Di
Antonio Mazzeo
Narrazione falsa e pericolosamente omissiva
quella relativa al progetto di realizzazione
della grande cittadella militare a Coltano
(Pisa), all’interno del parco regionale di
Migliarino – San Rossore – Massaciuccoli. Il
Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri
preannuncia mirabolanti effetti
socio-economici ed ambientali sul
territorio, enfatizzando in particolare i
benefici per la popolazione in termini di
sicurezza e ordine pubblico. Certo, ce ne
vuole a parlare di “riqualificazione” quando
si punta a cementificare 73 ettari di
terreni, in buona parte ad uso agricolo, per
realizzare - con la spesa di 190 milioni di
euro - oltre 440.000 di edifici (caserme,
alloggi per militari e famiglie, poligoni di
tiro, ecc.). Ma forse quello che più offende
il buon senso e la ragione è il maldestro
tentativo della Difesa di spacciare
l’agognata superfortezza dei corpi d’élite
dei Carabinieri (i paracadutisti del “Tuscania”,
gli incursori del G.I.S. e il Centro
Cinofili) per una pacifica residenza di
tanti simpatici protagonisti delle più note
e fortunate serie televisive Rai, dal
Maresciallo Rocca con il compianto Gigi
Proietti, al maresciallo Cecchini (alias
Nino Frassica) in Don Matteo. In verità, ciò
che non si vuol far sapere ai cittadini, è
che il costosissimo progetto per la
Cittadella dei CC di Coltano è funzionale al
rafforzamento del ruolo geo-strategico di
quello che è ormai uno dei maggiori hub in
Italia per proiettare le forze armate
nazionali, USA, NATO ed extra-NATO in
qualsivoglia scacchiere di guerra, ad Est
come a Sud: il tridente toscano
Pisa-Livorno-Firenze, con il megacomplesso
di Camp Darby, l’aeroporto di San Giusto, il
porto e l’accademia navale livornesi, le
tante caserme dei parà della “Folgore”, il
centro di ricerca militare avanzato (già
nucleare) di San Piero a Grado, il comando
fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto”
che dal prossimo anno opererà come
Multinational Division South NATO per gli
interventi alleati nel Mediterraneo e nel
continente africano, ecc..
Un reparto d’élite per le guerre globali
Il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti
“Tuscania” è il reparto ad altissima
specializzazione dell’Arma dei Carabinieri.
Fino ad oggi di stanza nella caserma
“Vannucci” di Livorno (anche sede del
Comando della Brigata “Folgore”, del 187°
Reggimento Paracadutisti e del 9° Reggimento
“Col Moschin” dell’Esercito italiano), il
“Tuscania” è inserito nella 2° Brigata
Mobile dei Carabinieri insieme al G.I.S. -
Gruppo di Intervento Speciale e ad altri due
reggimenti dell’Arma (il 7° “Trentino Alto
Adige” con sede a Laives, Bolzano, ed il 13°
“Friuli Venezia Giulia” di Gorizia).
Il “Tuscania” viene considerato come l’erede
diretto della prima unità delle truppe
aviotrasportate italiane, il 1° Battaglione
Paracadutisti “Carabinieri Reali”,
costituito a Roma il 1° luglio 1940 e
confluito successivamente nella Divisione
Paracadutisti “Folgore”. Dopo la
costituzione questo reparto fu inviato dal
regime fascista in Libia nel luglio 1941.
Sei mesi più tardi, su ordine del
feldmaresciallo Erwin Rommel, capo delle
truppe tedesche in Africa settentrionale, il
1° Battaglione Paracadutisti venne impiegato
contro le forze corazzate britanniche ad
Eluet el-Asel in una delle battaglie più
tragiche della campagna militare italiana in
Nord Africa durante la Seconda guerra
mondiale. (1) L’unità venne ricostituita nel
1951 con il nome di “Reparto Carabinieri
Paracadutisti” presso il Centro militare di
paracadutismo di Viterbo; temporaneamente
rischierata nel 1957 a Pisa, dal gennaio
1963 venne trasferita a Livorno alle
dipendenze della rinata Brigata
Paracadutisti “Folgore”. Al tempo venne
impiegata principalmente come unità speciale
antiterrorismo per fronteggiare una serie di
attentati dinamitardi in Sud Tirolo. Con la
ristrutturazione dell’Esercito del 1975, il
reparto ricevette la denominazione di 1°
Battaglione Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”,
svolgendo contestualmente le missioni
militari tipiche delle truppe
aviotrasportate e le funzioni di polizia e
controllo dell’ordine pubblico e di
“contrasto della criminalità organizzata e
del terrorismo”. Il 15 marzo 2002, a seguito
della costituzione in forza armata autonoma
dell’Arma dei Carabinieri, il “Tuscania”
uscì dai ranghi dell’Esercito per essere
posto alle dipendenze della 2^ Brigata
Mobile Carabinieri.
