunstmuseum si ricordano gli anni della guerra a Den Haag
Da 31mag.nl del 14 maggio 2021

Il Kunstmuseum all’Aia non era aperto da molto quando scoppiò la guerra, ma rischiava comunque di essere distrutto con la realizzazione del Vallo Atlantico, il sistema di fortificazioni costiere costruito dal Terzo Reich tra il 1940 e il 1944. Gli anni della guerra hanno avuto un impatto enorme. Oggi il Kunstmuseum Den Haag ha chiesto al ricercatore storico, Geert-Jan Mellink, di condurre una ricerca approfondita sulla storia del museo stesso durante l’occupazione. Con una piccola mostra e una pubblicazione, il museo celebra 76 anni di libertà; ripensa a come sia sopravvissuto all’occupazione tedesca e come l’arte all’Aia si sia ripresa negli anni successivi.

Gli anni della guerra

Se si guarda ora al bellissimo edificio art deco di H.P. Berlage, difficilmente lo si può immaginare; le belle sale, inondate dalla luce del giorno, sembravano desolate quando servivano da deposito per i beni confiscati durante la guerra. Inoltre, l’edificio fu gravemente danneggiato nel 1944 da un razzo V2, che esplose dall’altra parte della strada. Fortunatamente, la collezione era ospitata in luoghi sicuri, sebbene siano state organizzate 31 mostre anche in tempo di guerra. Non solo perché un museo vuoto poteva essere confiscato, ma anche come faro di speranza e conforto per i cittadini dell’Aia.
Le condizioni in tempo di guerra erano dure e impegnative. Il museo si trovava vicino all’Hauptkampflinie, l’area dell’Aia che fu completamente sgomberata, per realizzare un campo di tiro libero e un fossato anticarro lungo chilometri, come parte del Vallo Atlantico. Il personale del museo incontrò anche l’opposizione delle forze di occupazione, del dipartimento nazionalsocialista per l’informazione pubblica e le arti, e di un consiglio comunale filo-tedesco. Il direttore Gerardus Knuttel Wzn fu arrestato dal Sicherheitsdienst e passò diversi anni nel campo di concentramento di Sint Michielsgestel. Quali scelte ha fatto la direzione? Che rapporto c’era tra il personale del museo e l’occupazione tedesca? Quali misure sono state prese per salvare le opere d’arte? Come ha fatto il museo a salvaguardare la proprietà privata ebraica? La ricerca si è concentrata su queste domande, per ricostruire una storia troppo presto dimenticata.

Il restauro dopo la liberazione

Poco dopo la liberazione, sono iniziati i lavori di restauro dell’edificio, che durarno circa cinque anni. Usando pezzi da collezione del Kunstmuseum e del RKD – Netherlands Institute for Art History, Lynne van Rhijn (curatrice di arte moderna del RKD) ha esaminato l’impatto della liberazione sull’arte sperimentale all’Aia, nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale. I risultati mostrano un’energia ritrovata e voglia di sperimentare.

La mostra

La mostra (https://www.kunstmuseum.nl/nl/tentoonstellingen/museum-de-oorlog-kunst-vrijheid) illustra gli anni della guerra, usando materiale fotografico, documenti storici e opere d’arte iconiche, tra cui un dipinto di Carel Willink, che il museo ha acquistato nel 1939. Sono esposti anche oggetti di moda, come una gonna della liberazione e un vestito di seta da paracadutista. Il sentimento di libertà è rappresentato per mezzo di opere d’arte del dopoguerra, legate alla ricerca di Lynne van Rhijn. Una selezione di opere di Piet Ouborg, Jaap Nanninga e altri, dà un’idea dell’astrazione spontanea che emerse all’Aia tra il 1945 e il 1950.

 

Treno nucleare Barguzin, il Cavaliere Nero dell’URSS
Da rollingsteel.it del 14 maggio 2021

БЖРК Barguzin (sistema missilistico ferroviario da combattimento mobile), noto anche come il treno fantasma Sovietico, ovvero il sistema di rappresaglia nucleare che impensierì gli USA più di qualsiasi sottomarino classe comandato da un qualsivoglia Marko Ramius.

Facciamo un breve sunto della vita operativa dei treni nei teatri di guerra: a partire dal diciannovesimo secolo, guerra civile americana il treno prese servizio come mezzo bellico per il semplice trasporto di truppe e attrezzature militari. Inizialmente locomotive civili trainavano carri scoperti su cui prendevano posto soldati e tiratori protetti rudimentali barriere, successivamente (visto che in caso di imboscata o attacco sarebbe stato come sparare sulla rossa) si iniziò a blindare le locomotive e le carrozze per proteggere gli occupanti, dotandone alcune di armamenti offensivi e difensivi; persino Winston Churchill quando faceva il corrispondente di guerra durante le guerre Boere, catturato a bordo di un treno blindato.

A partire dalla Rivoluzione d’Ottobre (1917), le forze Bolsceviche ebbero un gran debole per le capacità del treno, alla fine della guerra civile vantavano 103 treni armati con diverso grado di offesa. Nel secondo conflitto mondiale sovietici fecero tesoro degli “insegnamenti” tedeschi, i quali estremizzarono il concetto di treno militare utilizzando linee ferrate per il trasporto di enormi cannoni su treni con 25 carrozze lunghi 1.500 metri: i loro nomi sono passati storia come Dora e Schwerer Gustav (per gli amici più semplicemente Gustav) e sebbene sparassero dalle loro lunghe una trentina di metri proiettili da 800 mm di calibro in grado di colpire obiettivi a 45 chilometri di distanza, facile preda dell’aeronautica nemica, infatti dovevano sempre essere protetti da diverse postazioni contraeree di Flak 88.

Avevano qualche difetto, ma nella battaglia di Sebastopoli il Gustav riuscì a sbriciolare praticamente tutti i forti della città, spianando la strada alla fanteria. I Soviet infatti avevano equipaggiato treni blindati con torrette di carri T-34 o KV, svariate batterie contraeree e in alcuni casi vennero dotati di ARTIGLIERIA NAVALE, rendendoli dei propri mezzi da battaglia più che dei pezzi di artiglieria ultrateutonica su rotaia da “nascondere” nelle retrovie.
Iniziata la guerra fredda, i sovietici (che non vanno neanche di corpo senza un piano), studiarono a fondo le attività degli Alleati del corso della Seconda Guerra Mondiale per prendere un po’ di spunto: il bombardamento a tappeto di Dresda da parte degli inglesi e degli americani non aveva alcun obbiettivo militare significativo, ma ebbe solo la di piegare il popolo facendolo vivere nel terrore, un po’ come fecero anche con l’uso delle due atomiche sganciate Hiroshima e Nagasaki..

Contro una strategia di attacco così offensiva, l’unico antidoto è la rappresaglia, ma una rappresaglia alla: toccarmi con un dito che ti strappo le braccia e ti ci prendo a schiaffi”. Il 13 Ottobre 1969 fu firmato l’ordine progettazione di un sistema missilistico ferroviario da combattimento mobile BZhRK a cui rispose l’ufficio di Yuzhnoye come sviluppatore principale. I progettisti del Barguzin furono gli accademici (e fratelli) Vladimir e Alexey Utkin. era uno specialista dei combustibili solidi e progettò il missile, mentre il fratello Alexey progettò il sistema di lancio vagoni ferroviari per il trasporto. Il progetto fu concepito da subito per costruire le basi di un gruppo di attacco rappresaglia, poiché grazie agli 85.000 km di linea ferroviaria di proprietà del Ministero dei Trasporti della grande Russia, avevano una maggior capacità di sopravvivere in caso di attacco, rispondendo (dannatamente ferocemente) subito dopo il primo colpo.

Altro punto a favore del progetto era la possibilità di spostarsi di 1.200 km in 24 ore dalla base operativa, mentre balistici spostati su gomma con gli ignorantissimi MAZ a 8/10/12 ruote motrici, avevano un raggio operativo di centinaio di chilometri dalla base, oltre al fatto che un Silos lungo 24 metri alto 5 che si aggira tra le “langhe” non proprio inosservato. Ai Soviet riaffioravano alla memoria i dolci ricordi della deportazione dei russi Bianchi e discendenti della corona Zarista (il treno è sempre il treno). Negli stessi anni però anche dall’altra parte del Pacifico dell’Atlantico a seconda dal lato da cui si guarda, gli Yankee spendevano un po’ di verdoni pubblici per sperimentare treno analogo. La sperimentazione venne fatta presso la base di Vandenberg in California, il treno americano aveva locomotive speciali e due vagoni di lancio con missili balistici MX, posto di comando, vagoni per il sistema di puntamento e per il personale militare, il vagone con il missile era lungo 30 metri, pesava circa 180 tonnellate e montava carrelli ruote. Gli ingegneri americani presi forse “dall’ignoranza ferrica”, (una patologia che ti fa chiudere la vena ignorante solitamente colpisce 1 lettore su 3 di Rollingsteel) non fecero bene i conti con il fatto che i 120.000 km di linea ferroviaria statunitense, erano e sono tutt’oggi quasi tutti di società private (- “circolare non c’è niente da vedere” – “ma siamo controllo…>civile<”), e 360 tonnellate per due vagoni non sono proprio poche per alcuni ponti e tratti della americana, inoltre per lanciare i PeaceKeeper dovevano essere montate delle rampe di sostegno esterne allungavano i tempi di risposta e complicavano le operazioni. Alla fine il progetto fu catalogato dal Congresso americano come un infinitamente troppo costoso, difficile da realizzare e poco pratico.

Uno dei progetti americani

La C.I.A. si offrì di tappare il buco delle spese folli, disinformando l’intelligence sovietica con l’intenzione che sputtanassero fior di rubli in un progetto fallimentare, urlando ai quattro venti che lo Zio Sam stava sviluppando suprema su rotaia… indovinate un po’ cosa fecero i comunisti?

Nasceva così Barguiz, ossia “Boevoj Zeleznodorozhnjy Raketnyj Kompleks”, che tradotto significa “complesso missilistico ferroviario da combattimento” noti anche tra i corridoi del Pentagono con il nome di “treni nucleari”, alias “treni alias “treni della morte”, alias “treni fantasma”. I test del “treno della morte” furono minuziosi e stressanti, portarono a  percorrere 400.000 km, alla bellezza di 37 lanci di prova (a detta dei comunisti, tutti positivi) e infine al test quello contro le onde d’urto. E come sarebbe un test contro le onde d’urto, vi starete domando. Beh è abbastanza semplice, per farlo ammucchiarono a poche centinai di metri da un convoglio una “catasta” di 100.000 mine TM-57, per un totale di 640.000 kg di TNT e poi BOOM.

L’esplosione formò un fungo di fuoco che si scagliò in cielo fino a 80 metri di altezza e lasciò un cratere profondo 10 metri. Quando si poso la polvere e si diradò il fumo, il treno era ancora lì, un po’ ammaccato forse ma lì; le locomotive e i vagoni di lancio rimasero ancora utilizzabili (molto positivo visto ciò che dovevano trasportare), mentre nei locali abitativi si registrò un’onda d’urto di 150dB (abbastanza forte per danneggiarti gravemente i timpani non tanto per liquefarti cervello e organi interni).

– Il BZhKR trainato da 3 grosse Mashka –

Negli anni ’80 i BZhKR presero servizio operativo, si spostavano su rotaia pubblica solo di notte aggirando i grandi abitati e fermandosi di rado in qualche stazione secondaria per ricevere ordini da agenti del KGB (sempre ignari fossero diretti), di giorno rimanevano fermi nascosti in rami della ferrovia appositamente costruiti o semplicemente binari morti, camuffandosi con la vegetazione attraverso semplici reti in maglia mimetica. Anche a 50 metri erano invisibili ai ricognitori più esperti. Altra caratteristica di questi convogli è che potevano rimanere operativi mese prima di dover tornare a rifornirsi alla base centrale. Ad un occhio poco attento anche da vicino sembra normalissimo seppur grande treno merci, con tre locomotive diesel (condotte da personale militare) M62 dette Mashka (tradotto Maria) che sviluppavano un totale di 5.922 cavalli e una forza di trazione di 942 kN che trainavano “vagoni postali”, “carrozze passeggeri” e “vagoni refrigerati”(doppio occhiolino), progettato per viaggiare a (considerando il carico andrei anche un po’ più piano…).

In realtà sette vagoni, erano suddivisi in: posto di comando, centro di comunicazioni, centrale elettrica diesel, per ufficiali e soldati, mensa e officina per hardware di lancio. Altri nove vagoni erano costituiti da tre moduli posto di comando, lanciatore con missile balistico e equipaggiamento tecnologico; ovviamente non mancava vagone cisterna per la broda e altri liquidi per rifornire le Power Unit dei lanciatori e tutto il treno.

I vagoni di lancio con i confetti targati “vendetta” progettati da Alexey Utkin, avevano la caratteristica di essere camuffati da vagoni refrigerati (con tanto di portelloni scorrevoli e prese d’aria disegnati, così da passare inosservati anche da vicino): per il lancio scendevano a terra dei martinetti idraulici per stabilizzare il vagone, mentre dal vagone seguiva con equipaggiamento tecnologico usciva un attrezzo speciale che scostava la linea elettrica aerea (qualora fosse) per far aprire di lato il tetto del vagone lancio e fare alzare come in un film di Rocco un missile di metri (RT-23 Molodets nome in codice NATO SS-24 Scalpel, la controparte sovietica degli MX americani) in appena minuti.


Il vagone di lancio aveva anche la caratteristica di avere carrelli con 8 ruote anziché 4 (come quello americano) sistema di aggancio che riusciva a ripartire sulle altre carrozze le 104 tonnellate del “mortaretto” per non distruggere rete ferroviaria.
Gli americani non ci dormivano la notte e fecero gli aggiornamenti a tutti i loro supercomputer (con Windows Vista) fargli fare un po’ di simulazioni, ecco cosa ne uscì: “Un attacco su suolo sovietico con duecento missili Minuteman (LGM-118 Peacekeeper) per un totale di 2.000 testate (mangiato pane e cattiveria quel giorno) avrebbe distrutto dei “treni fantasma” lasciando integro e incazzato il restante 90%, tradotto numericamente 10 treni e 300 testate partite e destinate su Europa e America.

– La rappresentazione della base dei treni fantasma –

Al Pentagono (che ancora oggi si complimenta con C.I.A. per “l’ottimo” lavoro di disinformazione) sudavano freddo grazie a qualche uccellino riuscirono a scoprire la caratteristica principale del BZhRK, ossia che veniva trainato sempre solo da 3 locomotive: di tutta risposta la settimana dopo il Ministero dei Traporti Sovietico obbligò tutti i treni con pesanti di viaggiare con quella configurazione. Tra i corridoi dell’intelligence americana ormai l’aria era pesante puzzava di scoreggia, nessuno sapeva dove fossero quei dannati 12 treni caricati con 360 testate nucleari. Tentarono inviare dalla Svezia un container con tecnologia di tracciamento, ma i Russi mangiarono la foglia e glielo rispedirono, tanti saluti dal partito e una bottiglia ghiacciata di Vodka. Quindi da classici e sburoni quali sono gli americani, risposero problema lanciando in orbita 18 satelliti di monitoraggio di ultima generazione, superando il costo dell’intero “Barguzin” (compresi anche i soldi per le sigarette e la vodka di tutto il reggimento) il che non servì a nulla, rimanevano dei fantasmi carichi di morte nucleare.

Giusto per snocciolarvi un paio di cifre e farvi sentire un po’ come si sentivano i ragazzi del Pentagono (so Rollingsteeler i numeroni arrapano di brutto): l’RT-23UTTKh, il missile balistico intercontinentale caricato sul “Nuke era un missile a propellente solido a tre stadi lungo 23,3 metri, prima del lancio l’ogiva del missile era ripiegata stessa, (come un bicchierino da vodka da viaggio) così da stare dentro al vagone, avevano un peso al lancio tonnellate, 53,7 tonnellate per il primo stadio (che generava 210 tonnellate di spinta), 21 tonnellate di peso tonnellate di spinta) per il secondo e terzo stadio. Aveva un carico utile di 4.000 kg ed era un ICBM di tipo MIRV, missile balistico intercontinentale a testata multipla (il più infame che mente umana abbia mai concepito), in trasportare fino a 10 testate nucleari indipendenti (ognuna da 500 kiloton), con una gittata di circa 10/12.000 km velocità finale di Mach 20 con un’accuratezza di 150 metri (non che con 50 volte la potenza della bomba sganciata Hiroshima faccia sta grande differenza).

– Lancio di un missile SS 24 –

Il sistema di lancio era di tipo a freddo, l’apposito silos era dotato propulsione simile a un mortaio, che “sputava” fino ad un altezza di 30/40 metri il missile che successivamente accendeva i motori a stato solido, questo in modo da evitare di danneggiare il lanciatore e le rotaie sottostanti. Aveva sistema inerziale autonomo schermato per resistere alle radiazioni in caso di contromisure.

I 12 BZhRK “Ghost Train” sparsi tra le province di Kostroma, Perm e i territori di Krasnoyarsk rimasero operativi fino al 1993 impensierendo persino i vertici della NATO. Nel 1991 Gorbaciov firmò il trattato START-1 con il Regno che imponeva la restrizione delle rotte delle pattuglie BZhRK.

Nel 1993 gli USA riuscirono a distruggere i “treni non grazie ai satelliti o a fantomatici sistemi di tracciamento, ma grazie al trattato START-2 stipulato con i Russi. URSS fu imposto lo smantellamento di tutti i treni entro il 2003.

