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Forte San Felice, ritornano le visite guidate. Si inizia il 14 maggio
Da chioggiatv.it del 30 aprile 2022

Forte San Felice, ritornano le visite guidate. Il programma richiesto dal Comune e autorizzato dalla Marina Militare comprende sei date: 14 maggio, 18 giugno, 9 luglio, 6 agosto, 24-25 settembre.

Per il primo appuntamento (sabato pomeriggio 14 maggio, 4 turni di visita a partire dalle 14.30) le iscrizioni on line sul sito www.eventbrite.it inizieranno martedì prossimo.

 

Sentiero dei Bunker e delle Batterie, cumuli di spazzatura al Monte Moro
Da lavocedigenova.it del 29 aprile 2022

Lo scempio sulle alture del Municipio Levante. La situazione va a cozzare vergognosamente con il neonato ‘Sentiero dei Bunker e delle Batterie’, inaugurato in pompa magna la settimana scorsa, alla presenza del sindaco Bucci

Sentiero dei Bunker e delle Batterie, un monte di spazzatura. Lo scempio al Monte Moro nel Municipio Levante. Le scandalose immagini postate da ‘Progetto Monte Moro’, che ha l’obiettivo di far nascere un parco urbano, campeggiano su principali gruppi del Levante: “Avrei voluto raccontarvi della passeggiata di ieri a Monte Moro. Avrei voluto raccontarvi della splendida compagnia. Avrei voluto lamentarmi solo del tempo uggioso, coperto, umido. Non è vero, camminare con il tempo uggioso, coperto e umido è comunque bellissimo. Invece devo raccontarvi di quello che abbiamo trovato sul piazzale e intorno alle batterie: un tappeto di rifiuti. Questo non è un post di lamentela ma vuol essere un inno alla cultura della bellezza. Un inno a rispettare la bellezza della Natura. La situazione sul Moro è una vergogna assoluta”. La situazione stride e va a cozzare vergognosamente con il neonato ‘Sentiero dei Bunker e delle Batterie’, inaugurato in pompa magna la settimana scorsa, alla presenza del sindaco Bucci. All’escursionista che voglia fare una passeggiata in un panorama stupendo, ora è dotato di uno strumento in più per fare due passi a Monte Moro. Posato il primo, saranno 6 i cartelli turistico-storici che verranno posizionati da Quinto alla vetta: il primo è in piazza Cornelio De Simone. Aiuteranno a comprendere una parte della storia che ha visto come protagonista la collina.

L’idea è nata dalla collaborazione fra Massimo Rossi, ‘Progetto Monte Moro’, con Romano Schiavetta, ‘FIE-Osservatorio Raffaelli’ e Roberto Giordano dell’‘Associazione Via del Mare’. Questa e molte altre proposte si collocano all’interno di un articolato progetto di riqualificazione che ‘Progetto Monte Moro’ ha già presentato e che comprende, fra le altre cose, di allestire alcune aree Pic Nic, una piccola palestra all’aperto e di valorizzare in chiave turistico-naturalistica sia Monte Moro che le sue fortificazioni.
Proprio nell’ottica di valorizzare il percorso, la partenza del sentiero è stata fissata a Quinto al Mare. I temi trattati sui vari cartelloni parlano di piazza Cornelio de Simone: lo scalo di Quinto, dall’arrivo dei cannoni alle ultime difese antisbarco; piazza Frassinetti: le azioni della Resistenza e l’arrivo degli americani; corso Europa: il quadro generale delle batterie di Monte Moro; a quota 140 metri sul livello del mare, lungo il sentiero: la 200ma Batteria Costiera; a quota 335 metri sul livello del mare, lungo il sentiero: la 604ma Batteria Contraerea e la 251ma Batteria Costiera; a quota 412, sul piazzale Monte Moro: la Batteria Costiera Nino Bixio; la 15ma Batteria Contraerea; il Posto Vedetta Batteria e la Stazione Radiotelegrafica dell’Aeronautica.

Tra l’altro non si contano i volontari che da anni si impegnano per far rivivere la vegetazione sul Monte, vittima dei piromani da anni. Ad aprile sono tornati sul Monte Moro per riprendere le attività dopo l’ultimo recente incendio che ha devastato la zona.

Il progetto ‘A Thousand Trees Project’ continua, insieme a ‘Cittadini Sostenibili’, nonostante le criticità del luogo. Oltre ad aver ripreso l’attività di piantumazione si è già iniziato a ripulire, raccogliendo ben 500 bottiglie di vetro in 45 minuti.

Poi ecco le festività, ma quanto trovato non è certo il risultato di una giornata sui sentieri, ma di un’indifferenza perpetrata nei confronti di chi ‘mal vive’ questi luoghi e di chi si gira dall’atra parte invece di fare segnalazioni e pretendere pulizia da chi di ne ha il compito.

 

"The Bunker Game"; al cinema il lungometraggio di Roberto Zazzara
Da rete8.it del 29 aprile 2022

Di Dabio Lussoso

The Bunker Game: tra realtà distopica e giochi di ruolo vivo arriva nei cinema italiani il lungometraggio di Roberto Zazzara. Il 2 e 3 maggio debutta nelle migliori sale il film del regista abruzzese completamente ambientato in un enorme bunker antiatomico

Uscito a febbraio nei cinema in Russia, Polonia e in America come prima pellicola italiana sulla piattaforma Shudder, da poco presentato in anteprima nazionale al Comicon di Napoli dove ha riscosso grande successo, The Bunker Game, il film del regista abruzzese Roberto Zazzara, arriva nelle sale come evento unico il 2 e 3 maggio, vantando nel cast internazionale la presenza di Gaia Weiss, Lorenzo Richelmy e Serena De Ferrari. Distribuito in Italia da Eagle Pictures che è anche coproduttore insieme a Be Cool, The Bunker Game, si presenta al pubblico nella veste del thriller-horror italiano, un genere figlio di Mario Bava e Dario Argento, ma attualizzato nei personaggi e nella trama, che manca nei diari cinematografici nazionali degli ultimi anni.

Scritto insieme a Davide Orsini, noto sceneggiatore di Teramo (In fondo al bosco, Il legame, Generazione 56K), The Bunker Game è un film di forti sensazioni, emozioni e paure, di ricordi e speranze rinchiusi sottoterra, lungo i chilometri di gallerie antiatomiche del monte Soratte, un enorme bunker sotterraneo, appena fuori Roma, dalla lunga storia, fatto costruire da Benito Mussolini, come suo rifugio e occupato dai nazisti.
È al suo interno che il film è interamente girato e ambientato, i protagonisti sono un gruppo di giocatori che muovono le mosse di un gioco di ruolo dal vivo, nel gergo un Larp (acronimo di Live action role playing). Dopo diversi incidenti la protagonista Laura, interpretata dall’attrice francese Gaia Weiss (Vikings, La Révolution, Meander – Trappola mortale) si rende conto che Lorenzo Richelmy (Marco Polo, Ride, Il talento del Calabrone) nei panni di Greg, amante di Laura e mastermind del gioco, è sparito. Qualcuno dovrà cercarlo nei tunnel scuri e misteriosi che nascondono antichi orrori.
Accanto a loro, un cast europeo di altissimo livello che raccoglie attori di diverse origini, tra cui Mark Ryder (I Borgia), Makita Samba (Parigi, 13Arr.), Serena De Ferrari (Mare Fuori).
È proprio vivendo in prima persona un’esperienza del genere che Roberto Zazzara ha avuto l’idea del film, nata durante la partecipazione del regista ad un LARP organizzato dalle menti creative – e abruzzesi – della Chaos League, un immersive experience studio che crea mondi extra-ordinari da esplorare attraverso, e non solo, giochi di ruolo vivo.

Vivendo per alcuni giorni all’interno del bunker Soratte, Zazzara, ha avuto sempre la sensazione che in quel luogo immenso che si sviluppa orizzontalmente per chilometri e chilometri nella roccia del monte sovrastante, si potesse ancora respirare parte della storia vissuta, del fascismo, del nazismo, della Guerra Fredda e che le leggi che governano il mondo potessero essere stravolte in una situazione di chiusura fisica, temporale e geografica. “Ho camminato da solo, attraverso quei tunnel bui e vuoti – racconta Zazzara – scoprendo i detriti delle vite di altre persone, vissute e morte lì in altre epoche, eppure presenti, in un tempo fuori dal tempo. Ammetto di aver avuto paura, e ho voluto trasmettere al pubblico quelle sensazioni, attraverso un racconto personale e universale. La maternità, la ciclicità della vita, la paura che ci rende peggiori”.

The Bunker Game è, infatti, una storia di donne forti, di fantasmi che riemergono dal passato, è un viaggio cromatico, un’escursione nei luoghi della psiche umana dove si annidano paure profonde dell’inconscio umano, è la rappresentazione trasfigurata di un pezzo di storia italiana, ancora molto attuale e che sta prepotentemente tornando, con le rinnovate paure attorno alla guerra in Ucraina, al nucleare, ai fascismi che riemergono. “Con Davide Orsini ho deciso di lavorare ad un thriller-horror – sottolinea il regista – un genere ormai abbastanza desueto in Italia, nonostante il grande successo avuto negli anni da Dario Argento e Mario Bava, e posso dire che è stata un’esperienza piuttosto impegnativa proprio perché in qualche modo noi italiani che abbiamo fatto la storia del cinema di genere, abbiamo forse perso il know how, quindi parte del lavoro è consistita proprio nel cercare collaboratori e riscoprire certe dinamiche del genere”. La colonna sonora originale, prodotto e distribuita da Cinevox, è firmata da Umberto Smerilli (La ragazza del mondo, Il regno), compositore pescarese attivo nel cinema d’autore. Una combinazione che contribuisce all’immersione dello spettatore nelle atmosfere del bunker e che crea un ricco dialogo con alcune canzoni di repertorio, tra cui la celebre Parlami d’amore Mariù.

 

I bunker di Villa Ada e Villa Torlonia chiusi da un anno, Roma Sotterranea: "Nessuna notizia sul bando"
Da romah24.com del 27 aprile 2022

Di Marco Barbaliscia

Due siti archeologici del quartiere chiusi da più di un anno. E la riapertura sembra essere ancora lontana. Cittadini, appassionati di storia e turisti aspettano di poter tornare a visitare i bunker di Mussolini a Villa Torlonia e dei Savoia a Villa Ada. Luoghi affascinanti, che negli anni hanno alimentato leggende e attirato studiosi e curiosi. Da marzo 2021 è però scaduto il bando che ne aveva dato la gestione all’associazione ‘Roma Sotterranea’.

Il Comune di Roma non ha ancora pubblicato il nuovo bando e i due bunker sono al momento chiusi. Un doppio danno, come spiega Adriano Morabito, presidente dell’Associazione Roma Sotterranea: “L’inagibilità dei siti per un lungo periodo, oltre ad essere un danno per il turismo, rischia di veder rovinati i bunker stessi. Parliamo di locali delicati che se non vengono manutenuti con regolarità possono essere preda di vandali o venire danneggiati dal tempo e dagli agenti naturali”, dice a Roma H24.
Il Comune – aggiunge il presidente – “non ci ha ancora dato alcun tipo di informazione. Come associazione eravamo a conoscenza che vi erano degli interventi di manutenzione straordinaria da fare prima di indire nuovamente i bandi. A Villa Torlonia, ad esempio, c’è una passarella in legno da mettere in sicurezza, mentre a Villa Ada bisogna intervenire sullo scudo esterno”.

Bunker a Villa Ada e Villa Torlonia, riapertura lontana

Roma Sotterranea, nel triennio in cui ha avuto in gestione i due bunker, si è occupata della manutenzione ordinaria dei siti, sia all’interno che all’esterno, ma anche della parte didattica, organizzando le visite guidate: “Riprendere in mano i bunker sarà un impegno gravoso dopo un anno senza interventi”, precisa Morabito. “Questa lunga assenza rischia di rendere inutile quanto fatto sino a qui. Abbiamo tolto i graffiti, sistemato le mattonelle, i bagni. Per fortuna, al momento, non risultano esserci danni né infiltrazioni di animali o vandali. Possiamo, però, avere contezza solo dell’esterno. Le parti interne non sappiamo come sono messe”.
I numeri delle visite programmate erano stati notevoli. Dal 2018 a marzo 2021, con un anno di pandemia in mezzo, il bunker di Villa Ada è stato visitato da circa 3.400 persone, mentre quello quello di Villa Torlonia da 11.700 visitatori, tra cui 1.500 studenti di classi di elementari, medie e licei.
Le strade per il futuro sono diverse. C’è la possibilità che venga creato un unico bando, come è stato nel triennio 2018-2021, o che la gestione del bunker di Villa Ada sia separata da quello di Villa Torlonia, come è stato nel biennio precedente. Come associazione – dice Morabito – “chiediamo che finalmente si faccia il bando. Se dovessimo vincerlo noi ne saremmo felici, ma a prescindere c’è l’urgenza di vedere ancora fruibili i due bunker”.

I tempi, però, rischiano di essere ancora lunghi. Dal momento della pubblicazione del bando (ancora non avvenuto, ndr) servono almeno sei mesi prima dell’assegnazione: “Sicuramente la bella stagione non vedrà la possibilità di poter riaprire le visite al pubblico e questo è un gran peccato”, chiude il presidente.
La redazione di Roma H24 ha contattato l’assessorato alla Cultura di Roma e la Sovrintendenza ai Beni Culturali per avere notizie sul bando ed è in attesa di risposte ufficiali.

 

"Vivi un’esperienza nel Forte più importante della Valle Stura"
Da cuneo24.it del 27 aprile 2022

Domenica apre uno degli esempi di architettura militare più significativo dell’intero arco alpino

Vinadio. Il Forte Albertino di Vinadio con i suoi 1.200 metri di lunghezza e 10.000 metri di camminamenti vi aspetta dal primo maggio con tante novità, pronto a farvi vivere nuove esperienze firmate Valle Stura Experience.
Il 23 febbraio 2022 il consorzio turistico Valle Stura Experience ha ricevuto l’incarico dalla Fondazione Artea per il servizio di apertura ordinaria del Forte di Vinadio (accoglienza, biglietteria e visite guidate) e dell’organizzazione del personale per gli eventi come Forte in Fiore, Temporary shop e il Mercatino di Natale.

Si occuperà inoltre di accogliere scuole e gruppi oltre che del servizio di Infopoint.
Le attività verranno svolte con grande passione, entusiasmo ma soprattutto professionalità grazie ad uno staff rinnovato in cui, a fianco delle esperte guide che già lavoravano presso il Forte negli anni passati, si inseriscono gli accompagnatori naturalistici.
Il gruppo così composto sarà in grado di garantire ai visitatori un’esperienza nuova e ancora più completa, arricchita da escursioni a piedi o in e-bike verso le fortificazioni laterali, prove di orienteering fra le mura e molto altro ancora. Il consorzio, già gestore della Porta di Valle, a Vinadio si occuperà di allestire un punto informativo ricco di materiale promozionale e guide sull’intera valle; sarà così possibile offrire ai visitatori una panoramica completa su quelle che sono le possibili attività ed esperienze da vivere sul territorio e le peculiarità storiche, artistiche e naturalistiche della Valle Stura.

Per ogni informazione sul Forte di Vinadio, è possibile consultare il sito: www.fortedivinadio.com o contattare il numero: 328 203 2182

 

Trentino e i castelli medievali: immergersi nella vita di una volta
Da trekking.it del 27 aprile 2022

Nel Medioevo in tutto il territorio europeo sorgevano castelli, che svolgevano il ruolo di dimore dei Signori e fortezze per difendersi dai nemici. Si trovavano principalmente in terre di passaggio e il Trentino, al confine tra Italia e Austria, ha visto costruire sulle proprie colline e montagne numerose strutture fortificate, ancora oggi visitabili

Queste gite culturali uniscono piacevoli passeggiate nella natura a visite dal carattere storico, che ci permettono di conoscere un po’ meglio la vita che si svolgeva in questi luoghi ai tempi del Medioevo.

Castel Thun, uno dei castelli medievali più belli del nord Italia, dà la possibilità di immergersi in modo davvero autentico nell’atmosfera storica, grazie agli arredi e al mobilio conservati benissimo, quasi intatti e comunque molto fedeli agli originali.
Dimora della famiglia Tono che per secoli regnò nella vallata, visitare questo castello significa darsi la possibilità di comprendere le abitudini dei signori regnanti, della loro famiglia e anche dei sudditi.
Si trova in Val di Non e sorge su una collina fra i meleti. Dopo una facile passeggiata in salita di circa dieci/quindici minuti si potrà camminare per le sale e permettere all’immaginazione di spiccare il volo.

A guardia della Valle dell’Adige si trova la più grande fortezza della regione: Castel Beseno.
Questo castello è posizionato su una collina con alte mura di cinta, sulle quali è possibile camminare, oltre che effettuare passeggiate fra i giardini e le innumerevoli sale. Al suo interno, nelle sale al pian terreno, si possono ammirare copie di armi, armamenti come corazze, elmi, caschi e maglie di ferro che i visitatori hanno la possibilità di indossare. L’esperienza offerta da questa visita ha l’obiettivo di restituire ai turisti la sensazione provata da una guarnigione militare nel XV secolo.
Sul suo terreno si scontrarono diverse truppe e rimase un’importante struttura fortificata della zona per molti secoli.
Il suo uso a scopi prettamente difensivi e una storia collegata a combattimenti permettono ai visitatori di immaginare un’altra sfera di caratteristiche e funzioni che i castelli coprivano.

Le visite ai castelli medievali in Trentino ci parlano del passato, della storia del nostro territorio, di un modo di vivere che è mutato nei secoli. Il tipo di società di quel periodo storico, con le sue strutture e regole, risulta spesso difficile da comprendere solo attraverso lo studio scolastico. È per questo che le immagini regalateci delle esperienze vissute durante le visite ai castelli possono essere ampliate e precisate attraverso la tecnologia.
Nel mondo dell’intrattenimento, in particolare nei film e nei videogiochi, castelli e fortezze sono spesso presenti in vicende di guerra più o meno realistiche, storie di padroni e servi e di invasioni nemiche. Grafiche, effetti sonori, giochi strategici di qualità creano forti presupposti per immergersi in nuovi mondi.
Grazie a piattaforme come Plarium è possibile scaricare giochi gratis, anche di carattere storico e medievale, con i quali fare ulteriore esperienza di queste ambientazioni, con qualche aggiunta di carattere fantastico in alcuni di essi. Giochi come ‘Stromfall: Age of War’ o ‘Stormfall: Rise of Balur’ ricreano scenari di guerra nei quali i castelli assumono un ruolo centrale.
Dopo una camminata nella natura alla scoperta dei luoghi simbolo del Medioevo, immergersi nel mondo virtuale dei videogiochi ti farà provare la sensazione unica di vivere nel Medioevo!

 

Mura di Vicenza, due ore di passeggiata lungo la cinta muraria: all’interno regnava l’ordine, all’esterno il caos, l’ignoto e l’imprevedibilemuraria
Da vipiu.it del 26 aprile 2022

Mura di Vicenza: vestigia del muro in piazza del Castello, di fronte a COIN (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)

Le città che hanno mantenuto pressoché intatta la loro cinta muraria possiedono un inequivocabile fascino particolare. Difficile pensare a Vicenza come città fortificata eppure è sempre affascinante scoprire, in alcuni tratti, possenti mura e veder spuntare, nel tessuto urbano moderno, torri merlate e addirittura un alto mastio, come quello di Porta Castello.

Ed è proprio da questo luogo che inizia e si conclude un primo percorso lungo le mura di Vicenza, il più antico (X-XIII secolo), che ci permette di ammirare, con una semplice passeggiata a piedi di circa due ore, la storia della Vicenza attuale che dialoga con quella antica.

Molto interessante e significativa risulta essere la toponomastica, come in Piazza Castello, e subito ci si domanda dove poteva essere questo castello. Purtroppo è stato smantellato a più riprese, soprattutto durante il Settecento ed ha rischiato addirittura la demolizione anche l’alto Torrione che sovrasta la piazza.
Dalle antiche case torri dei Bontraversi, poi dei Maltraversi e del perfido tiranno Ezzelino, dal castello scaligero trecentesco si passa al Torrione odierno, di recente acquisito dalla Fondazione Coppola che vi ospita mostre di arte contemporanea. Si può così salire fino alla lanterna sommitale, aggiunta forse in periodo di dominazione viscontea (1387-1404), e avere l’opportunità di godere di una splendida e sorprendente visione dall’alto della città. Prima di raggiungere i trenta metri dell’alta mole storica, fermiamoci ad osservare la sua base dove sono ancora visibili delle grosse pietre rozzamente squadrate che la tradizione tramanda come avanzi di muratura romana.

Procedendo verso sud, nascosta tra gli edifici moderni si trova la Porta Feliciana, cioè che porta alla chiesa di San Felice e Fortunato, una delle cinque porte antiche, dove si riscuoteva la “muda” o pedaggio che andava al vescovo. A questo punto scendiamo di qualche metro in via Gorizia per scorgere un breve tratto di muro antico, formato con pietre alquanto irregolari, stretto tra anonime pareti moderne. Percorriamo ora Contrà Mura Pallamaio che ci ricorda questo gioco che è uno fra i più antichi. La sua più lontana notizia ci viene da un bassorilievo egizio che coglie un gruppo di fanciulli nell’atto di colpire una palla con un bastone, detto appunto anche “maglio” (da “malleolus”, piccolo martello).

All’incontro con Contrà della Racchetta, proprio di fronte a questa strada dove nel Settecento viene costruito dal Calderari il Palazzo Anti, c’era una porta secondaria da cui, secondo la Cronaca del Godi, sarebbe uscito nel 1236 Federico II, secondo la predizione di un astrologo di corte. Infatti, l’imperatore, per metterlo alla prova, gli aveva chiesto di scrivere da quale porta sarebbe uscito. Senza leggere il responso, aprì questa breccia e scoprì solo dopo che l’astrologo aveva effettivamente previsto l’uscita da una porta nuova.
Si vedono scorrere le placide acque del Retrone, al di sotto del ponte Furo, e se si guarda bene tra l’arcata centrale, forse si può, non certo intravedere, ma almeno immaginare la regale sagoma di un re goto laggiù sepolto, come si narra da sempre. Attraversato il ponte, sul quale correvano ininterrotte le mura, difese da un’antica torre che si presenta oggi come una leggiadra loggetta del Palazzo Sperotti, si possono vedere le pareti esterne dell’ottocentesco Palazzo Gualdo, abbellite dal vetusto paramento murario. Si arriva così a Porton del Luzo che sta tra le mura duecentesche e l’addizione veneziana.
I primi documenti di questo manufatto si aggirano intorno metà del Cinquecento e sono concordi nel chiamarlo “Torresino del Luzzo o del Lusso”. L’origine del nome potrebbe riferirsi ad una famiglia dei Lucii, oppure al ”lucus” cioè al bosco: il termine era usato anche ad indicare “dell’uscio”, appunto della porta, ma non manca di certo la leggenda di un “luccio” di smisurata grandezza pescato chissà quando.