Attualmente al reparto specializzato dei
Carabinieri sono assegnati 500 effettivi
circa. “Il 1° Reggimento Paracadutisti si
caratterizza oggi più che mai per una doppia
anima, da un lato la veste di corpo di
polizia di pronto impiego per missioni ad
alto rischio, dall’altro quella di unità
militare aviolanciabile di élite, con forti
vincoli affettivi ed addestrativi che
permangono, anche dopo l’elevazione al rango
di Forza Armata dell’Arma dei Carabinieri,
con la Brigata Paracadutisti Folgore”,
scrive Alberto Scarpitta, ex ufficiale dei
Lagunari, su Analisi Difesa. “Si tratta
pertanto di un reparto estremamente duttile,
dotato di una straordinaria flessibilità di
impiego ed in grado di operare con efficacia
nella vasta zona grigia compresa tra le
funzioni di polizia e quelle militari, un
ambito di impiego di grande attualità nei
moderni scenari internazionali”. (2) In
combattimento, ai militari del “Tuscania”
viene affidata l’occupazione preventiva di
punti sensibili in territorio ostile;
l’interdizione e la controinterdizione
d’area; l’attività di controguerriglia e di
contro insurrezione in scenari ibridi ed in
missioni di stabilizzazione; il supporto
delle Forze Speciali in attività di
ricognizione, azione diretta, assistenza
militare e controterrorismo; l’evacuazione
di cittadini italiani da Paesi a rischio o
da zone di guerra. “All’interno dei plotoni
che lo compongono sono presenti elementi
specializzati, in particolare spiccano gli
addetti alla bonifica di ordigni esplosivi;
il Joint- Terminal-Attack Controller per il
coordinamento degli attacchi aerei di
precisione; gli operatori al designatore
laser dei bersagli; i tiratori scelti,
ecc.”, aggiunge Alberto Scarpitta.
Per affinare le capacità di impiego anche in
ambito NATO nella “conduzione delle
operazioni, a seguito di aviolancio, in
ambienti operativi non permissivi per la
conquista e la tenuta di posizioni
strategiche”, i militari del “Tuscania”
svolgono periodicamente complesse
esercitazioni congiuntamente ai reparti di
trasporto aereo e guerra elettronica
dell’Aeronautica Militare e alle unità
aviotrasportate d’élite delle forze armate e
della Guardia Nazionale USA. Annualmente si
tiene nelle aree addestrative della Toscana
l’esercitazione multinazionale ed interforze
“Mangusta”, sotto la guida della Brigata
“Folgore”. Ad una delle ultime edizioni, i
parà italiani del “Tuscania” e della
“Folgore”, il Centro Carabinieri Cinofili di
Firenze e i militari statunitensi hanno
simulato un intervento delle forze alleate
per “conquistare l’aeroporto occupato da
forze ostili con l’aviolancio di una prima
aliquota con lo scopo di preparare il
terreno per l’entrata in teatro dei
successivi scaglioni”. (3)
In Italia il 1° Reggimento Carabinieri
Paracadutisti viene impiegato principalmente
a supporto tattico del G.I.S - Gruppo di
Intervento Speciale, all’interno dei
cosiddetti dispositivi UnIS(Unità
d’Intervento Speciale) del Ministero
dell’Interno. “Dopo gli attentati di Parigi
e di Bruxelles, che hanno visto l’insorgere
di una minaccia diffusa ed imprevedibile in
tutto il continente europeo, il “Tuscania” è
stato inoltre chiamato dal Comando Generale
dell’Arma a costituire, assieme ad elementi
del GIS, delle apposite Task Unit
Antiterrorismo (TUAT) di alto profilo
qualitativo schierate in punti sensibili ed
in occasione di eventi particolari per
affrontare la nuova minaccia rappresentata
da attentatori suicidi pronti a colpire
obiettivi civili in situazioni di
combattimento urbano”, spiega ancora l’ex
ufficiale Alberto Scarpitta di Analisi
Difesa. Oltre a partecipare alle azioni
dirette alla “liberazione di ostaggi”, il “Tuscania”
opera a fianco dei reparti territoriali
dell’Arma nella ricerca di latitanti e
nell’addestramento specifico dei Carabinieri
destinati alle missioni militari all’estero.
(4) Gli istruttori del “Tuscania” provvedono
anche alla selezione e formazione del
personale assegnato agli Squadroni
Carabinieri Eliportati “Cacciatori”
operativi in Calabria, Sardegna, Sicilia e
Puglia.