A metà anni ’90 fu fatta la proposta di utilizzarli “cosmodromi su rotaia” e lanciare satelliti civili, ma la mancanza di fondi fece naufragare l’idea, così nei primi anni dieci “treni fantasma” che furono una spina nel fianco degli americani (Il Generale Colin Powell confessò apertamente all’accademico Alexei Utkin “Cercare i tuoi treni lanciamissili era come trovare un’ago in un pagliaio”) vennero con l’eccezione di due convogli che vennero demilitarizzati e tutt’ora sono esposti per ricordarne la storia; stazione di Varshavsky a San Pietroburgo e uno al museo della tecnica di AvtoVAZ.

Gli americani non molto intelligentemente misero un termine ai trattati, credendo che la Russia sarebbe crollata stessa e che non si sarebbe più rialzata (visto che parte dei treni fantasma venivano costruiti in Ucraina).

Anche volta scommisero male, nel 2015 i trattati START-I e START-II sono ufficialmente scaduti e in Russia dal 2020 sono tornati operativi, nuovi e fiammanti, portando all’interno dei loro vagoni sei missili RS-24 Yars: più leggeri non più bisogno di vagoni rinforzati per distribuire i carichi (quindi identificarli è più difficile di prima) con 4 testate tecnologia del XXI secolo, in grado di superare qualsiasi difesa missilistica.

– Il silos di lancio –

– Sollevamento della piattaforma di lancio –

Se vogliamo, in questo articolo possiamo trovarci anche una morale, ossia che ai Russi non bisogna cagargli il cazzo, sono come il cavaliere nero.

P.S. Ma andrà tutto bene

 

Il restauro dell’Arsenale parte dal tetto, per il resto ci vorrà tempo
Da verona-in.it del 14 maggio 2021

Il progetto prevede che si metta subito mano a coperture e sicurezza antisismica, interventi il cui studio di fattibilità è datato fine 2017

La prima cosa che salta agli occhi è che l’amministrazione comunale ha fatto partire nientemeno che il conto alla rovescia: fra 542 giorni, dicono da palazzo Barbieri, l’Arsenale avrà i tetti nuovi e sarà al sicuro dal punto di vista sismico. Una certezza, quella di sindaco e giunta, che deriva dall’aver aggiudicato l’appalto dei lavori per la prima fase di sistemazione del complesso militare austriaco: il cantiere partirà a giorni e si concluderà solo a intervento ultimato, tra circa un anno e mezzo. A vincere la gara del valore di 7 milioni di euro è stata un’associazione temporanea di impresa di Padova, composta dalle ditte Ruffato Mario srl, Vivere il legno srl e Rws srl, che hanno battuto le altre 21 ditte partecipanti “grazie alla qualità tecnica degli interventi proposti”.

Sotto con le ruspe, quindi. Anzi, a dire il vero le ruspe c’erano già state lo scorso gennaio, per abbattere le “casematte” e le palazzine considerate non storiche, e di conseguenza non previste nel piano di recupero. Recupero per il quale l’attesa sembrerebbe finita, anche se questo non è certo il primo annuncio di “riqualificazione imminente” per quel che riguarda l’Arsenale. Si comincia da i tetti. Il progetto prevede infatti che per prima cosa si metta mano alle coperture e ai parametri antisismici, intervento il cui studio di fattibilità è datato fine 2017. Verranno quindi rifatti tutti i tetti delle palazzine, ad eccezione della palazzina Comando. Si parte dalla Corte Ovest, quella destinata ad ospitare l’Accademia delle Belle Arti, “per accelerare l’iter legato al trasferimento della scuola”: piano da finanziare, in teoria, con la vendita di Palazzo Verità Montanari, attuale sede dell’Accademia, valutato intorno ai 10 milioni di euro.

Quanto al progetto finale, per la palazzina Comando, distribuita su due piani, è stata definita una destinazione museale, collegata direttamente con il Museo di Castelvecchio. Avrà anche spazi a disposizione dei Musei civici, oltre ad aule e locali riservati ad attività, conferenze e laboratori. Ci saranno anche caffetteria, sale dedicate alla lettura, bookshop, aule didattiche con postazioni informatiche, oltre naturalmente ai locali di servizio, come guardaroba e bagni. La Corte Est invece è destinata ad ospitare un mercato alimentare coperto. L’area centrale, tra le Corti Est e Ovest, diventerà invece un polmone verde a disposizione dei cittadini. Tutto questo, a grandi linee, nei piani a lungo termine di questa amministrazione.

“Gli interventi effettuati fino ad ora, come l’abbattimento degli edifici non vincolati, la messa in sicurezza di alcune coperture troppo ammalorate e i lavori preparatori per la realizzazione della prima parte del parco, hanno di fatto anticipato il cantiere per eccellenza, quello atteso ormai da decenni e per il quale l’amministrazione ha premuto sull’acceleratore senza mai mollarlo”, recita una nota di palazzo Barbieri. Insomma, si comincia. Ma quando si finirà? E qui comincia l’inevitabile gioco delle parti.

“Se Sboarina nel 2017 non avesse cancellato il project della mia amministrazione – interviene l’ex sindaco Flavio Tosi – oggi i veronesi avrebbero l’Arsenale già totalmente riqualificato. Questo è un dato di fatto. Senza contare che nel pseudo-progetto Sboarina non si parla di bonifica dell’Arsenale. È il tema centrale: la riqualificazione dell’Arsenale dovrebbe partire dalle fondamenta, le aree verdi che sono da bonificare completamente da materiali tossici, poi si dovrebbe passare agli spazi interni e infine ai tetti. Invece Sboarina parte dalla fine e non prevede l’inizio”.
“Siamo a metà del 2021 e per l’Arsenale parte soltanto la fase conclusiva dei lavori per la messa in sicurezza che il sottoscritto chiedeva fin dal 2015. Al tempo buona parte della maggioranza del sindaco Sboarina era impegnata ad osannare il project financing di Tosi – dice invece il capogruppo di Sinistra in Comune Michele Bertucco –. Bene dunque che dopo sei anni qualcosa si sblocchi ma ancora oggi non c’è certezza sui fondi necessari a portare a termine la riqualificazione che allo stato è sicura soltanto per una piccola parte. Ci saranno i tetti nuovi ma non è certo se e a quale prezzo si riuscirà a vendere palazzo Verità-Montanari”.

Un tema, quello della vendita di palazzo Montanari, ripreso anche dai consiglieri dem a palazzo Barbieri: “Resta ancora incerta la solidità del piano ideato dall’amministrazione per trasferire all’Arsenale l’Accademia delle Belle Arti. La vendita di palazzo Montanari, che dovrebbe finanziare le operazioni, si sta rivelando più ostica del previsto, mentre ci si è accorti che nella nuova sede gli spazi per gli studenti saranno insufficienti – scrivono in una nota Federico Benini, Elisa La Paglia e Stefano Vallani –. La riqualificazione è partita a singhiozzo fin dal 2017, ma la vera domanda è se e quando il compendio tornerà a vivere a favore della cittadinanza”. Fin qui, il botta e risposta della politica. Ma nel capitolo Arsenale recita un ruolo anche il Comitato Arsenale di Verona, che invece sembra aver accolto positivamente la svolta arrivata con l’aggiudicazione dei lavori: “Se tutto va bene entro il 2023 la corte Ovest e la corte centrale saranno staticamente risanate, e quindi utilizzabili sia pure con attività provvisorie, ma soprattutto pronte e disponibili per i successivi necessari lavori per l’insediamento delle attività definitive”, è l’opinione del Comitato. Che però d’ora in avanti chiede anche qualcosa in più:condivisione dei progetti, garanzie sulla gestione della struttura nel suo complesso, tempistiche degli interventi di riqualificazione, certezza dei finanziamenti, partecipazione alle scelte future. Fra 542 giorni l’Arsenale avrà i tetti nuovi. Ma la strada sembra ancora lunghissima.

Carlo Garzotti

 

Per analista americano Mosca è il posto più sicuro in caso di guerra nucleare
Da sputniknews.com del 13 maggio 2021

Mosca potrebbe essere il posto migliore per sopravvivere in caso di conflitto nucleare, ha sostenuto il giornalista Caleb Larson in un articolo per la rivista americana The National Interest.

Ha notato che la Russia ha un piano per modernizzare la sua difesa missilistica: si tratta del sistema provvisoriamente denominato A-235, che dovrebbe eliminare le carenze dei sistemi di difesa missilistica della generazione precedente, soprattutto nella neutralizzazione dei missili ipersonici.

Larson ha ricordato che nel 1972 l'Urss e gli Stati Uniti hanno firmato un Trattato sulla limitazione dei sistemi di difesa anti-missile, in base al quale il numero di tali sistemi in ciascun Paese è stato ridotto a due. Uno di questi potrebbe essere utilizzato per proteggere il complesso per il dispiegamento di missili balistici intercontinentali e l'altro per la difesa della città, cioè, nel caso dell'Unione Sovietica Mosca. Inoltre, le parti hanno ridotto il numero di lanciatori a cento e limitato lo sviluppo di tecnologie in questo ambito.

All'inizio Mosca era protetta dal sistema A-35, i cui razzi potevano abbattere bersagli nemici al di fuori dell'atmosfera, riducendo il rischio di ricadute nucleari. Tuttavia, secondo la Cia, il sistema "non copre le minacce missilistiche multidirezionali dagli Stati Uniti", né è protetto dalle esplosioni nucleari.

Nel 1995, la difesa della capitale russa è stata modernizzata. Ora la scommessa non è sui silos missilistici sotterranei, ma sui lanciatori mobili. In Russia hanno inoltre in programma di cambiare il carico nucleare in esplosivi convenzionali, ha affermato Larson.

 

Roma: firmata intesa, ex Forte Portuense acquisito da Adm
Da radiocolonna.it del 13 maggio 2021

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Adm) ha sottoscritto con Roma Capitale e l’Agenzia del Demanio il protocollo per l’acquisizione, ristrutturazione e valorizzazione dell’ex Forte Portuense, una delle 15 fortificazioni edificate a fine ‘800 per la difesa della Capitale.
Il Protocollo prevede che Adm provveda, con fondi propri, alla ristrutturazione in toto con uso dello stesso per proprie attività museali e laboratori chimici. Gli ambienti ristrutturati dell’ex Forte Portuense ospiteranno, inoltre, laboratori multimediali adatti ai giovani, dove gli stessi potranno sperimentare le specifiche tecniche per il riconoscimento dei prodotti contraffatti. I laboratori saranno gestiti direttamente da personale Adm. Ci saranno sale espositive in cui saranno previste anche mostre temporanee e conferenze su tematiche sociali per la salute e la sicurezza.

Tutte le aree esterne saranno opportunamente bonificate e sistemate a parco. Gli ampi spazi esterni di pertinenza del Forte saranno resi disponibili a titolo gratuito ai fruitori secondo gli orari dei parchi pubblici capitolini. La Piazza d’Armi sarà messa a disposizione per eventi organizzati da Roma Capitale.
“La realizzazione del progetto di riqualificazione dell’ex Forte Portuense consentirà di ridare a vita a uno spazio importante per Roma e i suoi cittadini. Voglio ringraziare l’Agenzia delle Dogane e Monopoli per avere manifestato la volontà di acquisire questo immobile e l’Agenzia del demanio per avere formalizzato il Protocollo d’intesa che renderà tutto questo possibile” dichiara la sindaca di Roma Virginia Raggi.
“E’ volontà di Adm riconsegnare al Patrimonio dello Stato un immobile, prerogativa per un uso della cittadinanza, caratteristico e tipico di un’epoca storica, ed importante per la Città di Roma” afferma il Direttore Generale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli Marcello Minenna.

 

La storia dell’ex Polveriera di Caraglio raccontata da Francesco Isoardi
Da laguida.it del 13 maggio 2021

Già sindaco di Valgrana, oggi ha 98 anni ed è la memoria vivente della Valle Grana

Di Francesco Massobrio

Caraglio – L’ex Polveriera di Caraglio ha una storia che risale a poco prima della Seconda Guerra Mondiale. L’anno scorso sono iniziati i lavori di riqualificazione per realizzare il Parco Acquaviva, che verrà inaugurato in primavera il prossimo anno. Questa è l’ultima fase della storia della struttura che per anni è stata lasciata inutilizzata. Francesco Isoardi, classe 1923, già sindaco di Valgrana dal 1975 al 1980, ha visto in prima persona tutte le tappe della storia della Polveriera. Sabato 8 maggio accompagnato da Paola Falco, sindaco di Caraglio, ha visitato il cantiere che sta riqualificando l’intera zona e ha raccontato vicende e aneddoti di questo luogo dalla sua costruzione fino ad oggi.

 

L'Albania ricicla i suoi bunker
Da rsi.ch del 13 maggio 2021

Il dittatore Enver Hoxha disseminò il Paese di rifugi militari. Oggi gli albanesi li hanno trasformati in bar, fienili, musei e Bed & Bunker

Sono almeno 150 mila i bunker disseminati in Albania. Un retaggio grigio, fatto di cemento armato, del quasi mezzo secolo di regime stalinista e isolazionista del dittatore Enver Hoxha, che ne ordinò la costruzione negli anni Ottanta, in un delirio paranoide.

Oggi i bunker hanno nuovi e originali utilizzi. Fienili, stalle per il bestiame, bar e ristoranti sulle spiagge, ma anche musei, come il Bunk'Art di Tirana, e persino bed&breakfast. Anzi, Bed & Bunker! E' questo il nome di un progetto congiunto della Universiteti Polis di Tirana e dell'Università tedesca di Mainz. Tra il 2012 e il 2013, studenti e docenti di architettura hanno realizzato i primi prototipi nel nord del Paese. Nel 2015, il progetto si è aggiudicato il premio Eumies dell'Unione europea per l'architettura contemporanea.

Da allora sono molti coloro che hanno preso spunto da quest'idea. E quelli che guardano ai bunker come meta turistica. E' il caso di Elton Caushi e della sua Albanian Trip, che organizza viaggi tematici itineranti tra i rifugi bellici.

Gilberto Mastromatteo

 

Città BUNKER pronta per la CATASTROFE planetaria - La più grande città al mondo costruita solo di bunker
Da meteogiornale.it del 13 maggio 2021

Di Antonio Lombardi

Negli Stati Uniti d’America, nelle selvagge terre delle remote Black Hills del South Dakota, si trova una comunità segreta chiamata Vivos xPoint. Questa ha le dimensioni di una piccola città e ospita 575 bunker sotterranei progettati pensando al peggio. Ovvero alla catastrofe che spazzerebbe la vita sulla Terra

Mentre il Mondo forse sta cominciando ottenere un controllo della fragilità della vita umana per la pandemia in corso, ma i residenti di questi bunker sotterranei hanno pianificato un disastro globale molto più grande del COVID-19, molto tempo prima.

L’utilizzo dei bunker sotterranei non è una novità, ad esempio in Svizzera ci sono molte abitazioni dotate di tale sistema di sicurezza, così anche diversi immobili in giro per il pianeta.

In caso di un possibile attacco di zombi, la città dei bunker, ha lo scopo di proteggere migliaia di persone in ogni possibile scenario apocalittico. In merito a ogni possibile scenario apocalittico abbiamo qualche dubbio in proposito, oltre che parecchie domande da porre.

Vivos xPoint appare come un’area disseminata di piccole colline. Ciascuna piccola collina è un bunker sotterraneo. Nel video di YouTube viene mostrato come gli abitanti, che già vi possono trascorrere del tempo, vivono le 24 ore in questa piccola comunità, che nel caso di disastro dovrebbe salvare una piccola parte della civiltà umana.

Il tutto sembra veramente molto triste da vedere.

Qui il video di YOUTUBE che presenta la città che è pronta per la fine del Mondo. https://www.youtube.com/watch?v=QW6DIchOpnc

 

Rete delle Fortificazioni: nuova tavola rotonda per un’azione comune di valorizzazione
Da monferratowebtv.it del 12 maggio 2021

Il sindaco Riboldi: «Anche Casale Monferrato protagonista con i più importanti Castelli del Nord Ovest»

Quali saranno i prossimi passi per la valorizzazione del Castello del Monferrato e come sfruttare al meglio le opportunità create dalla rete che unisce le più importanti fortificazioni del nord ovest d’Italia. Sono stati questi alcuni dei temi trattati durante l’incontro organizzato dalla Rete delle Fortificazioni che si è svolto nelle scorse settimane ad Alessandria.

Sottoscritto l’accordo nel settembre del 2020, la Rete ha al suo interno anche due importanti realtà di Casale Monferrato, il Comune e l’Associazione Casalese Arte e Storia: «Con la presidente dell’associazione Antonella Perin, che ringrazio per la preziosa collaborazione, abbiamo sottoposto all’attenzione dei partecipanti alla tavola rotonda gli impegni che stiamo mettendo in campo affinché il nostro Castello sia al centro della promozione dell’intero territorio – ha spiegato il sindaco Federico Riboldi – Dal recupero del secondo cortile e delle facciate, fino al trasferimento dello Iat negli ambienti all’ingresso della prima corte, passando per un calendario di iniziative storico – culturali che valorizzino le eccellenze del Monferrato Unesco: questi sono solo alcuni dei temi che abbiamo messo sul piatto».

La presidente di Arte e Storia Antonella Perin ha invece posto l’accento sull’ultimo importante contributo che l’associazione, con l’Istituto Superiore Leardi, ha dato alla fortezza di Casale Monferrato: l’itinerario storico – turistico all’interno del Castello realizzato con 21 pannelli informativi in italiano e inglese.