Mura di Vicenza, Porton del Luzzo dopo Ponte Furo andando verso quello che fu il teatro Berga (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)

Superato l’imprevedibile e fascinoso novecentesco palazzo Zamberlan che si attesta sull’avanzo delle mura duecentesche, si giunge allo stretto imbocco di Contrà del Guanto dove stava una delle porte principali, la Porta Berga o Porta di Mezo, difesa dall’alta Torre dei Desmanini.
Si continua per Contrà Mura San Michele e proprio qui troviamo una lapide moderna posta a ricordo della cinta muraria medioevale, lasciata in parte a vista sul modernissimo palazzo, progettato da Vittorio Veller.
La nitida squadratura geometrica dell’edificio in mattoni a vista si sposa con una griglia strutturale composta di colonne e travature metalliche, con l’effetto di innalzare il corpo esterno sul fronte strada, esibendo il tratto di mura.
Si attraversa così la Piarda Fanton. Ancora una volta la toponomastica ci ricorda che la “piarda” era appunto il terreno che si trovava tra fiume e mura, lasciato libero ad ulteriore difesa della città. Naturalmente, ai nostri giorni è difficile cogliere questo spazio vacuo, visti i numerosi edifici che vi sono stati costruiti. Anche il successivo ponte delle Barche era difeso dalla Torre di Predevalle e chiuso da inferriate.

Dal ponte degli Angeli, chi voleva entrare in città doveva passare per la Porta San Pietro, un arco di laterizio che si apriva nel torrione che sbarrava l’imboccatura del ponte, difeso da un capitano e 24 soldati. Ad ulteriore difesa verrà poi costruito dai Padovani il duecentesco Castello custodito da due capitani, uno a piedi e l’altro a cavallo.
Era presente, inoltre, una guarnigione di quarantasei soldati, dei quali dieci balestrieri. Non esistendo più da tempo questa fortissima ed agguerrita difesa, si può salire agevolmente la piarda Bertagnoni, ossia Contrà Canove e giungere a Motton Pusterla. Motton significa grosso mucchio, in questo caso di terra, ad ulteriore difesa dell’altra porta, Porta Pusterla, così chiamata perché piccola, demolita nel 1820, durante i lavori di sistemazione di contrà Porti.
Si prosegue per contrà Pedemuro San Biagio. Lo stesso nome “pedemuro” della strada su cui si affaccia il vecchio carcere, fa riferimento alla caratteristica viabilità interna ai piedi della cortina muraria, prescritta dagli Statuti medioevali del 1264, che doveva essere di diciotto piedi, misura equivalente ad una larghezza di circa 6,50 metri. All’incrocio con Motton San Lorenzo e l’attuale corso Fogazzaro, si trovava la Porta San Lorenzo o Porta Nova. Se ne ha notizia per la prima volta nel 1074; gli Statuti del 1264 la garantiscono munita di una grande torre merlata e fortificata, appartenuta a Rainone de Rainoni, famiglia molto potente della città. Successivamente scomparsa senza lasciare traccia dopo che il torrione, ormai fatiscente, era già caduto nel 1779.
Percorso infine Motton San Lorenzo, che indica quel lungo terrapieno scosceso che, all’esterno delle mura, ostacolava un eventuale attacco ostile e le poneva in posizione sopraelevata e strategicamente privilegiata rispetto alla campagna circostante, si passa presso il ponte delle Bele, dove restano alcune tracce della cinta tardo duecentesca, arrivando infine al punto di partenza, e cioè Piazza Castello.

Da quello che abbiamo potuto osservare da vicino, nella prima cinta è prevalente l’uso della pietra grezza, proveniente dai Colli Berici e dalla zona di Montecchio Maggiore, mescolata a scaglie di cotto o mattoni rotti ed informi, quasi certamente di recupero di manufatti romani. Sempre dai più volte citati Statuti sappiamo che nessuno poteva entrare o uscire dalla città se non dalle cinque porte principali: di San Felice, di Berica, di San Pietro, di Pusterla, e di Porta Nova, porte che venivano tenute ben controllate e chiuse, soprattutto di notte. Si impediva così anche l’entrata non solo di eventuali nemici, ma anche di malati contagiosi e di coloro che erano stati cacciati dalla città per crimini o altri misfatti; quindi, all’interno delle mura regnava l’ordine, all’esterno esisteva il caos, l’ignoto e l’imprevedibile.

Patrizia Muroni

 

Palmanova, la città fortezza della Serenissima
Da villegiardini.it del 26 aprile 2022

Porta Aquileia, originariamente nota come Porta Marittima, uno dei tre ingressi monumentali della città di Palmanova © Otpelletier, Public domain, via Wikimedia Commons

Di Maria Teresa Morano

Palmanova, città fortezza dalla forma singolare, è un esempio eccezionale di architettura militare veneziana. La sua pianta a stella, immersa nella pianura friulana, contribuisce a rendere il borgo una destinazione unica, di inestimabile valore artistico e architettonico. Costruita in aderenza ai canoni della città ideale, teorizzati nel Rinascimento, Palmanova custodisce i segni di una storia che ebbe inizio nel Cinquecento.

Indice dei contenuti dell'articolo
1. La storia di Palmanova
2. La città fortezza a forma di stella
3. Il Parco dei Bastioni
4. Le porte di Palmanova
5. Piazza Grande, il cuore della fortezza

La storia di Palmanova

La città fortificata di Palmanova nacque per volere della Repubblica di Venezia, al fine di rafforzare la difesa del territorio in un’area strategica. Nel piano di Venezia, infatti, era forte la necessità di proteggersi dagli attacchi degli Ottomani e, al contempo, arginare i tentativi espansionistici degli Asburgo. Il progetto della città fu responsabilità dell’Ufficio Fortificazioni di Venezia che riuniva esperti in architettura militare, guidati dall’ingegnere Giulio Savorgnan. Nel corso del tempo, la città finì più volte sotto il controllo degli austriaci, mentre nel XIX secolo fu la volta dei francesi, guidati da Napoleone. Annessa al Regno d’Italia nel 1866, Palmanova rimase al centro della storia anche durante le guerre mondiali, come punto di rifornimento e ospedale da campo. Sopravvissuto senza ingenti danni alle distruzioni, il borgo patrimonio dell’UNESCO è oggi un raro esempio di città fortezza perfettamente conservata.

Una mappa di Palmanova realizzata nel 1593 da Joris Hoefnagel, pittore, cartografo ed illustratore fiammingo © Special Collections Toronto Public Library from Toronto, Canada, CC BY-SA 2.0 , via Wikimedia Commons

La città fortezza a forma di stella

Palmanova affiora nel paesaggio naturale del Friuli-Venezia Giulia con la sua caratteristica forma di stella a nove punte. In virtù di tale pianta, il tessuto urbano si sviluppa su assi radiali, mentre l’intera città è fortificata da tre cerchie murarie di epoche diverse. Espressione della città rinascimentale ideale, il cuore di Palmanova è la Piazza d’Armi, disposta al centro della fortezza. Oltre ad essere un luogo ricco di arte, la piazza è il fulcro da cui si irradiano tutte le strade principali della città. La piazza costituisce, dunque, un punto d’arrivo e di partenza che connette l’esterno della fortezza con il suo interno, cui si accede attraverso porte monumentali.

Il Parco dei Bastioni

Ogni elemento della fortezza, dalle mura alle porte, fino ai monumenti interni, rispondeva ad esigenze di carattere militare. In tal senso, persino il numero e le dimensioni dei bastioni erano calibrati in funzione della gittata dei cannoni. Le prime due cerchie murarie furono realizzate dai veneziani tra il Cinquecento e il Seicento, in un crescente sforzo volto ad innalzare la sicurezza della città. Nelle seconde cerchie, infatti, i veneziani introdussero nove rivellini per far fronte ad un’artiglieria pesante sempre più aggressiva. Opera di Napoleone, la terza cerchia presentava, per la stessa ragione, anche nove lunette, ossia baluardi cinti da un fossato a secco. A ciò si aggiungeva un sistema di gallerie sotterranee che, se fatte esplodere, avrebbero rallentato ulteriormente i nemici.

Il Duomo di Palmanova, situato in Piazza Grande © Lucamenini, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons

Le porte di Palmanova

Alla stessa logica rispondevano le strutture delle porte d’ingresso, gli unici edifici visibili all’esterno. Progettate al fine di rendere la fortezza inespugnabile, le imponenti porte d’accesso erano fornite di ponte levatoio, cancellate e portoni muniti. Delle tre porte, l’ingresso più antico di Palmanova è Porta Aquileia, costruita nel 1598 e originariamente nota come Porta Marittima, perché orientata verso il mare. Rivestita in pietra d’Istria, l’elegante Porta Aquileia fu realizzata dalla Serenissima come ingresso di rappresentanza per gli ospiti e decorata con fregi ed elementi barocchi. Diverse, invece, le linee e la funzione di Porta Cividale, ingresso dal profilo severo, rivestito in bugnato rustico con pietra bianca e grigia. Completata nel 1605, Porta Udine è il terzo ingresso monumentale, caratterizzato da due colonne semicircolari, due guglie e, accanto, due garitte di guardia.

Piazza Grande, il cuore della fortezza

Celata al centro della fortezza, si trova Piazza Grande, in origine conosciuta come Piazza d’Armi, vero cuore di Palmanova. Di forma esagonale, la piazza è punteggiata da undici statue rappresentanti i Provveditori Generali, poste in corrispondenza dell’imbocco di ogni strada. La piazza abbraccia i più importanti palazzi storici della città, come il Palazzo del Provveditore Generale e la Loggia della Gran Guardia. Su Piazza Grande si affaccia anche il Duomo di Palmanova, sul cui frontone campeggia il leone di San Marco, simbolo della Serenissima. La facciata del Duomo, in pietra bianca d’Orsera e pietra grigia di Aurisina, si presenta elegante e maestosa, estensione degli interni altrettanto preziosi. Anche all’interno la città conserva la sua destinazione militare, riflessa nell’architettura dei suoi palazzi. In tal senso, il campanile del Duomo si presenta più basso del dovuto, accortezza utilizzata dagli architetti così da non renderlo visibile in lontananza.

 

Portoferraio: il 1 maggio in Fortezza
Da tenews.it del 26 aprile 2022

Una giornata di festa e condivisione tra gastronomia, animazione e musica...

La ProLoco di Portoferraio ripristina la storica abitudine della Festa del 1° Maggio alle Fortezze. L’appuntamento è a partire dalle ore 10,00 (ingresso via Guerrazzi).

Una giornata di festa e condivisione tra gastronomia, animazione e musica…
Alle ore 10,30 apertura stand gastronomici e bar del 1° maggio, sarà istituita anche un’area pic-nic
Visita guidata/animata per grandi e piccini a cura di Another Elba Tour forte Falcone e Fortezze Medicee (dalle ore 11 alle 12,30 e dalle 16 alle 17,30)

Dalle 14 alle 18 laboratori di giocoleria, equilibrismo e animazione, passeggiata sui trampoli
Dalle ore 17 “Caccia al…rifiuto” una raccolta differenziata dei rifiuti da parte dei bambini con giochi e premi alla consegna.
Durante la giornata anche tanta musica… dalle ore 13 DB days band – Live Music anni ’60 – ’70 – ’80 – ’90
Dalle 15 alle 16 Alessandro Balestrini – laboratorio di percussioni
Dalle 16,30 alle 18,30 Francesco Porro e la Compagnia Scapestrati – Live Music

 

Bari fortificata – la città dalle possenti mura
Da baritoday.it del 26 aprile 2022

Domenica 01 ore 10.30 appuntamento con l’itinerario “Bari Fortificata – La città dalle possenti mura”. E’ fortificata da mura nella parte che guarda verso la terra ferma e da un castello.[…](Da Giovanni Adorno, Itinerarium Terrae Sanctae).

Scopriremo insieme le grandiosi fortificazioni di Bari.
Costo: 10 euro (ingresso gratuito al Castello)
Castello Normanno Svevo
Mura Aragonesi
Baluardo di Sant’Antonio
Corte Catapano
Porta Nova
Punto di incontro: Piazza Federico II
Prenotazione obbligatoria via WhatsApp al 3403394708

 

Violarono il bunker segreto all’Acquasanta Prima udienza in tribunale per i due urbex
Da lanazione.it del 25 aprile 2022

Un’immagine del video girato nel 2020 dai due ’urbex’ nella gallerie dell’Acquasanta, diffuso su You Tube

Dovranno rispondere del reato di introduzione clandestina in luoghi militari e possesso di mezzi di spionaggio. Hanno 39 e 37 anni

La procura ha chiesto il rinvio a giudizio per i due ’urbex’ che un anno e mezzo fa hanno violato il divieto di accesso ai bunker segreti della guerra fredda all’Acquasanta. Il belga Frank Brodala, 39 anni, e l’olandese Bob Thissen di 37, dovranno comparire il prossimo 20 settembre in tribunale alla Spezia davanti al giudice dell’udienza preliminare Mario De Bellis. Entrambi saranno difesi da avvocati spezzini. Il belga ha scelto come legale di fiducia Davide Bonanni, l’olandese si è affidato a Tiziano Alessi. Il reato loro contestato dal procuratore capo Antonio Patrono è l’articolo 260 del codice penale: introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio. I due ’urbex’ rischiano una pena da un minimo di un anno, a un massimo di cinque.

I due sono stati identificati grazie alle indagini condotte dai carabinieri della compagnia dell’Arsenale militare spezzino diretti dal maggiore Gianmario Tocchini, attivati dalla denuncia del comando di Marina Nord, con i riscontri avuti attraverso l’Interpol. Lo screening del video diffuso su You Tube, benché il volto dei due ’urbex’ non sia mai comparso, ha permesso di cogliere le tracce che hanno portato alla loro identificazione. Nel video i due ’urbex’ parlavano un corretto inglese. Viene contestato loro il mancato rispetto del divieto di accesso nelle gallerie, realizzate prima della Seconda guerra mondiale per dare vita ad un Arsenale-bis in caso di attacco, ben segnalato nella cartellonistica posta sui portali dei tunnel. Oltretutto si sono esposti a rischi sul piano della loro incolumità, perché i percorsi all’interno delle gallerie sono pieni di insidie dovute all’usura del tempo e dalla presenza di amianto.
L’accesso ai bunker, attraverso un varco realizzato tra le inferriate, e l’esplorazione con le telecamere risale probabilmente all’estate 2020: i due ’urbex’ erano infatti in maniche corte. A dicembre dello stesso anno c’era stata la pubblicazione del video- documentario su You Tube, che ha ottenuto oltre 200mila visualizzazioni.

Massimo Benedetti

 

Puli-AMO Messina, ieri l'evento al Forte San Jachiddu: piantati tanti alberi per rispondere agli incendi
Da strettoweb.com del 25 aprile 2022

L’iniziativa green, a cui hanno partecipato molte associazioni, ha un forte impatto ambientale e si pone l’obiettivo di risanare una zona fortemente colpita dagli incendi che spesso, soprattutto nel periodo estivo

Di Rocco Fabio Musolino

Nella giornata di ieri, in uno scenario mozzafiato come quello dello Stretto tra Sicilia e Calabria, molti volontari hanno avuto la possibilità di assistere dal Forte San Jachiddu, insieme agli amici di Puli-AMO Messina, e partecipare alla giornata “Pianti-Amo un albero a San Jachiddu”. L’iniziativa green, a cui hanno partecipato molte associazioni, tra cui Nuova Paloro, ha un forte impatto ambientale e si pone l’obiettivo di risanare una zona fortemente colpita dagli incendi che spesso, soprattutto nel periodo estivo.

“I roghi danneggiano le nostre colline, per questo abbiamo piantato tanti alberi quanti sono stati i nuovi iscritti all’Associazione di Puli-Amo Messina, per un totale di circa 50 alberi tra alberi da sughero e roverelle. Ogni albero avrà il nome di ciascun socio iscritto e sarà nostro compito prendercene cura. Complimenti a tutti i volontari di Puli-AmoMessina, l’A.S.D. Nuova Peloro sarà al vostro fianco”, si legge nella nota.

 

Seconda guerra mondiale a Milano, le cicatrici 80 anni dopo: bunker e rifugi antiaerei
Da corriere.it del 25 aprile 2022

Di Giuseppe Tesorio

Le «ferite» della Seconda guerra mondiale sono ancora visibili: viaggio tra i «buchi neri» della storia. Da piazza Repubblica al quartiere Adriano, viale Bodio, la Rinascente e la Scala: il racconto per immagini

In giro per le strade a cercare i buchi neri della storia, ottant’anni dopo. Non ci sono solo gli ostinati ricordi di chi quella guerra l’ha vissuta, anche la pelle della città porta ancora le cicatrici di quel dolore, sono le ferite lasciate sui muri, le schegge del male ancora conficcate sulle facciate dei vecchi palazzi. Sono le frecce pittate sui muri, bianche contornate di nero o viceversa, o la grande R che indicava il rifugio, la salvezza, la speranza, una volta entrati, di risalire a rivedere il cielo o le fiamme dell’insensata guerra. Segnali che sopravvivono, per testimoniare.

Le bombe su Milano

Le bombe sopra Milano, come quella volta che gli aerei si alzarono all’ora di cena, una sera d’agosto del 1943. L’allarme suonò che mancavano otto minuti all’una. Le bombe caddero venti minuti più tardi. Una centrò la chiesa di Santa Maria alla Porta, nella via omonima, e distrusse la bella cappella dedicata alla Madonna dei Miracoli. Rimane il rudere di un arco addossato alla chiesa, il ricordo della magnifica cappella che era. Si affaccia sulla piccola insenatura di via delle Orsole e tace. Forse sente ancora i bombardieri inglesi della Raf alzarsi all’ora di cena, sorvolare la Francia e vomitare i loro ordigni su Milano intorno a mezzanotte. E via di corsa a cercare le frecce e quelle grandi R che indicavano l’ingresso del rifugio antiaereo, oppure l’uscita di soccorso US, per aiutare le squadre di soccorso a identificare il punto esatto, segnali ancora ben leggibili sui muri di molti palazzi. E li vedi scendere, i vecchi, le donne, i bambini, nelle cantine puntellate del bel palazzo del 1901, in piazzale di Porta Lodovica 2, o in quello di via Molino delle Armi rimasto un rudere affacciato sull’acciottolato di via Campo Lodigiano. O in via Alberto da Giussano, tra le vie Piolti De Bianchi e Archimede, in corso Indipendenza, in ogni quartiere. In viale Bodio 22, rimane la memoria del «Rifugio 87», sotto la scuola primaria Leopardi. Quando i caccia bombardieri attraversavano il cielo di Milano, nel seminterrato dell’edificio (220 metri quadrati) trovavano rifugio quasi 500 persone, con dieci stanze e due bagni alla turca, che era già molto.

Le ferite della guerra

Come ancora ben visibili sono oggi le tracce di quegli attacchi devastanti, che colpirono diversi quartieri. Sfondato il tetto della Scala, distrutta la Rinascente, colpito il Duomo (i segni lasciati dalle schegge sono ancora in alcune formelle di bronzo del portone). Nelle notti buie di quell’estate milanese, la guerra non risparmiò nulla a Milano, picchiò duro. A ben cercarli, sono rimasti i fori delle schegge sui pali della luce: segni, modesti, ma pur sempre ferite dolorose. In piazza della Repubblica c’è il palo segnato con i numeri 16 e 14, pieno di fori, almeno una dozzina, un altro è vicino all’uscita della metropolitana. Segni sulla facciata del palazzo in via Monte Santo 9; raffiche su alcune lapidi al cimitero Monumentale, su alcune colonne del porticato dell’università Statale. Sul pavimento del porticato del palazzo che fronteggia la Borsa, in piazza Affari, è conficcata una scheggia di una bomba incendiaria. E sparse in varie zone, troviamo anche resti di garitte anti-bomba. Al parco della Martesana, alla Cassina de’ Pomm, in via Melchiorre Gioia, per esempio, tra altalene e giochi, si trova un rifugio a garitta per una persona. Fino a pochi anni fa, i resti più conosciuti della guerra erano sicuramente i ruderi dei palazzi, fotogrammi della disperazione, affacciati ancora sulla Milano che stava per entrare nel terzo Millennio: in via Lupetta, strada che sfocia in via Torino, con quei vecchi palazzi sventrati rimasti en plein air per decenni, o ancora il rudere che campeggiava fino a ieri all’incrocio delle Cinque Vie.

La montagnetta di San Siro

Ma forse, la testimonianza più evidente di ciò che la guerra ha lasciato a Milano è la montagnetta di San Siro, il Monte Stella, fatto di pietre, mattoni e terra: è la città intera, con le sue case e la sua vita, ridotta in polvere. E poi rinata, con altra vita. Così, ottant’anni dopo, le frecce e le lettere verniciate sulle facciate per indicare i rifugi, le schegge delle bombe ancora conficcate, le garitte superstiti, le bombe inesplose conservate per grazia ricevuta, i buchi sui pali della luce, tutto questo è la storia della città. Sono tracce sbiadite o quasi cancellate dal tempo e dall’incuria, ma sono cicatrici sparse in tutti i rioni. Sono il passato più buio, che si chiama guerra. Allora, bisogna guardare con altri occhi quei segni che sopravvivono. Occorre cercarli per le strade, scacciando dalla mente una domanda che non vuoi neppure far entrare nella testa: e se accadesse ancora? Anche a noi, anche qui?

 

Con il Cai di Macugnaga alla scoperta della Linea Cadorna
Da ossolanews.it del 25 aprile 2022

Il 1 maggio una facile escursione alla scoperta delle fortificazioni sulle alture di Migiandone

Il Cai di Macugnaga organizza il 1 maggio una facile escursione alla scoperta delle fortificazioni della Linea Cadorna sulle alture di Migiandone.
Il ritrovo è alle 8:30 a Piedimulera, al parcheggio prima del ponte per Pieve Vergonte da dove si proseguirà per Migiandone, fino al parcheggio di fronte la Chiesa Parrocchiale.