Perennemente in missione e tanto armati
Data l’alta valenza delle operazioni
militari e sicuritarie, il 1° Reggimento
Paracadutisti è dotato di numerosi e
sofisticati equipaggiamenti e sistemi
d’arma: tra essi spiccano le carabine M-4
calibro 5,56mm prodotte dall’industria
statunitense Bushmaster Firearms
International, i lanciagranate M203 da 40mm,
i fucili SCP-70/90 dell’italiana Beretta, le
pistole mitragliatrici calibro 9mm
Parabellum, ecc.. E’ in corso di
acquisizione il visore Mepro MOR che
“racchiude in un unico apparato un’ottica
reflex, un puntatore laser visibile per
impiego urbano ed uno IR per utilizzo
notturno e operazioni coperte”. (5) Il
visore è prodotto dall’azienda Meprolight
(interamente controllata da SK Group, uno
dei maggiori gruppi del complesso
militare-industriale israeliano), ed è
impiegato da diverso tempo dalle forze
armate dello Stato di Israele. (6)
Innumerevoli gli interventi nelle aree di
conflitto del personale del “Tuscania”. Nel
1982 i parà furono schierati in Libano per
presidiare i campi rifugiati palestinesi
alla periferia di Beirut. Nel 1991 il
Reggimento fu inviato nel Kurdistan irakeno
mentre tra 1992 e il 1994 ha operato in
Somalia nel quadro della controversa
missione internazionale di “stabilizzazione”
Restore Hope (Ridare Speranza), intervenendo
in numerose azioni di combattimento. Tra il
1995 e il 1999 il “Tuscania” ha partecipato
alle diverse missioni operative NATO nei
Balcani e, dopo il 2001, nei teatri di
guerra in Iraq e in Afghanistan. In quest’ultimo
paese i parà dei Carabinieri hanno diretto
innumerevoli corsi addestrativi a favore
delle ricostituite forze di polizia afgane.
Attualmente le unità del Reggimento
cooperano ai servizi di sicurezza della
città di Mitrovica (Kosovo), di scorta e
protezione nelle sedi diplomatiche italiane
in Libia, Iraq (Erbil e Baghdad), Somalia,
Libano e Ucraina (a Kiev dal giugno 2022),
nonché all’addestramento e all’assistenza
“antiterrorismo” dei peshmerga (le forze
armate della regione autonoma del Kurdistan
iracheno), della Gendarmeria Nazionale del
Niger e delle polizie di Iraq, Kosovo,
Palestina, Somalia e Gibuti. (7) I corsi
puntano a fornire le “competenze per
pianificare e realizzare operazioni di
polizia in particolari contesti operativi,
con tecniche e procedure avanzate, scorte e
protezione VIP, addestramento al tiro,
pianificazione e gestione di attività
antidroga e contro la criminalità
organizzata, ecc.”. Nell’ambito della
missione italiana di “formazione” e
assistenza della Marina militare e della
Guardia costiera libica per il controllo
delle acque territoriali del paese
nordafricano principalmente in funzione
anti-migrazione, ai paracadutisti del
“Tuscania” è affidata la “sicurezza” del
personale della Guardia di Finanza
distaccato in Libia. (8) Ai militari del
Reggimento, in concorso con il Gruppo di
Intervento Speciale dei Carabinieri, sarà
attribuito un ruolo chiave nell’ambito delle
attività anti-terrorismo predisposte dalle
autorità del Qatar in occasione del
Campionato Mondiale di Calcio in programma
dal 21 novembre al 18 dicembre 2022. Il
“Tuscania” e il G.I.S. hanno già preso parte
all’esercitazione multinazionale Watan,
tenutasi in Qatar nel novembre 2021 per
testare le forze di sicurezza e pronto
intervento che saranno schierate a “difesa”
della Fifa World Cup. (9) In vista della
kermesse sportiva, il governo dimissionario
di Mario Draghi ha varato il decreto
missioni internazionali per l’anno 2022 in
cui è inserito l’intervento di supporto alle
forze armate qatariote con l’impiego di 560
militari, 46 mezzi terrestri, un mezzo
navale e due aerei, per una spesa prevista
di 10.811.025 euro. Alla task force italiana
si affiancheranno i reparti d’élite di
Francia, Regno Unito, USA e Turchia. (10)
Le principali missioni internazionali
svolte dal 1° Reggimento Carabinieri
Paracadutisti “Tuscania”
Namibia (1989-1990), UNTAG
Kurdistan (1991), AIRONE 1
Turchia (1991), AIRONE 2
Somalia (1992-1994), IBIS
Cambogia (1992), UNTAC
Somalia (1993), UNOSOM
Israele (1994), TIPH 1
Bosnia (1996-2003), IFOR/SFOR
Palestina (1996), TIPH 2
Albania (1997-1999), ALBA
Timor Est (1999-2000), STABILISE
Kosovo (2000-2003), JOINT GUARDIAN
Macedonia (2001-2002), AMBER FOX
Afghanistan (2001-2021), ISAF
Iraq (dal 2003), MSU
Striscia di Gaza (2005-2009), EUBAM RAFAH
Palestina (Gerico, marzo-luglio 2014),
MIADIT PALESTINA
Libia (Tripoli, marzo-luglio 2014), MMIL
Nel corso degli anni, al Reggimento è stata
anche affidata la sicurezza delle Sedi
diplomatiche nazionali all’estero nelle aree
e nei periodi di maggior “rischio”: Libano,
Somalia, Arabia Saudita, Zaire, Perù,
Algeria, Albania, Congo, Serbia, Iraq,
Israele, Afghanistan, Pakistan, Libia.