Il prossimo appuntamento avrà all’ordine del giorno i progetti operativi da avviare per una valorizzazione della Rete dal punto di vista turistico, culturale e architettonico: un lavoro di squadra, per portare consapevolezza sul ricco patrimonio esistente nel nostro territorio.

La Rete delle Fortificazioni è composto da Forte di Bard (che ha annunciato proprio ad Alessandria di esser entrato a far parte del prestigioso International Fortress Council, in rappresentanza della Rete dei Forti), Cittadella di Alessandria, Forte di Vinadio, Centro studi e Ricerche storiche sull’Architettura militare del Piemonte, Istituto Italiano Castelli Onlus – sezione Piemonte e Valle d’Aosta, Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706, Associazione studi di storia e architettura militare Forte di Bramafam, Associazione Casalese Arte e Storia, Castello di Casale Monferrato, Parco della Cittadella, Associazione Progetto San Carlo Forte di Fenestrelle onlus, Fondazione Artea e Istituto Internazionale di Studi Liguri Onlus.

 

Il piano Europa dimenticato «Interventi fermi da dieci anni»
Da nuovavenezia.it del 12 maggio 2021

Il portavoce dell’Istituto dei Castelli, Andrea Grigoletto, chiede l’intervento del Provveditorato. «Patrimonio in pericolo da restaurare, lavori chiesti dall’Ue»

Di Alberto Vitucci

Dieci anni di nulla. E adesso il Piano Europa rischia di saltare. Interventi per almeno 80 milioni di euro. Misure di “compensazione, conservazione e riqualificazione ambientale” prescritte dall’Unione europea nel 2011 come “risarcimento” dei danni provocati alla laguna dagli impattanti cantieri del Mose. Soldi stanziati, imprese pronte a partire. Ma adesso il Piano Europa è finito in seconda fila. C’è l’urgenza di completare il Mose, in grave ritardo, di ripararne i guasti sempre più gravi. E di “salvare” dal fallimento il Consorzio Venezia Nuova. Così gli interventi sono fermi.

Il portavoce dell’Istituto italiano dei castelli, Andrea Grigoletto, ha inviato una richiesta urgente al Provveditorato alle Opere pubbliche. Chiedendo l’avvio di un tavolo di confronto. «Non sono lavori secondari», dice, «ma una grande opera di conservazione della nostra storia. Sentiamo dire che non ci sono i soldi, e che il Piano Europa non interessa più. E’ grave, e vorremmo capire cosa sta succedendo».
Con i fondi già stanziati per quella voce sarebbe possibile il restauro conservativo e l’utilizzo di monumenti come il Forte di Sant’Andrea, opera cinquecentesca del Sammicheli a San Nicolò di Lido; ma anche del Forte Caroman, della batteria Cabianca e della batteria Rocchetta. E il completamento del Forte di San Felice a Chioggia. «Il sistema dei forti e delle batterie difensive», scrive Grigoletto alla provveditora Cinzia Zincone, «costituisce un elemento storico identitario imprescindibile della storia della Repubblica di Venezia. Va recuperato per trasmetterlo alle generazioni future. E anche per creare occasioni di lavoro nell’ambito culturale e del turismo ecogreen».
Il sistema delle fortificazioni cinquecentesche, ideato dalla Repubblica Serenissima, comprende veri gioielli dell’architettura come il Forte di Sant’Andrea. Che aveva il compito di proteggere la laguna dagli ingressi delle navi nemiche. Ma anche molti altri a Chioggia e Malamocco. Durante la dominazione austriaca il sistema era stato rinforzato con altre batterie, infine dopo l’Unità d’Italia, per Venezia avvenuta nel 1866, il sistema dei campi trincerati in terraferma.

Un patrimonio di grande valore culturale di proprietà del Demanio. Che adesso dovrà essere restaurato e aperto alla città. Sono gli interventi collaterali alla grande opera che l’ex provveditore Roberto Linetti e l’ex amministratore straordinario del Consorzio, Giuseppe Fiengo, avevano garantito necessari. Ma che adesso sono stati stralciati dal piano delle opere. Eppure nel 2011 l’Europa era stata chiara, Le procedure di infrazione avviate dopo gli esposti di numerose associazioni ambientaliste tra cui Italia Nostra erano stati archiviati a condizione che lo Stato italiano si impegnasse al ripristino, alla compensazione e riqualificazione delle aree compromesse dai cantieri.
In realtà di tutto questo non si è fato nulla. Anche la spiaggia di Santa Maria del Mare, cementificata per installarvi il cantiere per la costruzione dei cassoni del Mose è rimasta com’era. Doveva essere smantellata e riportata alla situazione originaria. Ma qualcuno adesso ha in mente di collocarci anche il porto turistico. Niente restauri dei forti e blocco totale dei lavori all’Arsenale e in laguna. Adesso l’Istituto italiano dei Castelli chiede al ministero di Giovannini e al Provveditorato veneziano di intervenire: «Quegli interventi vanno avviati». —

 

La Spezia, scoperto un bunker della Guerra Fredda al Parco delle Mura
Da ilsecoloxix.it del 11 maggio 2021

Di Mario Toracca

La Spezia – C’è anche un vecchio bunker della Guerra Fredda tra le attrazioni turistiche del nuovo parco delle Mura, il percorso sentieristico e storico a cui sta lavorando da alcuni mesi il Comune della Spezia con l’obiettivo di giungere all'inaugurazione per fine estate. Si tratta, nel dettaglio, di una casermetta dedicata alle comunicazioni che nel delicato periodo del confronto tra Est e Ovest, Patto di Varsavia e Alleanza Atlantica (Nato), fungeva da anello locale nella fitta maglia delle trasmissioni militari. «Un ritrovamento inedito. Una chicca per gli appassionati di storia recente. È emersa nel corso dei lavori e subito si è capito il suo possibile valore turistico», dice Luca Piaggi, assessore municipale a Lavori pubblici e urbanistica (Cambiamo!) che sta seguendo il dossier parco della Mura da vicino.

«Sarà realizzata una sorta di piccola esposizione con strumentazioni e dotazioni d’epoca che di certo interesserà molti appassionati», aggiunge sottolineando l’appeal che il nuovo percorso escursionistico e panoramico rivolto a residenti e turisti potrà avere una volta ultimato. «Operai e tecnici sono quotidianamente sul sito. Stanno intervenendo su una zona di particolare pregio per la città della Spezia - sottolinea - Il parco delle Mura è inserito in un progetto più ampio di rivisitazione della città storica. Nel pacchetto c'è la valorizzazione di strutture come il parco della Rimembranza, nell'area di Gaggiola, di cui oggi (ieri per chi legge) abbiamo dato il via ai lavori di riqualificazione». Il parco della Mura interessa le strutture ottocentesche che circondano La Spezia, un circuito storico e architettonico che definisce i confini urbani di un tempo e che si estende per circa quattro chilometri. «Si sviluppa su un’area collinare che interessa l’antico nucleo di espansione della nostra città - osserva Piaggi - creando un vero e proprio arco ideale da levante a ponente che parte dal quartiere della cattedrale di Cristo Re giungendo fino alla stazione ferroviaria centrale e a piazzale Emanuele Ferro».

L’area di valorizzazione del parco della Mura viene così inserita dal Comune in un mosaico che comprende altre importanti caselle. «Nel pacchetto di cura e adeguamento c’è anche la batteria Valdilocchi, complesso militare di fine Ottocento che si trova nell’omonima zona, nel levante cittadino e l'area delle Clarisse. Tutte insieme, queste realtà, fanno parte di questo pacchetto di cui l’elemento di punta sarà proprio il parco delle Mura».

A finanziare il progetto è il Fondo Strategico Regionale (Fsr) della Liguria per 1.3 milioni di euro. «Il percorso delle Mura si unirà fisicamente al parco della Rimembranza creando così, di fatto, un percorso unico nel suo genere. È un’opera che rigenera una zona abbandonata per lunghi anni che diventa, adesso, parco cittadino con funzioni anche di attrazione turistica e di trekking».

I muraglioni che circondano la città e costituiscono la spina dorsale del parco rappresentano, in vari punti, le vecchie porte di accesso al nucleo urbano originario. Con altezze che giungono fino a sette metri e dall’aspetto imponente grazie a rivestimenti in pietra e materiale lapideo locale le mura presentano, in vari settori, anche caponiere che nel progetto del Comune potrebbero diventare zone ristoro rivolte a escursionisti e camminatori.

Nei piani dei progettisti il parco si legherà a doppio filo alla rete dei sentieri di recente riscoperta dagli spezzini, gettonatissima sui social e protagonista di una pubblicazione dedicata della sezione locale del Club Alpino Italiano (Cai): «I lavori del parco delle Mura sono connessi alla rete sentieristica spezzina con gli ormai celebri percorsi ad anello. La pubblicazione, edita di recente e rivolta a quelle opportunità escursionistiche realizzata dal Cai spezzino, mi ha visto impegnato in prima persona. È una chiave di volta nuova che fa riscoprire itinerari urbani e collinari con zone anche dimenticate che hanno un grande significato ambientalistico e storico per La Spezia. Il percorso delle mura si inserisce in questo pacchetto a pieno titolo diventandone parte integrante. Non solo: con esso si possono apprezzare ovviamente le mura storiche ma anche scalinate che si affacciano su realizzazioni liberty e art-nouveau. Arte ed escursionismo insieme uniti ad altri percorsi della rete spezzina in linea con le esigenze di turismo lento, natura e storia».

 

Il radar Duga: una misteriosa installazione top secret
Da everyeye.it del 9 maggio 2021

Di Biagio Daniele Rapinese

Dal Luglio 1976 al dicembre 1989 un misterioso segnale poteva essere udito dalle radio di tutto il mondo, un particolare ticchettio da 10Hz, che gli valse il soprannome di Russian Woodpecker (picchio rosso). Per anni questo segnale fu oggetto di polemiche e supposizioni, fino alla sua disattivazione alla fine della guerra fredda.

Proveniva infatti da un'installazione militare sovietica segreta , il Duga, un sistema di localizzazione e preallarme per missili balistici intercontinentali. Ne vennero costruiti tre, il prototipo sperimentale DUGA (o DUGA-0), il DUGA-1 presso Chernobyl ed il DUGA-2 presso Komsomolsk nella Siberia orientale.
Il più noto è senz'altro stato quello nella cittadina ucraina, che ora si trova nella zona di alienazione dopo il disastro che colpì Chernobyl, in completo stato di abbandono come esempio di archeologia industriale.

I sistemi Duga erano estremamente potenti, oltre i 10MW in alcuni casi, con trasmissioni ad onde corte comparse senza preavviso, con salti di frequenza casuali che interrompevano o si sovrapponevano ai segnali delle trasmissioni ufficiali, dalle radio amatoriali alle trasmissioni pubbliche, addirittura interferendo con le comunicazioni delle rotte aeree.

C'era da aspettarselo se quindi, in piena guerra fredda, il segnale fu fonte di molte speculazioni, dando origine a teorie del complotto secondo cui i sovietici stessero sperimentando una sorta di controllo mentale o esperimenti sulla manipolazione del clima. La NATO però smentì subito tali teorie grazie alle foto che riuscì a scattare segretamente, dimostrando come fosse una normale installazione radar OTH.

Il sistema Duga, che consisteva sempre di 3 impianti (prototipo, Duga-1 e Duga-2) pur avendo dimostrato le sue capacità, rilevando con successo i lanci di razzi dal cosmodromo di Baikonur (ad oltre 2500km di distanza), fu un progetto dai costi spaventosamente alti, basti pensare che il solo Duga-1 costò quanto due impianti nucleari.

Molto probabilmente fu questo uno dei motivi che fece terminare il programma, oltre alla fine della guerra fredda ed il sopracitato incidente nucleare nelle prossimità dell'installazione. Qualora voleste esplorare una lettura diversa dell'argomento, e molto complottistica, il regista ucraino Fedor Alexandrovich, nel film "The Russian Woodpicker" ipotizza un legame molto stretto tra il disastro di Chernobyl ed il Duga-2.

Ai posteri l'ardua sentenza. Voi conoscevate la storia di questo radar segreto?

 

Conclusa la campagna di lanci SAMP/T del 4° Reggimento “Peschiera”
Da analisidifesa.it del 9 maggio 2021

Il sistema di difesa controaerei SAMP/T dell’Esercito ha intercettato un bersaglio aereo per mezzo di un missile Aster durante l’esercitazione tenuta dal 4° Reggimento Artiglieria Controaerei “Peschiera”.
Il lancio ha interessato il missile MBDA Aster 30 e costituisce l’evento addestrativo e valutativo culminante per la specialità controaerei teso a dimostrare la capacità dei sistemi missilistici nazionali di fronteggiare le minacce provenienti dalla terza dimensione.

L’occasione è stata propizia per implementare la capacità di autodifesa del sistema, alla luce degli attuali scenari che vedono l’impiego di differenti tipologie di vettori aerei per ridurre la capacità controaerei. In particolare sono stati integrati nella batteria: un posto tiro a cortissima portata Stinger del 17° Reggimento “Sforzesca” e il più innovativo sistema di contrasto alla minaccia portata da mini e micro droni, assetto, quest’ultimo, messo in campo dal 121° Reggimento “Ravenna” in concorso con il Centro di Eccelllenza Counter Mini/Micro Aeromobili a Pilotaggio Remoto (CdE C-M/M APR).

Il risultato è stato ottenuto grazie al continuo addestramento delle unità del Comando Artiglieria Controaerei (COMACA), oggi sotto la guida del Generale di Brigata Fabrizio Argiolas: “Questo successo conferma, una volta di più, l’operatività della specialità Controaerei dell’Esercito e dei suoi uomini e donne, capaci di operare brillantemente con un sistema d’arma complesso come il SAMP/T al fine di affrontare le minacce provenienti dal cielo che sono in costante evoluzione e di dare una risposta al tema della difesa dello spazio aereo nazionale, Europeo e in ambito NATO”.

Il SAMP/T, in dotazione alla specialità controaerei dell’Esercito dal 2013, è un progetto sviluppato da Francia e Italia all’interno del programma Future Surface-to- Air Family (FASF) e combina il radar Arabel 90, il modulo di Comando, il modulo d’Ingaggio e il missile Aster 30, oltre alle piattaforme dei lanciatori in grado di proiettare rapidamente ben 8 missili ciascuno.

Sistema di difesa aerea a medio raggio sviluppato per proteggere le forze sul campo, i siti e le aree sensibili da minacce di tipo convenzionale come ad esempio aerei, UAV, elicotteri e missili stand-off di nuova generazione, e dai missili balistici a corto raggio, esso fa affidamento sul missile Aster 30 (la cui gittata è di oltre 100 km) e si distingue per una mobilità tattica e strategica di alto livello.

La Campagna Lanci si è svolta alla presenza del Comandante delle Forze Operative Terrestri di Supporto, Generale di Corpo d’Armata Massimo Scala, il quale nel suo discorso, ha espresso il proprio apprezzamento per l’operato delle unità del Comando Artiglieria Contraerei posto alle sue dipendenze.

Fonte: comunicato Esercito Italiano

 

Marsala città perduta / 11: i capannoni Nervi e non solo. Le aree militari dismesse
Da tp24.it del 8 maggio 2021

C'è chi dice che la guerra non è mai finita. Ed è vero. Marsala lo può dire bene. La guerra non è mai finita, ad esempio, perchè ancora oggi il nostro centro storico porta i segni del terribile bombardamento dell'11 Maggio del '43.

E la guerra non è mai finita anche per un altro motivo: Marsala, come altre città, subì una sorta di militarizzazione strisciante, con grandi aree che vennero sottratte alla collettività per essere destinate all'esercito. Queste aree godettero di una certa fortuna durante la guerra fredda, e sono state anche una fortuna per tanti, dato che l'impiego nell'esercito era uno dei posti di lavoro pubblici più ambiti per il rapporto stipendio / stress (lo è ancora ...). I finanziamenti copiosi al comparto della Difesa, gli impegni con gli alleati del Patto Atlantico, le tensioni nel Mediterraneo, fecero in modo che queste strutture vivessero, per un certo tempo, di luce propria. Poi, aumentando la pace nel mondo, sono state progressivamente abbandonate. E adesso rimangono come delle grandi aree recintate, abbandonate, quindi inutili, in luoghi molto importanti della città. E' di queste aree che ci occupiamo nella puntata di oggi della nostra inchiesta "Marsala città perduta". Qui potete vedere tutte le puntate precedenti. E ancora una volta parliamo di luoghi dal potenziale enorme, e che invece cadono nell'incuria.

L'Idroscalo dello Stagnone, ad esempio, unisce tanti pregi. Custodisce due hangar progettati da Pier Luigi Nervi, uno degli architetti italiani più famosi del secolo scorso. Sono due perle di archeologia industriale. Ha al suo interno una spiaggia, aree a verde, e edifici che potrebbero ospitare scuole e uffici e che invece sono abbandonati. Davvero, se quell'area fosse restituita alla città si potrebbe fare di tutto. Ci aveva provato il Sindaco di Marsala, Renzo Carini, nel 2009. Fu la prima volta che in Italia un Comune e il Ministero della Difesa raggiungevano un accordo di questo tipo, con Marsala che si riappropriava di quell'area, magari per creare un campus scolastico e risolvere il problema degli istituti scolastici in affitto che costano ogni anno alle casse pubbliche milioni di euro. Purtroppo, però, la Sindaca Giulia Adamo, che arrivò dopo Carini, fece saltare tutto.

Su Wikipedia c'è una voce che racconta la storia secolare dell'idroscalo dello Stagnone.