La camminata, di circa 10 km per la durata di 4 ore, inizierà alle 9 verso Forte di Bare da qui si proseguirà verso il Santuario del Boden, che si raggiunge in circa 45 min. Dopo la visita la Santuario ritorno al Forte di Bare, poi si scenderà su una mulattiera, dove sono visibili alcune trincee con le gallerie di accesso, fino alla Punta di Migiandone. L'escursione si concluderà con il ritorno al parcheggio passando dal Santuario della Madonna di Oropa. Pranzo al sacco

L'iniziativa si svolgerà nel rispetto delle norme anti covid vigenti. Info: Antonio: 333 314 7373

 

Non dimentichiamo la torre dei cavallari
Da lagazzettadelmezzogiorno.it del 24 aprile 2022

Un magica testimonianza del passato sulla scogliera tra Maruggio e Torricella

Oggi le si conosce più come set ideale per i selfie , ma le quasi 150 torri costiere in Puglia sono soprattutto un reperto storico di eccezionale rilevanza. Realizzate perlopiù nel XVI secolo da Carlo V, sovrano che promosse la costruzione di un sistema difensivo per proteggere le coste del Mezzogiorno dagli attacchi dei turchi (ormai negli annali il famoso «mamma li Turchi!» strillato dai locali alla vista dei predoni saraceni), costellano le splendide marine della regione in forma e splendori diversi. Una delle poco celebrate - forse perché meno appariscente rispetto alle sorelle presenti su territorio tarantino, ma a suo modo bellissima - è quella ubicata sul cosiddetto «monte dell’Ovo», una scogliera 15 metri a picco sul mare tra Maruggio e Torricella.

La Torre dell'Ovo (o più semplicemente Torre Ovo), è una torre tipica di questa area, di forma tronco-piramidale e a base quadrata. Addossate alla sua struttura originaria vi erano altri tre complessi architettonici minori di successiva costruzione. Il suo mare custodisce i resti di una delle più antiche attività pescherecce del Mediterraneo: la pesca di tonni, che rivela le proprie ataviche tracce grazie al rinvenimento di ancore destinate a zavorra per le barche che gettavano le reti.

Facile restare affascinati dalla magia del luogo, che, seppur diruto - negli sciagurati anni Settanta qualcuno pensò bene di adibirlo a pizzeria mentre recenti scavi di consolidamento hanno impunemente abbattuto la «casamatta» annessa - mette in connessione il visitatore occasionale con un passato di orgoglio e di grandezza perfettamente incastonato nella Storia ricca di mitologia di queste lande. Se la scelta del sito per la costruzione della torre risponde a precise necessità di natura strategica poiché, occupando il punto più alto del promontorio, consentiva una visione ampia e completa per l’avvistamento di eventuali imbarcazioni corsare in avvicinamento, meno certezze vi sono invece circa la data della sua edificazione. Recenti studi hanno rilevato che nel marzo del 1566 si tenne in Taranto un’asta pubblica da parte di tale Alonso Salazar, finalizzata alla costruzione di detta torre che divenne presto «posto di avvistamento per cavallari (presumibilmente i cavalieri di Malta)» ai quali era affidato il compito di scrutare gli orizzonti ed avvisare gli autoctoni in caso d’invasione.

Nel secolo XIX la torre diventerà sede delle Guardie Doganali, quindi, durante la prima guerra mondiale, verrà utilizzata come postazione logistico-militare. In seguito fu destinata, fino agli anni ’50 del secolo scorso, come sede della Marina Militare.

 

Como, le torri mostrano l’età avanzata
Da ilgiorno.it del 23 aprile 2022

Urgono interventi di restauro sugli storici baluardi della città. E ora saranno inibiti ai visitatori

Como - Le torri stanno bene nel gioco degli scacchi, ma non a Como dove i tre masti superstiti che segnano il limite della città murata sono messi uno peggio dell’altro. Colpa degli anni, troppi, che gli imponenti torrioni si portano sulle spalle e della mancanza di adeguati interventi di restauro, lo scotto da pagare in una città turistica dove di cose da vedere ce ne sono fin troppe e i fondi a disposizione non bastano mai. Così le tre torri superstiti che sono il baluardo delle storiche mura che circondano su tre lati il centro storico cittadino, il 70% del perimetro risalente al Medioevo che è più ampio rispetto a quello originario risalente a Giulio Cesare, non se la passano per niente bene e anzi cadono letteralmente a pezzi come capitò lo scorso anno a Torra San Vitale, quando il distacco di un masso colpì un furgone nel giorno di mercato, e recentemente Porta Torre, dove un’altra pietra ha rischiato di colpire un passeggino.

Nonostante i controlli compiuti nei mesi scorsi da un gruppo di tecnici incaricati dal Comune, l’amministrazione in accordo con la Soprintendenza ha deciso di effettuare una nuova campagna di monitoraggi e per questo si è deciso di transennare le torri. «È stata condivisa l’opportunità di completare le ispezioni e i controlli già avviati su Porta Torre estendendo le verifiche anche alla Torre Gattoni e di procedere successivamente ad approfondire l’analisi e le indagini sullo stato di conservazione dei manufatti medioevali con il contributo di professionalità con esperienza sul campo – spiega Palazzo Cernezzi -. Nel frattempo si ritiene di condividere l’ipotesi di definire una fascia di rispetto intorno alle torri di circa 1,5 metri che verrà realizzata a breve con semplici transenne e di cui verrà poi studiata una soluzione progettuale definitiva, nell’ambito di un intervento di più ampio respiro che coniughi elementi di tutela delle torri medievali con la tutela dell’incolumità pubblica". Un biglietto da visita che lascia a desiderare in una città votata al turismo. Ad andarci di mezzo è anche Torre Gattoni che, tra i suoi "inquilini", vanta anche Alessandro Volta, l’inventore della pila che proprio qui nel 1775 compì i suoi primi esperimenti sull’elettricità nel laboratorio che aveva ricavato nell’edificio.

 

Protetto da torri e mura questo maestoso borgo che sorge su una collina vicino Roma è tra i più belli d'Italia
Da proiezionidiborsa.it del 20 aprile 2022

Il nostro Paese è considerato un po’ da tutti tra i più belli al Mondo. Una conseguenza della ricchezza artistica e storica che lo caratterizza così come della varietà di paesaggi. L’Italia, infatti, cela in lungo e largo tanti luoghi stupendi da visitare e scoprire. Accanto alle grandi città possiamo trovare piccoli borghi davvero caratteristici e suggestivi, carichi di bellezza e meraviglia. È il caso di un borgo incastonato tra le colline al Sud o di un paese medievale tra mare e montagna situato al Nord. Ne aggiungiamo però ancora un altro, tra le possibili mete di viaggio e di weekend fuori. Questa volta si tratta di un borgo situato al centro del nostro Stivale.

Uno scenario da sogno

A poco più di un’oretta da Roma, si erge una collina nella vallata dei fiumi Liri e Sacco. Proprio qui, nel cuore della Ciociaria, in provincia di Frosinone, si trova Boville Ernica. Un borgo annoverato tra i più belli d’Italia dall’omonimo circuito. Un vero incanto, a partire dal fatto che è ancora protetto da torri e mura.
Infatti, conserva la cinta muraria medioevale nonché ben 18 torri di forma circolare e quadrata. Le fortificazioni hanno ben 3 porte: quella di San Francesco, di San Nicola e di Santa Maria. Una caratteristica, dunque, che subito ci trasporta in un tempo lontano e ci induce a sognare. Anche l’interno del borgo però saprà conquistarci. Non rimane, quindi, che addentrarci nel borgo e scoprirne le bellezze.

Tanti vicoli attraversano il centro storico di Boville Ernica nel quale spiccano piazzette e importanti opere architettoniche. Tra i diversi edifici religiosi, la chiesa più importante è quella di San Michele del ‘700.
Degno di menzione anche Palazzo Filonardi, che ha sostituito l’antico castello e ingloba l’abbazia di San Pietro Ispano. Un’antica costruzione ricostruita nel ‘500 dal vescovo Simoncelli e dotata di una cripta. Quest’ultima sarebbe stata la grotta in cui sarebbe vissuto il Santo a cui è intitolata la chiesa, Santo Spagnolo, che combatté contro i musulmani. Sempre appartenente al medesimo complesso, la Cappella di Simoncelli, che conserva un’opera davvero prestigiosa. Si tratta di un angelo realizzato nientemeno che da Giotto, unica opera dell’artista realizzata tramite mosaico.
Vi sono custodite e da vedere, anche una croce trecentesca reliquia di San Pietro Ispano, il busto della Madonna di Sansovino probabile opera del Cellini nonché un sarcofago paleocristiano. Da evidenziare, nel Piazzale Granatieri di Sardegna, ingresso del paese, la presenza di una pietra recante le direzioni dei diversi paesi che si possono ammirare. Infatti, da Boville Ernica si può godere di un panorama mozzafiato e una grande vista sull’intero circondario.

 

Torino, i bunker della città verranno trasformati in laboratori dell’Università
Da mole24.it del 19 aprile 2022

L’Università degli studi di Torino trasformerà i bunker antiaerei della città in laboratori di ricerca del dipartimento di fisica.
La Città di Torino ha diversi bunker antiaerei, retaggio del secondo conflitto mondiale, quando il capoluogo piemontese era spessovittima di bombardamenti. Nel 2019, inoltre, è stato ritrovato un  nascondiglio non segnato sulle mappe arrivate ai giorni nostri.
UniTo da poco può vantare l’ingresso nelle 100 migliori università al mondo. Un riconoscimento arrivato dopo anni di impegno e investi al fine di migliorare la ricerca e l’esperienza degli studenti.

L’Università di Torino convertirà i bunker antiaereo in laboratori di fisica: i dettagli

La Città di Torino ha sottoscritto con l’ateneo della città un accordo per lo sfruttamento gratuito degli spazi anti bomba sotto la zona collinare dei Cappuccini. I locali erano stati utilizzati dal centro di ricerca del CNR e dall’istituto Nazionale di Astrofisica e Fisica di particelle, ma dismesso da diversi anni.
Il bunker conta una galleria lunga un chilometro, sviluppando una superficie di quasi 3 mila metri quadri.

La trattativa tra l’ateneo e l’INAF è durata circa due anni, con la fumata bianca arrivata in questi giorni. La durata dell’accordo garantirà l’operatività del quadro delle attività dell’ateneo, coinvolgendo anche i progetti di ricerca internazionale.

 

Il Forte dello Chaberton diventa virtuale
Da lagendanews.com del 19 aprile 2022

BARDONECCHIA – Da oggi grazie all’inedita iniziativa di Riccardo Tabasso, vice presidente dell’Associazione Monte Chaberton 515ª Btr Gaf attiva in valle nell’attività di divulgazione storica della batteria più alta d’Europa, il forte, e di storia delle fortificazioni, sarà possibile entrare all’interno dei locali del mitico forte delle “nuvole” comodamente stando seduti da casa propria. Il tour accessibile al seguente link, consentirà, grazie ad una serie di fotogrammi arricchiti da planimetrie e didascalie storiche, di entrare e muoversi all’interno di ogni singolo locale della batteria: dalle galleria di gola alla teleferica, gravemente danneggiata dal bombardamento del 21 giugno 1940, passando per i locali sotterranei, sino alle torrette esterne ospitanti le installazioni Armstrong Montagna da 149/35.

LO CHABERTON IN WEB

L’idea nata a partire dall’inizio di quest’anno si prefigge l’obiettivo di allargare sempre più la diffusione della storia di questa perla dell’ingegneria militare alpina dando la possibilità a chiunque, anche a chi che per motivi fisici ed anagrafici non può o non può più sostenere l’impegnativa ascensione ai 3131 mt. della vetta del Forte dello Chaberton, di visitare gli interni spostandosi con il mouse da uno spazio ad un altro per apprezzarne caratteristiche e destinazioni d’uso.

UN TOUR VIRTUALE

Inoltre il tour vuole essere uno strumento di stimolo per tutti gli appassionati a salire direttamente al forte, magari per la prima volta, per confermare “dal vivo” di quanto già osservato virtualmente. La visita, accessibile sia da PC che da dispositivi mobili (smartphone, tablet), è stata realizzata anche grazie al supporto tecnico dell’agenzia “Maison d’Oc” Servizi Immobiliari di Bardonecchia proprietaria del software, normalmente impiegato per rendere disponibili, on line, gli interni di immobili ed appartamenti proposti ai propri clienti.

 

 

Bunker Breda
Da ilfoglio.it del 16 aprile 2022

DI MAURIZIO BARUFFALDI Andrea Cherchi

Lievita la richiesta immobiliare dei bunker, soprattutto nel centro nord: per farsene uno, da 5/6 posti, dotato di confort, servono dai 50 ai 90mila euro. Negli anni Trenta del Novecento invece, costruire insieme alla casa un ricovero antiaereo diventò obbligatorio per decreto. In genere era una cantina adibita a rifugio, con travi di legno a sorreggere. Da paese bombardato abbiamo una ricca mappa di ricoveri antiaerei. Alle porte di Milano, immersi nel maestoso Parco Nord, si possono visitare i Bunker Breda, rifugio degli operai della V sezione Aeronautica: costruttori di aerei che dovevano proteggersi da incursioni aeree. Mi prenoto con Alessandra Micoli e Michela Bresciani, dell’Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord.

Pausa pranzo, 15 gradi, un gruppetto di stagionati runners in microfibra costeggia il profilo fiorito di narcisi e giacinti, noi deviamo sul sentiero che taglia un pratone tempestato di margherite e arriviamo alla breve scalinata dell’ingresso, tappezzata di edera selvatica. Si spegne la luce nel cemento armato. “Ci teniamo a far sentire l’impatto del rifugio, il peso emotivo di questa discesa” esordisce Michela. “Prima di questa guerra, avevamo anche un allestimento sonoro, un collage di allarmi ed esplosioni, suoni originali presi da filmati dell’Istituto Luce. Poi abbiamo scelto di evitarli. La sovrapposizione col presente li rendeva eccessivi, inutili. Si rischiava l’effetto spettacolo.” Il mood televisivo incombe, deplora e festeggia. Infilo il giubbotto. Sono locali freddi, anche se poco profondi. “Non potevano nulla contro un colpo pieno: proteggevano però da schegge, detriti e spostamento d’aria”.

Nella prima cella, appeso come un lampadario, il profilo rigido di una bomba dell’epoca. “Ricamata a grandezza naturale da una delle donne che ha perso una persona cara nel bombardamento della fabbrica di Dalmine”, mi spiega Alessandra. Ordigni che pesavano cento chili, e quando stava per finire il carburante gli aviatori li scaricavano dove capitava. “La scuola Gorla, è stata colpita da una di queste bombe” aggiunge Michela. Per salvarsi la vita, ucciderne a caso. “Per questo, dopo le prime incursioni gli inglesi smisero per due anni, un tempo di silenzio utile a perfezionare gli aerei.”

Come si dimostra la bomba sganciata per liberarsene? “Le incursioni inglesi erano calendarizzate, con tanto di nome e obiettivi. C’è un’importante studio dell’International Bomber Command, Centro di documentazione dell’Università di Lincoln Uk, che incrocia le testimonianze di chi era bombardato, noi, con quelle di chi bombardava. Si trovano dei veri e propri storyboard, stupendi, con testo e disegni fatti dagli aviatori inglesi. Ci sono poi le loro lettere, alcuni terribili, per convinzione e obbedienza soldata, altre spaesate, smarrite, soprattutto quelle dei più giovani. E gli amuleti, anche, che portavano in volo.”

Nella seconda cella, lunga e stretta, panche di legno ai lati, copertura a volta a botte, che garantisce solo muri portanti, separata e sigillata con porte di cemento dal peso insostenibile, adesso divelte, e che così resteranno. “Ci stavano 50 persone per braccio, e l’autonomia d’aria in ogni cella era di poco più di due ore. Il tempo dell’incursione.”

Mi siedo un attimo. Chiudo gli occhi. Immagino. Anche i rumori. Respiro piano. Quindi torno alle mie due guide. Che ribadiscono come questo bunker sia costruito a tracciamento spezzato, ogni braccio chiuso e filiforme, per dipanare il bersaglio, renderlo sfuggente, per quanto possibile, ma che furono comunque fatti in fretta e furia nel ‘42. E non ci sono bocchette di aerazione”. Sposto la tenda che dà su una piccola stanza con due latrine primitive e quadrate. “Così come queste, sono senza scarico”. Bisognava tenerla. Insieme alla paura.

Nel nuovo corridoio sono incollate grandi foto in bianco e nero. Immagini del dopo. Sottofondo di macerie. Sembrano quadri a carboncino. "Sono stampate su film adesivo, applicate a caldo, con un grande phon. L’unico materiale che ha resistito. Il forex faceva muffa. Per non parlare dell’elettrico. I proiettori, ne abbiamo fatti fuori uno al mese", dice Alessandra. "Le ha fatte Gianfranco Ucelli, figlio di Guido, fondatore del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Lavorava nella Riva Calzoni, fabbrica di turbine idrauliche ed elettriche, e quando veniva chiamato in soccorso con le pompe faceva le foto. Perché non si poteva, era un reato mostrare la città distrutta. Reato di disfattismo". Niente di nuovo. E proseguiamo, in questo underground grigio compatto e ripetitivo. Illuminato appena, reso vivo da tavole e fotografie.

Una mappa della città di Milano pare il bersaglio delle freccette. La prima è del ’40, Stazione Centrale, due aerei, un morto. Poi si passa al ’42. Sporadiche, ma tutte verso il centro. “Gli inglesi li definivano loro stessi ‘attacchi terroristici’. Perché avevano come obiettivo i civili. Per smontare l’ancora grande consenso verso il regime”. Nel ‘44 i colpi delle freccette si allargano, al perimetro. “Dove c’erano le fabbriche e le vie di comunicazione. Dove la guerra veniva prodotta”. I nazisti presidiavano le nostre fabbriche, con fucile puntato sugli operai.

Davanti alle basiche segnaletiche di soccorso e orientamento, Michela mi ricorda il bombardamento del 30 aprile 1944 che distrusse completamente la fabbrica. Fortuna che fosse domenica. E gli operai avevano appena conquistato il diritto a un giorno, quello, di riposo settimanale.

Fine del percorso. Altra scala. Dal buio all’abbaglio. Nascosto dai rami di un  piccola boscaglia si intravede un vecchio cartello di zona militare. Dietro c’è l’ancora attivo Campo Volo di Bresso. Michela e Alessandra mi raccontano delle richieste, per usi anche strambi del bunker, e con un ritrovato sorriso ci salutiamo. Mi incammino nel parco, sotto una volta di chiome d’albero.

A casa, sento il bisogno di scendere in cantina. La annuso, ne guardo il soffitto, misuro lo spazio per una eventuale branda matrimoniale. Accarezzo il sellino della bicicletta, saluto le munizioni di vino imbottigliato, e vado in pace.

 

Genova, viaggio nel bunker di Villetta Di Negro tra macchinari per decifrare i messaggi in codice e cyclette per filtrare l’aria
Da ilsecoloxix.it del 16 aprile 2022

Di Licia Casali

Genova – Il tempo pare essersi fermato, nel sottosuolo di Villetta Di Negro: l’oasi verde nel cuore di Genova custodisce gelosamente un segreto difficile da immaginare per chi passeggia lungo i suoi tranquilli viali....

 

CASTELLI DI CAPITANATA – LA FORTEZZA DI MONTE SANT’ANGELO, DAL IX SECOLO A GUARDIA DEL GARGANO
Da lagazzettadisansevero.it del 15 aprile 2022

Nel nostro viaggio tra i Castelli di Capitanata, che comprendono 20 tra fortezze e torri sopravvissute al tempo, giungiamo alle vette del Gargano.

Terra di storia e spiritualità, Monte Sant’Angelo, già Patrimonio Unesco per il Santuario di San Michele Arcangelo, meta di pellegrinaggio sin dal VI secolo, non smette di stupire per le sue meraviglie che comprendono, insieme all’abazia e agli eremi di Pulsano e al caratteristico quartiere Rione Junno, l’antico e fiabesco castello nato nella prima metà del IX secolo.
Sito all’interno del Parco Nazionale del Gargano, il castrum bizantino, base per il futuro “Castellum de Monte Gargano” nasce per volontà del vescovo Orso, vescovo di Benevento e di Siponto. Posta a guardia del paese e del promontorio, la struttura subisce nel tempo modificazioni. Prima la costruzione in epoca normanna della “Torre dei Giganti”: alta 18 metri, maestosa e pentagonale, gode di spesse mura.
Ma il passare dei secoli vede un potenziamento, con lo sviluppo di due torri, del bastione orientale e di un sistema di cortine in muratura. Posta a difesa, insieme al fossato munito di un ponte, la muraglia originale, di cui non restano che ruderi.
Per la definizione della struttura, notevole l’influenza degli aragonesi. Da considerare inoltre il contributo angioino.
Ad oggi la fortezza comprende il posto di guardia, scuderie e deposito munizioni, un’ampia corte interna, il vestibolo d’accesso e il sovrastante Torrione a carena. Ai piani superiori troviamo la sala del Tesoro: federiciana, con ampio spazio illuminato, il soffitto a volte e un massiccio pilastro centrale. Seguono gli appartamenti del castellano e dei cortigiani.

La fortezza ospitava il “capitaneus” (magistrato) i funzionari e la guarnigione armata. Non mancavano scuderie, magazzini e cisterne. Presenti un mulino, insieme ad un forno e alla falegnameria. Si distinguevano la cappella e gli uffici amministrativi, contraltare agli orridi locali destinati al carcere e posti nei sotterranei della Torre dei Giganti.

La fortezza diverrà uno dei tre principali punti di difesa del Gargano e sarà dimora di principi della signoria dell’Honor Sancti Angeli e bene della corona dell’Imperatore Federico II, che vi soggiornerà insieme alla sua sposa prediletta. Il castello vedrà la nascita di Carlo III di Durazzo, poi re di Napoli e d’Ungheria.
Sarà invece galera per la principessa sveva Filippa d’Antiochia, che qui morirà nel 1273, e per la regina Giovanna I di Napoli (di cui presumibilmente si conservano le spoglie nella chiesa di San Francesco, della stessa cittadina garganica). Nei secoli diverrà feudo di diverse famiglie, fino alla cessione nel 1802 al Municipio di Monte Sant’Angelo.

Oggetto di diversi interventi di restauro nell’ultimo secolo, il castello vede alcune zone interne visitabili.   Di Nazario Tartaglione

 

I bunker come via d’entrata e di uscita
Da socialnews.it del 15 aprile 2022

Di Lucia Valentini

Non c’è situazione psicologica peggiore che avere paura che qualcosa potrà accadere, timore che qualcuno affliggerà la propria sfera personale, terrore che si venga colpiti da eventi catastrofici.
 
La guerra russa-ucraina – ma anche la pandemia da Covid-19 – ha messo nuovamente in discussione la libertà e la sicurezza individuale, accrescendo l’esigenza di creare rifugi adatti ad una possibile escalation. Per questo, anche in Italia l’acquisto di bunker è aumentato vertiginosamente. Scriveva lastampa.it in data 19 marzo: “Boom di richieste per i bunker in Italia, 500 ordini in pochi giorni”. Questi soprattutto da chi prevede un allargamento e un’escalation della guerra. E con 85.000 euro in un mese di lavori si costruisce un bunker di 30 metri quadrati. Un esempio è il bunker NBC, che offre protezione nucleare (dalle esplosioni e dalle radiazioni – N), batteriologica (dalle contaminazioni biologiche – B) e chimica (dalle armi chimiche – C).