(Fonte:
https://www.carabinieri.it/chi-siamo/oggi/organizzazione/mobilee-
speciale/2-brigata-mobile/1-reggimento-paracadutisti-'tuscania')
Il Mal d’Africa dei carabinieri parà
Tra le operazioni all’estero del “Tuscania”,
quelle che più hanno destato e destano
ancora sconcerto e preoccupazione per le
pesanti ricadute in termini di violazione
dei diritti umani e del diritto
internazionale umanitario, riguardano il
martoriato Corno d’Africa. In seguito
all’accordo sottoscritto nel 2013 dalle
autorità italiane e quelle della Repubblica
di Gibuti e della Somalia è stata attivata
la Missione bilaterale MIADIT Somalia, con
l’obiettivo di “creare le condizioni per la
stabilizzazione della Somalia e dell’intera
Regione del Corno d’Africa, mediante
l’accrescimento delle capacità operative
delle forze di polizia somale e
l’addestramento delle forze di polizia
gibutiane”. (11) La base operativa di MIADIT
Somaliasorge a Gibuti, l’enclave desertica
tra Eritrea, Etiopia e Somalia di appena
23.000 Kmq con una posizione geostrategica
tra le più importanti al mondo, proprio di
fronte lo Stretto Bab El Mandeb che separa
il Mar Rosso dal Golfo di Aden, principale
rotta marittima commerciale e petrolifera
tra l’Asia e l’Europa. E’ qui che vengono
svolte le attività addestrative delle
polizie gibutine e somale da parte di
“istruttori” del 1° Reggimento Paracadutisti
“Tuscania”, del G.I.S., del Centro
Carabinieri Cinofili di Firenze e del CoESPU
(Center of Excellence for stability Police
Units), il “Centro di formazione
internazionale d’eccellenza” dell’Arma che
ha sede a Vicenza. Il contributo nazionale a
MIADIT Somalia prevede un impiego massimo di
53 militari e la fornitura di quattro mezzi
pesanti; le attività riguardano
l’addestramento individuale al combattimento
e all’intelligence; interventi nei centri
abitati; tecniche antiterrorismo,
investigative, di controllo del territorio e
gestione dell’ordine pubblico e della folla;
ricerca e neutralizzazione di armi ed
esplosivi. Fino ad oggi i corpi scelti dei
Carabinieri hanno addestrato oltre 2.600
unità appartenenti alla Polizia Somala, alla
Polizia Nazionale e alla Gendarmeria
Gibutiana, contribuendo inoltre alla
ristrutturazione dell’Accademia di Polizia
di Mogadiscio. (12)
Come segnalato da innumerevoli rapporti del
Segretario Generale ONU, l’Esercito e la
Guardina Nazionale somali addestrati dai
Carabinieri italiani arruolano e utilizzano
minori in combattimento. Nel report su
Bambini e conflitti armati, pubblicato il 6
maggio 2021, il Segretario generale delle
Nazioni Unite ha accertato il reclutamento e
l’utilizzo in azioni di guerra di 1.716
minori (1.655 bambini e 61 bambine),
prioritariamente da parte dei gruppi ribelli
di Al-Shabaab, ma anche da parte delle forze
governative, compresi la polizia somala,
l’esercito nazionale e la National
Intelligence and Security Agency, nonché dai
reparti armati e di polizia regionali (Jubaland,
Galmudug, Puntland). La partecipazione dei
militari italiani a fianco di regimi che in
violazione del diritto internazionale
consentono l’arruolamento di minori nei
reparti armati e la loro partecipazione in
operazioni belliche è stata stigmatizzata
dal rapporto 2022 sul monitoraggio
dell’attuazione della Convenzione sui
Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in
Italia, pubblicato da un network di cento
associazioni (Agesci, Archivio disarmo, ASGI
– Associazione per gli Studi Giuridici
sull’Immigrazione, Caritas,
Cittadinanzattiva, Legambiente, Unicef
Italia, ecc.). (13)
In Corno d’Africa si sono moltiplicati negli
ultimi anni i corsi addestrativi del
“Tuscania” rivolti al personale delle
compagnie denominate “Darawish” (o anche
darwish), le nuove unità mobili della Somali
Police Force che – secondo Analisi Difesa –
sono “specializzate in attività di stability
police e interventi ad alto rischio, a
composizione inter-clanica, schierate
principalmente nella capitale Mogadiscio e
destinate a divenire fondamentali per la
stabilità e la tutela dell’ordine e della
sicurezza pubblica della Somalia” (14).