Nel cuore della città, invece, sorge l'area, enorme, abbandonata, dell' "ex deposito munizioni". Anche in quel caso, stiamo parlando di un luogo che per lo sviluppo di Marsala potrebbe essere strategico, un vero e proprio parco urbano nel centro città, ad esempio, con servizi e viabilità interna, ideale per evitare il traffico di Via Dante Alighieri. L'ex 108° Deposito Munizioni risulta, nel 2014, oggetto di un provvedimento di messa in vendita da parte del Ministero Della Difesa. Ma è ancora lì, abbandonato e vandalizzato, come abbiamo raccontato in un nostro articolo del 2016.

 

Rheinmetall presenta il nuovo semovente d'artiglieria ruotato da 155mm
Dalla pagina facebook di Storia dei mezzi corazzati del 8 maggio 2021

Di giampaolo sordini

Con la nuova famiglia di camion militari HX3, l'azienda tedesca Rheinmetall ha sviluppato una piattaforma multiruolo in grado di essere utilizzata come supporto di sistemi per armi complesse e sistemi radar. Questi includono i sistemi di artiglieria basati su camion, ad esempio, che probabilmente acquisiranno importanza nei prossimi anni. In combinazione con la nuova interfaccia ATI (Artillery Truck Interface), l'HX 10x10 potrebbe essere utilizzato in futuro come base standard per varie soluzioni di artiglieria o sistemi simili.
Secondo una prima analisi, il nuovo obice HX3 è dotato di una torretta corazzata completamente chiusa che è montata sul retro del telaio del camion. La torretta sembra essere armata con il cannone Rheinmetall calibro 155mm 52 che viene utilizzato anche sul PZH 2000, obice semovente cingolato che è in grado di sparare a una distanza massima di 30 km con munizioni standard e 40 km con proiettili a gittata estesa.

La torretta mantiene il sistema di caricamento automatico dei proiettili del PZH 2000, alimentato elettricamente e controllato digitalmente, progettato per gestire i proiettili da 155 mm durante il caricamento e lo scaricamento del caricatore da 60 colpi, il caricamento del cannone dal caricatore e il caricamento dall'esterno, inclusa l'impostazione della spoletta.
La torretta è montata su una piattaforma progettata per AGM (Artillery Gun Module) che ha permette una rotazione sul piano azimutale di 360°. In posizione stradale, il cannone è tenuto in posizione da un blocco, situato nella parte posteriore della cabina dell'equipaggio.

Secondo i disegni dell'obice HX3 pubblicati dalla società Rheinmetall, la torretta sembra essere controllata a distanza dalla cabina offrendo un'elevata cadenza di fuoco e una missione MRSI (Multiple Round Simultaneous Impact). Tutte le operazioni di sparo possono essere eseguite dall'interno della cabina dell'equipaggio.

Per rispondere alle nuove minacce del moderno campo di battaglia, i camion HX3 possono essere dotati di una cabina blindata per fornire protezione balistica contro armi leggere e schegge di artiglieria.

L'obice HX3 155mm dovrebbe essere dotato di sistemi di controllo e comunicazione computerizzati per fornire comunicazioni di rete e gestione della sequenza di tiro in tempo reale, compreso l'inoltro delle richieste di supporto al fuoco e la trasmissione degli ordini di tiro in base al tipo di bersaglio, al tipo di munizioni e alla disponibilità di armi.

 

Creata la Brigata Controllo Aerospazio dell'Aeronautica Militare
Da askanews.it del 7 maggio 2021

Dipende dal Comando Operazioni Aerospaziali di Poggio Renatico

Milano, 7 mag. (askanews) – È stata istituita oggi, venerdì 7 maggio 2021, presso la base di Poggio Renatico, in provincia di Ferrara, la Brigata Controllo Aerospazio dell’Aeronautica militare.

Il nuovo reparto dipende dal Comando Operazioni Aerospaziali e rappresenta un simbolo di riorganizzazione nel settore Difesa Aerea e Missilistica Integrata e Traffico Aereo Operativo dell’Arma azzurra.

 

Ecco cosa ci rivela la scoperta di una nuova base sotterranea per missili dell’Iran
Da insideover.com del 7 maggio 2021

Di Paolo Mauri

Nuove immagini satellitari provenienti da fonti “aperte” hanno rivelato il sospetto sviluppo di una nuova base missilistica nei pressi di Haji Abad in Iran.

Secondo gli analisti dell’International Institute for Strategic Studies, si tratterebbe del primo sito destinato specificamente al lancio di missili balistici a combustibile solido. Le riprese da satellite della nuova base missilistica rivelano strutture che ricordano quelle svelate ufficialmente da Teheran nei mesi precedenti riguardanti installazioni similari. La struttura sotterranea di Haji Abad non è mai stata mostrata prima dall’Iran, ma sappiamo che tra il 2017 e il 2019 il sito è stato modificato con la costruzione di grandi strutture circolari cave, presumibilmente accessibili tramite tunnel sotterranei. Costituito da due gruppi di installazioni distinte, osservabili nettamente nelle immagini – quattro strutture sotto il livello del suolo e tre semi-incassate nel paesaggio – ciascuno presenta spazi interni di circa 20 metri di diametro, ed un gruppo sembra mostrare pareti esterne di almeno 5 metri di spessore.

Osservazioni datate dicembre 2019, rivelavano che queste sette strutture ospitavano, ciascuna, coppie di oggetti cilindrici misuranti circa 12 m di lunghezza con apparente, anche se alquanto limitato, mimetismo. Date le loro caratteristiche e il posizionamento in “silos” protetti, si potrebbe trattare di contenitori di lancio di missili balistici montati orizzontalmente.

Se effettivamente si tratta di canister per missili balistici, allora questi sono probabilmente a propellente solido: i vettori a propellente liquido devono essere riforniti di carburante appena prima del lancio e come tali devono essere prontamente accessibili. Se tutto fosse confermato si tratterebbe, pertanto, dei primi esisti dello sforzo iraniano per dismettere la tecnologia missilistica a propellente liquido, che, come già detto, ha la limitazione di avere un tempo di azione lungo (anche di ore) a causa della necessità di rifornimento da cisterne esterne.

Del resto le Irgc, che presiedono al programma missilistico iraniano come a quello atomico, stanno continuando a sviluppare la famiglia di missili Fateh (a propellente solido) a corto raggio. Nei 20 anni trascorsi dal primo test di volo dell’originale Fateh- 10, sono emerse numerose varianti con diverse modifiche che ne hanno incrementato la portata. È possibile pertanto che lo sviluppo delle infrastrutture di Haji Abad sia volto a poter ospitare una variante della famiglia dei Fateh.

Una caratteristica comune della serie Fateh è che sono lanciati in diagonale piuttosto che verticalmente. Questo offre una spiegazione per il design opentop del sito di Haji Abad. Sebbene prevalentemente montati su rotaia e dispiegati da veicoli di lancio, l’uso di canister fornisce una migliore protezione generale per il missile e potrebbe aprire a ulteriori opzioni di schieramento. In effetti, recentemente sono emersi esempi di missili della serie Fateh lanciati a caldo (cioè dove l’accensione del motore si verifica all’interno del contenitore) da canister, mostrando l’apparente decisione di “seppellirli” nelle cosiddette “fattorie missilistiche”.

Sebbene Teheran non abbia reso pubblico il tipo di missili che potrebbero essere schierati da Haji Abad (potrebbe esserci un certo grado di intercambiabilità tra i tipi in uso nelle Irgc), la posizione e le caratteristiche specifiche del sito offrono alcuni suggerimenti.
La maggior parte dei missili Fateh hanno una portata stimata in 250-300  chilometri. Le varianti Raad-500 e Fateh-313 hanno invece un raggio d’azione di 500 chilometri (essendo costruiti con materiali più leggeri). Se le portate sono esatte significherebbe che uno di questi missili, lanciato dal sito in esame, potrebbe colpire solo parti degli Emirati Arabi Uniti e dell’Oman, supponendo che non siano schierati i vettori anti-nave Hormuz 1 o 2.

Bisogna anche considerare l’orografia del luogo. Se infatti i lanci fossero fatti in quella direzione ed effettuati obliquamente, sarebbero probabilmente ostacolati dai rilievi circostanti. Nelle immagini disponibili, i canister e le loro strutture di lancio sono rivolti a sud-ovest, tra i 238 e i 243 gradi. Non è chiaro se possono essere ruotati o se sono così schierati perché rispondono a una specifica preselezione di obiettivi

Un altro possibile candidato è il missile Zolfaghar, introdotto nel 2016. Studi sulle sue dimensioni suggeriscono che l’arma abbia una portata di 700 chilometri montando una testata da 350 chilogrammi (come sempre la portata è funzione anche del peso del carico utile). Il missile risulta essere relativamente preciso, utilizzando la navigazione inerziale e satellitare, come è stato dimostrato durante l’attacco di ritorsione del gennaio 2020 alla base aerea statunitense di Ayn al-Asad in Iraq, nonché negli attacchi alla Siria nel 2017. Il vettore denominato Dezful è stato introdotto nel 2019, e sembra avere lo stesso diametro e lunghezza dello Zolfaghar, ma secondo Teheran ha una gittata massima maggiore, che arriverebbe ai mille chilometri.

Un altro candidato, anche se forse meno probabile, il Qasem, mostrato per la prima volta nell’agosto 2020. Il missile, dal nome del defunto comandante della Forza Quds delle Irgc Qasem Soleimani, ha un diametro notevolmente maggiore (circa 900 millimetri) e un lunghezza stimata di 11 metri. Questo fa pensare che la sua portata sia più grande, sebbene il valore dichiarato, di 1400 chilometri, sembri eccessivo.

Che siano pubblicamente rivelate o no, le basi sotterranee per missili (balistici o da crociera) dell’Iran ci svelano i progressi fatti dal regime degli Ayatollah per mettere in sicurezza quello che è l’unico vero deterrente militare in possesso. Questa necessità parte fondamentalmente da due considerazioni. La prima, già accennata, è quella relativa al carburante utilizzato dalla maggior parte dei sistemi missilistici iraniani. Una forza missilistica prevalentemente basata su vettori a propellente liquido, che come abbiamo visto richiede ore per la preparazione al lancio, è molto più vulnerabile ad un attacco nemico. I missili richiedono di restare in posizione di lancio per molto tempo, venendo così scoperti dalla ricognizione e dando una finestra temporale molto ampia all’avversario per poter organizzare un preemptive strike di neutralizzazione. La costruzione di basi sotterranee indurite, con “finestre” esterne per l’erezione e il lancio dei vettori, riduce notevolmente questo rischio.

Secondariamente l’Iran, anche per i sistemi a propellente solido, ha la necessità di ridurre la possibilità di neutralizzazione del suo arsenale da parte dei sempre più precisi – e penetranti – sistemi avversari. Ecco perché sfrutta l’orografia del Paese per poter mettere “più roccia possibile” tra una bomba altamente penetrante come la Mop e i suoi vettori missilistici.

Questa strategia però ha in sé dei rischi. Se il vettore può – relativamente – considerarsi al sicuro all’interno del bunker dentro la montagna, così non sono le sue piazzole di lancio, che possono essere facilmente neutralizzate. L’arsenale missilistico risulterebbe così comunque inutilizzabile pur essendo sopravvissuto ad un attacco.

Secondariamente la scelta di “bunkerizzare” la maggior parte dei vettori missilistici esclude a priori uno dei vantaggi migliori che hanno i sistemi di questo tipo: la mobilità.

Il pregio dei missili balistici a raggio medio e intermedio è proprio quello di poter essere montati su veicolo ruotati che, in caso di necessità, vengono dispersi sul territorio per rendere molto difficoltosa la loro individuazione e distruzione preventiva. In particolare, se pensiamo alla combinazione vettori a propellente solido/Tel (Transporter Erector Launcher), questa difficoltà aumenta notevolmente per via dei brevi tempi di lancio. Raccogliere la maggior parte dei sistemi missilistici in alcune installazioni sotterranee, sebbene ben protette, ne azzera la capacità di effettuare un attacco di sorpresa e possibilmente ne riduce quella di sopravvivenza/utilizzo in caso di attacco preventivo, come già detto.

 

Magadino, il Forte Olimpio ha riaperto le porte
Da laregione.ch del 6 maggio 2021

La costruzione ospita una mostra di oggetti vintage dell'esercito svizzero

Lo scorso weekend l'Associazione fortificazioni Gambarogno ha riaperto il portone del Forte Olimpio. Ha preso parte alla giornata una settantina di persone che potuto scoprire la mostra di oggetti vintage dell'esercito svizzero. Ben nascosto dalla vegetazione, nella zona delle Bolle di Magadino, il Forte Olimpio è stato costruito tra il 1914 e il 1915. Si tratta di fortino di fanteria della prima Guerra mondiale, in calcestruzzo armato, composto da una galleria che circonda il ricovero completo, dove trovano posto quattro postazione per mitragliatrici e due proiettori. L'edificio possiede un sistema di fondamenta a palafitta essendo costruito su terreno paludoso al bordo del vecchio alveo del fiume Ticino. Il fortino era concepito per la difesa della strada cantonale del Gambarogno (sponda sinistra del Verbano) e della ferrovia Luino–Cadenazzo, che corrono parallele e si trovano entrambe ad alcune centinaia di metri. Ma proteggeva pure le feritoie del forte d’artiglieria di Magadino, dove alloggiavano i due cannoni da 7,5 centimetri a tiro rapido.

La porte aperte al Forte sono previste pure domenica 23 maggio e domenica 13 giugno, dalle 10 alle 12, rispettivamente dalle 13.30 alle 17. Saranno presenti i membri dell'Associazione fortificazioni Gambarogno. Per i gruppi di minimo dieci persone la visita è possibile tutto l'anno previa riservazione, via mail a info@fortificazionigambarogno.ch.

 

Monte Moro, ritrovata una batteria fino a oggi sconosciuta
Da ilnerviese.it del 6 maggio 2021

Da Elisa Marini

In un periodo in cui si parla del recupero di forti e fortificazioni genovesi Massimo Rossi, un nostro lettore, ci segnala la ricerca che pubblichiamo di seguito in merito a una batteria fino a oggi sconosciuta di cui lo stesso Rossi ha ritrovato e recuperato le tracce.
In allegato un’immagine (Archivio Stefano Finauri) che è relativa alla Batteria Degli Angeli, simile per tipologia a quella progettata a Monte Moro.
La Genova dei forti e delle fortificazioni ha ancora molti segreti da svelare. Esistono diverse costruzioni ottocentesche e degli inizi del novecento di cui si era persa traccia e che con un certosino lavoro di analisi dei documenti stanno tornando alla luce. Un nuovo patrimonio per la nostra città. Proprio in questa ottica, un pool di esperti ha completato le ricerche sulla Batteria Nino Bixio di Monte Moro che si riteneva fino a pochi anni fa solamente un progetto mai realizzato.

Stefano Finauri (studioso di Fortificazioni), Massimo Rossi (ProgettoMonteMoro) e Vincenzo Pensato (C.L.S.M.) incrociando dati e planimetrie provenienti dai principali archivi storici italiani, hanno ritrovato sul campo le vestigia di questa opera fortificata. Ideata nel 1899, progettata nel 1907 e iniziata nel 1913, doveva difendere lo specchio acqueo del levante genovese. Fra le molte costruzioni della Batteria Nino Bixio ritrovate, occorre citare quella che probabilmente ha un valore storico minore ma pragmaticamente più importante: l’enorme cisterna per la raccolta dell’acqua, che debitamente restaurata garantirebbe un importante presidio per la protezione antincendio della collina. Valorizzare l’intero complesso delle batterie di Monte Moro, ricomponendole in un parco storico naturalistico, può offrire a genovesi e turisti un’importante polmone verde a due passi dalla città.

 

La città militare abbandonata di San Giovanni in Sardegna
Da vanillamagazine.it del 6 maggio 2021

Di Federica Marras

Non distante da Cagliari, nei pressi di Siliqua, incontriamo tra la vegetazione i resti di un luogo abbandonato da tempo. Non si tratta della vecchia testimonianza di un normale complesso abitativo. Alcune costruzioni, infatti, come le torri di avvistamento erette a protezione dei confini o la presenza di un rifugio antiaereo, ci fanno immaginare che questo era un luogo che svolgeva un ruolo ben preciso.

È facile intuire che sia stato utilizzato in passato per scopi bellici e militari. Ci troviamo infatti tra le macerie di quella che fu la città militare di San Giovanni. La zona interessata occupa circa ottanta ettari di terreno e al suo interno individuiamo svariati edifici. Il primo edificio che incontriamo appare totalmente distrutto e vandalizzato, sia al suo esterno che al suo interno, presenta numerose scritte, graffiti e macerie.

Proseguendo poco più avanti, troviamo quella che un tempo fu la caserma della Marina, riconoscibile dagli affreschi presenti sulle pareti interne, tutto sommato ben conservati..

Gli edifici intorno si trovano in uno stato di totale degrado, pericolanti e circondati dalla vegetazione. Non mancano purtroppo, sparsi qua e là, cumuli di immondizia.

In quest’area, si contano circa quaranta costruzioni, quelli che furono gli alloggi dei militari, il distributore del carburante, un campo da calcio, la cabina elettrica, magazzini, garitte difensive, hangar per il ricovero di armamenti pesanti, un vecchio tracciato ferroviario e altri edifici di dubbia identificazione in quanto privati di ogni tipo di arredo e fortemente dissestati. La linea ferroviaria interna. all’epoca del suo periodo di attività, prevedeva un binario
dedicato per il carico e lo scarico del materiale bellico utilizzato dalle batterie antiaeree e antinave del cagliaritano.