I bunker vennero usati a partire dalla prima guerra mondiale, soprattutto durante la seconda, per difendere i soldati che combattevano in trincea. Li difendevano da proiettili, missili ed attacchi di ogni genere. Nel 1945 il Fuhrerbunker ospitò Adolf Hitler per circa 4 mesi, prima che lo stesso vi si suicidò: ad 8 metri sotto terra, possedeva tutto il necessario per sopravvivere ed ospitava svariate persone. Gli attacchi dell’ultimo mese sul suolo ucraino stanno prendendo una piega disumana. In situazioni di emergenza, questi rifugi sottoterra nascosti e segreti mettono al sicuro; sono una sorta di safe room con funzione protettiva-difensiva.

Un caso calzante è la Svizzera. Nel 1963, durante la Guerra Fredda, introdusse la Legge federale sulla protezione della popolazione e sulla protezione civile (LPPC). Agli articoli 45 e 46 notifica: “Ogni abitante deve disporre di un posto protetto raggiungibile in tempo utile dalla sua abitazione. I proprietari d’immobili sono tenuti a realizzare ed equipaggiare rifugi in tutti i nuovi edifici abitativi”. Ad oggi la Svizzera possiede oltre 360.000 bunker antiatomici e 5000 rifugi, sufficienti ad ospitare tutta la popolazione (più di 8 milioni e mezzo di abitanti) in caso di necessità. Seppur sin da sempre ha mantenuto la sua neutralità, la Svizzera ha messo le mani avanti e si è preparata nel caso la situazione degeneri ancora di più. Ha anche rotto la sua tradizionale posizione neutralista schierandosi con le nazioni occidentali ed acconsentendo a punire la Russia con sanzioni aspre.

La violenza psicologica che fa leva sulle paure è anche l’obiettivo principe che i terroristi fondamentalisti religiosi vogliono raggiungere con i loro attacchi. Ora, paragonare i jihadisti islamici alle milizie russe della guerra ora in atto forse è un po’ estremo, ma in fin dei conti non poi così tanto. Infatti, lo stesso Zelensky ha dichiarato “Putin come l’ISIS. Le azioni degli invasori russi saranno equiparate a quelle de terroristi dello Stato Islamico”. Pensiero ribadito dal Ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, che ha affermato che la Russia è peggio dell’ISIS. Difatti, l’esercito russo sta compiendo atrocità sul suolo ucraino (Bucha è solo un esempio; Irpin e Hostomel non sono da meno). I militanti russi non possono che essere considerati criminali assassini che compiono crimini di guerra contro l’umanità. Secondo alcuni dovrebbero essere sentenziati come è stato fatto con i nazisti coinvolti nella Shoah durante il processo di Norimberga.

Le persone in Europa sono preoccupate ed impaurite, perché ora la guerra è alle porte dell’Unione Europea. Che sia una guerra di religione – come quella compiuta dallo Stato Islamico – o una guerra aggressiva militare d’occupazione – come quella che sta succedendo sul suolo ucraino -, sta di fatto che comunque quando si verifica un attacco che coinvolge diverse persone, entità e spazi, nell’animo umano scoppia la paura. Che non deve diventare insidiosa per non sviluppare ulteriori disturbi psicologici patologici. Investire nell’acquisto di fortificazioni sotterranee è una via d’uscita (o una trappola) per periodi di tempo brevi e per sentirsi più al riparo, ma non potrà essere una soluzione che può giovare nel lungo termine. Perché interrano la nostra libertà. Crearsi spazi per mettersi al riparo è, al giorno d’oggi, una preparazione preventiva intelligente, ma instaurare una comunicazione tra le parti è fondamentale per evitare o risolvere qualsiasi tipo di conflitto.

 

Larciano, il castello ritorna a nuova vita
Da lanazione.it del 15 aprile 2022

Riapre il complesso medievale, dopo i lunghi lavori portati a termine dal Comune

Larciano, 15 aprile 2022 - Sabato riaprirà il complesso medievale del castello di Larciano. "Dopo un anno – dice la sindaca Lisa Amidei – si sono finalmente conclusi i lavori magistralmente eseguiti dall’architetto Simone Martini e dai tecnici del Comune, che hanno interessato il giardino prospiciente il castello, le mura e il museo civico archeologico. Fondamentali sono state le risorse della Regione, del ministero oltre che del Comune. Il cassero sarà accessibile anche alle persone con disabilità grazie a un montascale e a un percorso pedonale che bypasserà le scale di accesso".

"Uno dei requisiti per ottenere il finanziamento – continua Amidei – era l’abbattimento delle barriere architettoniche e sappiamo bene che le nostre fortificazioni più antiche sono tutte ricche di scale. Non tutti i visitatori potranno salire sulla torre o scendere nel museo, ma già sedersi nel giardino all’ombra della torre castellana o ammirare il cassero non sarà più impossibile. È stata anche restaurata una porzione delle mura, quella adiacente alla strada pubblica che negli ultimi anni a causa della caduta dei sassi e delle segnalazioni dei residenti ci aveva dato più problemi. L’amministrazione non si fermerà certo qui ma continuerà a reperire fondi per continuare questo importante progetto che comprende tutto il borgo di Larciano Castello. Ringrazio la Soprintendenza per averci accompagnato in questo percorso e il professore Roggero Manfredini per aver riordinato tutti i reperti archeologici racchiusi nel museo e, non per ultima, l’associazione Auser di Larciano per aver curato la rimessa in ordine del museo e d’ora in avanti anche per la gestione del complesso per i visitatori".

 

Seconda Guerra Mondiale. La posizione delle piste di volo (ALG) di Termini Imerese
Da cefalunews.org del 13 aprile 2022

Di Giuseppe Longo

L’Advanced Landing Ground East di Termini Imerese, ovvero l’oramai inesistente campo di volo temporaneo, fu rimaneggiato dal “XII Engineer Command” (il Genio statunitense), sul finire del luglio 1943. La “striscia d’atterraggio d’emergenza” era situata a circa 4 chilometri dalla cittadina imerese, in località “Canne Masche”, verosimilmente nella piana compresa tra la foce del Torto e l’ex Chimica del Mediterraneo (Chimed). A questo aeroporto avanzato della Seconda Guerra Mondiale, l’Army Corps of Engineers apportò fondamentali modifiche. In realtà data la natura poco permeabile del terreno, inagibile durante le abbondanti piogge, si rese necessario utilizzare le “Pierced Steel Planking” P.S.P. (le arcinote “grelle”) che disposte sulla pista di volo evitarono lo sprofondamento e l’impantanamento degli aerei durante il loro decollo o l’atterraggio.

Non molto distante, un altro “airfield”, l’ALG West, fu approntato sempre dagli americani nei pressi dell’ex Afem di Campofelice di Roccella. I due aeroporti avanzati assicurarono un efficace “ombrello aereo” per le già programmate operazioni di sbarco sulle coste della penisola. Gli scali East e West furono quindi una vera e propria testa di ponte nei territori calabresi e campani. Abbiamo chiesto al Dott. Geol. Donaldo Di Cristofalo (1) del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari”, di parlarci degli airfield East e West dislocati nella piana di Buonfornello. «Il concetto di superiorità aerea e appoggio aero-tattico era già consolidato nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Gli Alleati, forti delle loro capacità logistiche, non mancarono di prodigarsi affinché le truppe avanzanti di terra fossero adeguatamente supportate dall’arma aerea.
In tal senso non deve stupire che gli statunitensi, in attuazione dell’Operazione Husky di conquista della Sicilia, realizzassero una serie di aeroporti avanzati, più o meno attrezzati, sia sfruttando quelli via via occupati, che costruendone di nuovi.
Nel caso di Termini Imerese, grazie alla sua posizione nell’importante crocevia tra la strada nazionale litoranea e quella proveniente dall’entroterra, nonché all’andamento della campagna, con l’arretramento delle forze dell’Asse in direzione di Messina, fu giocoforza sfruttare le caratteristiche morfologiche della Piana di Buonfornello per realizzare un aeroporto avanzato su cui dislocare la componente aero-tattica americana.
Tra la fine di luglio e la fine di settembre 1943, quindi per circa 2 mesi, su tale struttura, costituita da due distinte piste per come in allegato, si alternarono non meno di cinque unità delle forze aeree USA, ognuna con decine di velivoli per la caccia, il bombardamento tattico e la fotoricognizione, con tutto il corollario di uomini e mezzi per la manutenzione e il rifornimento degli aerei e per la difesa antiaerea.
Non mancò poi la realizzazione di un ospedale da campo, che si giovava delle piste per il trasferimento via aerea dei feriti più gravi verso gli attrezzati ospedali del Nord Africa.
Seguendo le vicende belliche di teatro, l’aeroporto di Termini Imerese venne infine smantellato, sostituito da altri più vicini al fronte (tale vicinanza era necessaria per consentire un intervento più rapido degli aerei ed una maggiore persistenza degli stessi sui cieli delle zone di combattimento).
Ogni traccia di tale aeroporto, che in quell’estate del 43 fu di grande importanza per il completamento della campagna di Sicila, è scomparsa, i terreni ripresero la loro funzione agricola prima, e quella dello sviluppo (più o meno selvaggio) urbanistico- dilizio poi».

Note:
(1) Geologo, già funzionario presso il Comune di Termini Imerese (PA), appassionato di storia militare e membro del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari”.

Bibliogafia e sitografia
Giuseppe Longo, “Pagine sul secondo conflitto mondiale in Sicilia e nel Distretto di Termini Imerese”, I.S.P.E. Palermo 2021.
Giuseppe Longo 2022, “Fu l’aereo che accolse Giuseppe Castellano il 31 luglio o il 2 settembre del ’43 ad essere immortalato in foto nel campo di volo di Termini Imerese?”, Cefalunews, 12 febbraio.
Giuseppe Longo 2022, “Settembre 1943. Il rientro di sette militari siciliani dopo l’armistizio a bordo di uno Sparviero”, Cefalunews, 14 febbraio.
Giuseppe Longo 2022 Il complesso aeroportuale East & West di “Canne Masche” a Termini Imerese e la nascita del campo di volo “Albatros”, Cefalunews, 22 febbraio.

Foto di copertina: L’immagine è stata generata su Google Earth

Giuseppe Longo giuseppelongoredazione@gmail.com @longoredazione

 

In Svizzera la guerra di Putin riaccende l'interesse per i bunker
Da italiaoggi.it del 14 aprile 2022

DI MAICOL MERCURIALI

Ogni svizzero ha il suo posto al sicuro, un bunker in caso di pericolo nucleare. E dopo l'invasione della Russia in Ucraina, e le minacce globali di Vladimir Putin, in terra elvetica i rifugi antiatomici tornano alla ribalta. Qui, come ha ricostruito l'Agenzia France Presse, c'è una tradizione che risale ai tempi della Guerra fredda, quando i rifugi sono stati resi obbligatori e in un qualche modo fanno parte dell'identità svizzera. I bunker finora sono sfruttati come ripostigli e cantine in tempo di pace. Ma ora le persone iniziano a chiedere informazioni e le istituzioni hanno pubblicato mappe e conteggi dei rifugi, e accelerato le ispezioni per verificare che siano a norma. In Svizzera vale il principio di «un luogo protetto per ogni abitante». Così ci sono quasi 9 milioni di posti disponibili in 365 mila rifugi tra privati e pubblici, per un tasso di copertura superiore al 100%. Ogni costruzione che lo permette deve avere uno spazio sicuro sotterraneo, dotato di imponenti pareti e porte in cemento armato spesse 25 centimetri. Non tutti gli edifici, però, hanno le caratteristiche per realizzare i rifugi, così ci sono anche quelli pubblici. Questi servono anche a coloro che rinunciano a costruire il proprio bunker e che sono costretti a pagare una tassa (mediamente 780 euro, ma varia da cantone a cantone) per assicurarsene uno in uno spazio pubblico.

I rifugi, ha spiegato all'Afp, Nicola Squillaci, capo del servizio di protezione civile e affari militari di Ginevra, sono pensati per difendere la popolazione «in caso di bombardamento e attacco nucleare, per ripararsi dall'onda d'urto e dall'aria contaminata». L'Afp ha visitato assieme a Squillaci un rifugio per circa 150 persone in un edificio nuovo di zecca. Attualmente è adibito a cantina, ma tutto è predisposto per trasformarsi in un bunker: ci sono i servizi igienici a secco, letti pronti per essere montati e un sistema di ventilazione per filtrare l'aria. «È una sorta di capsula, con uscite di emergenza e l'uscita principale che funge da camera di compensazione», ha spiegato, «se l'edificio dovesse crollare, il rifugio resterebbe intatto».

Quotidianamente questi spazi vengono utilizzati come magazzini, locali per associazioni, alloggi per l'esercito, per richiedenti asilo o per ospitare gli sfollati, ma devono poter essere svuotati in meno di cinque giorni. La Confederazione, ha ricordato l'Afp, non ha mai dovuto ordinare un'incursione nei rifugi, nemmeno durante il disastro nucleare di Chernobyl. Con il conflitto in Ucraina i bunker tornano ad essere popolari, anche se lo scenario più plausibile di un loro impiego resta quello di un incidente in una centrale nucleare svizzera.

 

Costruita a fine ’800, fu parte del complesso difensivo dell’Arsenale Le truppe tedesche la minarono nella ritirata danneggiandone una parte
Da lanazione.it del 13 aprile 2022

Il ruolo della Batteria Valdilocchi si può comprendere esclusivamente qualora lo si ponga in relazione con l’intero sistema difensivo della piazzaforte della Spezia. "Questa batteria non è che un piccolo tassello del complesso sistema di fortificazioni del Golfo, patrimonio architettonico militare unico, in cui si contano ben 62 opere fortificate realizzate prevalentemente nel periodo che va dall’unità d’Italia sino alla seconda guerra mondiale. Lo scopo di queste fortificazioni era provvedere alla difesa ravvicinata della più potente base navale italiana e del polo industriale sorto accanto ad essa" Stefano Danese e Silvano Benedetti, cultori dell’architettura militare del golfo, hanno supportato la ricerca storica dell’architetto Marinaro e, presenti al sopralluogo del sindaco, spiegano la vecchia ’mission’ della batteria che sorge sopra Pagliari. "Faceva parte del fronte orientale della difesa di terra. Fu, tra il 1883 e il 1886, una delle prime opere realizzate con lo scopo di impedire l’ingresso al golfo dai valichi verso la piana della Magra. La posizione dominante permetteva alla struttura militare di presediare l’intera piana di Spezia ed i suoi accessi orientali. Era dotata di 8 obici e 15 cannoni" Sono mai entrati in funzione?

"No. E ciò vuol dire che il sistema difensivo ha funzionato, facendo deterrenza". Abbandonata alla fine della Prima Guerra Mondiale (obici e cannoni furono portati al fronte) fu poi presidio dei tedeschi nella ritirata. Prima di lasciarla, la minarono. Le esplosioni ne danneggiarono una parte, quella che ora riaffiora e sarà ricomposta sulla via della configurazione a polo turistico e culturale.

 

Il Bunker di San Michele: sbarramento NATO contro i Carri Armati Sovietici
Da vanillamagazine.it del 13 aprile 2022

Di David Mazzerelli

La guerra tra Russia e Ucraina ha riportato in cima all’agenda dell’opinione pubblica alcuni temi dimenticati come il riarmo e le linee militari di difesa territoriale. Durante la Guerra Fredda l’idea di un attacco da Est fu per decenni un timore concreto. Nonostante i rapporti tra Tito e Stalin fossero interrotti dal lontano 1948, l’ipotesi dell’avanzata dei carri armati sovietici (che in numero superavano di quattro volte quelli della NATO) attraverso la Jugoslavia (o l’Austria) rappresentava uno scenario possibile e allarmante.

Nel 1949 l’Italia aderì alla NATO e di conseguenza lo Stato Maggiore dell’Esercito si interessò da una parte delle fortificazioni del Vallo Alpino, che erano già esistenti e soltanto da ripristinare, e dell’altra della costruzione da zero di nuove linee difensive sul confine con la Jugoslavia. La cosiddetta “Soglia di Gorizia” sarebbe stato il primo punto di difesa dell’Italia e, in fin dei conti, dell’intero blocco Occidentale.

A ridosso del Carso la presenza della cortina di Ferro si faceva tangibile, si vedeva e si sentiva nelle storie delle famiglie divise, nei ricordi di chi aveva fatto il militare in quei luoghi e di chi aveva vissuto quel confine come un trauma da rimuovere. Il Nordest del nostro Paese si candidava chiaramente ad essere la frontiera di un nuovo mondo diviso tra paesi socialisti e capitalisti.

Tra i bunker meglio conservati c’è quello di San Michele a Savogna d’Isonzo (Gorizia), che è aperto alle visite grazie all’encomiabile lavoro di un’associazione locale (questo il link alla loro pagina Facebook ufficiale (https://www.facebook.com/bunkersanmichele)). I volontari che accompagnano i visitatori sono competenti e appassionati, eredi dello spirito della Fanteria d’Arresto, un corpo speciale che avrebbe dovuto fronteggiare le truppe motorizzate, corazzate e aviotrasportate sovietiche.

I Fanti d’Arresto sarebbero stati la prima linea di difesa dell’Occidente e potevano contare su tante piccole postazioni fortificate che formavano una rete molto complessa e integrata con gli ostacoli naturali del territorio come montagne, vallate e fiumi.

Il bunker di San Michele è un complesso stabile e organizzato di postazioni blindate in cemento armato, realizzate a fine anni ’60 sulla cima del monte Škofnik con la tecnica del cut-and-cover: scavo a cielo aperto e poi interramento. La struttura è formata da un PCO (posto di comando e osservazione), 5 postazioni per mitragliatrice protette da una cupola corazzata e due piazzole per i mortai. Non ci sono postazioni anticarro, perché la zona in cui si trova il bunker sarebbe stata raggiunta difficilmente dai tank. Tutte le postazioni sono collegate al PCO tramite un anello di cavo interrato, e ciascuna aveva in dotazioni due telefoni. I collegamenti esterni? Garantiti da postazioni radio. L’intera opera era presidiata da personale di guardia che veniva dislocato in una casermetta vicina, adesso utilizzata dalla protezione civile.

Quanto sarebbero resistiti i nostri, dentro questi spazi angusti, contro i carri sovietici? Il volontario dell’associazione, che ci guida nella visita, sorride. Il dibattito su questo punto non si è mai chiuso: c’è chi dice qualche minuto, c’è chi con fierezza afferma che i militari italiani avrebbero respinto l’assalto e chi, più realisticamente, ipotizza quattro o cinque giorni di resistenza al massimo. Insomma, “La verità su una storia mai accaduta non la sapremo mai”.

Contrariamente al suo nome la Fanteria d’Arresto non aveva lo scopo di “fermare” l’invasore, un obiettivo troppo ambizioso e irrealistico: il vero scopo era far perdere tempo, rendere difficoltosa la penetrazione nel territorio e resistere più possibile, in attesa delle truppe NATO.

Se ai bunker aggiungiamo anche lo schieramento di campi minati e le distruzioni di ponti e strade si capisce come l’azione di disturbo avrebbe effettivamente infastidito e ritardato l’invasore che tutti attendevano alla linea fortificata principale, quella del Tagliamento.

I bunker e i reparti di fanteria d’arresto rimasero in servizio fino al 1993, quando la dissoluzione dell’URSS rese anacronistica la loro esistenza e consegnò la Soglia di Gorizia a una linea temporale distopica, in cui la storia si fa “con i se e con i ma”. In attesa del prossimo presente inatteso, in cui il dibattito sulle linee difensive torni d’attualità.

 

Torna alla luce forte sabaudo Spezia, in futuro eventi culturali
Da ansa.it del 12 aprile 2022

Terminata prima fase recupero 'batteria Valdilocchi'

(ANSA) - LA SPEZIA, 12 APR - Terminata la prima fase di recupero della Batteria Valdilocchi, che dal tardo XIX secolo difendeva il levante del Golfo della Spezia da duecento metri di altitudine.
Costruita a difesa della piazzaforte marittima sabauda da un possibile attacco in arrivo da sud, fu completata nel 1886 e abbandonata al termine della seconda guerra mondiale, quando la Wehrmacht in ritirata ne distrusse l'ingresso con gli esplosivi.

"Faceva parte del sistema di fortificazioni del golfo, un complesso unico in Europa per ubicazione e dimensioni - spiega l'architetto Ludovica Marinaro -. Il bene oggi è in gran parte accessibile dopo essere stato ripulito dalle macerie.
In futuro, con nuovi finanziamenti, potrebbe diventare uno spazio per eventi culturali all'aperto". Dalla collina si gode una vista spettacolare che spazia dalla Spezia alla costa toscana. "La posizione era strategica, i suoi dieci cannoni potevano battere una zona ampia che va dalle alture di Lerici fino alla via Aurelia", spiega Silvano Benedetti, ex ufficiale di Marina e direttore del Museo Tecnico Navale. Le bocche da fuoco sarebbero state traslate sulle Alpi durante la Grande Guerra mentre oggi rimangono le piazzole che le ospitavano sulle quali si intuiscono i meccanismi di puntamento scavato nella pietra. "I numeri sopra l'ingresso dei locali erano necessari perché i soldati erano ai tempi analfabeti per la maggior parte - ha illustrato Stefano Danese, studioso di storia militare -, ma tutti sapevano fare di conto, anche chi veniva da una cultura contadina o pastorizia. Così era possibile dare ordini precisi".

Circa cento i fanti impiegati in questa che è uno delle circa quaranta opere difensive storiche attorno alla Spezia. Per la maggior parte abbandonate. "Un patrimonio da valorizzare in chiave storica e turistica - l'auspicio del sindaco Pierluigi Peracchini -, se riusciremo a trovare i finanziamenti". (ANSA).

 

Per ottant'anni sepolta nel bosco, la Batteria Valdilocchi torna alla luce
Da cittadellaspezia.com del 12 aprile 2022

Di Andrea Bonatti

Costruita tra il 1883 ed il 1886 per difendere la città da un'eventuale attacco da sud, era stata abbandonata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Recuperata grazie al Bando Periferie del 2015, sotto le macerie è stato trovato intatto il fascino della fortificazione sabauda: cucine, corpi di guardia, polveriere e persino latrine in marmo bianco. "Qui una summer school come laboratorio internazionale per il riutilizzo di questo tipo di strutture", il progetto dell'architetto Ludovica Marinaro.

La Batteria Valdilocchi è tornata alla luce dopo essere rimasto per ottant’anni sepolta dalle macerie e coperta da un boschetto di acacie. Disperso il fragore delle mine della Wehramcht, che aveva fatto saltare l’ingresso con ponte levatoio durante la propria ritirata, la natura si era riappropriata piano piano della struttura difensiva ormai abbandonata. Tanto che tuttora, consultando Google Maps, c’è solo una distesa di verde al termine della strada sterrata che sale dal campo sportivo “Cimma”.