Nell’aprile 2021, in particolare, i
Carabinieri hanno formato le unità
“Darawish” all’uso progressivo della forza,
espressione che in ambito militare
identifica la “scala del confronto tra le
forze di polizia e gli antagonisti”. “Lo
scenario prevedeva quattro differenti fasi:
protezione di soggetti ad alto rischio,
ordine pubblico, intervento armato e
tecniche operative speciali del fire
fighting, il controllo meccanico (arresto ed
ammanettamento), l’impiego di armi non
letali (tonfa o gas)”, annota il comando di
MIADIT. Infine, “un team selezionato di
militari somali ha eseguito le tecniche
dello spegnimento delle fiamme sulla persona
fra lo stupore delle autorità presenti ed il
plauso dei poliziotti gibutiani…”. (15)
I
“Darwish” addestrati a Gibuti dal personale
italiano sono poi impiegati nella regione
meridionale di Lower Shabelle, da lungo
tempo al centro di un sanguinoso conflitto
tra le forze armate regolari e i gruppi
islamisti armati di Al- Shabaab. “A Lower
Shabelle le unità Darwish della polizia
federale sono responsabili del controllo
delle frontiere, della protezione delle
infrastrutture e del personale governativo,
dell’assistenza in caso di disastri, della
lotta al terrorismo e all’insorgenza”,
spiega la missione delle Nazioni Unite in
Somalia. (16)
I
pericoli insiti nella decisione di affidare
compiti bellico-sicuritari a queste milizie
paramilitari sono stati analizzati da una
delle maggiori esperte di “guerre ibride”,
la statunitense Vanda Felbab-Brown, in uno
studio pubblicato nel 2020 dal Centro di
ricerca politica della United Nations
University di Tokyo. “L’origine del termine
darwish scaturisce dalle differenti milizie
che hanno svolto funzioni militari o di
polizia, operando indipendentemente
dall’Alleanza Nazionale Somala, sotto la
direzione dei presidenti degli stati membri
della federazione”, scrive l’analista.
“Relativamente alle loro origini, le forze
darwish sono state una base di potere
importante per gli attori dell’élite
politica, una sorta di guardia pretoriana
che fornisce protezione e minaccia di forza
contro i rivali”.
Secondo Vanda Felbab-Brown, sostenere,
addestrare, armare e cooptare milizie di
questo genere può condurre a gravi
conseguenze. “La lealtà di queste milizie è
fluida e le stesse sono suscettibili di
essere reclutate dai loro nemici e possono
mettere al primo posto i propri interessi –
o quelli di un padrone esterno – contro
quelli dello Stato”, aggiunge l’analista.
“Essendo profondamente legate alla politica
economica della Somalia, le milizie hanno
una forte tendenza ad appropriarsi
dell’autorità politica, rafforzando forme
autoritarie di governo, monopolizzando le
economie locali e finendo per impegnarsi in
altre attività paramafiose. In questo modo,
i loro esasperati conflitti locali,
accrescono le lamentele e il rafforzamento
politico di al-Shabaab in parti del paese”.
Il governo italiano e lo Stato Maggiore
della difesa sembrano però sconoscere le
documentate denunce sugli abusi e le
violazioni dei diritti umani commessi dalle
(ex) milizie darwish. “Quest’ultime, alla
stregua delle forze di polizia somale, sono
accusate di rapine all’interno dei campi che
accolgono gli sfollati, di sparatorie
incontrollate così come di un meccanismo di
controllo della folla e omicidi
extra-giudiziari ai checkpoint”, conclude
Vanda Felbab-Brown. (17)
La discutibile partnership dei reparti
d’eccellenza dei Carabinieri in territorio
somalo appare ancora più grave alla luce del
fatto che essi operano in Corno d’Africa
ininterrottamente dal 1992, quando prese il
via in Somalia la tragica e fallimentare
missione multinazionale a guida USA (Restor
Hope) in seguito allo scoppio della guerra
civile e della caduta del regime
dittatoriale di Siad Barre. Durante i primi
anni di presenza militare italiana a
Mogadiscio, furono perpetrati gravi crimini
da parte di alcune unità dei parà
dell’Esercito. “Prove fotografiche e
testimonianze orali indicano che in Somalia,
in quella che veniva sbandierata come una
missione umanitaria, militari italiani
usarono contro la popolazione somala
torture, sevizie e stupri”, riportavano in
un’interrogazione del giugno 1997 alcuni
parlamentari del Prc. “Altre testimonianze
indicano inoltre che il contingente
italiano, reparti della Folgore ed i
carabinieri del Tuscania, attuarono diverse
rappresaglie contro villaggi somali, con
rastrellamenti condotti con metodi
non-ortodossi propri della guerra a bassa
intensità come distruzione delle case,
pestaggi degli abitanti, inquinamento e
distruzione delle risorse idriche e arresti
indiscriminati”. I deputati del Prc
denunciarono altresì come i militari del
“Tuscania” avessero “cercato di ricostruire
gli apparati repressivi somali addestrando
ed armando ufficiali e poliziotti della
vecchia polizia di Siad Barre (personalità
definite da Amnesty International come noti
torturatori e criminali)”. (18)
Gli italiani in Somalia come la CIA ad Abu
Ghraib, ma 10 anni prima
In proposito va ricordato che a seguito
della pubblicazione nel settimanale Epoca
delle foto di alcuni militari italiani con
accanto prigionieri somali incappucciati e
“incaprettati” (con mani e piedi legati
insieme), nel 1993 la Procura militare aveva
aperto un’inchiesta, poi archiviata,
nonostante le prove di “azioni inopportune,
gravi disfunzioni e sicure anomalie” e di
“un eccesso di metodi costrittivi” da parte
delle truppe italiane. Alcune delle foto che
documentavano le torture dei militari su
alcuni prigionieri somali erano state
scattate dall’allora caporalmaggiore Michele
Patruno, in forza al 185° Reggimento
Artiglieria Paracadutisti “Folgore”.