La città militare di San Giovanni, nota anche come Ex Polveriera della Marina Militare di San Giovanni, fu operativa per circa cinquant’anni. Dal 1935, anno in cui inizia la sua attività, il sito venne utilizzato come deposito di armi e munizioni dalla Marina Militare, ed era importante per la sua collocazione in quanto punto strategico di controllo del Mediterraneo. In seguito venne utilizzato dall’esercito e dal 1985 destinato all’oblio.

Oggi straordinario esempio di architettura militare del periodo bellico e post bellico, divenuto meta di softgunners e writers, appare come un contesto scenograficamente spettrale ed inquietante, inserito in uno sfondo paesaggistico di grande bellezza.

Per raggiungere la città militare abbandonata di San Giovanni, partendo dall’abitato di Siliqua, bisogna percorrere la strada ex 130 in direzione Decimomannu/Cagliari per circa 3 km. Deviare a destra all’altezza del caseificio Monte Accas, la strada asfaltata risulta alquanto dissestata, oltrepassare la ferrovia e si è giunti a destinazione.

È possibile accedere al sito in maniera individuale ma senza dubbio risulta più completo e interessante scoprirlo durante le visite guidate organizzate dalla cooperativa locale Antarias, che svolge questo servizio.

 

Anche la Cittadella di Alessandria e il Castello di Casale nella Rete delle Fortificazioni
Da radiogold.it del 5 maggio 2021

PROVINCIA DI ALESSANDRIA – È un pentagono equilatero aperto sul lato destro il simbolo scelto per rappresentare la Rete delle Fortificazioni, tredici realtà di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta unite dalla volontà di valorizzare fortezze un tempo militari che oggi si aprono a nuovi eventi e iniziative culturali.

Il logo è stato presentato nei giorni scorsi ad Alessandria, dove si è tenuta la prima riunione della rete che unisce le più importanti fortificazioni del nord ovest d’Italia, tra cui la Cittadella del capoluogo e il Castello e il parco della Cittadella di Casale.

La rete, ha spiegato l’assessore alle Manifestazioni ed Eventi del Comune di Alessandria, Cherima Fteita, è nata lo scorso settembre con l’obiettivo di promuovere iniziative per valorizzare il patrimonio storico-architettonico e culturale fortificato e favorire lo scambio di conoscenze e competenze tra le diverse realtà italiane ed europee. “Per la Città di Alessandria far parte della rete significa quindi dare maggiore forza alle iniziative per promuovere la Cittadella anche sotto il profilo turistico”. 

Il lavoro di squadra sarà fondamentale anche per valorizzare il Castello di Casale che potrà contare sulla presenza nella rete del Comune e dell’Associazione Casalese Arte e Storia, che hanno già diversi progetti in campo: “dal recupero del secondo cortile e delle facciate, fino al trasferimento dello Iat negli ambienti all’ingresso della prima corte, passando per un calendario di iniziative storico – culturali che valorizzino le eccellenze del Monferrato Unesco” ha anticipato il sindaco di Casale, Federico Riboldi.
La Rete delle Fortificazioni vede come capofila il Forte di Bard, che proprio ad Alessandria ha annunciato di esser entrato a far parte del prestigioso International Fortress Council in rappresentanza della Rete dei Forti, e comprende il Comune di Alessandria, il Comune di Casale Monferrato, il Comune di Vinadio, il Centro Studi e Ricerche Storiche sull’Architettura Militare del Piemonte, la Sezione Piemonte Valle d’Aosta Istituto Italiano Castelli, l’Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare del Forte di Bramafan, l’Associazione Casalese Arte e Storia, l’Associazione Progetto San Carlo Forte di Fenestrelle, il Museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706, l’Associazione Amici del Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706, l’Istituto Internazionale di Studi Liguri, referente per il Forte dell’Annunziata di Ventimiglia.

 

Ceva e il suo Forte imprendibile, la spina nel fianco di Napoleone
Da lastampa.it del 5 maggio 2021

Di Paola Scola

Lo guardò tutta la sera, dalla finestra. Una cena indigesta, quella a cui partecipò in castello, ospite del marchese Cosma Damiano Pallavicino. Tormentato dai racconti del nobiluomo sull’impossibilità di conquistare la fortezza. Si tramanda che anche per questo il passaggio di Napoleone a Ceva, durante la prima campagna d’Italia, nell’aprile 1796, non fu dei migliori. Per «colpa» di quel Forte che si parava sulla sua strada e faceva da perno per tutta la resistenza piemontese. Non riuscì mai a prenderlo con le armi e solo dopo un armistizio poté sottometterlo.

Spina nel fianco per Bonaparte e vanto per i cebani, la fortezza prima fu un baluardo imprendibile, poi è diventata luogo del cuore per tutta la zona. Per il panorama suggestivo, che dall’alto della Rocca spazia dalle montagne quasi fino al mare. E per la storia che custodisce. Dopo secoli di gloria e decenni di abbandono, alcuni anni fa il Comune di Ceva ha messo mano al primo progetto di recupero, che ha reso sicuro e visitabile quanto rimane della struttura, grazie a una convenzione con i proprietari, marchesi Pallavicino. Migliaia i cebani e turisti nella prima stagione di visite, poi l’emergenza Covid ha bloccato tutto. Ma l’autunno potrebbe riaprire il portone del monumento, delle sue memorie ed emozionanti racconti.Lungo il percorso tra storia e leggenda, accompagnano i volontari dell’associazione «Ceva nella storia». Il vicepresidente, Lorenzo Nurisio: «Le prime menzioni del Forte risalgono alla fine del 1552. La sua costruzione fu chiesta dai genovesi all’imperatore Carlo V, per sbarrare la via del mare ai francesi. Dopo la pace di Cateau Cambrésis, nel 1559, venne abbattuto, prima di essere consegnato al duca Emanuele Filiberto di Savoia, che lo ricostruì». E ancora: «La fabbrica del Forte permise a Ceva di mantenersi in posizione di preminenza negli interessi dei duchi sabaudi, che non disdegnavano di frequentarla durante i passaggi verso i porti di mare, ospiti dei marchesi Pallavicino».

Poi Napoleone. Racconta Giammario Odello, che sul Forte ha scritto un libro: «Il generale aveva un piano per assalirlo, ma, per il poco tempo disponibile e dopo l’inattesa resistenza del castello di Cosseria, preferì rinunciare, per inseguire l’armata del re in ritirata. Alla guarnigione ordinò più volte la resa, rifiutata dal governatore Bruno di Tornaforte. Riuscì ad avere la meglio solo dopo l’armistizio di Cherasco dell’aprile di 225 anni fa». Il Forte fu consegnato ai francesi che lo tennero fino al 1799, quando lo rioccupò un presidio russo-piemontese, fino alla battaglia di Marengo (1800). Con la vittoria, Napoleone si tolse finalmente la soddisfazione, ordinando di radere al suolo la piazzaforte. Il 18 giugno arrivò l’ordine di consegnarla ai francesi, che impiegarono sei mesi per minarla e pochi giorni per farla saltare in aria. Fu la fine del «grand diable», come l’aveva battezzato il maresciallo francese de Maillebois a metà del 1700.

Tre anni fa, il nuovo «risveglio». Dalla vegetazione il cantiere ha fatto riemergere camminamenti, muretti, arcate e baluardi difensivi. Mentre i pannelli storici raccontano secoli di gran lustro. Sul piazzale domina una croce gigante collocata nel Giubileo del 1900 e ora illuminata ogni notte (grazie alla famiglia Azzoaglio, fra le più antiche della città), come una sorta di voto fatto un anno fa, all’inizio pandemia.

Ma la bellezza del Forte non si limita ai resti «en plein air». Il sentiero conduce nella «pancia» della collina, dove i restauri hanno reso di nuovo agibile una serie di locali. Compresa la cappella scavata nella roccia e affrescata intorno al XV secolo, traccia di un insediamento religioso che anticipò quello militare. La storia lassù è tanta. Ancora da scoprire per gran parte degli stessi cebani. E se agli adulti la raccontano i «ciceroni» dell’associazione, ai bambini ha pensato la sua presidente Barbara Florio, che ha appena scritto e pubblicato un libro a fumetti, per spiegare ai più piccoli (soprattutto ora che il Covid ha chiuso tutto) che cos’è il Forte che fece paura anche a Napoleone Bonaparte.

 

Fallito lancio missile balistico USA Minuteman III, cause sotto indagine
Da sputniknews.com del 5 maggio 2021

Un lancio di prova di un missile balistico intercontinentale disarmato, il Minuteman III, è fallito e la causa è sconosciuta e sotto indagine, ha detto mercoledì lo US Air Force Global Strike Command (AFGSC).

"Un lancio disarmato del missile balistico intercontinentale Minuteman III dalla Vandenberg Air Force Base, California, ha subito un'interruzione da terra prima del lancio. La causa dell'interruzione è attualmente in fase d'indagine e l'Air Force Global Strike Command sta valutando il potenziale per riprogrammare il lancio", ha detto l'AFGSC in un comunicato stampa.

I missili balistici intercontinentali ICBM terrestri a tre fasi della famiglia Minuteman erano originariamente destinati alla deterrenza nucleare durante la Guerra Fredda. Oggi, l'LGM-30G Minuteman III è l'unico ICBM terrestre in servizio negli Stati Uniti.

È in grado di colpire bersagli in un raggio di circa 8.100 miglia (circa 13.000 chilometri).

 

Sopralluogo a Forte Marghera: la commissione si svolge nel verde
Da veneziatoday.it del 5 maggio 2021

Pochi giorni alla riapertura al pubblico. Finiti gli interventi di urbanizzazione, la politica affronta i punti caldi del progetto di restauro del bene monumentale mestrino: scale e ascensore alle casermette, e il parcheggio da 300 posti

Di Antonella Gasparini

La quarta commissione (congiunta alla seconda, sesta e settima) si è svolta all'aperto mercoledì mattina, 5 maggio, con il sopralluogo di assessori, consiglieri e tecnici del Comune a Forte Marghera. Le opere di urbanizzazione a giorni verranno completate (pavimentazioni, illuminazione, acquedotto, collegamenti fognari, rete antincendio, servizi, ponti per 5 milioni di euro); altri più puntuali su edifici e padiglioni (77 strutture in tutto) sono in fase di esecuzione. La presidente Deborah Onisto ha lanciato in diretta la perlustrazione, con lo streaming per il Comune. «Il Forte è soggetto a molti vincoli sia paesaggistici che culturali, anche sulle aree esterne - ha esordito l'assessore al Lavori Pubblici Francesca Zaccariotto - Il colloquio con la Soprintendenza è stato ed è costante». Sulla sicurezza l'assessore Silvana Tosi ha espresso qualche perplessità. «Occorre delimitare con indicazioni ben visibili i limiti della velocità, garantire al massimo i pedoni, i bambini e gli anziani, e assicurare un'area giochi per i piccoli - ha detto - Ricordo la necessità di garantire la tutela delle decine di gatti delle oasi feline del Forte e delle associazioni di volontariato che se ne prendono cura».

L'intervento di riqualificazione e restauro complessivo vale 18 milioni di euro di fondi del patto per Venezia ed è iniziato nel 2018-2019. Due i punti più controversi del progetto (nel mirino dei comitati cittadini che hanno manifestato il loro dissenso): l'ascensore e la scala esterni a una delle casermette, che serviranno a raggiungere e poter godere della veduta panoramica dalla terrazza da 600 metri quadri, che sarà restaurata sul tetto; e il parcheggio sul pratone, quello grande da 300 posti, che dopo l'aggiudicazione dovrebbe vedere la luce in autunno. Sono già stati fatti i lavori sui servizi igienici, le piste ciclopedonali, i ponti (che rientrano nelle opere di urbanizzazione per 5 milioni e 100 mila euro). C'è stata la riqualificazione della biblioteca, per altri 2 milioni, mentre ora si sta lavorando al rifacimento delle sponde e allo scavo dei corsi d'acqua per rendere accessibile il Forte in barca anche attraverso la baia. L'edificio a uso espositivo, che vale un milione e 800 mila euro di opere, a piano terra ha la sede scout e al primo piano camere a uso foresteria della Fondazione Forte Marghera.

Le casermette sono in fase di recupero. Sono le "due gemelle" (85 per 15 metri quadri), ricovero ottocentesco per munizioni e soldati. Per ora si procederà con quella ad ovest, l'edificio 8 (per 5 milioni e 200 mila euro) che presenta maggiori problemi statici. Lì è previsto il restauro della terrazza di 600 metri quadri. «Per essere accessibile necessita delle strutture di collegamento - hanno spiegato il dirigente dei progetti del Comune, Marco Mastroianni, e l'assessore Zaccariotto - quindi un ascensore e la scala. Si tratta di volumetrie che andranno annesse all'esterno dell'edificio per ridurre l'impatto - hanno continuato - sarebbe inoltre arduo fare aperture su pareti con spessore fino a due metri e mezzo». Si lavorerà, affermano, sul versante già danneggiato dai bombardamenti. Per una discussione sulle alternative in campo le opposizioni, Giovanni Andrea Martini (Tutta la città insieme) e Monica Sambo (Partito Democratico), hanno chiesto una commissione ulteriore, che la presidente Onisto ha assicurato. Piante, alberi e tutta la gestione del verde, hanno puntualizzato i tecnici, sono stati oggetto di attenzione durante i lavori con la presenza costante di un agronomo. Oltre a essere contati, gli arbusti rimossi perché malati o perché non si poteva fare altrimenti, sono stati sostituiti da ripiantumazioni compensative. «Ora che il Forte viene visitato da una media di 350-400 mila persone all'anno (secondo il conta persone all'ingresso), non avremmo avuto le risorse per occuparci di tutto verde - ha spiegato il presidente della Fondazione Forte Marghera Stefano Mondini - per questo è stato chiesto aiuto dell'amministrazione. A luglio dell'anno scorso abbiamo avuto visite record: 55 mila ingressi».

Questo sarà luogo di cultura, di arte, di esposizioni: hanno già trovato spazio la Biennale (esporrà nella polveriera austriaca) e i Musei Civici (che faranno l'esposizione: "Artefici del nostro tempo"), mentre il via vai di studenti è assicurato ora dalla presenza degli scout, della biblioteca e della vicina zona universitaria collegata al Forte dalla pista ciclopedonale (lo stallo per le bici è vicino al ponte galleggiante, a destra dell'ingresso). «C'è da capire il parcheggio - commenta il consigliere Giuseppe Saccà (Pd) - come avrà una coerenza con la visione paesaggistica di Forte Marghera». «Prevedendo centinaia di posti auto si incentiva l'uso dell'auto al posto del tram o dei mezzi della mobilità sostenibile», afferma Martini. Per l'assessore al Patrimonio Paola Mar, «è nel continuo dialogo con la Soprintendenza che si vanno ad affinare soluzioni, come l'ascensore e scala delle casermette, che in fase progettuale rappresentano un concept. Nel concreto va definito il giusto equilibrio tra il recupero e il riutilizzo».
Un momento di tensione c'è stato alla fine, tra l'assessore Mar e il consigliere nazionale dell'Istituto italiano dei Castelli, Andrea Grigoletto. Lui chiede «un tavolo per confrontarsi sui progetti di recupero di Forte Marghera, in particolare su 2 interventi impattanti che sono il restauro delle ali napoleoniche, e la realizzazione dei parcheggi sulla lunetta 13 che fa parte del sistema della fortificazione austriaca». «Rispetto le opinioni altrui - replica l'assessore Mar - ma non serve istituire tavoli permanenti: abbiamo un altro modo di confrontarci». Onisto richiama alla calma, e Zaccariotto conclude: «questo è un lavoro che è stato fatto in sinergia con più istituzioni come la Soprintendenza. Anche la nostra autonomia è relativa perché serve l'autorità per le autorizzazioni. Di questo dobbiamo tenere conto anche nei prossimi confronti, altrimenti rischiamo di dare aspettative che poi non siamo in grado di soddisfare».

 

Sui problemi del Forte Stella sollevati da Sergio Bicecci interviene Marcello Camici
Da tenews.it del 4 maggio 2021

Sulla proprietà del forte Stella e sul suo stato di manutenzione ovvero di degrado a più riprese, nel passato, molti hanno scritto e anche il sottoscritto, recentemente nel gennaio ha parlato di quattro epigrafi in stato di degrado alla porta d’ingresso del forte.
In “Elba isola olim Ilva. Frammenti di storia” un libro edito nel 2014 da Stampa S. Marco Litotitipo (LU), l’amico Michelangelo Zecchini ha dedicato all’argomento un capitolo dal titolo “Sulla proprietà delle fortezze medicee” (vedi pg 214- 215 dell’opera sopra citata che invito a leggere poiché dà spunto a capire, a conoscere e a poter sciogliere i nodi della questione).

Questo l’incipit ”Ha fatto bene Giobbe da Cosmopoli, come al solito, a sollevare con energia un problema che sonnecchia da decenni e che non è sempre stato trattato con la dovuta attenzione dalle coalizioni che hanno governato Portoferraio, sia di sinistra che di destra. Evidentemente l’entità della questione, vista la valenza storico-architettonica internazionale delle fortezze medicee, non è stata compresa appieno dai nostri amministratori. Sotto il profilo del comportamento non c’è dubbio che le giunte che si sono succedute a palazzo abbiano sbagliato clamorosamente a non informare la cittadinanza su un caso così importante. Sotto il profilo giuridico il dilemma (sono beni privati o demaniali?) al momento non è di facile soluzione soprattutto perchè non siamo in possesso dei necessari elementi sulla cronologia dei passaggi di proprietà”. Michelangelo facendo esplicito riferimento agli articoli 1,2 e 20 della legge Rosadi n. 364 del 20 giugno 1909 scrive che occorrerebbe sapere se la prima vendita di una parte delle fortezze ai privati è anteriore o posteriore alla data di entrata in vigore (fine giugno) della legge 364/1909.