“Abbiamo proceduto a rimuovere la vegetazione e i detriti – spiega Ludovica Marinaro, l’architetto che dal 2019 progetta il recupero del bene -, scoprendo gli ambienti ancora conservati e ricostruendo le funzioni a cui assolvevano nella vita del forte. Sebbene danneggiata dagli esplosivi piazzati dai tedeschi, la struttura è edificata in modo che ogni sua parte conservi una propria stabilità indipendente”. Con lei hanno lavorato gli ingegneri Balbi, Vergassola, Ferrari, Rinaldi e Garibaldi.

Il prossimo passaggio di satellite aggiornerà la vista mostrando il forte, costruita dal genio del Regio Esercito tra il 1883 ed il 1886 per difendere la piazzaforte marittima da una possibile minaccia in arrivo dai tre accessi meridionali alla Spezia. Vi erano dieci cannoni maggiori e un paio minori, poi trasferiti sul fronte austriaco durante la Grande Guerra. Mai utilizzati in loco: il sistema fortificato del Golfo della Spezia era di per sé un deterrente.

Da qui si gode una vista spettacolare che spazia dalla Spezia alla costa toscana. “La posizione era strategica, i suoi dieci cannoni potevano battere una zona ampia che va dalle alture di Lerici fino alla via Aurelia, compreso Buonviaggio”, spiega Silvano Benedetti, ex ufficiale di Marina e direttore del Museo Tecnico Navale. “Non veniva abitato, i soldati salivano ad occuparlo solo in caso di bisogno. In attività poteva contenere fino a cento soldati. Le bocche da fuoco, molto potenti per l’epoca, sarebbero state traslate sulle Alpi durante la Grande Guerra”. Oggi rimangono le piazzolle che le ospitavano, su cui si intuiscono i meccanismi di puntamento scavato nella pietra. Durante la Seconda Guerra Mondiale, sarebbe invece stato utilizzato per la contraerea.

“I numeri che si vedono stampigliati sopra l’ingresso dei locali? Erano necessari perché i soldati erano ai tempi per la maggior parte analfabeti – ha illustrato Stefano Danese, studioso di storia militare -, ma tutti sapevano fare di conto, anche chi veniva da una cultura contadina o pastorizia. Così era possibile dare ordini comprensibili a tutti”. Tra gli ambienti più interessanti, la polveriera con il suo sistema di illuminazione “esterno”. Dovendo tenere lontane le lampade ad olio dalla polvere, per ovvi motivi di sicurezza, si era escogitato un sistema per conservare l’illuminazione tra due vetri, garantendo l’accesso dell’ossigeno e la fuoriuscita dei fumi.

Una delle stanze di maggiore interesse sono le latrine degli ufficiali. Alla turca, in marmo bianco delle Alpi Apuane, perfettamente conservate. “Abbiamo riportato alla luce un sistema di recupero delle acque piovane molto raffinato – spiega l’architetto Marinaro -. Venivano convogliate all’interno di cisterne sotterranee attraverso una serie di canali e poi utilizzate per tutte le finalità necessarie”.

Questo primo lotto di lavori ha impegnato tutti i 500mila euro ottenuti tramite il Bando Periferie, che il Comune della Spezia si aggiudicò nel 2015. Ora servono nuovi finanziamenti per guardare avanti. Intanto, con le ultime risorse, si porteranno fino al forte elettricità e acqua. “Per noi la ricostruzione di ciò che è stato distrutto non sarebbe la scelta più sensata – traguarda Ludovica Marinaro -, però vogliamo recuperare le pietre che componevano l’ala della batteria distrutta per riutilizzarla in loco.

Penso che la Valdilocchi potrebbe essere inserita in FortMed, che raggruppa le fortificazioni di epoca moderna più significative del Mediterraneo, e magari ospitare una summer school per attrarre architetti da tutto il mondo. Fare della Spezia un laboratorio internazionale per il recupero di questi manufatti”.

La struttura si presta a diventare una sorta di anfiteatro con vista mare oppure un luogo per la produzione di piante da utilizzare poi nei parchi della città. Ma anche solo un tour guidato che racconti come si difendeva una città nel XIX secolo può diventare un’esperienza di grande richiamo, anche a livello turistico. Bisognerà però trovare nuovi fondi. “E’ un luogo di grande fascino, che merita di essere valorizzato”, le considerazioni del sindaco Pierluigi Peracchini.

 

"Le caserme dismesse restino aree verdi"
Da .com del 12 aprile 2022

La visita alla polveriera , abbandonata da anni, di Madonna dei Prati nel comune di Bologna

Lo chiedono le associazioni ambientaliste: "Nei decenni di abbandono si sono lentamente rinaturalizzate, non costruiteci sopra"

Da riserve di guerra abbandonate a spazi per combattere il cambiamento climatico. Il futuro delle aree militari dismesse nel bolognese è stato discusso in una giornata di coprogettazione promossa a Madonna dei Prati da un gruppo di associazioni ambientaliste dal Wwf a Legambiente, Silva Nova, Zeula, Zolarancio, I borghi di via Gesso, Tmp, Ambientiamoci, Podere 101, Rigenerazione no speculazione. Soggetti impegnati a discutere coi rispettivi Comuni, sul destino della ex Polveriera di Ponte Ronca tra Zola, Anzola e Crespellano. Poi dell’ex area militare di Muzzano, nella zona industriale di Monteveglio. I prati di Caprara e l’ex area militare della caserma Gamberini di Ozzano.

Ogni caserma abbandonata ha una sua storia ed una sua dimensione. Complessivamente si tratta di 150 ettari di terreni con depositi di munizioni, spazi per esercitazioni, residenze e servizi che l’esercito italiano ha deciso di dismettere ed affidare alle rispettive amministrazioni comunali. Le bonifiche sono pressochè terminate e ogni Comune si trova a decidere il futuro di zone che nei decenni di semi-abbandono si sono lentamente rinaturalizzate.

"Il tema di cui abbiamo discusso con gli amministratori comunali dovrebbe diventare argomento di discussione in ambito almeno metropolitano", hanno concordato i promotori uniti anche dalla consapevolezza che in prospettiva la guerra più importante da combattere è quella contro l’inquinamento e i suoi effetti sull’ambiente. Da qui la proposta, già fatta propria dal Comune di Bologna (per i Prati di Caprara) e da quello di Ozzano (per l’ex caserma Gamberini), di non prevedere alcuna forma di insediamento urbano in queste isole di verde paradossalmente salvate dalle speculazioni grazie alla destinazione militare .

Dopo una introduzione di Stefano Ramazza (Silva Nova) si sono succeduti gli interventi di David Bianco, Claudio Negrini, Andrea Morisi, Piergiorgio Rocchi, Antonio Giordano. In rappresentanza dei Comuni hanno preso la parola Danilo Zacchiroli, Matteo Badiali, Christian Soverini e Mariangela Corrado. Dopo le relazioni spazio ai lavori di gruppo con i volontari delle associazioni (una trentina in tutto) a mettere a punto le proposte di fruizione ambientale. "Per tutte queste aree abbiamo proposto ai Comuni di candidarle subito ad Aree naturali protette riconosciute dalla Regione, ed avviare una reale collaborazione tra amministrazioni e volontariato per valorizzare e gestire al meglio tutte le aree ex militari ora ‘beni comuni’", commenta il coordinatore Stefano Ramazza.

Di Gabriele Mignardi

 

La Germania si protegge da Putin: stop allo smantellamento dei bunker
Da ilmitte.com del 11 aprile 2022

By Lucia Conti

La ministra tedesca degli interni, Nancy Faeser, vuole rafforzare la difesa della Germania da possibili minacce militari e tra le altre cose ha espresso la volontà di fermare immediatamente lo smantellamento dei bunker esistenti.
La ragione di questo cambiamento di passo è ovviamente l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito di Putin e il pericolo che il conflitto possa ripercuotersi sulla sicurezza dell’intera Europa e quindi anche della Germania.

Al Welt am Sonntag la ministra dell’interno ha parlato di un “cambiamento dei tempi” e di un conflitto, quello che ha luogo in Ucraina, che richiede “di rafforzare significativamente la protezione contro minacce militari”. Faeser ha inoltre confermato la presenza di “599 rifugi pubblici in Germania” e di essere in procinto di verificare l’esistenza di altre strutture da poter destinare al medesimo scopo. È stata in ogni caso fermata la distruzione dei rifugi esistenti, così come si prospetta una loro ristrutturazione e messa in sicurezza, ove necessario. “Stiamo parlando di parcheggi sotterranei, stazioni sotterranee e cantine” ha dichiarando la ministra. L’incremento della sicurezza collettiva non sarà garantito, tuttavia, dalla mera preparazione di eventuali ripari. Si parla anche di più fondi federali per la protezione civile e investimenti per aumentare la disponibilità di “attrezzature mediche, abbigliamento protettivo, mascherine e medicine”.

Il governo federale ha inoltre già investito 88 milioni di euro per la ricostruzione delle sirene smantellate nei decenni passati. Si starebbero inoltre già considerando nuove modalità di allarme, con la possibilità di ricevere segnali di allerta direttamente sul telefono cellulare. Prioritaria è infine la protezione delle infrastrutture critiche contro attacchi e manipolazioni da parte degli hacker.

 

Guerra e case, a qualcuno piace... bunker: a Roma spunta un rifugio antiaereo incluso con la villa in vendita
Da secoloditalia.it del 11 aprile 2022

La casa in giorni di guerra? Cambiano le priorità degli italiani: che dalla villa extralusso passano alla ricerca di residenze-bunker dotate di panic room più che di sale hobbies. Tanto è vero che, in pieno incubo bellico, a Roma spunta un rifugio antiaereo incluso con la casa in vendita. È fra le caratteristiche esposte in un annuncio, poi rimosso, di uno dei più noti portali di inserzioni immobiliari per un appartamento “completamente ristrutturato”. L’edificio, situato in una zona semi periferica della capitale, risale alla fine degli anni ’30. E forse questo spiega la particolarità che oggi, però, alla luce delle preoccupazioni per la guerra in Ucraina, viene considerata un elemento doc. Un punto da evidenziare sul canonico cartello: “Palazzo dotato di rifugio antiaereo”.

Case bunker in tempi di guerra: a Roma spunta un rifugio antiaereo annesso alla villa in vendita

Il fenomeno della ricerca, da parte di privati, di rifugi e bunker, a integrazione di quello che dovrebbe essere il nido sicuro per eccellenza, come riportano le cronache, ha conosciuto di recente un relativo incremento. Con una spesa che può variare dai 20mila ai 60mila euro, gli italiani più ansiosi e fanno incetta di annunci e rilanciano la richiesta di bunker, panic room e safe room. Tutto fa brodo per esorcizzare il fantasma della guerra e le sue possibili infestazioni: tanto che sul web pullulano sempre più numerosi siti e annunci pronti a soddisfare l’ultima richiesta di mercato, letteralmente smosso – e scosso – dalle minacce (non solo nucleari) di Putin all’Occidente.

Ecco dove ci sono già case rifugio e bunker in Italia

Del resto, come spiegava già La Nazione un mese fa, in Italia esistono dei bunker, realizzati in particolare durante e dopo la seconda guerra mondiale. «Ci sono cinquanta grandi rifugi di cemento in Trentino, tra San Candido, Sesto e Dobbiaco». E ancora: «I rifugi antiaerei della V sezione Aeronautica della Breda sono presenti in tutto il settore est del Parco Nord di Milano». D’altro canto, però, l’Italia non è la “neutrale” Svizzera (https://www.secoloditalia.it/2022/03/fuorilamante-di-putin-dalla-svizzera-la-petizione-contro-la-zarina-firmata-a-furor-di-popolo/): che con una legge, già negli anni Sessanta, ha reso obbligatoria la dotazione di un bunker sotterraneo per ogni costruzione. E che dispone di un sistema di sirene e allarmi e autostrade concepite come possibili piste di atterraggio per jet da guerra.

Case, rifugi e panic room: da optional a requisiti gettonati

Così come la situazione di casa nostra non è ovviamente paragonabile a quella degli Stati Uniti, dove da sempre esiste un’attenzione particolare alle case rifugio. Anche di più. Come riferiva sempre La Nazione (https://www.lanazione.it/cronaca/bunker-richieste-aumento-minaccianucleare- 1.7446653): «In America esistono addirittura delle comunità che hanno costruito interi villaggi sotterranei a prova di guerre, epidemie e tragedie di dimensioni globali, addirittura dotati di confort come piscine, locali comuni per la vita sociale e sale riunioni iper-attrezzate e dotate di ogni tecnologia per le aziende e i loro dipendenti».

Cittadelle sotterranee e sistema di protezione: gli extra più ambiti del momento

Vere e proprie cittadelle sotterranee a cui oggi, in giorni di guerra in Ucraina, gli italiani sembrano guardare con favore, tra curiosità e ansia. Spulciando – o prendendo seriamente in considerazione – gli annunci su proprietà dotate di sala hobby, giardino annesso e edificio a prova di attacco nucleare. Con l’ultima peculiarità che ha improvvisamente scalato la vetta dei requisiti più gettonati per una villa o una residenza di villeggiatura, come neanche piscina interna e bagno turco, in epoca di semplice lusso e benessere alla moda, hanno saputo fare…

 

Fortezza divenuta parco tra storia, progetti e polemiche
Da gazzettadiparma.it del 10 aprile 2022

Di Antonio Bertoncini

In «La Cittadella assediata» Marzio Dall'Acqua raccoglieinterventi di esponenti del mondo culturale e politico

Le fortezze sono fatte apposta per resistere all’assedio: la Cittadella di Parma non fa eccezione. In oltre quattro secoli di vita ne ha viste di tutti i colori, ha ospitato armate dalle provenienze più disparate, ha cambiato volto tante volte, ma la sua fisionomia è ancora quasi miracolosamente la stessa che Alessandro Farnese ha progettato nel 1591 e che Ranuccio ha inaugurato nel 1599. Più che a quelli degli eserciti ha dovuto resistere agli assalti, anzi, alle spinte demolitrici messe in opera dalle amministrazioni della città, soprattutto nella prima metà del secolo scorso.

L’intervento più significativo fu quello dell’immediato dopoguerra, quando vennero abbattute le strutture delle postazioni militari. Di recente sono intervenute le amministrazioni guidate da Lauro Grossi, poi da Elvio Ubaldi, che hanno introdotto cambiamenti non irrilevanti nell’organizzazione degli spazi interni.

La Giunta Pizzarotti non ha resistito alla tentazione: nel 2017 ha redatto un «Masterplan» che prevedeva interventi abbastanza radicali.
La levata di scudi di associazioni e cittadini ha indotto l’amministrazione comunale a mutare il progetto originario in uno assai più leggero, ma anche questo non ha del tutto sopito i malumori. In questa situazione ha preso forma il libro curato da Marzio Dall’Acqua «La Cittadella assediata» (editore Monumenta Onlus, pag. 220, euro 20), il primo di quella che potrebbe diventare la collana Instant Parma, un titolo volutamente giocato sulla copertina del mitico Instant Karma di John Lennon.

Il proposito di Marzio Dall’Acqua è ambizioso quanto chiaro: aprire «una civile conversazione nell’epoca dei like e degli slogan urlati come rigurgiti di pensiero»: «Quando si avverte la necessità di affrontare un problema che coinvolge non solo le istituzioni e la politica – scrive Dall’Acqua - penso che si debba dare gli strumenti, i documenti, le posizioni anche divergenti ma sostenute da progettualità e pensiero». Se l’operazione è riuscita saranno i lettori a giudicarlo, anche se lui stesso si rammarica per il mancato intervento del Comune (che avrebbe potuto portare le sue ragioni) e definisce la polemica ancora in atto un «dibattito fra sordi».

Di certo il libro fornisce tante informazioni e tanti spunti di riflessione, con il coinvolgimento di esperti, storici, architetti, studiosi, giornalisti e sociologi, tutti di alto profilo e con approcci diversificati al tema.

Poi ci sono i documenti che sanciscono lo status della Cittadella e delle bassure come monumenti da tutelare. Particolarmente interessante è la relazione di Chiara Burgio della Soprintendenza e Chiara Deb della Regione Emilia Romagna, pubblicata in calce al volume. Il libro si apre con i ricordi della Cittadella di Giorgio Torelli, ragazzo del ‘28, quando la fortezza era dimora della Cavalleria, risuonavano le note del Silenzio del trombettiere, circolavano le lettere d’amore delle fanciulle e gli ufficiali spedivano le cartoline comprate dalla tabaccheria di Rosa in via Farini.

Ci riporta invece nella storia Chiara Burgio, che ricostruisce le origini della Cittadella e si sofferma sulle spinte demolitrici (tutte respinte) avanzate nel 1915, nel 1925 e nel 1945.
La Cittadella diventa ufficialmente parco nel 1962, quattro anni dopo l’acquisto da parte del Comune. Ma intanto la natura aveva fatto il suo corso: piante e prati avevano occupato gli spazi lasciati liberi dalla demolizione dei fabbricati militari.

Anche Luciano Serchia, già sovrintendente, ripercorre l’iter del lungo assedio scaturito dalle vicende novecentesche, e si sofferma sulle controverse vicende che portarono alla costruzione dei campi da tennis per il GUF e alle successive opere della Raquette, che ha invaso le bassure.
Il giornalista Valerio Varesi e il sociologo Giorgio Triani fanno il paragone fra Cittadella e Parco Ducale, paradossalmente più borghese il secondo in un quartiere popolare, più popolare la prima, parco di tutti in un quartiere borghese.
Varesi poi ricorda le partite a calcio nel campo spelacchiato e le migliaia di chilometri a piedi percorsi sui Bastioni, ricordando gli accampamenti napoleonici, le effusioni amorose di Maria Luigia e Neipperg, gli antifascisti incarcerati e il comandante Facio che si cala dalle mura. Torna al 16 marzo 1975 Andrea Schianchi, che rievoca la sfida all’ultimo gol fra le troupe di Pasolini e Bertolucci, fra Salò e Novecento, solo 8 mesi prima del terribile omicidio all’Idroscalo di Ostia.

Parte invece dalla disfida sul chiosco Paolo Rinaldo Conforti, per chiedersi se «la memoria è intangibile», se il chiosco che è lì da tre generazioni si può considerare una presenza da tutelare. Poi mette in evidenza la dicotomia fra uomo e natura, il fragile equilibrio fra monumento e ambiente. Mentre Stefano Storchi propone la Cittadella dei Ragazzi, il sociologo Giorgio Traini entra nel merito dell’oggi: parla di «lockdown della politica», evidenziando che «si preferisce un familiare degrado» ai progetti di ristrutturazione.
Chi non ha dubbi sono Fausto Pagnotta e Anna Kauber (entrambi impegnati sul fronte ambientalista): Pagnotta parla di luogo simbolico relazionale di un parco in cui i parmigiani fanno di tutto; Anna Kauber attacca frontalmente l’amministrazione per il Masterplan del 2017, parlando di «disarmante incapacità di lettura e assenza di empatia con la comunità».
Entrambi pensano che in Cittadella non deve esserci nemmeno un filo d’erba di meno.

 

"Vivicittà": a Forte Marghera la corsa per la pace e per l'ambiente
Da veneziatoday.it del 10 aprile 2022

Oltre 600 persone domenica mattina per partecipare all'evento organizzato dallo Uisp, in collaborazione con Avapo e Actv. Damiano: «Da uno uno dei luoghi più affascinanti di Mestre lanciamo un appello perché finiscano le atrocità»

"Vivicittà": a Forte Marghera la corsa per la pace e per l'ambiente domenica. Oltre seicento persone si sono date appuntamento questa mattina per partecipare all'evento organizzato dallo Uisp (Unione italiana sport per tutti), in collaborazione con Avapo (Associazione volontari assistenza pazienti oncologici) e l'azienda del trasporto pubblico veneziano Actv. Fin dalla sua prima edizione, negli anni Ottanta, l’iniziativa ha sempre avuto come focus la vivibilità e la qualità ambientale dei centri urbani.

Quest’anno il contesto internazionale ha spinto gli organizzatori a dare un significato ulteriore alla corsa, così prima della partenza è stato lanciato un messaggio di speranza. «Qui, da uno uno dei luoghi più affascinanti di Mestre, vogliamo lanciare un appello alla pace. Speravamo di poter riprendere la normalità dopo il lungo periodo di pandemia, invece ci troviamo davanti a una guerra in corso e non possiamo fare finta che questa non ci sia», ha detto la presidente del Consiglio comunale Ermelinda Damiano intervenuta per ringraziare gli organizzatori e salutare i presenti. «Un appuntamento prezioso, qui a Venezia prosegue un percorso iniziato già nei giorni scorsi nel resto d’Italia», ha sottolineato Davide Vianello, presidente del Comitato territoriale Uisp di Venezia.

Alla partenza presente anche il presidente della Municipalità di Mestre Carpenedo, Raffaele Pasqualetto, con alcuni consiglieri: «Uisp, così come le altre associazioni presenti sul territorio, sono un valore aggiunto per la nostra attività - ha detto - La città cresce grazie al loro impegno e noi continueremo a sostenere i loro eventi». Alla corsa, non competitiva e aperta a tutti, hanno partecipato appassionati podisti, marciatori, ma anche famiglie che dalla baia di Forte Marghera hanno completato due percorsi da 6 e da 10 chilometri.

 

Tutti nel bunker: “Così impariamo cosa significa la guerra
Da iltorinese.it del 10 aprile 2022

DAL PIEMONTE

Questo weekend le visite guidate ai rifugi antiaerei di Vercelli, nell’ambito del progetto ‘Tracce di guerra 2002’ promosse da La Rete, consulta per la promozione del territorio vercellese hanno avuto un grande successo.

In centinaia hanno potuto scoprire i segreti del tunnel in piazza Cavour a Vercelli, che poteva contenere 250 persone. “Così si capisce cosa significa l’orrore della guerra”, hanno detto alcuni visitatori.

Per la prima volta è stato anche aperto rifugio in piazza Zumaglini, nei sotterranei della Borsa Risi, ospitava fino a 600 persone. Domani in programma una visita dedicata alle scuole.

 

Antiche fortezze di Mistretta e Ficarra saranno più belle grazie all'illuminazione artistica
Da gazzettadelsud.it del 10 aprile 2022

Di Giuseppe Lazzaro - Giuseppe Romeo

Finanziamenti in arrivo a Mistretta e a Ficarra.
Nel primo caso il castello arabo normanno rientra nell’elenco dei 54 interventi finanziati dall’assessorato Beni culturali ed identità siciliana per l’illuminazione artistica esterna. Il progetto per i lavori di riqualificazione dell’illuminazione artistica dei ruderi del castello arabo normanno mistrettese, è stato infatti inserito in graduatoria con un finanziamento concesso di 89.730 euro.