Il settimanale Panorama (12 giugno 1997) ha
pubblicato una lunga intervista a Michele
Patruno, corredata da altre drammatiche
fotografie scattate dall’ex parà nel periodo
compreso tra l’aprile e il maggio 1993
all’interno della base italiana di Johar. In
una di esse compariva un prigioniero somalo,
nudo a terra, mentre un parà azionava un
generatore di corrente in dotazione ai
reparti della “Folgore” ed un sottotenente
si preparava ad applicare gli elettrodi ai
testicoli della vittima. “Prima gli
elettrodi erano stati applicati alle mani,
ma con scarsi risultati; poi, su
suggerimento di un ufficiale medico, sono
stati applicati ai testicoli perché
contengono liquidi e conducono meglio la
corrente”, spiegava Patruno a Panorama. “I
livelli di tortura erano diversi. Si
cominciava privando i prigionieri di acqua e
cibo, tenendoli legati; per indurli a
parlare, poi si passava a metodi più pesanti
e si dava libero spazio alla fantasia dei
militari, come sigaretteaccese sul corpo,
scosse elettriche, botte, ecc.”.
“Le persone torturate morivano, anche perché
già debilitate fisicamente”, aggiungeva l’ex
caporalmaggiore della “Folgore”. “Ho visto
gente lasciata al sole senza acqua o
lanciata contro il filo spinato americano
che è fatto tutto a piccole lame. Altri parà
usavano farsi fotografare quando tenevano un
piede sulla testa dei torturati (…) In
alcuni campi erano ben visibili stemmi e
gagliardetti fascisti e all’alzabandiera
molti, compresi gli ufficiali, facevano il
saluto romano”. Altrettanto ignobile e
criminale il comportamento di alcuni reparti
nei confronti della popolazione civile.
“Venivano effettuate anche perquisizioni nei
villaggi in cerca di armi finite spesso con
la devastazione delle capanne e la
distruzione delle riserve d’acqua”,
aggiungeva Michele Patruno. “Ho contribuito
a distruggerne parecchi quando non ve n’era
neppure bisogno, lo stesso per l’abitazione
a Mogadiscio di un uomo che aveva un
proiettile calibro 7.62 e mi scongiurò di
non nuocergli perché amava gli italiani e
suo figlio era cadetto a Modena. Niente da
fare, la casa la buttammo giù. Senza motivo,
per pura cattiveria (…) Ci fu un caso in cui
i militari spararono contro un camion che
non si era fermato a uno stop e uccisero due
donne e un bambino. Sul camion fu poi
verificato che non c’erano armi”. (19)
Anche l’allora maresciallo Francesco Aloi,
paracadutista del 1° Battaglione “Tuscania”,
ha testimoniato sui crimini commessi dalle
forze armate in Somalia, ritenendo probabile
un legame tra queste vicende e le inchieste
della giornalista Ilaria Alpi. Secondo Aloi,
l’inviata della Rai era venuta a conoscenza
delle torture dei soldati italiani contro i
somali poco prima del suo assassinio. Nei
suoi diari, l’ex militare fece anche il nome
del generale dei Carabinieri Giovanni
Truglio, capitano del “Tuscania” al tempo
della missione Restor Hope, in quanto
“autore o persona informata delle violenze
contro la popolazione somala”. Le inchieste
della magistratura militare e ordinaria
hanno però scagionato il Truglio e nel 2001
egli sarà nominato comandante delle
compagnie di pronto intervento dell’Arma
durante il G8 di Genova. (20) In occasione
del summit dei capi di stato nel capoluogo
ligure, il 1°Reggimento Carabinieri
Paracadutisti ricoprì un ruolo centrale nel
dispositivo implementato dall’allora governo
Berlusconi per reprimere violentemente le
manifestazioni NoG8. (21)
Teste di cuoio e punte di lancia
“Il Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) è
la punta di lancia operativa dei Carabinieri
che può operare in Italia e all’estero nelle
situazioni più estreme e rischiose”. Viene
definita così dal Comando generale dell’Arma
l’unità tattica impiegata in operazioni di
pronto intervento “anti-terrorismo” che
nelle intenzioni della Difesa sarà insediata
nella nuova cittadella militare di Coltano
insieme al Reggimento Paracadutisti
“Tuscania” e al Centro Carabinieri Cinofili.
“I G.I.S. sono impiegati per garantire la
sicurezza di personalità minacciate o per
coadiuvare le unità territoriali in
situazioni di crisi come rapimenti e cattura
di criminali, latitanti o evasi pericolosi”,
aggiunge il Comando dell’Arma. “Essi inoltre
vengono impiegati a protezione di obiettivi
sensibili da attacchi terroristici o
criminali e per garantire la sorveglianza in
occasione di eventi ad alto rischio.