Nel primo caso l’acquisto sarebbe legittimo, nel secondo caso sarebbe nullo.
Non credo sia impossibile venirne a conoscenza.
Mi pare infatti che, salvo rettifiche, l’alienazione del forte Stella avvenne essendo la giunta Fratini ad amministrare Portoferraio.

Marcello Camici

 

Castelli del Ducato: riaperti i primi 32 luoghi d'arte tra Emilia, Lunigiana e Cremona
Da gazzettadiparma.it del 4 maggio 2021

Novità 2021 abbinate alle visite ai manieri: escursioni ai borghi storici alla scoperta di antiche cantine e luoghi di produzione tipica; i castelli con locande, taverne medievali, enoteche, bistrot, ristoranti e osterie sono già attrezzati anche per pranzi, merende, aperitivi prima di cena e cene all'aperto in giardini, terrazze, spazi porticati oltre ad offrire proposte pic nic in spazi sicuri.

Tornano le visite guidate con i proprietari di rocche e fortezze. Debuttano esperienze immersive nella natura: flower watching, art therapy, forest bathing, yoga nel verde, letture ad alta voce nel parco, welleness spa. www.castellidelducato.it

Hanno riaperto con il primo weekend di maggio i primi 30 luoghi d'arte della rete turistica culturale del circuito Castelli del Ducato: alcune migliaia di persone hanno scelto subito, alla ripartenza in zona gialla, di visitare rocche, fortezze e manieri tra Emilia, parte della Lunigiana e una fetta di cremonese in Lombardia. E sono già in calendario proposte nuove, in sicurezza, per vivere in modo originale l'esperienza all'interno delle roccaforti dal crinale dell'Appennino ai fiumi Trebbia e Po.

Soprattutto i castelli con locande, taverne medievali, enoteche, bistrot, ristoranti e hosterie all'interno sono già attrezzati anche per pranzi, merende, aperitivi prima di cena e cene all'aperto in giardini, terrazze, spazi porticati oltre ad offrire proposte pic nic in spazi sicuri. In tutti i luoghi d'arte del circuito Castelli del Ducato si rispettano le normative DPCM.

 

Rete delle Fortificazioni a Casale: nuova tavola rotonda per la valorizzazione
Da oggicronaca.it del 4 maggio 2021

Quali saranno i prossimi passi per la valorizzazione del Castello del Monferrato e come sfruttare al meglio le opportunità create dalla rete che unisce le più importanti fortificazioni del nord ovest d’Italia. Sono stati questi alcuni dei temi trattati durante l’incontro organizzato dalla Rete delle Fortificazioni che si è svolto settimana scorsa ad Alessandria.

Sottoscritto l’accordo nel settembre del 2020, la Rete ha al suo interno anche due importanti realtà di Casale Monferrato, il Comune e l’Associazione Casalese Arte e Storia: «Con la presidente dell’associazione Antonella Perin, che ringrazio per la preziosa collaborazione, abbiamo sottoposto all’attenzione dei partecipanti alla tavola rotonda gli impegni che stiamo mettendo in campo affinché il nostro Castello sia al centro della promozione dell’intero territorio – ha spiegato il sindaco Federico Riboldi – Dal recupero del secondo cortile e delle facciate, fino al trasferimento dello Iat negli ambienti all’ingresso della prima corte, passando per un calendario di iniziative storico – culturali che valorizzino le eccellenze del Monferrato Unesco: questi sono solo alcuni dei temi che abbiamo messo sul piatto».

La presidente di Arte e Storia Antonella Perin ha invece posto l’accento sull’ultimo importante contributo che l’associazione, con l’Istituto Superiore Leardi, ha dato alla fortezza di Casale Monferrato: l’itinerario storico – turistico all’interno del Castello realizzato con 21 pannelli informativi in italiano e inglese. Il prossimo appuntamento avrà all’ordine del giorno i progetti operativi da avviare per una valorizzazione della Rete dal punto di vista turistico, culturale e architettonico: un lavoro di squadra, per portare consapevolezza sul ricco patrimonio esistente nel nostro territorio.

La Rete delle Fortificazioni è composto da Forte di Bard (che ha annunciato proprio ad Alessandria di esser entrato a far parte del prestigioso International Fortress Council, in rappresentanza della Rete dei Forti), Cittadella di Alessandria, Forte di Vinadio, Centro studi e Ricerche storiche sull’Architettura militare del Piemonte, Istituto Italiano Castelli Onlus – sezione Piemonte e Valle d’Aosta, Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706, Associazione studi di storia e architettura militare Forte di Bramafam, Associazione Casalese Arte e Storia, Castello di Casale Monferrato, Parco della Cittadella, Associazione Progetto San Carlo Forte di Fenestrelle onlus, Fondazione Artea e Istituto Internazionale di Studi Liguri Onlus.

 

Alla scoperta di Forte Monteratti
Da gliappartamentidiema.it del 3 maggio 2021

Da Emanuele

Il week scorso sono andato alla scoperta di Forte Monteratti. Dopo una piacevole camminata per un sentiero da cui si poteva ammirare un paesaggio spettacolare, fatto di mare e monti, sono giunto nei pressi del bastione, dove la curiosità mi ha portato a fare luce sulla sua storia.

Si tratta di un’imponente struttura militare edificata dal governo sabaudo tra il 1831 e il 1842 per presiedere l’omonimo promontorio.

Cenni storici
Le prime fortificazioni sul Monteratti furono costruite nel 1747, ai tempi della guerra di successione austriaca.
Per gli appassionati di storia genovese, quegli anni culminarono con la rivolta del 1746, innescata dalla pietra lanciata dal Balilla.
L’esercito austriaco occupò il promontorio sino alla controffensiva genovese, che portò alla riconquista delle ridotte il mese successivo.
Nel 1800 gli austriaci presero nuovamente possesso delle fortificazioni sul Monte Ratti, ed anche in questa occasione furono scacciati, questa volta dall’esercito francese, che aveva occupato la Repubblica di Genova.

La costruzione del forte
Nel 1815, Genova passa nelle mani dei Savoia e nel 1817, il governo sabaudo decide di costruire una serie di torrioni a difesa del promontorio.
Sull’estremità occidentale iniziano i lavori per Torre Monteratti, la gemella di Torre Quezzi.
Due anni dopo, nel 1819, comincia l’edificazione di altri due baluardi difensivi a pianta circolare: Torre Serralunga e Torre Montelongone.
Entrambe le costruzioni non furono mai completate, ma ancora oggi si possono ammirare i resti.
Torre Serralunga doveva affacciarsi su Sant’Eusebio, sul crinale est, mentre Montelongone avrebbe presieduto il lato sud.
Il forte vero e proprio viene costruito tra il 1831 e il 1842, ad opera del genio del Regno di Sardegna.
La costruzione occupò quasi la totalità dei 250 metri di lunghezza della cima del promontorio, inglobando la preesistente Torre Monteratti.

Monteratti, si trova a 560 metri sul livello del mare, occupa la spianata dell’omonimo promontorio ed è lungo quasi 250 metri. La linearità dell’edifico lo rende completamente diverso rispetto agli altri forti genovesi, facendolo assomigliare ad una grande caserma. È costituito da due ali divise da un bastione centrale. Nella parte centrale è stata realizzata la sezione dei servizi: cucine, lavanderia, latrine, mentre al piani superiori si trovavano gli alloggi degli ufficiali. L’ala di ponente era utilizzata come prigione, mentre nell’ala di levante, a sinistra, erano ubicati i magazzini per l’approvvigionamento delle munizione per l’artiglieria. I piani superiori, contenevano le camerate per ospitare soldati e sottoufficiali.

“Gli ospiti”
Sono numerosi gli “ospiti” che hanno occupato il forte. Dall’esercito papalino, ai rivoltosi, durante i moti del 1848, ai prigionieri austriaci, per arrivare al Regio Esercito, sino alla Whermacht.

Curiosità

Il carcere
Durante la Grande Guerra il forte venne trasformato in una prigione, dove furono reclusi i soldati austriaci.

Le scritte sulle pareti
Il lato sinistro del forte ospitava le prigioni. Sui muri delle pareti, ancora oggi, è possibile notare scritte come: “beato chi punendo consola“.

Le ridotte
Prima della realizzazione del forte, sul promontorio vennero edificate delle ridotte. Si tratta di fortificazioni secondarie facenti parti di un sistema difensivo più ampio.

Il nome del forte
Il nome del forte e del monte, deriva dalla famiglia Ratti, un’antica dinastia proprietaria dei terreni su cui è stata eretta la struttura..

La postazione contraerea
Tra il 1935 e il 1938, Monteratti diventa una postazione contraerea. Per garantire una migliore visuale all’artiglieria l’esercito decise di demolire la torre centrale.

Il restauro dei forti
Il restauro e la riqualificazione dei forti Genova e del parco delle Mura è stato inserito nel Recovery found. Stando a quanto riportano i media locali, il comune riceverà 70 milioni di euro
per realizzare il progetto.
Non sappiamo se l’ambizioso programma andrà in porto, cosa verrà realmente fatto e quali forti verranno restaurati. Per quanto riguarda Monteratti, la struttura è in completo stato di abbandono, con muri, pavimenti e tetti pericolanti. Recovery found o meno, Il comune dovrebbe fare qualcosa per mettere in sicurezza l’opera e valorizzare questo patrimonio storico.

 

ROCCA MALATESTIANA: IL COMUNE CERCA UN NUOVO GESTORE
Da piunotizie.it del 3 maggio 2021

Riaprire la Rocca Malatestiana per la stagione estiva.

L’Amministrazione comunale ha avviato la procedura per individuare un operatore economico a cui affidare in concessione il servizio di gestione della Rocca Malatestiana e dello Sferisterio dal 1° giugno al 31 dicembre. L’operatore economico dovrà gestire autonomamente l’attività del punto ristoro, organizzare e realizzare iniziative ed eventi all’interno della corte della Rocca e nello Sferisterio e promuovere e gestire le visite al complesso della Rocca e ai Musei che ospita fino alla conclusione dell’anno corrente, garantendo la realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la migliore valorizzazione, la corretta conservazione e la pubblica fruizione del bene.

I documenti dovranno essere presentati a protocollo@pec.comune.cesena.fc.it (mailto:protocollo@pec.comune.cesena.fc.it) entro le ore 13 di lunedì 17 maggio.

“La Rocca Malatestiana – commenta l’Assessore alla Cultura Carlo Verona – è uno dei luoghi maggiormente significativi della nostra città e con la riapertura dei luoghi della cultura vogliamo che i cesenati, e i visitatori, tornino a vivere questi spazi dall’altissimo valore storico e architettonico. Il protrarsi dell’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 ha determinato il proseguimento per tutta la stagione invernale delle misure per la prevenzione e il contenimento del contagio. Oggi, con il ritorno in zona gialla dell’Emilia-Romagna, ci sono le condizioni per assicurare la ripresa delle attività di pubblico spettacolo e dei luoghi della cultura. Ricerchiamo un operatore economico che nei prossimi sette mesi realizzi attività culturali volte alla riscoperta dell’intero complesso e che possano essere partecipate da tutti, in particolar modo dai giovani e dalle famiglie. Inoltre, siamo impegnati nella programmazione degli eventi estivi che anche quest’anno vedranno protagonista la Rocca tra concerti e rassegne pubbliche, alcune anche inserite nell’ambito di Green City Cesena – allariaperta”.

I beni immobili oggetto del servizio sono la Rocca Malatestiana, la casa del custode (servizi di accoglienza), il torrione maschio (attualmente ospitante il Museo delle armature), torrione femmina (attualmente ospitante il Museo dell’Agricoltura), spalti e camminamenti interni, area cortilizia interna e lo Sferisterio.

 

Quei sette giustiziati là, nel forte di Azzano: la guerra era già finita Pezzi di storia, ormai dimenticati
Da cronacadiverona.com del 3 maggio 2021

Scarne notizie restituiscono l’appena dovuto al lungo omissis della memoria locale che riguarda la sorte dei fucilati per mano partigiana nel Forte “Azzano” (già Werk Neu Wratislaw austriaco, edificato tra il 1860 ed il 1861), all’interno di strada La Rizza, il 1° maggio 1945. A guerra finita e senza processo con responsabili ignoti comunque inclusi nell’“amnistia Togliatti”.

All’ingresso del forte, sulla destra, una lapide in marmo commemora: “Nella tragedia della guerra civile qui caddero fucilati per la patria Sandro Bonamici, Raffaello Bellotti ,Luigi Di Fusco, Arturo Gabozzi, Giuseppe Gaggia, Ilio Onesti, Giovanni Ostini, Giuseppe Seves, Forte di Azzano 1 maggio 1945”. Sotto all’epigrafe una corona d’alloro con nastro tricolore viene puntualmente sistemata da memore mani a ciascun 1° maggio. Sul terrapieno interno dove pare siano state eseguite le esecuzioni (i pareri in merito sono discordi) un tumulo rettangolare sormontato da una croce reca ancora un tricolore ed i nomi dei “giustiziati”. I relativi atti di morte citavano la data del 29 aprile ed erano palesemente falsi per non incorrere nelle sanzioni del Comando alleato in Italia che aveva vietato processi ed esecuzioni sommarie a partire dalla mezzanotte del 30 aprile 1945. Per circostanze tutte da chiarire, però, Giovanni Antonio Ostini (aiutante o brigadiere della Gnr – Guardia Nazionale Repubblicana – CP.VR-618^, nato nel 1904 a Valmadrera, Lecco, ma residente a Ve-rona), stando a versioni comuni sarebbe stato “fucilato a Forte Azzano il 1° maggio 1945” ma, secondo altre fonti, risulterebbe essere stato ucciso il 15 settembre 1945 a “Verona-Castel d’Azzano”. Il nome che più emerge nell’elenco degli uccisi è quello di Alessandro (detto Sandro) Bonamici, segretario federale di Verona del Partito nazionale fascista (Pnf) fino ai momenti successivi all’8 settembre 1943 (prima dell’arresto da parte dei nazisti e della deportazione in Germania da dove fece ritorno), nato ad Albaredo d’Adige (Verona) l’11 ottobre 1903 e nel cui cimitero riposa. “Si sa per certo però che Bonamici era persona onesta, che sempre si era adoperato a favore della popolazione e non si era macchiato di angherie o persecuzioni di sorta. (…). Il 25 aprile si trovava all’Ospedale di Quinto di Valpantena, non essendosi mai macchiato di crimini e non essendosi reso protagonista di atti contro i partigiani, in buona fede si consegnò spontaneamente presso il comando partigiano”.

Sono striminzite le note sugli altri sette (o sei) andati a morte. Raffaello Bellotti: milite Gnr, appartenente a CP.VR-618^, nato a Verona il 29 settembre 1925; Luigi Di Fusco: milite della Gnr, CP.VR-618^, 27 anni al momento della sua esecuzione; Arturo Gabozzi: tenente colonnello, Gnr (Ferrov.-4 Leg), 54 anni (come da atto di morte del Comune di Verona n. 570/II/B-1945); Giuseppe Gaggia: brig. Gnr (CP.VR-618^), nato a Verona il 6 novembre 1899; Ilio Onesti: ufficiale 3^ classe, Vigili del Fuoco, 91° Corpo-VR, comandante dei Vigili del Fuoco; Giovanni Ostini: sarebbe comparso davanti alla Corte d’assise straordinaria (Cas), “istituita a Verona il 14 maggio 1945, in applicazione di un decreto legislati-vo luogotenenziale del 22 aprile 1945, per giudicare chi avesse collaborato con i tedeschi”, quindi, giorni dopo l’esecuzione a Forte “Azzano”; Giuseppe Seves: squadrista (21 BB.NN. – Brigate Nere – “Stefano Rizzardi”, P.F.R. – Partito Fascista Repubblicano – ), nato a Verona, di anni 46. Claudio Beccalossi

 

Carlo V, aperto il cantiere su bastioni e nuove gallerie: «Così sarà la fortezza voluta dall'imperatore»
Da quotidianodipuglia.it del 3 maggio 2021

di Stefania DE CESARE

Recupero dei bastioni Santa Croce e San Giacomo e un nuovo accesso alla galleria ipogea est. Rinasce la fortezza antica: al via il completamento del restauro del castello Carlo V di Lecce. La Soprintendenza ha avviato le operazioni per il recupero funzionale dell’antico maniero. Da qualche giorno sul lato nei pressi della Porta Reale – che si affaccia su via XXV luglio – è stata allestita l’area di cantiere con recinzioni e pannelli...

 

Un pezzo della cinta muraria romana di Torino scoperto in corso Siccardi
Da quotidianopiemontese.it del 3 maggio 2021

Un muro romano è stato scoperto in corso Siccardi a Torino durante lavori di sistemazione di cavi sotto il manto stradale. A dane notizia è Andrea parodi, che in un video raconta l’imprtanza del ritrovamento. Si tratta di un breve tratto della cinta muraria romana di Torino.