Nei mesi scorsi proprio per la partecipazione al bando finanziato con risorse Fsc 2014/2020, la Giunta presieduta dal sindaco Sebastiano Sanzarello, aveva approvato il relativo studio di fattibilità tecnica ed economica redatto dall’architetto Giampiero D’Anna, responsabile dell’Area tecnica comunale. Come anticipato c’è anche Ficarra nell’elenco dei comuni siciliani ammessi a finanziamento. Il centro nebroideo figura infatti nella pubblicazione dell’Avviso per l’assegnazione di un contributo “a sportello”. Ficarra è ammesso al primo posto per il progetto inerente l’illuminazione artistica del castello/fortezza carceraria per l’importo di 72.000 euro a cui si devono aggiungere 8.000 euro di cofinanziamento, costituente requisito di ammissibilità, per un importo complessivo di 80.000 euro. Al fine di partecipare all’Avviso pubblico, l’Ufficio tecnico comunale ha celermente redatto il progetto di fattibilità tecnica ed economica che è stato approvato dalla Giunta due mesi fa ed è stato inviato alla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, a cui è stata affidata la responsabilità del procedimento.

 

Nel bunker riaperto alle visite a Dalmine, per capire cosa significa rifugiarsi sottoterra
Da repubblica.it del 10 aprile 2022

"Venire qua sotto ci fa capire che la libertà conquistata anni fa non è data per scontata. Il conflitto ucraino ci fa finalmente capire che certe cose vanno difese tutti i giorni". Gianluca Iodice, assessore alla Cultura del comune di Dalmine, è stato fra i principali fautori della riapertura alle visite di uno dei due bunker cittadini costruiti durante la seconda guerra mondiale. La riapertura è stata segnata da una breve cerimonia a margine della quale i primi visitatori hanno potuto scendere i 127 gradini che portano al rifugio. Qualcuno dice di essere venuto pensando all'Ucraina, altri vogliono semplicemente ripercorrere la storia di Dalmine.

"Ovviamente che sia stato riaperto in questo momento è una coincidenza perché - precisa Iodice - il recupero è iniziato più di un anno fa. Ho visto un interesse anche morboso in queste settimane per i bunker. Per noi però è un monito di fronte a ciò che succede in questi giorni". Le visite, prenotabili online al sito www.bunkerdalmine.it e gestite dall'Associazione Crespi D'Adda, stanno riscuotendo molta attenzione anche fuori dalla bergamasca. "La memoria è importante e - dice un visitatore - ricordare cosa successe a Dalmine durante i bombardamenti del 1944, oggi, con la guerra alle porte d'Europa, è ancora più fondamentale".

"Le persone ci chiedono quale fosse la qualità della vita nel rifugio ma - racconta Sarà Aglio, una delle guide - credo che l'interesse per questo bunker da parte della comunità sia legato più alla storia di questo luogo che agli eventi bellici nell'Est Europa. Empatizzare con ciò che avviene in Ucraina, però, è naturale".

Di Andrea Lattanzi

 

 

Viaggio nel tempo alla scoperta di un rifugio antiaereo Nel cuore di Catania la cava di ghiara diventata bunker
Da meridionews.it del 9 aprile 2022

Tornate in voga nel dibattito pubblico col conflitto Russo-Ucraino, MeridioNews è andata alla ricerca delle cave di sabbia rossa, rese celebri da Giovanni Verga in Rosso Malpelo, che si trovano nei sotterranei del centro città.

Di Gabriele Patti

Un altarino a cui rivolgersi quando l'allarme antiaereo segnava la fine della quiete e l'inizio della paura. Varcando l'ingresso del rifugio all'interno di un palazzo residenziale di via Daniele, a due passi da via Plebiscito, quella sensazione, scandita dall'incessante plic delle infiltrazioni d'acqua che goccia dopo goccia cade sul terreno, si prova ancora. Nel bunker antiaereo realizzato all'interno di una cava di sabbia rossa sotterranea che attraversa il cuore di Catania erano previste un'infermeria, due latrine e posti a sedere per circa mille persone. Il pensiero va subito al conflitto in Ucraina, dove i civili sono costretti a rifugiarsi nei bunker per sfuggire agli attacchi russi. «I protagonisti della storia possono rivendicare dei diritti...» e «Oggi non ci sono italiani di ponente...», alcune delle scritte impresse sui muri di contenimento del rifugio, che i segni del tempo hanno in parte reso illeggibili, richiamano un'altra epoca, quella di ottanta anni fa, quando imperversava la seconda guerra mondiale e l'Italia doveva correre ai ripari. In un angolo del rifugio realizzato sotto la colata lavica del 1669si nota una catasta, tra rifiuti e reperti, accumulatasi in anni di abbandono.

Si scorgono cocci di suppellettili in ceramica, buste di plastica, alcuni vasi da notte - necessari nei casi in cui gli attacchi aerei costringessero a rimanere in trincea più tempo del previsto -, alcune bombole di gas, la ruota di una bicicletta e persino uno skateboard. Materiale quest'ultimo raccolto dagli attivisti di Officine culturali, l'associazione del quartiere Antico Corso a cui è stata affidata la gestione del rifugio antiaereo allo scopo di riqualificarlo e renderlo fruibile ai turisti. È l'obiettivo dell'associazione che dal 2019 ha provveduto a bonificare l'area da circa venti tonnellate di rifiuti che ostruivano l'ingresso, e che adesso tenta di barcamenarsi in modo autonomo e senza il sostegno delle istituzioni, per raggiungere il traguardo. Per quello che rimane comunque un bene demaniale. Tra chi teme che la guerra in Ucraina possa presto coinvolgere anche il nostro Paese - in particolare la Sicilia per il ruolo strategico assegnato alla base militare Nato di Sigonella - e chi invece teorizza che passerà molto tempo prima che la Russia riesca a stabilizzare l'Ucraina e creare le condizioni per sferrare un altro attacco, MeridioNews ha provato a fare il punto sui presidi da potere utilizzare in caso di un ipotetico coinvolgimento nel conflitto.

«Di rifugi complessivamente ne abbiamo individuati una sessantina - spiega a MeridioNews Franco Politano del Centro speleologico etneo -, nel 1939 le cave di ghiara, su suggerimento dell'ingegnere Orazio Condorelli sono state adattate a rifugi antiaerei». Provvedimenti intrapresi perché, all'entrata in guerra dell'Italia, non esistevano bunker pubblici. «Così le cave di Catania dalla caratteristica terra di colore rossastro divenuta celebre nel romanzo Rosso Malpelo di Giovanni Verga - prosegue Politano - sono state trasformate in bunker». Il rifugio di via Daniele, come detto, non è l'unico nascosto sotto la città. «Come questo ne conosciamo otto, ma ne abbiamo mappati cinque - spiega lo speleologo - ora sono totalmente abbandonati e alcuni sono divenuti fogne o semplici ripostigli dove accatastare ogni genere di rifiuto». Politano non nasconde le difficoltà riscontrate nell'individuazione e mappatura dei rifugi. «Purtroppo non è facile mapparli - continua Politano - per alcuni è stata una vera impresa». Il riferimento è alla montagna di terriccio, sabbia rossa e materiale che riempie le cave. «Anche i rifiuti raccontano parte della stratificazione storica - racconta Giovanni Sinatra di Officine Culturali -, creata in 70 anni di inutilizzo di questo spazio che avrebbe potuto portare alla sua scomparsa definitiva». Per questo, prosegue Sinatra, «con gli abitanti del quartiere, secchio dopo secchio, abbiamo raccolto queste tonnellate di rifiuti, ma ci è sembrato giusto conservare quanto più possibile».

Il rifugio di via Daniele si estende oltre mille metri quadrati. «È molto ampio e la galleria principale è lunga cento metri ma ci sono altre gallerie parallele in corso di individuazione - spiega lo speleologo -, anche se con l'armistizio firmato a settembre del 1943 i lavori di scavo e ampliamento furono fermati e adesso risulta più complicato tracciarli». Per quanto scoperto fino a ora, «il rifugio può contenere anche un migliaio di persone stipate - spiega Politano - e la struttura è massiccia al punto da potere utilizzarsi anche oggi». Per rendere la cava accessibile e usufruibile al pubblico, all'epoca dell'adattamento, si sono rese necessarie alcune opere di consolidamento. «Una cavità antropica non è pronta ad accogliere un rifugio antiaereo - commenta Sinatra -, quindi si sono rese necessarie opere di consolidamento tra muri e colonne per sollevare un po' il tetto lavico e permettere alle persone di stare qui in sicurezza». In quello che rappresenta uno dei rari casi in cui si può vedere la colata lavica dal basso, ci sono diversi ingressi e una delle gallerie del bunker attraversa parte di via Plebiscito. «Nel 2019 abbiamo aperto una campagna di crowdfunding e abbiamo fatto le prime rilevazioni con i georadar per individuare gli altri ingressi - racconta Sinatra -, ce ne sono almeno tre: oltre a via Daniele, un altro è nei pressi del liceo Spedalieri e un altro ancora è in via Plebiscito, anche se ancora non sappiamo esattamente dove sia collocato». L'interesse per i rifugi e la storia catanese ai tempi della seconda guerra mondiale continua a crescere. Recentemente, a riaccendere i riflettori sulla storia, è stato il consigliere della sesta municipalità Francesco Valenti che, dopo avere girato un documentario, ha proposto in consiglio la creazione di un percorso turistico per i bunker di Catania, tra i quali quelli di Monte Po e il rifugio allestito all'interno del liceo Boggio Lera.

 

 

Il Forte di Exilles sembra la Fortezza Bastiani, sempre in attesa del rilancio
Da corriere.it del 8 aprile 2022

Di Gabriele Ferraris

Nel "Deserto dei Tartari" i protagonisti aspettavano l'attacco, la fortezza piemontese invece aspetta solo di poter riaprire al pubblico ma è ostaggio di procedure e burocrazia.

Il Forte di Exilles è un gigante di pietra in silenziosa attesa di qualcosa che, anno dopo anno, stagione dopo stagione, non arriva mai. Fa pensare alla Fortezza Bastiani del «Deserto dei Tartari». Con una sostanziale differenza: il Forte di Exilles non aspetta i Tartari. Ben più banalmente, aspetta di riaprire. L’altro ieri ricevo una mail dell’Associazione degli Amici del Forte di Exilles. Nella mail sta scritto: «In questo periodo di rilancio turistico del Piemonte, il Forte è ancora chiuso e, considerato che siamo ormai in aprile, bisognerà nuovamente scontrarsi con una dissennata burocrazia per arrivare in tempo a un’apertura anche solo stagionale. Il nostro timore è che si ripeta il brutto exploit dello scorso anno quando l’ultima autorizzazione all’apertura, quella della Soprintendenza ai Beni Culturali, è arrivata ai primi di settembre. Noi ci siamo mossi in tempo, la nostra associazione ha trovato uno sponsor di nome, ha vinto — in partenariato — un bando con la Compagnia di San Paolo per alcune installazioni museali e, logicamente, ha bisogno dei tempi tecnici per realizzarle. Da mesi riceviamo richieste di visite ed è disarmante dover rispondere sempre in maniera negativa senza poter comunicare una data sicura di apertura».

Credo che a questo punto sia utile ricordare che, dopo lungo restauro, nel 2000 il Forte di Exilles, proprietà del Demanio militare, ma in comodato alla Regione e affidato in gestione al Museo della Montagna, venne aperto al pubblico e fino al 2010 visse una stagione di gloria, ospitando il Museo delle truppe alpine allestito dall’artista Richi Ferrero e i concerti di fuoriclasse come Michael Nyman, Wim Mertens, Miriam Makeba. Ma dopo il 2010 cominciano i guai. Cresce l’attrito fra il Museo della Montagna e la Regione che, insoddisfatta per una gestione che giudica sempre più immobilista, nel 2015 trasferisce l’affidamento al Comune di Exilles, e incarica il Salone del Libro e il Circolo dei Lettori di curare le attività culturali nella fortezza. In realtà il Salone del Libro, squassato dalle note traversie, non entra in partita, mentre il Circolo dei Lettori, tramite un’associazione esterna, organizza alcune stagioni estive.

Nel 2017 la Regione approva un «Programma di valorizzazione» della fortezza e avvia l’iter per acquisirne dal Demanio la piena proprietà, per poi, tramite bando, concedere l’uso del complesso a un gestore «che realizzi un progetto che ne assicuri la valorizzazione, la corretta conservazione e l’apertura al pubblico». Il modello cui ispirarsi ce l’abbiamo sotto gli occhi: è il Forte di Bard, in Val d’Aosta, dal 2006 un hub culturale e turistico che ospita mostre e manifestazioni di richiamo. Però, manco a dirlo, per Exilles i tempi si dilatano e soltanto il 31 ottobre 2019 la Regione diventa proprietaria del Forte a tutti gli effetti. Giusto in tempo per il lockdown, che impone un altro stop.

Pazienza: l’estate 2020 è persa, ma già a dicembre di quell’anno l’Associazione degli Amici del Forte presenta un progetto per riaprire nell’estate del 2021 con spettacoli e iniziative turistiche. Stanno ancora aspettando. Anzi, adesso aspettano per l’estate 2022. Così chiamo l’assessore Poggio cercando lumi e rassicurazioni. Poggio in effetti ha un tono molto rassicurante. Mi dice che giusto venerdì scorso lei e il dirigente della Direzione Risorse Finanziarie e Patrimonio Alberto Siletto si sono sentiti con il nuovo presidente dell’Unione Montana Alta Val Susa, Mauro Carena sindaco di Moncenisio, e hanno stabilito (e qui passo allo stenografico per non ingarbugliare oltre il discorso poggesco) di «far sì che il soggetto che si occuperà delle pratiche sia in grado di procedere in maniera tale che si apra nella stagione estiva. Poi con Piemonte dal Vivo abbiamo già pronto un programma di eventi nel Forte. Ma sul piano tecnico la riapertura dipende dal Patrimonio.

Abbiamo detto a Carena che è importante coordinare al meglio i territori perché non ci siano rallentamenti e criticità. Una volta formalizzata dal Patrimonio la concessione del bene al soggetto incaricato di gestire il Forte, si dovrà attendere il parere positivo della Soprintendenza. Carena farà subito un incontro con i territori coinvolti per decidere a chi saranno in concreto affidate le chiavi del Forte: se all’Unione Montana nel suo insieme, oppure a un singolo Comune. Dovremmo essere pronti per aprire a giugno». Bon. Vuol dire che i weekend e i ponti di aprile e maggio sono bell’e che perduti. Ma tranquilli: se i Comuni dell’Unione Montana si metteranno d’accordo e se gli uffici del Patrimonio daranno una mano con le scartoffie e se ci saranno tutti i bolli e i visti e le delibere e i nulla osta e se la Soprintendenza darà l’ok e se troveranno il personale e se e se e se, a giugno il Forte di Exilles riaprirà. Potete contarci. Più o meno come l’anno scorso.

 

Visita gratuita al Bunker sul San Michele
Da ilfriuli.it del 8 aprile 2022

Sabato 9 aprile, su prenotazione, i partecipanti potranno visitare la struttura risalente alla Guerra Fredda

Riapre al pubblico il Bunker risalente alla Guerra Fredda sul San Michele, in provincia di Gorizia. Sabato 9 aprile, alle ore 15.30, aprirà per un turno di visite guidate gratuite.

Per partecipare è necessaria la prenotazione, inviando un messaggio sul profilo Facebook (https://www.facebook.com/bunkersanmichele/?ref=page_internal) e attendendo la risposta degli organizzatori che varrà come conferma, e l'uso corretto della mascherina. Il ritrovo è all'ingresso dei bunker, a breve distanza dalla frazione di Cotici, San Michele del Carso. Si raggiungono in 15 minuti a piedi, su strada forestale. E' sufficiente indossare calzature e abbigliamento adeguati. Istruzioni dettagliate su posizione di parcheggio, percorso e punto di ritrovo verranno fornite con la conferma di prenotazione. Il percorso di visita, che è gratuita, impiega circa un'ora. Al termine sarà possibile versare una libera offerta, a favore delle spese vive per manutenzione e aperture.

Gli interni della postazione sono agevoli e illuminati per intero. A causa di un passaggio basso, all'ingresso, a tutti verrà fornito un caschetto, adeguatamente igienizzato.

 

Sicurezza mura e torri di Como, il Comune pronto a transennare l’intera fortificazione
Da espansionetv.it del 8 aprile 2022

Di Vittoria Dolci

Isolare mura e torri di Como per rendere più sicuro il passaggio dei pedoni. L’amministrazione cittadina è al lavoro per creare un sistema di sicurezza attorno alle fortificazioni comasche. La prossima settimana è infatti previsto un incontro urgente con la Soprintendenza.

Porta Torre, si stacca un sasso. Area transennata

La proposta è scattata dopo l’ultimo episodio. Transenne a delimitare Porta Torre a Como. Ingresso vietato dopo che nella giornata di ieri pomeriggio si è staccato un sasso di circa dieci centimetri di larghezza dall’interno della torre. Fortunatamente non ha colpito nessuno ma l’episodio ha messo in allarme il Comune.
“Stiamo valutando l’ipotesi di creare una barriera attorno a mura e torri della città per mettere in sicurezza il transito di cittadini e turisti”, ha detto l’assessore ai Lavori Pubblici di Como, Pierangelo Gervasoni. “Occorre creare un distanziamento di un metro e mezzo, massimo due, dalle fortificazioni, per evitare che l’eventuale caduta di nuovi sassi possa costituire pericolo per chi transita – aggiunge – Possiamo intervenire con delle transenne oppure con del verde. Stiamo valutando anche reti paramassi da posizionare all’interno delle Torri ma non possiamo applicarle all’esterno – e conclude – Ad ogni modo dobbiamo valutare le ipotesi con la Soprintendenza che incontreremo a giorni”.

L’episodio a Torre San Vitale

Ulteriori controlli seguiranno ancora nelle giornate di lunedì e mercoledì prossimo. Il sistema delle mura e delle torri di Como mostra con sempre maggior evidenza i segni del tempo e dell’incuria. Ne è prova l’episodio di ieri che purtroppo non rappresenta una novità in città. Lo scorso anno infatti – sempre ad aprile – una pietra di poco meno di un chilo si è staccata dalla Torre San Vitale, una delle fortificazioni medievali a difesa della cinta muraria della città storica ed è finita sul parabrezza del furgone di un ambulante distruggendolo.

 

Boschi, memorie e fortezze: a Pasqua e Pasquetta sui sentieri di Trento
Da montagna.tv del 8 aprile 2022

Di Stefano Ardito

Per due settimane ogni anno, dal lontano 1952, Trento diventa la capitale mondiale della cultura di montagna. Alpinisti, scrittori e registi si incontrano in un Festival dove i film e gli eventi dedicati alle pareti e alle vette si affiancano a pellicole, incontri e mostre dedicati all’esplorazione e all’ambiente. Ma Trento è una città di montagna tutto l’anno. Migliaia di residenti, e molti studenti fuorisede, si dedicano alle pareti, alle vette e ai sentieri dei dintorni. Basta un’ora, dalla città e dalle rive dell’Adige, per raggiungere alcuni dei luoghi più famosi delle Alpi come le Dolomiti di Fiemme, di Fassa e di Brenta, le falesie del Lago di Garda, le foreste ai piedi del Cevedale e dell’Adamello.

Sono quasi solo i trentini, invece, a percorrere i sentieri delle piccole cime che circondano la città, e che meritano di essere conosciute e percorse anche da chi arriva da lontano. Sono percorsi piacevoli soprattutto in primavera e in autunno, quando sulle vette più alte c’è ancora (o già) neve. L’elenco comprende il boscoso massiccio della Marzola, il Soprasasso che domina Trento da ovest, il sorprendente Monte Calisio e il Monte Celva, rivestito dal bosco anche sulla vetta. Contribuiscono al fascino di questi percorsi le opere costruite dai genieri di Vienna in previsione della Prima Guerra Mondiale. Per difendere la città e la strada del Brennero da uno sfondamento italiano lungo la valle dell’Adige o la Valsugana, lo Stato Maggiore austroungarico realizzò le fortificazioni della Festung Trient, la “Fortezza Trento”. Oggi mura, trincee e feritoie, spesso ben restaurate, ricordano questa memoria difficile. Tra il 1915 e il 1918, però, le fortificazioni intorno a Trento non furono coinvolte nei combattimenti, che invece devastarono l’Ortigara, la Valsugana, i Lagorai e altre zone dei dintorni. Oltre agli ottimi segnavia degli itinerari locali, realizzati dalla SAT, s’incontrano quelli del Sentiero di San Vili e del Sentiero della Pace. Il primo, che segue le tracce di San Vigilio, scende dalle Dolomiti di Brenta al capoluogo. Il secondo, lungo oltre 500 chilometri, segue il confine del Trentino con la Lombardia e il Veneto, e quindi il fronte della Grande Guerra.

L’anello del Soprasasso

(300 metri di dislivello, 2.30 ore, E)

Il Soprasasso, Sorasass in dialetto, è un tavolato calcareo che si allunga tra la Paganella e il Monte Bondone, e che si affaccia da ovest su Trento. Questo itinerario tocca caverne e casematte austro-ungariche, e utilizza con il Sentiero di San Vili, che collega Madonna di Campiglio con Trento. Dal borgo di Cadine, che si raggiunge in auto o in bus, si raggiunge l’area da pic nic del Fer de Cavàl (507 metri, 0.15 ore se a piedi), dove un tabellone illustra i sentieri della zona. Una strada sterrata porta all’incrocio delle Quattro Strade e alla radura della Poza dei Pini (720 metri, 0.30 ore), dove s’incontra il Sentiero di San Vili. Si sale sulla strada militare del Rovaiol toccando una trincea austro-ungarica, poi si traversa in direzione degli Stoi, cinque ricoveri militari in caverna che sono stati più tardi utilizzati da boscaioli. Questo tratto, panoramico e a tratti aereo, conduce al belvedere di Pontesel (780 metri, 1 ora), dov’erano altre batterie in caverna. Si scende verso nord, per una stradina e poi su un sentiero, si tocca la Poza de la Casara (710 metri), si piega a sinistra e si torna al punto di partenza (1 ora).

Da Villamontagna al Monte Calisio

(da 440 a 500 metri di dislivello, da 2.30 a 3.30 ore, E)

Il Monte Calisio, che chiude a nord la conca di Trento, tocca i 1097 metri, ed è difeso verso la valle dell’Adige da alte pareti. Questa camminata si svolge lungo vecchie strade militari e tocca vari stoi (tunnel) austroungarici. Si può partire dal borgo di Villamontagna e dai successivi posteggi, oppure dal Forte restaurato di Civezzano. Dalla piazza di Villamontagna (593 metri) si sale per Via per Campel fino a un primo e poi a un secondo posteggio (757 metri, 0.30 ore se a piedi dal paese), ombreggiato da alti pini. Si continua a piedi sulla stradina (segnavia 403), si va a sinistra a un bivio, e si devia verso una calcara restaurata. Il sentiero passa sul versante di Trento, tocca una sbarra e sale alle caverne degli Stoi bassi (910 metri). Continuando per una ripida rampa si esce sul crinale, si va a sinistra e si raggiunge la croce di vetta (1097 metri, 1 ora), intorno alla quale sono i resti di alcune fortificazioni austro-ungariche. In discesa, seguendo i segnavia 402, si torna al posteggio alto (1 ora) e poi al paese (altre 0.30 ore).