Assicurano i servizi di scorta e protezione
in favore delle più alte cariche dello Stato
italiane e straniere in visita e sono
incaricati anche dell’addestramento di
personale di polizie estere”. Noti al grande
pubblico come teste di cuoio, i militari che
compongono il Gruppo di Intervento Speciale
hanno una doppia natura: sono unità di
polizia speciale e reparto paracadutisti ed
incursori.
Così come il “Tuscania” anche il G.I.S. è
inquadrato dal 2001 nella 2^ Brigata Mobile
dei Carabinieri. In caso di interventi
d’emergenza il gruppo dipende direttamente
dal Capo di Stato Maggiore del Comando
Generale dell’Arma. In tale ambito, può
essere attivato, sempre dal Comando
Generale, per esigenze di supporto ai
reparti territoriali e anticrimine dell’Arma
per attività di polizia giudiziaria. (22)
La componente operativa del G.I.S. dispone
di circa 100/120 effettivi ed è divisa in
una sezione di esplorazione, ricognizione e
acquisizione obiettivi; una di
combattimento; una terza di tiratori scelti.
In ogni momento c’è un distaccamento pronto
a lasciare la base di provenienza in 30
minuti. Le Unità di Intervento Speciale
“anti-terrorismo”, a composizione variabile,
possono essere dispiegate in poche ore
sull’intero territorio nazionale. A questo
scopo dispongono di alcuni elicotteri
Agusta-Bell AB412 in dotazione al 4° Nucleo
Elicotteri dei Carabinieri di stanza
nell’aeroporto di Pisa san Giusto e di un
aereo da trasporto C-130 “Hercules” della
46^ Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare,
anch’essa con base operativa presso lo scalo
pisano. I poligoni, gli impianti
addestrativi e le strutture didattiche e
abitative del G.I.S. sono attualmente
ospitate presso il entro Interforze
Studi e Applicazioni Militari (CISAM) a San
Piero a Grado, Pisa. “Si tratta in sostanza
di un vero e proprio hub formativo, in cui
confluiscono tutte le conoscenze ed
esperienze militari, speciali e
istituzionali dei reparti della Brigata da
riversare su tutta l’Arma per migliorarne e
rafforzarne le capacità operative e
istituzionali in qualsiasi ambiente e
situazione”, spiega Analisi Difesa. (23)
Il Gruppo Intervento Speciale dei
Carabinieri è stato istituito il 6 febbraio
1978 per impulso dell’allora ministro
dell’Interno Francesco Cossiga (poi
presidente della Repubblica italiana) “per
garantire uno strumento per la risposta
all’incremento dei fenomeni terroristici e
delle forme di disturbo dell’ordine pubblico
e sicurezza pubblica, per la condotta di
operazioni antiterrorismo e antiguerriglia”.
(24) Al tempo il reparto era composto da 36
carabinieri paracadutisti provenienti tutti
dal 1° Battaglione “Tuscania”. Il primo
impiego operativo risale alla primavera del
1978 nell’ambito delle infruttuose
operazioni di ricerca dei covi delle Brigate
Rosse durante il rapimento dello statista
democristiano Aldo Moro. (25)
Nel 1984 il responsabile del Viminale (l’on.
Oscar Luigi Scalfaro, anch’egli poi
presidente della repubblica) decretò il
G.I.S. quale unica Unità Intervento Speciale
(Un.I.S.) antiterrorismo della Difesa in
favore del Ministero degli Interni, a fianco
dell’altra componente delle teste di cuoio
italiane, il Nucleo Operativo Centrale di
Sicurezza (NOCS) della Polizia di Stato. “La
storia del Reparto continuò attraverso gli
anni di piombo, caratterizzati dalla
recrudescenza del terrorismo interno,
durante i quali condusse operazioni
risolutive come quella per la riacquisizione
del controllo del supercarcere di Trani,
battesimo del fuoco per il G.I.S. (1980)”,
ricorda enfaticamente il Comando generale
dell’Arma. (26) Il blitz nel carcere
speciale pugliese fu ordinato il 28 dicembre
1980 con lo scopo di reprimere la rivolta
dei detenuti, tra cui alcuni brigatisti,
contro le insostenibili condizioni
carcerarie. I militari del G.I.S. si
calarono dagli elicotteri e, dopo l’utilizzo
di bombe a magnesio e armi da fuoco contro i
detenuti (numerosi i feriti), liberarono i
18 agenti di custodia presi in ostaggio.
Sette anni più tardi (25 agosto 1987) il
Gruppo Intervento Speciale fu protagonista
di un altro blitz ad una struttura detentiva
(il carcere di Porto Azzurro, Isola d’Elba),
per liberare i 33 ostaggi tra detenuti e
guardie carcerarie in mano a sei ergastolani
tra cui il terrorista nero Mario Tuti.