 

TRA CASTELLI E FORTEZZE, ABRUZZO TERRA DI STORIA E LEGGENDE: 10 LUOGHI DA VISITARE
Da abruzzoweb.it del 2 maggio 2021

UNA MAPPA DEI "TESORI" PIU' SUGGESTIVI DELLA REGIONE, DALLE AREE INTERNE ALLA COSTA

L’AQUILA – Abruzzo, terra di miti e leggende, di paesaggi aspri e incontaminati che raccontano saperi antichi, e di castelli inerpicati che rievocano la storia e tradizioni millenarie. Un grande museo di architettura militare a cielo aperto, fatto di fortezze rudi e torri maestose che, dall’alto dei loro promontori, dominano incontrastate i paesaggi, richiamando quella sensazione di sospensione nel tempo che tanto piace ai turisti moderni.
L’obiettivo della breve guida che proponiamo, frutto di testimonianze dirette e delle consultazioni di archivi della Regione Abruzzo, dei Comuni e delle Associazioni che nel corso degli anni tanto hanno lavorato per conservare la memoria storica, è ricostruire un itinerario che attraversando l’intera regione, dalle aree interne alla costa, restituisca una mappa di alcuni dei Castelli simbolo che custodiscono, ciascuno con la sua particolarità, scrigni di storia, leggenda e architettura.

ROCCA CALASCIO

Meta, negli ultimi tempi, di migliaia di visitatori da ogni parte del mondo, si tratta di uno dei luoghi più suggestivi di tutta la regione, la cui origine si perde nei secoli. Inserito nel 2012 tra i 15 castelli più belli d’Europa dal National Geographic, si trova nell’omonimo comune di Calascio, in provincia dell’Aquila, su un crinale a 1.460 metri di altitudine, sulla valle del Tirino e l’altopiano di Navelli, oltre che a poca distanza dall’altopiano di Campo Imperatore e in posizione rialzata anche rispetto al borgo sottostante.

Una fortezza militare di spettacolare bellezza, dove una volta entrati, si riesce ancora respirare appieno quella cultura montanara e transumante tipica dell’Abruzzo interno, che gli è valsa tutta la notorietà di cui oggi riesce a godere, sia come sito turistico, che come set di numerose pellicole internazionali. Fino a qualche anno fa, infatti, erano poche le persone a conoscenza del fatto che la struttura fosse stata stata utilizzata come ambientazione per numerose produzioni cinematografiche, ricevendone anche un discreto ritorno di immagine. Il primo lungometraggio ambientato alla Rocca è Amici miei – Atto IIº, nel 1982. Nel 1985, è stata invece la volta di Ladyhawke, in cui il castello, allora non ancora restaurato, era il rifugio dell’eremita impersonato da Leo McKern. Ha poi ospitato il set dei film Il nome della rosa (1986), Il viaggio della sposa (1997) e L’orizzonte degli eventi (2005).  Ma non solo. La Rocca è ben visibile anche in alcune scene del film interamente girato tra Sulmona, Castel del Monte, Capestrano, Calascio e Castelvecchio Calvisio e con George Clooney come protagonista, The American (2010), ed è stata anche anche il set di alcune serie televisive, tra cui le produzioni della Rai La Piovra 7 – Indagine sulla morte del commissario Cattani (1995) e Padre Pio (Italia, 2006).

Turisticamente parlando, è più o meno nell’ultimo ventennio che è divenuta famosa, visto che si trova nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga ed è dotata di fascino particolare, anche grazie alla natura incontaminata da cui è circondata. Come dichiara ad AbruzzoWeb il sindaco di Calascio, Ludovico Marinacci, sono stati “circa 60mila gli italiani che, lo scorso anno, hanno deciso di visitare la Rocca” e ne sarebbero stati molti di più se solo il Covid non avesse imposto limitazioni agli spostamenti internazionali.
“Si tratta – precisa Marinacci – di conteggi approssimativi, basati principalmente sui numeri del bus navetta che conduce i turisti dal centro abitato alla Rocca, visto che per l’accesso alla struttura non è previsto l’acquisto di nessun biglietto e molti di loro decidono di arrivare direttamente a piedi”.
In particolare, sono stati 19.305 i biglietti interi, comprensivi di viaggio andata e ritorno, venduti nel 2020; 11,195, invece, i ridotti. Senza contare i concerti e gli eventi organizzati al suo interno nelle settimane di alta stagione. Basti pensare inoltre che l’hashtag #roccacalscio, solo nell’agosto scorso, contava su Instagram ben 55.716 post. Questo perché oltre a rappresentare, il perfetto luogo di partenza per una serie di escursioni e trekking nella natura dell’appennino, con la bella stagione, la Rocca è anche sede di interessanti manifestazioni culturali.
Nei suoi pressi si trova, infine, la chiesetta di Santa Maria della Pietà che, pur essendo chiusa al pubblico, per la particolarità della sua pianta ottagonale e per le dimensioni inusuali rispetto al paesino, insieme alla fortezza conferisce al paesaggio un fascino senza pari.

CASTELLO CALDORA-CANTELMO

Spostandoci un po’ più a sud, un’altra struttura di grande valore storico e architettonico si trova invece nel cuore della Valle Peligna. Il castello Castello Caldora – Cantelmo, il più antico castello d’Abruzzo, edificato nel centro storico di Pacentro, dalla piazza principale del paese. La sua fondazione è antecedente al periodo compreso tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400, quando anzi viene ristrutturato per la prima volta. Alcuni fanno risalire la sua costruzione addirittura tra l’XI ed il XIII secolo, periodo in cui venne sicuramente eretta la torre mozza situata nord-est.

Dominando incontrastato la Valle Peligna, il Castello Caldora faceva parte, come Calascio, di un vasto sistema di difesa militare. Un sistema che comprendeva altri sei castelli, tra cui quelli di Anversa e di Roccascale. Tra i “luoghi del cuore” del Fai (Fondo ambiente italiano), dopo un recente restauro, è visitabile in alcune delle sue aree e a breve sarà anche aperta anche una delle torri che, una volta accessibile, offrirà ai visitatori una vista senza pari sul centro abitato e su tutto il paesaggio circostante. Un paesaggio che solo la regione più verde d’Europa è in grado di offrire.

CASTELLO CANTELMO

Ai piedi della Valle Peligna, sempre in provincia dell’Aquila, si trova inoltre l’omonimo castello Cantelmo di Pettorano sul Gizio. Nato come forte militare, è stato costruito su una pianta irregolare con quattro torrioni situati sulle mura del complesso. La fortificazione, lasciata per anni in uno stato di abbandono, è stata oggetto di diversi restauri a partire dagli anni novanta. Restauri che hanno permesso l’apertura al pubblico e l’allestimento di mostre permanenti, quali “Gli uomini e la montagna”, “Mostra dei carbonai” e “Reperti archeologici di epoca romana”.

CASTELLO PICCOLOMINI

Dalla fusione di elementi medioevali e rinascimentali prende forma il fiabesco Castello Piccolomini di Celano, che di affaccia su quello che una volta era un lago, ora piana del Fucino, ed è protetto da una possente cinta muraria, con camminamenti e bastioni. I lavori di costruzione iniziarono intorno al 1392 per volontà di Pietro Berardi, conte di Celano, e proseguirono fino al 1463 quando Antonio Todeschini-Piccolomini, nipote di papa Pio II, portò a termine la monumentale opera. Edificato inizialmente come struttura difensiva e trasformato in seguito in nobile residenza, fu distrutto in buona parte nel 1915 a causa di un terribile terremoto, ma straordinari interventi di restauro gli riconsegnarono il suo originale splendore. Il monumento è sede del Museo d’Arte Sacra della Marsica e della Collezione Torlonia di Antichità del Fucino.
Secondo la leggenda, esisterebbe un tunnel che unisce il Castello al Convento di Santa Maria in Valleverde, legata alla storia di Jacovella da Celano e del suo amore contrastato con il Conte.

ORSINI-COLONNA

“Ad exitum seditiosis Avejani”, un monito ad eventuali rivolte, una traccia emblematica del castello Orsini-Colonna, monumento nazionale e simbolo di Avezzano, in pieno centro cittadino, in piazza Castello. Il castello Orsini-Colonna, di probabile fondazione medievale, fu ricostruito nel 1490 per volere di Gentile Virginio Orsini che poi ha dato la denominazione alla struttura e sul portale ogivale compare la frase che in realtà rappresenterebbe proprio lo scopo per cui la fortezza fu concepita dall’ingegnere Francesco di Giorgio Mantini, al servizio degli Orsini. Nel 1565 il castello poi fu ampliato e dotato di un grande giardino rinascimentale per volere di Marcantonio Colonna che poi dotò la struttura anche di un ingresso monumentale e trionfale in onore della battaglia di Lepanto. I Colonna si presero cura del castello fino al 1806, quando in seguito all’abolizione dei Feudi, presero i Lante della Rovere il controllo sulla struttura , fino al 1905 quando fu acquistata dal vicesindaco di Avezzano , Francesco Spina che lo trasformò in parte in albergo, in parte in una scuola ed un’altra porzione fu utilizzata dal Tribunale di Avezzano.
Il castello ospita mostre di arte contemporanea nelle sale espositive dedicate. È sede dell’omonimo museopinacoteca. La Galleria d’Arte Civica Moderna raccoglie importanti testimonianze dell’evoluzione culturale dal secondo Dopoguerra ad oggi (sculture, pitture e grafiche) ed è una delle principali attrattive di Avezzano.

FORTEZZA DI CIVITELLA DEL TRONTO

Arroccata sulle dolci colline del Teramano si trova infine la fortezza Civitella del Tronto. Un tempo appartenuta a Filippo II d’Asburgo, Re di Spagna, è considerata una delle più grandi e importanti opere di ingegneria militare in Europa visto che, in contemporanea, dominava dall’alto sia lo Stato Pontificio che il Regno di Napoli. Situata a 600 metri di altitudine, nel cuore della provincia, venne edificata su una probabile preesistente rocca medievale e completamente trasformata a partire dal 1564 da Filippo II d’Asburgo, il re di Spagna, che, a seguito di un’eroica resistenza dei civitellesi contro le truppe francesi guidate dal Duca di Guisa, ne ordinò la costruzione.

Il suo aspetto, oggi, è molto simile a quello di allora, nonostante i Borboni, a cui nel 1734 si passò il controllo della zona, vi abbiano apportato diverse modifiche. Lasciata in uno stato di totale abbandono nel 1861, anno del cosiddetto assedio Piemontese, fu depredata e demolita dagli stessi abitanti del luogo. Oggi, però, è accessibile a tutti visitatori, e questo grazie ad un importate intervento di restauro curato dalla Sovrintendenza dell’Aquila a ridosso degli anni Ottanta.
La visita si sviluppa attraverso tre camminamenti coperti, le vaste piazze d’armi, le cisterne , i lunghi camminamenti di ronda, i resti del Palazzo del Governatore, la Chiesa di San Giacomo e le caserme dei soldati. Il panorama di cui si riesce a godere dall’alto della fortezza lascia senza fiato, sviluppandosi a partire dall’antico centro abitato sottostante, per poi proseguire con i massicci del Gran Sasso, della Laga, della Maiella, dei Monti Gemelli fino addirittura al Mare Adriatico.
Al suo interno è inoltre visitabile il Museo delle Armi, diviso in quattro sale, dove sono conservate armi e mappe antiche, queste ultime connesse alle vicende storiche del centro abitato di Civitella del Tronto, che tra le altre cose ha aderito al circuito dei “borghi più belli d’Italia”.

CASTELLO DI ROCCASCALEGNA

Storia e leggenda fanno da cornice al suggestivo castello di Roccascalegna, borgo medioevale di 1.200 anime, situato sulle colline che circondano il fiume Sangro. Con tutta probabilità, i fondatori di Roccascalegna furono i Longobardi che, a partire dal 600 d.C., occuparono stabilmente l’attuale Molise e l’Abruzzo meridionale, dopo essere discesi dall’Italia settentrionale. Conseguenza di ciò fu l’allineamento delle guarnigioni Bizantine sulle rive dell’Adriatico. Nella logica di tale conflitto si spiega la costruzione della Torre d’Avvistamento, prima, e del Castello, in seguito, sull’imponente ammasso roccioso che domina la valle del Rio Secco (affluente dell’Aventino) proprio ad opera dei Longobardi.
La leggenda più famosa inerente il Castello di Roccascalegna ha per protagonisti Corvo de Corvis e l’editto dello “Jus Primae Noctis”. Pare che nel 1646 il fantomatico Barone abbia reintrodotto questa prassi medievale, in forza della quale ogni novella sposa del Feudo di Roccascalegna dovesse passare la prima notte di nozze con lui invece che con il marito. Non si sa bene se una sposa novella, o se il marito, travestito a sua volta da sposa, abbia accoltellato il Barone nel talamo nuziale ed egli, morente, abbia lasciato la propria impronta della mano insanguinata su di una roccia della torre, crollata poi nel 1940. Benché si provasse a lavare il sangue dalla roccia, continuava a riaffiorare e ci sono tutt’oggi persone anziane che sostengono di aver visto la “mano di sangue” anche dopo il crollo.
“Roccascalegna è un luogo che resta nel cuore – dice il sindaco Domenico Giangiordano – La prima cosa che si nota arrivando al paese è sicuramente l’imponente fortezza che si erge come a protezione di tutto l’abitato. Ma cominciando a camminare per le stradine ci si accorge subito dell’accoglienza della nostra gente, del sorriso dei miei concittadini che salutano i turisti e cercano di illustrare la storia e la bellezza del castello o improvvisano un itinerario. Questa è la vera nostra forza, credere che anche un piccolo Borgo si possa vivere di turismo. Sono tante le attività nate al di sotto del Castello e nel paese, famiglie che cominciato a investire e vivere quasi solo di turismo”.

CASTELLO ARAGONESE

Nelle notti di burrasca alcuni pescatori raccontano di sentire ancora i lamenti di una principessa e alzando lo sguardo, verso il castello affacciato sul mare, ogni volta riaffiora la “leggenda della Ritorna”, la storia di un amore sfortunato tra la bella figlia del Re e un ricco mercante.

Dal Castello Aragonese di Ortona è possibile ammirare un lungo tratto della costa dei trabocchi, le famose “macchine da pesca” che costellano il tratto della costa abruzzese tra San Salvo e Francavilla. Il castello ha un’origine quattrocentesca legata appunto alla dominazione aragonese nel territorio abruzzese. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il castello venne bombardato nella tristemente famosa Battaglia di Ortona e nel 1946 la parte più arroccata sulla collina franò e il fortilizio perse una delle sue quattro torri. Grazie ai lavori avviati nel 2001 dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio dell’Aquila è tornato agibile e riaperto al pubblico nel 2009.
Oggi nella torre ovest c’è un piccolo museo con foto d’epoca e arredi e attraverso un comodo percorso che parte dal Castello si accede alla pista ciclabile che corre lungo il litorale di Ortona; da visitare il Museo della Battaglia, la Pinacoteca Basilio e Michele Cascella, Museo Musicale, Riserva Naturale Regionale Ripari di Giobbe, Cimitero canadese, Cattedrale di San Tommaso Apostolo.

CASTELLO DUCALE DI CRECCHIO

Un mistero avvolge il Castello Ducale di Crecchio, sembra che salendo i gradini che portano all’antica torre di avvistamento, detta anche “Torre dell’ulivo”, si avvertano presenze e lamenti provenire dalle mura a motivo di un’antica leggenda secondo la quale sarebbe stata utilizzata per decapitare gli oppositori di uno dei proprietari del castello fino all’avvento della famiglia De Riseis quando fu piantato sulla sua sommità un albero di olivo in segno di pace. Un’altra leggenda narra che nelle sale del Castello si odano i passi dei fantasmi del De Riseis e della sua bellissima amante o se ne scorgano le ombre attraversare le stanze del Castello sospesi nell’aria.

Il panorama che si può scorgere dal castello, nel centro storico del borgo medioevale di Crecchio, a pochi chilometri da Ortona, abbraccia da una parte il mare, dall’altra la montagna. Alcuni esperti indicano che il Castello si sia sviluppato da una torre preesistente detta “dell’Ulivo” in stile duecentesco e che, nel corso dei secoli, abbia subìto trasformazioni. Difatti, la struttura da una forma difensiva si modificò in struttura abitativa. Alla fine della seconda guerra mondiale, il castello di Crecchio, ospitò re Vittorio Emanuele II con la sua famiglia nella sua fuga da Roma. Il Castello subì gravi danni in seguito ai bombardamenti ma su iniziativa della Soprintendenza ai Beni Architettonici dell’Aquila, fu restaurato nelle forme attuali
Oggi ospita il Museo dell’Abruzzo Bizantino ed Altomedievale, restituendo uno spaccato della vita quotidiana dei bizantini in Abruzzo tra il VI e il VII sec. d.C. e permette di ricostruire le rotte commerciali dell’Abruzzo bizantino con l’Oriente e con l’Egitto in particolare. Il contesto storico-economico evidenzia la situazione di Crecchio e più in generale dell’Abruzzo, diviso tra dominio longobardo all’interno e bizantino sulla costa, aperto ai commerci adriatici grazie al porto di Ortona.

PALAZZO D’AVALOS

Sempre rimanendo in tema di mostre permanenti, non si può non citare Palazzo D’Avalos, a Vasto, a ridosso della costa, su un colle situato a 144 metri sul livello del mare, da cui la cittadina domina incontrastata l’estremo lembo meridionale del litorale abruzzese sin da quando, nell’antichità, vi si stanziarono le prime popolazioni greche, illiriche e frentane. Quel luogo che, nel nel 91 a.C., diverrà il municipio romano di Histonium, un importante borgo marinaro dell’Adriatico poi distrutto Longobardi, nel corso medioevo.