Da Oltrecastello al Monte Celva e al Forte Roncogno

(520 metri di dislivello, 2.45 ore a/r, E)

Anche le opere fortificate del Monte Celva, che dominavano la strada che collega il capoluogo con Pergine e prosegue in direzione di Bassano facevano parte della Fortezza Trento, che avrebbero dovuto bloccare uno sfondamento italiano. Ai piedi della montagna sorge il piccolo Forte Roncogno, restaurato come le opere sulla cima. Si parte dalla frazione di Oltrecastello (482 metri), che si raggiunge dal centro di auto o in bus. A piedi, si traversa il borgo, si sale per un viottolo e si raggiunge una stradina asfaltata che porta a un bivio (630 metri, 0.30 ore), all’ingresso del bosco. Un ripido sentiero (segnavia 419) tra i faggi e poi tra i pini porta alla vetta (1000 metri, 1 ora), dove sono i resti di una postazione di artiglieria. Si scende sul crinale opposto alla sella dell’Osservatorio (860 metri), con tunnel e trincee restaurate. Un sentiero scende a mezza costa al Forte Roncogno (804 metri), si continua sulla strada asfaltata e poi, prima del Passo del Cimirlo, si piega a destra per una stradina. Un viottolo porta al borgo di Celva e al percorso dell’andata, che si segue fino a Oltrecastello (1.15 ore).

Dai Bindesi al rifugio e alla batteria Maranza

(470 metri di dislivello, 2.45 ore a/r, T/E)

Il boscoso massiccio della Marzola, tra la Valsugana e Trento, è una classica meta di escursioni. La sua vetta, 1738 metri, è un ottimo belvedere. Molto più in basso, i macigni dei Bindesi sono stati la prima palestra di alpinisti come Giorgio Graffer, Marino Stenico e Bruno Detassis. Nel 1963, la SAT ha costruito qui un rifugio dedicato a Pino Prati. Il rifugio Marzola, privato, è stato realizzato ristrutturando una malga a 1072 metri di quota. Il viottolo che li collega offre una passeggiata che può essere proseguita verso alcune postazioni austro-ungariche, o in direzione della cima. Il rifugio Pino Prati ai Bindesi (604 metri) si raggiunge in auto o salendo in bus a Grotta di Villazzano (472 metri) e proseguendo a piedi (0.30 ore in più). Un sentiero costeggia i massi dei Bindesi e poi sale nel bosco (segnavia 412) verso il Sas del Piocio e il rifugio Maranza (1072 metri, 0.45 ore). Un viottolo porta ai ruderi della Batteria Maranza (o Primo Forte, 1090 metri, 0.30 ore a/r). In discesa si può seguire la carrareccia del Giro della Marzola, e passare per il bosco di Prà Zoan (1.15 ore). La salita dal rifugio Maranza al bivacco Bailoni e alla Marzola richiede dalle 3 alle 3.30 ore a/r.

 

Centro di documentazione sulle mura di Ferrara
Da ferraraterraeacqua.it del 7 aprile 2022

Il Centro di documentazione sulle Mura di Ferrara ha l'obiettivo di far conoscere le poderose fortificazioni superstiti e al tempo stesso di far comprendere il susseguirsi dei tanti interventi che hanno portato alla realtà odierna, grazie a un'accurata ricostruzione storica costituita da pannelli tematici, filmati, modelli e applicazioni multimediali

Il recinto delle Mura di Ferrara, che ancora oggi racchiude al suo interno uno dei più vasti centri storici d'Europa, va riconosciuto come uno dei piùninteressanti e meglio conservati esempi di architettura fortificata dell'intero continente. L'eccellente stato di conservazione, garantito dalle lungimiranti politiche di restauro del secondo dopoguerra e in particolare dopo gli anni '70 del Novecento, permette oggi di fruire pienamente di questo bene monumentale altamente complesso dalle mille valenze architettoniche, ambientali e culturali.

Raccontare le mura può essere un modo molto efficace anche per comprendere l’evoluzione storica della città fisica, mostrandone le principali fasi di sviluppo e quelle di crisi. Come ci ricorda Giorgio Bassani: «Le mura di Ferrara non si trovano alla periferia della città, bensì vi stanno dentro, sono la città.»
Infatti, oltre ad avere giocato un ruolo fondamentale nella securitas durante secoli in cui l’attività militare condizionava la vita quotidiana delle città, hanno contribuito a determinare un’immagine urbana che si è mantenuta e consolidata nel tempo.
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Il Centro di documentazione all'interno di Porta Paola è costituito da diversi pannelli che raccontano le fasi di sviluppo della città a partire proprio dalla tipologia delle fortificazioni che si sono avvicendate nel tempo.

- La prima cinta di mura di Ferrara nel tardo Medioevo
A differenza degli altri capoluoghi della regione Ferrara non ha origini antiche. La tradizione storiografica fa risalire al VII sec. il Castrum bizantino, e i primi insediamenti tra il X e l'XI sec. Le fonti attestano l’esistenza di un primo tratto di mura realizzate tra 1314 e il 1316 sul versante est dell’insediamento, particolarmente esposto agli attacchi dal mare e da Ravenna.

- L’Addizione del 1441-1461
Sconvolgimenti idraulici a seguito della rotta di Ficarolo determinarono una revisione del sistema fortificato e l'inglobamento dell'isola fluviale, dove già dal Duecento era presente un cenobio di monache benedettine. La nuova linea difensiva murata, avviata da Niccolò III già a partire dal 1441, venne completata nei primi anni Cinquanta del Quattrocento, prendendo il nome di Addizione “borsiana”. Le mura borsiane sono caratterizzate da alte cortine merlate e sono intervallate da cinque torri a base quadrangolare.

- L'Addizione Erculea
L'espansione urbana di Ferrara tra Medioevo ed età moderna è stata attuata prevalentemente attraverso "addizioni" ovvero aggrandimenti del nucleo abitato della città. L'ambizioso progetto di Ercole I venne realizzato da Biagio Rossetti e determinò un lungo circuito fortificato a protezione di una nuova parte di città, dall'estensione quasi raddoppiata. Le mura realizzate tra il 1495 e il 1505 segnano il passaggio dalla difesa piombante a quella “radente”, legata alla potenza delle prime artiglierie e qualificata da una serie di torrioni rotondeggianti e da un fossato d’acqua non profondo.

- Il potenziamento delle mura negli anni di Alfonso I d’Este
Il nuovo duca Alfonso I (1476-1534) mise a punto un piano di protezione della città, specie nel settore sudorientale, perché troppo vulnerabile agli attacchi nemici, facendo erigere baluardi, abbattendo le cortine quattrocentesche e innalzando nuovi tratti murari.

- Gli interventi negli anni di Ercole II d’Este
Ercole II d’Este (1508-1559) trovò una città completamente fortificata; mantenne in buono stato le sue strutture murarie, ripristinando i tratti soggetti a frequenti cedimenti strutturali; attento all'aspetto estetico e paesaggistico, rese alcuni punti di fatto luoghi di delizia per il diporto.

- Il nuovo fronte bastionato meridionale e “di là da Po”
Per tutta la prima metà del XVI secolo Ferrara era stata un vero modello di città fortificata “alla moderna”, considerata inespugnabile. Fu a partire dagli sconvolgimenti del terremoto del 1570 che il duca Alfonso II d’Este (1533-1597) decise di intervenire sul circuito murario, innovandone profondamente il sistema e utilizzando poderosi bastioni dai profondi fianchi rientranti e dotati di orecchioni.

- Le trasformazioni alle mura tra Clemente VIII e Paolo V
Alla morte di Alfonso II d’Este, senza prole, Ferrara ritornava giuridicamente sotto il diretto governo della Chiesa, diventando il capoluogo della Legazione più settentrionale di uno Stato della Chiesa ora confinante con la Repubblica di Venezia. La sicurezza militare divenne quindi un obiettivo importante: al ferrarese Giovan Battista Aleotti (1546-1636) si deve l’elaborazione nel 1605 della nuova fortezza da erigersi nel settore sud-occidentale, a cavallo di un Po sempre più “otturato”; si intervenne anche nel fronte fortificato a est della erigenda fortezza. Nel 1612 si costruì la monumentale Porta Paola disegnata dall’Aleotti.

- Le Mura in età post unitaria
Con il Piano Regolatore della città, affidato dal Comune nel 1911 all’ingegnere Ciro Contini (Ferrara, 1873 - Los Angeles, 1952), il recinto murario venne disciplinato per la prima volta da norme urbanistiche che per esso prevedevano destinazioni d’uso civili e non più militari e l’ammodernamento infrastrutturale di alcune aree: tra queste il Rione Giardino, ove sorsero architetture pubbliche, come scuole, lo stadio comunale e il monumentale serbatoio dell’acquedotto.
Durante la II Guerra Mondiale anche le Mura subirono significative menomazioni in quanto sede di rifugi antiaerei.
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Con i loro nove chilometri le mura cingono Ferrara quasi interamente: vedi l'itinerario delle Mura

ORARI
Mercoledì e giovedì 9.30 -12.30; venerdì, sabato e domenica 9.30 -12.30 / 14.30-17.30.
Chiuso: 1 Gennaio, Pasqua, 1 Maggio, 1 Novembre, 25/26 Dicembre.
(Nei mesi di luglio e agosto gli orari di apertura sono limitati alla mattina)

Giorni di chiusura
• Lunedì
• Martedì

TARIFFE
Ingresso gratuito

CONTATTI
Ferrara - Ferrara - Piazza del Travaglio 20
380 1468581 - 335 598080
info@stradaviniesaporiferrara.it
http://www.stradaviniesaporiferrara.it

 

Masterplan per i forti asburgici di Verona: il Comune detta le linee per recupero e destinazione
Da veronasera.it del 7 aprile 2022

Forte Santa Caterina - Immagine di repertorio

Secondo quanto riferiscono da Palazzo Barbieri, il documento tecnico amministrativo permetterebbe non solo di non solo di accelerare la valorizzazione delle strutture fortificate veronesi, ma anche di farlo attraverso un piano strategico unitario

Il Comune di Verona ha annunciato una svolta per i forti asburgici, con un documento tecnico amministrativo che permetterebbe non solo di non solo di accelerare la valorizzazione delle strutture fortificate veronesi, ma anche di farlo attraverso un piano strategico unitario. Secondo quanto spiegano da Palazzo Barbieri, si tratterebbe di una visione complessiva dei forti e delle loro potenzialità, che detterebbe linee guida precise e uniformi affinché questi spazi di grande valore siano riqualificati e tornino ad essere luoghi di aggregazione. Uno dei loro punti di forza è infatti quello di essere presenti capillarmente sul territorio veronese: non c’è quartiere che non sia vicino ad uno dei 12 forti asburgici, una ricchezza dalle molteplici ricadute positive.

MASTERPLAN SUI FORTI - Il Masterplan sui Forti, secondo l'Amministrazione, permetterebbe un cambio di passo rispetto al passato: il documento approvato dalla giunta metterebbe nero su bianco come e quali strutture riqualificare, sulla base della posizione e del pregio storico e architettonico, includendo anche i criteri per eventuali cambi di destinazione e l’iter amministrativo da seguire. Il tutto a braccetto con la Soprintendenza, attraverso una metodologia condivisa per abbreviare i tempi e accelerare sui progetti. Valore aggiunto sarebbe proprio quello sui tempi, un iter semplificato per le proposte di valorizzazione che arriveranno da enti e associazioni ma anche dai privati. Il percorso è avviato, il documento è ora al vaglio della Soprintendenza per proseguire l’elaborazione nei prossimi mesi.

Lavorano in rete dunque gli uffici di Comune, Demanio e Soprintendenza, sul modello di Forte Procolo al Saval e Forte Santa Caterina, al Pestrino. Due progetti già in corso d’opera, il secondo dei quali finanziato con i fondi del Pnrr per 15 milioni di euro. Di fatto è la continuazione del processo partecipativo avviato ad inizio 2018 con l’iniziativa Verona Fortificata, che ha coinvolto associazioni e cittadini nella conoscenza dei siti ed avviato un meccanismo virtuoso per la loro tutela. Dalle visite guidate nei diversi siti alle giornate dedicate alla pulizia delle aree verdi, i cittadini hanno risposto con grande entusiasmo alla campagna per far rivivere i forti, tanto che negli obiettivi dell’Amministrazione saranno le associazioni a beneficiare per prime del loro recupero complessivo.

ITER VELOCE - Per la prima volta il Comune si appoggia ad Invitalia, agenzia nazionale per lo sviluppo, di proprietà del Ministero dell’Economia, che supporta l’ente pubblico nelle varie procedure legate alla progettazione, ai bandi e agli appalti. Un servizio a costo zero per Palazzo Barbieri, che permetterebbe di contrarre notevolmente i tempi della burocrazia.

FORTE SANTA CATERINA - Per la Giunta il modello da seguire è quello per il compendio di Forte Santa Caterina, l’area di 22,5 ettari al Pestrino per la quale l’Amministrazione si è aggiudicata 15 milioni nell’ambito del Programma nazionale
della qualità dell'abitare (PinQua), a sua volta inserito nel quadro di riferimento del Pnrr.

Già pubblicato il bando per la parte del progetto destinata al sociale, cuore del processo di rigenerazione complessiva dell’area che ospiterà un centro servizi destinato a persone con disabilità, una proposta che risponde all’esigenza del "dopo di noi" delle persone con disabilità e dei loro familiari. Un centro diurno quindi con il plus dell’inserimento lavorativo ed a fianco una struttura residenziale per i disabili autosufficienti, con alloggi anche per i familiari che scelgono di vivere insieme o accanto al figlio o parente affetto da disabilità.
II costo dell’intervento è preventivato in circa 4,2 milioni di euro, di cui il soggetto del terzo settore e del privato sociale che si aggiudicherà il bando dovrà farsi carico per completare l’opera entro il 2026, come richiesto dal Pnrr. La somma restante finanzierà il recupero delle ex caserme, dove troveranno spazio i depositi museali unificati e buona parte degli archivi degli uffici comunali la riqualificazione generale del compendio, la realizzazione del parco pubblico, le opere di urbanizzazione e il restauro del forte.

Le novità sono state illustrate mercoledì dall’assessore alla Pianificazione urbanistica Ilaria Segala. Presenti i consiglieri Paola Bressan, Andrea Velardi e Daniele Perbellini che hanno contribuito al progetto Verona Fortificata.
«Completiamo il percorso iniziato tre anni fa con il progetto Verona Fortificata, che per la prima volta aveva coinvolto attivamente i cittadini nella conoscenza e valorizzazione dei forti veronesi – ha detto Segala- . Con il Masterplan facciamo un’ulteriore passo avanti e guardiamo al futuro con un nuovo strumento strategico. Il recupero dei forti non può prescindere da linee guida omogenee che lo preservino oltre che valorizzarlo. Così come è giunto il momento di dare nuove destinazioni ad alcuni compendi per renderli davvero integrati con i territori in cui si insediano e creare nuove opportunità di aggregazione oltre che turistiche. Un lavoro che stiamo portando avanti a braccetto con la Soprintendenza, per prima favorevole a procedere in modo  uniforme e veloce».

«Nell’ottica turistica la valorizzazione dei forti, così come della cinta muraria, è una strategia imprescindibile per uno sviluppo del territorio che permetta di uscire dai tradizionali percorsi turistici cittadini – ha aggiunto l’assessore ai Rapporti Unesco Francesca Toffali -. Non c’è dubbio sulla volta impressa da questa Amministrazione per restituire ai cittadini un patrimonio prima lasciato a se stesso, dalle mura cittadine ai forti fino alle aree della cinta magistrale. Investimenti importanti di cui già si vedono i risultati».

«Il progetto Verona Fortificata era nato dalla consapevolezza che non c’è Circoscrizione senza un forte o una struttura fortificata- ha detto Velardi-. Un patrimonio da trasformare in consapevolezza e opportunità, perché il rilancio dei quartieri passa anche dal coinvolgimento di cittadini e associazioni».
«Il Masterplan prosegue quanto fatto con Verona Fortificata – ha detto Bressan-. Un progetto che ha permesso di visitare e conoscere strutture che i veronesi probabilmente non avevano mai visto. E che ha avviato quella partecipazione pubblica che è stato il vero successo dell’iniziativa».

 

Ecco 'Mura Vive': In città le fortificazioni tornano a vivere con installazioni ambientali
Da tgpadova.telenuovo.it del 7 aprile 2022

Riapre al pubblico a partire da sabato 9 aprile "Mura Vive - Museo Narrante Multimediale", il progetto di fruizione innovativa delle mura di Padova che attraverso installazioni ambientali immersive, postazioni  didattiche, ricostruzioni tridimensionali e un'app mobile dedicata, fa tornare viva la cinta muraria più estesa e meglio conservata d'Europa, narrandone fatti storici, vicende e pure qualche leggenda, e ripopolandola di personaggi e di voci.

Continua così l'esperienza del "museo diffuso permanente" avviato lo scorso anno, con la proposta di una visita emozionante e coinvolgente all'interno delle quattro "stazioni" allestite in altrettanti bastioni e porte: , (o di Pontecorvo), e . In un processo di continuo sviluppo della proposta, a queste si aggiungerà a breve una nuova stazione a Torrione della Gatta (apertura a fine aprile), e successivamente due ulteriori a Torrione Castelnuovo (settembre 2022) e a Bastione Impossibile (2023).

A ideare e promuovere il progetto l'associazione Comitato Mura di Padova, attiva da quasi cinquant'anni nello studio, la valorizzazione e la tutela di questo importante monumento simbolo della città. Didattico e innovativo, "Mura Vive" propone un nuovo approccio alla fruizione della cinta muraria, unendo al rigore storico-scientifico la dimensione tecnologica e artistico-teatrale. Gli spazi antichi si popolano così di racconti e immagini, e dalle pareti di porte e bastioni i personaggi prendono vita come interloquendo con il visitatore, raccontando storie di conflitti e di guerre, di imperatori e dogi, condottieri e inzegnieri, di importanti figure femminili, e ancora di scienziati e di uomini comuni, di eroici felini e alicorni. Sono i protagonisti, noti e ignoti, di vicende di politica e governo cittadino, ma anche di quotidianità, in una cavalcata emozionante lunga cinque secoli, dall'assedio del 1509 ai giorni nostri.

Tutti i dettagli e le iniziative si possono trovare su www.muravivepadova.it

 

Al Circolo Sannitico la presentazione del volume ‘Il Molise della bellezza. Rocche, fortezze, castelli’
Da isnews.it del 5 aprile 2022

L’assessore Felice: “Incontro utile per lo sviluppo di proposte culturali in linea con quello che è il potenziale attrattivo del nostro territorio”

CAMPOBASSO. Si terrà martedì 5 aprile, presso la sala ‘Domenico Fratianni’ del Circolo Sannitico di Campobasso, con inizio alle ore 18, la presentazione del volume scritto e curato da Gabriella Di Rocco, dal titolo ‘Il Molise della bellezza. Rocche, fortezze, castelli’, edizioni Espera.
Oltre all’autrice Gabriella Di Rocco, interverranno per l’occasione l’architetto Franco Valente, Presidente dell’Istituto Italiano dei Castelli Sezione Molise, Isabella Astorri, Presidente della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali Sezione Molise, e il dottor Luigi Sansone, Presidente della Banca Popolare delle Province Molisane.
All’evento che è patrocinato dal Comune di Campobasso, saranno presenti anche il sindaco di Campobasso, Roberto Gravina, e l’assessore alla Cultura del Comune di Campobasso, Paola Felice.

Il volume curato da Gabrielle Di Rocco si propone di mostrare la bellezza e il fascino dei castelli molisani, del paesaggio spesso ancora intatto in cui essi sono immersi, di tutte quelle rocche e fortezze disseminate sul territorio, abbarbicate su costoni rocciosi e picchi calcarei, che sfidano i secoli e l’incuria degli uomini.
“L’azione di divulgazione e di confronto sulle tematiche storiche e culturali proprie del nostro territorio ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo di proposte culturali in linea con quello che è il potenziale attrattivo che Campobasso e il Molise stanno dimostrando di possedere e poter proporre all’attenzione nazionale e internazionale. – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Paola Felice – Per questo, poter riprendere con continuità a presentare all’attenzione pubblica studi e testi chetracciano un quadro dei nostri tesori risulta essere determinante, sia per permettere un confronto partendo da dati censiti e concreti riferiti al nostro patrimonio e sia per accogliere spunti, suggerimenti e riflessioni qualificate nel corso di incontri, come questo della presentazione del volume scritto da Gabriella Di Rocco, che il Comune di Campobasso vuole valorizzare come meritano.”

Il castello rappresenta indiscutibilmente l’elemento peculiare del paesaggio medievale. In Molise questo è evidente e palpabile. Non esiste borgo o villaggio, agglomerato o paese della Regione che non debba la sua stessa ragion d’essere ad un antico progetto fortificatorio. Nel testo di Gabriella Di Rocco ne sono stati censiti alcuni, quelli che maggiormente rappresentano quel particolare periodo della storia che convenzionalmente siamo adusi a chiamare Età di Mezzo. Nel volume, un ricco apparato fotografico correda e arricchisce l’agile narrazione che accompagna ciascun castello.

 

Alla scoperta della fortezza greca: la visita guidata al Castello Eurialo a due passi da Siracusa
Da balarm.it del 5 aprile 2022

A pochi chilometri da Siracusa, presso la frazione di Belvedere, sorge una delle più straordinarie fortezze costruite dai Greci. Si tratta del castello Eurialo, voluto dal tiranno Dionisio, insieme alle mura, per difendere Siracusa e l'altipiano dell'Epipoli.

La fortezza venne più volte modificata nei secoli e non è da escludere che lo stesso Archimede possa aver dato suggerimenti per le sue modifiche.

Dopo una periodo di chiusura, durato due anni, il monumento ha da poco riaperto al pubblico e, per l’occasione, Hermes Sicily Tours organizza una visita guidata in programma per sabato 9 aprile alle ore 15.30.

Questa visita guidata permette di scoprire storia e curiosità dell'Eurialo, ammirandone i torrioni, i fossati e percorrendone le profonde gallerie fino a giungere alla porta a tenaglia.