Ricostruita come roccaforte durante la signoria dei Caldora, acquistò discreta importanza anche durante il periodo della dominazione aragonese, divenendo il centro dei possedimenti della famiglia D’Avalos, da cui appunto prende il nome. Un castello, la cui fondazione si fa risalire al 1300, ma che fu ingrandito e abbellito nel 1427 da Giacomo Caldora e che, nel 1566, fu anche bersaglio dei turchi che decisero di incendiarlo. Fu proprio allora che i D’Avalos diedero inizio alla sua ricostruzione, affidando i lavori a Fra’ Valerio De Santis, conventuale di San Domenico che, nel corso dei lavori, decise di apportare diverse modifiche all’impianto originario.
E qualunque sia oggi la natura del visitatore che fa il suo ingresso nel palazzo, che sia un esperto o un semplice appassionato d’arte, l’impressione istintiva è la stessa: un’esplosione di emozioni che solo il fascino di una dimora storica perfettamente conservata è in grado di generare.
Sulle pareti, infatti, sono posti degli elementi della costruzione originaria che rimandano al passato più remoto della città di Vasto ma, spiega l’assessore con delega alla cultura, Giuseppe Forte, “buttando un’occhio all’esterno si riesce anche a godere appieno delle bellezze paesaggistiche tipiche della costa adriatica”.
Situata in pieno centro storico, la struttura ospita al contempo il Museo civico archeologico più antico d’Abruzzo e la Pinacoteca comunale, ma anche la cosiddetta mostra “Mediterrania”, allestita dal famoso gallerista abruzzese Alfredo Paglione, attraverso la donazione di ottanta dipinti di otto artisti italiani e spagnoli presenti tra le sue collezioni private. Al suo interno è inoltre presente un Museo del costume, mentre all’esterno, c’è un giardino alla napoletana, restaurato nel 1997 che dà direttamente sul mare. “Nel 2020 – precisa Forte -, il palazzo ha ospitato circa 13mila visitatori paganti solo nei mesi di luglio e agosto, a testimonianza del fatto che si tratta di un luogo di grande richiamo artistico, culturale e turistico. Senza contare le giornate gratuite e i diversi eventi organizzati al suo interno che, nella maggior parte deicasi, hanno sempre fatto registrare il tutto esaurito”.

 

Cervia, terminati i lavori di recupero aree del Bunker Regelbau: i tour riprendono sabato 8 maggio
Da ravennanotizie.it del 3 maggio 2021

Terminata la stagione ad ottobre 2020 sono ripresi i lavori di recupero del Bunker Regelbau. I volontari dell’associazione CRB hanno proceduto col consolidamento interno di alcune opere murarie e delle lastre in metallo dei soffitti e in questi giorni è partita la prima fase dell’allestimento degli interni con arredi d’epoca che mettono in evidenza alcuni momenti della vita quotidiana all’interno del bunker come l’area bagno e l’area stufa. Stanno provvedendo anche al consolidamento di alcune parti lignee che sosterranno delle mensole dove verranno esposte attrezzature radio originali.

Il murales con una frase del poeta tedesco Schiller sarà oggetto a breve di un importante lavoro di restauro da parte di restauratori che operano in campo universitario. Esternamente hanno continuato coi lavori di pulitura e gli scavi lungo il perimetro hanno portato alla luce una struttura sorprendente, di cui non si hanno altri esempi simili in Europa.

Davanti alla porta d’ingresso sono riaffiorati un pianerottolo e alcuni gradini che costeggiano un muro antischeggia e che conducono al tunnel semisotterraneo che serviva a collegare il regelbau al bunker tobruk adiacente. Il corridoio è in buone condizioni, quindi, una volta accertate le condizioni di sicurezza, verosimilmente vi si potrà accedere durante le visite guidate.

“Un percorso rinnovato rispetto allo scorso anno, sicuramente ancora più suggestivo ed interessante, che vuole rivolgersi in primis a tutti i cervesi e alle ragazze e ai ragazzi delle scuole per offrire loro la possibilità di conoscere e toccare con mano una parte fondamentale del vissuto della nostra comunità.

Un itinerario che per la sua unicità e capacità attrattiva è dedicato anche ai tanti turisti che oltre al mare e alla spiaggia, vogliono scoprire la cultura del nostro territorio nei suoi vari aspetti e conoscere luoghi della memoria, un turismo storico-culturale che attrae sempre più visitatori da ogni parte d’Europa e che esprime grandi potenzialità di crescita” dichiara la consigliera Federica Bosi, delegata alle Bellezze e Beni culturali.

I tour e le visite riprenderanno sabato 8 maggio. Per informazioni: https://www.turismo.comunecervia.it

I bunker

I bunker tedeschi e i denti di drago avevano l’obiettivo di difendere la Linea Gotica del fronte, in particolare dagli assalti via Erano disseminati in un lungo tratto di costa e alcuni sono rimasti interrati per molto tempo.

Gli avamposti erano costituiti spinati, campi minati e sbarramenti anticarro chiamati Denti di Drago.

Queste le loro caratteristiche: un Tobruk, con tunnel e muri molto spessi, fino a oltre un metro.

Una torretta molto angusta, poteva ospitare una sola persona; un Regelbau 668 un bunker con funzione informativa, dotato di comando radio.

All’interno è conservato un murales con una frase del poeta tedesco Schiller; un altro Tobruk adiacente.

 

Visite guidate/Scoprire Treviso sopra e sotto le mura
Da giornalenordest.it del 2 maggio 2021

Una proposta curiosa quanto insolita, nata dalla collaborazione tra le realtà del territorio per far conoscere Treviso nei suoi molteplici aspetti.

Si tratta dei nuovi tour a tema intitolati “Da porta a porta, sopra e sotto le mura”, iniziativa che è il risultato della collaborazione tra Ufficio IAT Treviso centro (UNPLI Treviso) e l’Associazione Treviso sotterranea. Una sinergia in linea col costante impegno dell’Ufficio IAT Treviso nel promuovere Treviso e la sua infinita bellezza e che risponde alle numerose richieste di turisti e trevigiani. Con i tour “Da porta a porta, sopra e sotto le mura” si potranno ammirare luoghi suggestivi della città, da inediti punti vista: la prima parte del percorso, infatti, prevede la conoscenza, ad opera di una professionista dell’Associazione Guide di Marca, del tratto di mura da porta Santi Quaranta a Porta San Tomaso. Da lì il testimone passerà agli operatori di Treviso sotterranea, che proseguiranno il percorso facendo scoprire la parte ipogea delle fortificazioni.

I tour inizieranno domenica 9 maggio per proseguire durante tutto il 2021 con cadenza mensile (ogni prima domenica del mese)

Info utili:

• Partenza: ufficio IAT Treviso centro, in Piazza Borsa. La Guida turistica accompagnerà il gruppo fino a Porta Santi Quaranta
• Ore 14.30
• Durata: 2,5 ore circa
• Costo: 13 €, 10 € da 6 a 14 anni
• Info e prenotazione (obbligatoria): IAT Treviso centro – tel. 0422.595780 – info@turismotreviso.it

 

San Giacomo in Paludo, arriva Re Rebaudengo Dodici ettari tra serre e giardini da sistemare
Da nuovavenezia.it del 1 maggio 2021

L’isola a metà strada tra Murano e Burano è stata venduta alla Venice Gardens Foundation dal Demanio e dalla Cassa Depositi e Prestiti

Di Alberto Vitucci

la storia

San Giacomo come i Giardinetti reali. Luogo accessibile con una parte dedicata alle serre, alle attività culturali, alla vendita delle piante e all’accoglienza. Sono cominciati in questi giorni i lavori di restauro e di realizzazione delle opere di urbanizzazione nell’isola di San Giacomo in Paludo, in laguna centrale, a metà strada fra Murano e Burano.

Acquistata un anno fa in pieno lockdown all’asta dalla Fondazione di Adele Re Rebaudengo, la Venice Gardens Foundation e dal fratello Agostino. Vendita perfezionata dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), che l’ha presa in carico insieme a molte altre proprietà demaniali in laguna per metterla sul mercato e “valorizzarla”. Un’altra isola privatizzata, dunque. Un anno di silenzio, e intanto autorizzazioni che sono state ottenute. Adesso i lavori sono ben visibili. E il progetto è ancora in parte coperto dal riserbo.

Di certo si sa che la preziosa isola è diventata di proprietà privata, dopo decenni di abbandono e altri anni in concessione all’associazione Vas (Verdi, Ambiente e Società) fondata da Guido Pollice. Una quindicina di anni fa l’inaugurazione dei restauri della cavana e degli edifici e la presentazione del grande progetto con la Green Cross international di Gorbaciov e la testimonial di eccezione, la scienziata Rita Levi Montalcini. Che però si era bloccata per mancanza di finanziamenti. Così l’isola è tornata al Demanio. L’associazione Vas ha vinto un ricorso al Tar, ma ha perso l’appello in Consiglio di Stato. E i giudici hanno almeno stabilito che non potrà diventare l’ennesimo albergo o una struttura ricettiva. Dodici ettari e mezzo, di cui circa 11 ricoperti da edifici e postazioni ex militari, San Giacomo in Paludo è in posizione baricentrica tra le isole di Murano, Burano e Sant’Erasmo. Adesso la Fondazione di Adele Re Rebaudengo punta ad espandere il suo progetto di recupero già visto ai Giardinetti Reali. Uno spazio ottenuto in concessione per vent’anni, restaurato e tornato a essere un giardino dopo anni di incuria, insieme al restauri della palazzina del Santi e del ponte levatoio, alla realizzazione di un nuovo edificio per ospitare la grande Caffetteria. Operazione avviata nel 2014, quando il Comune era commissariato dopo lo scandalo del Mose e guidato da Vittorio Zappalorto, attuale prefetto. I nuovi Giardinetti sono stati inaugurati dal sindaco Luigi Brugnaro il 17 dicembre del 2019.

E adesso tocca a San Giacomo. Un’isola “privatizzata” che però dovrà mantenere la sua apertura al pubblico.

Un’isola che ha una storia importante, lunga mille anni. Convento già dal 1050, poi sede delle monache Circestensi, e dal Cinquecento lazzaretto e luogo di ricovero dei monaci. La storia recente dell’isola è una storia militare. Utilizzata come deposito e postazione difensiva. Meta di visite e raid vandalici negli anni Settanta, incolta e abbandonata. Poi recuperata dai Vas e Green Cross. Infine venduta ai privati della Fondazione Giardini.

Celebri le battaglie delle associazioni per preservare la storica cavana, crollata e poi ricostruita, e le mura esterne dell’isola minacciate dal moto ondoso e dal traffico acqueo. Sede di scavi e ricerche negli ultimi anni, adesso sarà recuperata ad altri uso. Tre edifici sono stati restaurati negli anni Novanta, altri quattro sono diroccati dovranno esser restaurati. Non sarà possibile nuova edificazione, trattandosi di bene vincolato in mezzo alla laguna. Intanto da giorni sono cominciate le operazioni di pulizia dei rovi e di realizzazione delle opere di urbanizzazione. Acqua, gas, energìa elettrica, fognature. Per renderla di nuovo abitabile, parte di un grande progetto di produzioni compatibili e di turismo di qualità. —

 

Convegno virtuale al Forte di Fortezza il 7 maggio: trincerati o isolati?
Da lavocedibolzano.it del 1 maggio 2021

Oltre un anno di pandemia: che effetto ha su di noi? La libertà è un diritto fondamentale? Cosa significa democrazia? E quali possibilità si celano dietro le restrizioni? Si parlerà di questo il 7 maggio in un convegno virtuale, organizzato dal Forte di Fortezza. In lingua tedesca.

Il Forte di Fortezza con i suoi 65.000 metri quadrati, il “Vallo Alpino” costruito nelle immediate vicinanze con oltre 300 bunker sparsi in tutto l’Alto Adige e la base NATO di Natz-Schabs avevano un solo scopo: proteggersi da un nemico mentre si era trincerati nei bunker.

L’esperienza con la pandemia e le sue restrizioni suggeriscono alcune associazioni con i periodi bellici, ci sono emozioni che vengono percepiti in modo simile: ci sentiamo imprigionati, privati delle nostre libertà fondamentali, non ci è permesso di decidere spontaneamente dove andare, viaggiare, con chi incontrarsi. Anche i valori vengono messi in discussione: la libertà è davvero un diritto fondamentale? Cosa significa democrazia, in un’epoca in cui abbiamo la sensazione che altri decidano della nostra vita quotidiana? Che effetto ha su di noi? Che effetto fa sui nostri figli? E queste restrizioni possono celare anche delle opportunità? É più facile immergersi nei processi creativi, se la pressione sociale viene meno?

Un gruppo di esperte ed esperti nonché alcuni interessati venerdì, 7 maggio dalle ore 18 nel convegno “Trincerati o isolati?”, organizzato dal Forte di Fortezza, prenderanno posizione e spiegheranno il contesto psicologico, socio-pedagogico e giuridico. La manifestazione si terrà online sulla piattaforma Zoom e in occasione delle Giornate di educazione politica. In lingua tedesca. Il link per accedere al convegno si troverà sul sito del Forte www.fortezza.info poco prima della manifestazione. Parteciperanno Annemarie Augschöll, professoressa di Scienze della Formazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, Sabine Cagol, presidente della Camera degli Psicologi, psicologa e psicoterapeuta sistemica, l’artista Elisa Grezzani, Daniela Höller, garante per l’infanzia e l‘adolescenza dell’Alto Adige, Peter Koler, direttore Forum Prevenzione Bolzano, Ulrike Loch, sociologa della Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, Leon Pergjoka, sociologo e presidente del Comitato consultivo per l’integrazione e la migrazione della città di Brunico, David Pfattner, pedagogo sociale del KVW Giovanile, Roger Pycha, direttore del Servizio psichiatrico di Bressanone, Sheno Sanjani, migrante dal Kurdistan, Iran e lo studente Jan Unterhofer. Condurrà la discussione la giornalista e curatrice Anita Rossi.

 

Costruito con i fondi Ue per i siti militari dismessi
Da ilpiccolo.it del 1 maggio 2021

Il Centro visite di Pietrarossa è stato aperto nel 2004, dopo essere stato realizzato dal Comune di Monfalcone con un investimento di 1,3 milioni di euro di lavori, in buona parte stanziati dall’Ue per la riconversione dei siti militari dismessi. Nello specifico due bunker risalenti al periodo della Guerra fredda.

 

Forte Pozzarello un’opera preziosa della Regia Marina all’argentario abbandonata speriamo ancora per poco
Da maremmanews.it del 1 maggio 2021

Tornano i Beach Nordic Walkers con Artemare Club a camminare con i salutari bastoncini non solo lungo le più belle spiagge per benefici fisici ma anche su percorsi storico culturali alla scoperta della storia marinara della Costa d’Argento e giovedì scorso, partendo dal Porto del Valle di Porto Santo Stefano, hanno raggiunto il Forte Pozzarello all’Argentario che secondo i progetti della seconda metà dell'Ottocento doveva diventare una grande base della Marina Militare Italiana, fortificazione costruita sotto la giurisdizione del Regno d'Italia sull'omonima altura che si eleva in prossimità del tratto costiero settentrionale del promontorio dell'Argentario, alle coordinate 42°25′50.3″N 11°07′57.3″ come dicono i marinai, con l'intento di proteggere la costa in prossimità. Progettata nel 1874 venne realizzata con i migliori materiali seguendo i canoni delle fortificazioni militari piemontesi ottocentesche, struttura difensiva a pianta trapezoidale protetta all'esterno da profondi fossati che seguono l'andamento delle cortine murarie su ciascun lato, con la presenza di una serie di garitte. L'accesso alla fortificazione avviene attraverso una doppia porta ad arco tondo che si apre attraversando l'intero spessore di una delle quattro cortine murarie, che si caratterizzano per il rivestimento bugnato sul lato esterno. La fortificazione si caratterizza per una serie di livelli interrati e nascosti dai costoni dell'altura, che sarebbero stati adibiti a rifugio di sicurezza, quando il forte era in attività, in caso di grave pericolo portato dall'attacco e dall'avanzata di truppe nemiche.

L’opera ultimata nel 1888 divenne sede di varie esercitazioni di difesa ed offesa, in cui veniva simulato l'avvicinamento dal mare di navi nemiche che dovevano essere colpite dai cannoni posizionati presso la struttura difensiva. Durante la seconda guerra mondiale venne allestita la contraerea nel tentativo di difendere la zona dai bombardamenti aerei. Dal dopoguerra in poi, la fortificazione fu di fatto trasformata in un grande deposito di armi e munizioni, che venne definitivamente dismesso nel 1975. Dopo la chiusura, la struttura difensiva è stata completamente abbandonata, andando incontro ad un rapido ed inesorabile degrado. Da allora diversi sono stati gli studi per rendere fruibile un così importante immobile dello Stato, molto interessante la tesi di laurea dell’ingegner Daniele Metrano presentata del 2001 all’Università di Pisa con un progetto di recupero del Forte Pozzarello per un centro di ricerca in scienze naturali.

Nel 2013 Forte Pozzarello è stato inserito in “ValorePaese” il progetto dell’Agenzia del Demanio per la valorizzazione e per la gestione efficiente del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti locali, che coinvolge immobili spesso non utilizzati o sottoutilizzati, ma con una forte valenza strategica, come le ville storiche o beni di valore medio-basso collocati, in alcuni casi, in aree svantaggiate.