 

Ha ritrovato la "Lunetta dello Spirito Santo" del Lotto e il Fante
Da ilrestodelcarlino.it del 5 aprile 2022

Massimo Di Matteo, nato ad Ancona nel 1942, alla libera professione di architetto ha sempre affiancato quella di allestitore di mostre. Come le sei edizioni del ‘Premio Marche’, con Alfredo Trifogli, suddivise tra Palazzo degli Anziani, Mole e Fiera della pesca. Profondo conoscitore delle vicende storiche e artistiche di Ancona, Di Matteo è autore di saggi come ‘Cittadella e Campo Trincerato’, ‘Vittorio Morelli’, ‘Valeriano Trubbiani – A margine’, 2007, oltre che di ‘Costantino Traietti – La pittura dell’anima’, e ‘I plastici processionali della Santa Casa di Loreto tra devozione e architettura’, Ma è in ‘Ankon Borderline’ (Il lavoro editoriale) che ha sintetizzato le sue idee sulla Dorica’.

E’ stato lui a ‘ritrovare’ la Lunetta dello Spirito Santo, facente parte della Pala dell’alabarda di Lorenzo Lotto. "Ai tempi del liceo Rinaldini ‘frequentavo’ la chiesa di San Domenico – racconta –. La prima volta che vidi la lunetta fu nel corridoio dell’ingresso posteriore. Tempo dopo una studiosa fece una ricerca sulla Pala. Seppi così che era corredata da una lunetta e da una predella. Il ricordo mi spinse ad andare nel convento dei Domenicani. Trovai la lunetta nel sottotetto, insieme ai piccioni. Riscontrai affinità con la pittura lottesca. Feci delle foto e convinsi Michele Polverari ad occuparsi della cosa. Presto si scoprì che la tela della lunetta era identica a quella della Pala". A Di Matteo si deve anche il ritrovamento del Fante oggi all’ingresso della Facoltà di economia. Luogo a lui non gradito: "Io lo avrei messo in cima alla scalinata di Palazzo del Popolo".

 

Mezza giornata per scoprire uno dei borghi meglio conservati d’Italia con una rocca straordinaria che aspetta il turista con tantissime sorprese
Da proiezionidiborsa.it del 4 aprile 2022

Di Flavio Stefanoni

Diciamoci pure la verità: in Italia non ci mancano buona cucina e luoghi da visitare. Ormai stanno veramente riaprendo tutte le attività e, con esse anche moltissimi gioielli artistici e architettonici. Questi prossimi due mesi, aprile e maggio, si prestano alle classiche gite fuori porta, in famiglia e con gli amici. Trovare una meta caratteristica e interessante, anche abbastanza vicina a casa, non è un’impresa complicata. Sicuramente più arduo è trovare un itinerario alternativo, senza magari andare troppo lontano gravando sul budget familiare. Agli appassionati di storia e architettura militare, proponiamo oggi questa meravigliosa realtà, che piacerà tantissimo ai bambini, ma anche ai papà.

Per chi studia storia e architettura è un vero gioiello

Soncino, meraviglioso borgo in provincia di Cremona e in piena Pianura Padana è uno splendido esempio di architettura militare ancora praticamente integra. Inserito dagli esperti e dagli studiosi tra i borghi fortificati più interessanti dell’intera penisola. Con la sua cerchia di mura ancora ben conservate, Soncino, rappresenta la classica struttura urbanistica piccola ma perfetta. Siamo sulla sponda destra di quel fiume Oglio che fa da confine naturale alle province di Brescia e Cremona. Proprio la sua posizione strategica ha fatto la storia e la fortuna di questa cittadina. Soprattutto per la grande rivalità tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano che nel corso dei secoli si spartirono questo territorio più e più volte.

Mezza giornata per scoprire uno dei borghi meglio conservati d’Italia con una rocca straordinaria che aspetta il turista con tantissime sorprese

Soncino iniziò a crescere durante il periodo medievale, ma conobbe la sua fortuna in pieno Rinascimento. La stessa Rocca, simbolo e gioiello della comunità locale, venne edificata dagli Sforza, signori di Milano nel 1400. Tra gli architetti che parteciparono alla costruzione, anche i più famosi che contribuirono al famoso Castello Sforzesco di Milano. Purtroppo, come è accaduto per molte parti d’Italia, dal periodo napoleonico al Risorgimento, anche Soncino passò in secondo piano. Negli anni successivi all’unificazione italiana, furono però fatti importanti lavori di restauro di tutto il complesso edilizio.

Cosa visitare

Interamente visitabile, il castello apre le sue porte ai turisti, con la possibilità di visitare le prigioni, i sotterranei, ma anche le meravigliose passeggiate lungo gli spalti. Mezza giornata per scoprire uno dei borghi in assoluto meglio conservati d’Italia e che ci affascinerà in ogni angolo della sua visita.

 

Castelli scaligeri in rete, con un percorso turistico che porta alla loro scoperta
Da veronasera.it del 4 aprile 2022

La prima fase del progetto ha previsto la predisposizione di un percorso didattico all’interno del castello di Montorio. «Un primo passo verso la mostra diffusa sugli Scaligeri in programma nel 2023», ha detto l'assessore Toffali

I castelli scaligeri sono pronti a fare rete per spingere veronesi e non alla loro scoperta, iniziando dalla fortificazione di Montorio che, per l'occasione, riapre al pubblico il sabato e la domenica dalle 10 alle 18: tra le mura e il giardino, nel weekend è stato inaugurato il primo percorso didattico per la visita roccaforti di città e provincia. Un centro informativo interamente dedicato ad un nuovo circuito turistico-culturale voluto dal Comune di Verona e dalla Camera di Commercio di Verona, in collaborazione con l’Associazione delle Due Valli di Montorio, e al quale hanno già aderito i Comuni di Villafranca, Sanguinetto, Lazise, Malcesine, Soave, Torri del Benaco, Valeggio sul Mincio, Salizzole, Peschiera del Garda e la proprietà del Castello di Illasi.

Sabato mattina, all’interno del Castello di Montorio, l’assessore al Turismo Francesca Toffali ha svelato il nuovo progetto di valorizzazione delle fortezze scaligere, ma non solo. Il percorso comprenderà anche alcune località limitrofe, hanno aderito infatti i Comuni di Villimpenta e Ostiglia, in provincia di Mantova, e la direzione statale del Castello di Sirmione, nel bresciano.
Alla cerimonia erano presenti Roberto Luca Dall’Oca, sindaco di Villafranca, Veronica Paon, assessore del Comune di Valeggio sul Mincio, Fabio Ferrari, vicepresidente di Confesercenti Verona.

La prima fase del progetto ha previsto la predisposizione di un percorso didattico all’interno del castello di Montorio, allestito dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Pavia, in collaborazione con la Direzione Affari Generali – Decentramento, ufficio UNESCO del Comune di Verona. Pannelli, arricchiti da disegni architettonici ricostruttivi, spiegano la storia e le strutture delle fortificazioni. Un’occasione anche per riaprire stabilmente il Castello di Montorio al pubblico: l’Associazione delle Due Valli, in accordo con il Comune, garantirà l’accesso tutti i sabato e domenica, dalle 10 alle ore 18. Sono previste anche visite guidate.

«Un primo passo verso la mostra diffusa sugli Scaligeri in programma nel 2023 – ha detto l’assessore Toffali -. I castelli così entreranno in rete diventando un percorso turistico strutturato in grado di attrarre nuovi flussi di visitatori. Allo stesso tempo, grazie a questo progetto, le fortezze presenti sul territorio verranno valorizzate, così come stiamo facendo per le mura magistrali».

 

Francesco di Giorgio Martini, tra opere pittoriche e fortificazioni
Da villegiardini.it del 3 aprile 2022

Rocca di Sassocorvaro chiamata anche Rocca Ubaldinesca, costruita intorno al 1475 - ©Dino Quinzani (Flickr CC BY-SA 2.0)

Di Maria Giulia Parrinelli

Francesco di Giorgio Martini è stato un architetto, ingegnere, pittore, scultore e scrittore italiano che con le sue opere pittoriche ha dato lustro alla Scuola Senese. È considerato un teorico dell’architettura visionario ma anche un prolifico ingegnere militare che progettò tra le altre cose quasi settanta fortificazioni per Federico da Montefeltro che divenne duca di Urbino. Costruì mura cittadine e primi esempi di fortificazioni a forma di stella.

Per decenni lavorò al Trattato di architettura civile e militare, terzo scritto di questo tipo dopo quello di Leone Battista Alberti e di Filarete.

Indice dei contenuti dell'articolo

1. La formazione
2. Le prime opere a Siena
3. Urbino
4. Trattato di architettura, ingegneria e arte militare
5. Marche
6. Consulente militare
7. Ritorno a Siena

La formazione

Di Francesco di Giorgio Martini è nato a Siena nel settembre 1439 ed è morto nella città toscana il 29 novembre del 1501 e seppellito nella Basilica dell’Osservanza.
Osservano le prime opere è quasi certo che Francesco di Giorgio Martini si sia formato alla bottega di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta. Soprattutto perché il giovane si dedicava sia alla pittura che alla scultura seguendo proprio le orme del maestro.
Dato che si trattava di un artista agli albori della carriera Francesco di Giorgio Martini nel primo periodo, si occupa soltanto di piccole opere pittoriche e non di rilievo. Probabilmente la sua prima opera risale al 1460 e oggi può essere ammirato a Siena all’archivio di Stato e rappresenta il Papa Pio II che nomina cardinale il nipote Francesco Todeschini Piccolomini. Sempre dello stesso anno è il codice minato, raffigurante la Natività, per un libro liturgico dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

La sua prima commessa è del 1464 e si tratta di una scultura lignea raffigurante San Giovanni Battista.
I quegli anni si è recato sia a Firenze per conoscere le novità culturali sia a Roma con il Vecchietta. Qui ha potuto ammirare i resti classici ed ha potuto continuare la sua formazione a 360 gradi. Conosceva oltre che pittura e scultura anche l’architettura ed ingegneria, avendo studiato le macchine e le invenzioni del Taccola.

Le prime opere a Siena

Risalgono al periodo che va dal 1467 fino al 1475 le opere di un Francesco di Giorgio Martini indipendente caratterizzate da uno stile unico e inconfondibile. Viene fuori in tutto il suo splendore le caratteristiche della Scuola Senese grazie alle scene composte ed eleganti che presentano figure aggraziate ed espressive. Nel corso del tempo le composizioni di arricchiscono di plasticità ma soprattutto di prospettiva prendendo spunto dalla scuola fiorentina.
Per adesso continua a lavorare a Siena e dintorni e le sue opere principali sono pitture che oggi possono essere ammirate nella Pinacoteca Nazionale di Siena. Dipinge molte tavole con la Madonna e il Bambino ma anche l’Annunciazione per la chiesa di San Domenico a Siena, l’Incoronazione della Vergine per l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore e la Natività per il convento di Monte Oliveto Minore entrambe in provincia di Siena. Quest’ultima può essere considerata il momento in cui Francesco di Giorgio Martini passa dallo stile tardo gotico ad uno stile rinascimentale che caratterizzerà le opere della maturità.

Urbino

Federico da Montefeltro richiese la presenza di Francesco di Giorgio Martini soprattutto per opere di architettura civile e militare. A Urbino si occupò per la prima volta di architettura occupandosi della chiesa, di San Bernardino e del convento di Santa Chiara. Andò a sostituire Luciano Laurana per la terza fase della costruzione del palazzo Ducale e progettò residenze e fortificazioni.
Si dimostrò immediatamente capace nella progettazione di macchine e costruzioni militari che presentò al duca di Urbino. Questi studi saranno poi la base per il suo famoso trattato di architettura civile e militare.
Essendo l’ingegnere militare partecipò al fianco dei Montefeltro alle campagne militari cosa che continuerà a fare anche per il regno di Napoli o per la Repubblica senese.

Pagina del trattato conservata a Torino nella Biblioteca Reale

Trattato di architettura, ingegneria e arte militare

Lavorò a questo trattato per decenni forse già prima di recarsi a Urbino. Lo terminò nel 1482 ed era diviso in due parti, la parte chiamata “Architettura, ingegneria e arte militare” e quella dal titolo “Architettura civile e militare”.
I progetti erano molto in anticipo rispetto ai progetti completati all’epoca e le innovazioni, ad esempio nella pianificazione delle scale, delle rampe e dei pianerottoli divenne parte del vocabolario architettonico del secolo successivo. Francesco di Giorgio Martini si occupa anche della città “ideale”, vincolata all’interno di geometrie poligonali a forma di stella tipiche della fortificazione alla moderna chiamata anche fortificazione all’italiana. Si pensa che forma a cuneo dei bastioni sia stata una sua idea.

Marche

Alla morte del duca Federico da Montefeltro nel 1482 si staccò da Urbino iniziando a lavorare per Giovanni Della Rovere. Per lui Francesco di Giorgio Martini realizzò opere come la Chiesa di Santa Maria delle Grazie al Calcinaio a Cortona, il Palazzo del Governo ad Ancona ideate entrambe nel 1484. Ma sarà il Palazzo della Signoria a Jesi del 1486 una delle sue più belle opere mostrando anche delle influenze dello stile di Luciano Laurana di cui conobbe le opere ad Urbino.

Consulente militare

Nonostante le pressioni, Francesco di Giorgio Martini dedicherà del tempo alla sua città natale soltanto brevi periodi e poche opere durante la sua maturità. Curò la riparazione e la fortificazione del ponte di Maciareto e nel 1489 ritornò stabilmente a Siena. Continuò a viaggiare per fare consulenza per progetti nel campo militare e delle fortificazioni. Era richiesto da Giovanni della Rovere che ne richiedeva il ritorno ma scelse di recarsi da Virginio Orsini per la Rocca di Bracciano e per il Castello di Campagnano.
Ludovico il Moro lo convocò per la cattedrale di Pavia e per avere dei pareri sull’erezione del tiburio del Duomo di Milano. Qui incontrò alcune delle menti più illuminate del periodo come Giovanni Antonio Amadeo ma anche il Bramante e Leonardo da Vinci. Fece molti viaggi a Napoli tra il 1491 e il 1497 nei quali costruì una doppia cinta muraria e rafforzò la fortezza.

Ritorno a Siena

Una volta tornato a Siena, quando non era in viaggio per l’Italia, si dedicò nuovamente ad opere pittoriche. Dipinse nel periodo che va dal 1488 al 1494 la Natività della Basilica di San Domenico e la coppia di affreschi raffiguranti la Natività della Vergine e la Natività di Cristo per la cappella Bichi della Chiesa di Sant’Agostino. Queste sono sicuramente le opere pittoriche più importanti di Francesco di Giorgio Martini che mostrano l’enorme evoluzione fatta dalle opere del periodo 1467-1475.

Sono suoi gli angeli per l’Altare del Duomo di Siena e il Cristo deposto nella Basilica dei Servi fatto in terracotta dipinta. La sua scultura in legno del 1494 raffigurante San Cristoforo realizzata per la cappella Bichi nella chiesa di Sant’Agostino è oggi conservata al Louvre. L’ultima opera è la Spoliazione di Cristo sulla via del Calvario datata 1501 oggi conservata nella Pinacoteca Nazionale di Siena.
A Siena Francesco di Giorgio Martini ha costruito alcune opere  architettoniche come nel 1493 la Villa Chigi a Le Volte e tre anni dopo la Chiesa di San Sebastiano in Vallepiatta oggi conosciuta come oratorio della Contrada della Selva.

 

Cervia, aperto il bunker Regelbau. All'interno un verso di Schiller
Da corriereromagna.it del 3 aprile 2022

Di Massimo Previato

Il grande bunker “Regelbau 668” di via Mascagni a Milano Marittima è aperto al pubblico. Questa la novità delle visite guidate ai bunker 2022, con la possibilità di visitarlo all’interno dove, oltre all’allestimento con oggettistica originale dell’epoca, è anche custodito un misterioso e straordinario affresco che riporta un verso del poeta Schiller. Sono dunque ufficialmente ripartite le visite guidate a questi residuati di guerra, proposte dal Comune in collaborazione con l’associazione Crb360°Ets e Cervia turismo. Il bunker Regelbau era una struttura di comando, tra le più grandi in zona, e gestiva i contatti radio con le truppe e le artiglierie circostanti.

E’ collegato ad un bunker più piccolo tramite un corridoio sotterraneo. La visita prosegue nel lungomare, dove sono disseminati altri rifugi difensivi di tipo “Tobruk” e i “denti di drago”, tipici sbarramenti questi ultimi che contribuivano alla difesa della linea Gotica del fronte dagli assalti via mare. Già tante scuole di Cervia si sono iscritte alla visita guidata per permettere ai ragazzi di poter ascoltare, dagli stessi restauratori, una parte drammatica degli accadimenti della seconda Guerra mondiale e sviluppare una maggiore consapevolezza storica. «E’ importante che soprattutto i giovani conoscano bene il nostro passato – spiega la delegata del sindaco Federica Bosi –, affinché gli errori di ieri non si ripetano anche ai giorni nostri, in considerazione anche degli ultimi accadimenti europei, che minano gli ideali di pace tra i popoli».

Le escursioni sono prenotabili a Cervia turismo, e si svolgono il sabato mattina. Nel periodo estivo verrà promossa una suggestiva visita in notturna, sempre con ingresso nel Regelbau.

 

Le antiche fortezze della Garfagnana seguendo le tracce di Ludovico Ariosto
Da iltirreno.it del 1 aprile 2022

Da simboli di potere a preziose testimonianze da ammirare fra Mont’Alfonso e Castelnuovo

Di Paola Taddeucci

Secoli fa erano il segno del potere. Da lassù i signori potevano controllare il popolo e
difendersi dai nemici, tanto che c’era una sorta di gara a costruirne sempre più alte, imponenti e inespugnabili. Oggi, per fortuna, non assolvono più a questi compiti e le
fortezze della Garfagnana sono patrimonio di tutti, preziose testimonianze da ammirare
e da scoprire.

MONT’ALFONSO

Oltre un chilometro di mura, sette baluardi, un camminamento per la ronda, due porte, diversi edifici su una superficie di circa sessantamila metri quadrati: quella di Mont’Alfonso, su un colle che domina Castelnuovo, è tra le fortezze più significative e importanti. Fu costruita per volontà di Alfonso II d’Este tra il 1579 e il 1586 per difendere la città e il dominio del suo casato – che occupò per secoli gran parte della Garfagnana – dalla Repubblica di Lucca e dai fiorentini. E fu costruita bene: la notevole mole e soluzioni architettoniche innovative scoraggiarono i nemici tanto che l’unico assedio di cui si ha notizia risale agli inizi del ’700. Venduta a privati alla fine dell’800, divenne un podere agricolo poi abbandonato, fino a quando fu acquistata nel 1980 dalla Provincia di Lucca, che l’ha restituita alla cittadinanza dopo il restauro sia della cinta muraria che degli edifici rimasti. Oggi è sede di uffici pubblici, ed eventi culturali e mostre. Secondo una leggenda la fortezza sarebbe collegata attraverso una galleria sotterranea alla Rocca Ariostesca di Castelnuovo: un passaggio segreto che, in caso di assedio, avrebbe permesso di rifugiarsi all’interno delle mura. All’aria aperta, invece, è il suggestivo sentiero pedonale dell’Ariosto che parte dal centro e arriva fino al colle.

IL SEGNO DI ARIOSTO

Nonostante la permanenza di soli tre anni dal 1522 al 1525, Ludovico Ariosto ha lasciato il segno a Castelnuovo, come dimostrano le ripetute intitolazioni e le iniziative che puntualmente vengono organizzate in suo onore. Nel 2022, in occasione dei cinque secoli dal suo arrivo, gli eventi sono già partiti e andranno avanti per tutto l’anno; verrà anche aperto un museo a lui dedicato. L’autore dell’Orlando Furioso fu governatore per conto degli estensi e visse nella fortezza a lui intitolata, simbolo della città. Costruita nel XI secolo e da sempre sede del potere, ancora oggi domina l’intero borgo dalla piazza principale con la sua mole a trapezio, alleggerita dalla presenza di due piccole corti interne. Nel corso del ’200 e nel ’300 subì modifiche e ampliamenti, compresa l’edificazione della torre civica con l’orologio, mentre è del 1675 la terrazza che guarda sulla piazza, eretta in concomitanza con l’apertura dell’arco monumentale di accesso al centro. Sede municipale fino alla Seconda guerra mondiale, nel 1944 subì pesanti bombardamenti che causarono seri danni, ai quali è stato posto rimedio con varie istrutturazioni nei successivi decenni. Quest’anno è prevista la conclusione del nuovo restauro finalizzato alla creazione del museo.

IL DOPPIO TRAMONTO

Parla estense anche la rocca di Trassilico, borgo a oltre 700 metri di quota nel territorio comunale di Gallicano. Su un fortilizio già esistente fin dal XII secolo nel punto più alto del paese, gli Este ne fecero costruire uno più imponente e adatto alla difesa, visto che Trassilico era l’avamposto meridionale del ducato in una zona teatro di cruente lotte di confine con la Repubblica di Lucca. Proprio la posizione elevata, tuttavia, segnò la decadenza della fortezza che, troppo esposta a fulmini e forti venti, nel ’700 venne abbandonata come presidio militare e amministrativo per essere destinata a fini agricoli. In tempi recenti il restauro l’ha resa praticabile alle visite, valorizzando di nuovo la sua posizione privilegiata, questa volta non più per scopi bellici. Un panorama mozzafiato, infatti, attende chi sale sul colle, da cui si può godere, tra l’altro, lo spettacolo del doppio tramonto sul Monte Forato, cima delle Apuane con un insolito arco: in certi giorni dell’anno il sole scende dietro la prima vetta e poco dopo riappare per alcuni secondi attraverso il buco, prima di scomparire definitivamente dietro la seconda vetta. Una rara meraviglia della natura intrisa di leggenda e di misticismo.

MUSEO VIVENTE

Dalla metà del ’400 gli Este si insediarono anche nella maestosa fortezza di Verrucole, frazione di San Romano, modificando quello che fin dal X secolo era stato il centro del potere di altri feudatari. Le sue fattezze attuali risalgono principalmente a due periodi: l’epoca del marchese Leonello (circa 1450) e di Alfonso II (circa 1564) che la trasformarono in una cittadella costituita da due rocche, una quadrata e una circolare. Persa la sua funzione militare e utilizzata per altre funzioni, passata poi ai privati e infine messa all’asta, nel 1986 fu acquistata dal Comune di San Romano e in seguito restaurata. Dal 2013 è visitabile grazie al progetto Verrucole Archeopark che prevede la ricostruzione della vita all’interno della fortezza sotto forma di museo vivente, com’era quando era abitata in passato (info su www. fortezzaverrucolearcheopark. it o pagina facebook relativa).

LA FORZA DI CASTIGLIONE

Una delle poche comunità della Garfagnana non sottomesse agli estensi fu quella di Castiglione, che rimase fedele alla Repubblica di Lucca difendendola strenuamente da numerosi attacchi. La rocca attuale – di proprietà privata, ma visitabile su prenotazione rivolgendosi alla Pro Loco – risale alla fine del ’300, quando la cinta muraria venne ampliata fino a una lunghezza di 750 metri e un’altezza tra 11 e 17: un complesso fortificato tra i più suggestivi del territorio, tale da rendere Castiglione uno dei borghi più belli d’Italia.