Gli specialisti delle operazioni coperte
A
partire del 1997 il reparto d’élite dei
Carabinieri è stato dispiegato all’estero a
fianco delle altre forze speciali italiane
in missioni di peace-keeping/peaceenforcing
per condurre operazioni di antiterrorismo,
fermo di sospettati di atti terroristici,
sequestri di armi, munizioni ed esplosivi o
per la protezione di ambasciate, basi,
cittadini o “interessi” italiani. Si
annoverano in particolare gli interventi in
Albania, Bosnia, Kosovo, Iraq
(particolarmente nel distretto di Nassirya),
Afghanistan, Gibuti, Somalia, Libano e
Niger. Dal 2001 il G.I.S. aderisce
all’Organizzazione Atlas promossa dalla UE
dopo l’attacco terroristico alle Torri
Gemelle e che riunisce i corpi speciali
delle forze di polizia di 28 paesi europei.
Nel gennaio 2015 i militari del G.I.S. sono
stati inviati a Parigi per collaborare con
le forze di polizia francesi alla
“protezione” di obiettivi sensibili dopo
l’attentato alla sede del settimanale
satirico Charlie Hebdo. Sempre in ambito
internazionale a partire del 2016 il reparto
speciale dell’Arma viene impiegato su
richiesta dell’AISE (l’Agenzia Informazioni
e Sicurezza Esterna) per missioni
d’intelligence top secret.
E’ proprio nei teatri di guerra afgano e
iracheno che si sono svolte le operazioni
più controverse del G.I.S.. Il 18 aprile
2002 a Kabul le teste di cuoio furono
impiegate per scortare l’ex re afgano
Mohammed Zahir Shah che rientrava in patria
con l’intenzione di restaurare la monarchia
dopo la fine del regime talebano, ma che
poi, su pressione del governo USA, fu
costretto ad accettare l’effimera svolta
repubblicana del paese asiatico. Dal giugno
2006 al 2016 il G.I.S. ha fatto parte della
Task Force 45, l’unità interforze dei
reparti speciali italiani che in territorio
afghano ha partecipato ad azioni coperte e
combattimenti a fuoco contro le milizie
talebane. (27)
Attualmente gli uomini del G.I.S. sono
inquadrati nella Joint Special Operation
Task Force 44 (Operazione Centuria Baghdad),
attivata in Iraq nell’ambito della
coalizione internazionale anti-Isis. (28)
Gli obiettivi e gli interventi della task
force sono delineati dal giornalista e
analista Giampiero Cannella, già membro
della Commissione Difesa della Camera dei
deputati con Alleanza nazionale. “Inserita
nel dispositivo militare della missione
Prima Parthica, in Iraq dal 2014, l’unità è
composta da un numero variabile tra i 50 e
gli 80 operatori delle forze speciali”,
spiega Cannella. “Gli operatori italiani
combattono da anni nel Kurdistan irakeno una
guerra silenziosa a fianco dei Peshmerga e
delle truppe di Baghdad, così come avevano
fatto contro i talebani nei deserti
dell’Afghanistan. Ufficialmente sono lì per
una missione di mentoring cioè addestramento
dei militari indigeni. Ma in un contesto ad
alto rischio, per insegnare come muoversi
sul terreno, individuare obiettivi e guidare
su di essi un attacco aereo, scovare e
disinnescare esplosivi, reagire ad una
imboscata, liberare ostaggi o curare un
ferito in battaglia, non basta il powerpoint
in un’aula didattica. Per questo oltre al
semplice training all’interno della base,
bisogna ricorrere al mentoring che implica
qualcosa in più delle semplici
esercitazioni”.
“Il mentorizzatore accompagna gli allievi
sul campo, in azione, li guida, li
consiglia, li assiste e in caso di necessità
gli fa vedere come si fa”, aggiunge l’ex
parlamentare. “Un modo diplomatico per dire
che le nostre forze speciali hanno più di
una volta portato a termine con successo
missioni combat contro i miliziani
fondamentalisti insieme agli alleati. Come
nel 2017, durante l’offensiva di Mosul: in
quel caso gli incursori italiani entrarono
in azione nell’area di Hawaija contribuendo
a stanare i tagliagole dell’Isis e a
liberare l’antica città irakena”.(29)
Un po’ parà e un pò irruttori chirurgici
Il G.I.S. è stato inserito tra le cosiddette
forze speciali poste sotto la direzione del
COFS (il Comando Interforze per le
Operazioni delle Forze Speciali), costituito
il 1° dicembre 2004 presso l’aeroporto
“Francesco Baracca” di Centocelle (Roma) e
posto a sua volta alle dipendenze dirette
del Capo di Stato Maggiore della Difesa.
“In Italia le Forze Speciali sono quelle
unità militari chiamate a svolgere
operazioni speciali, ovvero operazioni
militari non convenzionali ad effetto
strategico quali, ad esempio: il contrasto
di attività di matrice insurrezionale e
terroristica, le incursioni contro obiettivi
nemici, le ricognizioni speciali e
l’addestramento delle forze di sicurezza di
Paesi a deficit di stabilità”, spiega lo
Stato Maggiore della difesa “Si tratta di
reparti in possesso di elevatissime
qualifiche tecniche e operative ed il cui
personale è addestrato ad operare nei tre
domini di riferimento – terrestre, marittimo
e aereo – in ambiente ostile e a grande
distanza dalle unità amiche”. (30)
Ancora più esplicito il generale dei
Carabinieri Leonardo Leso, già Comandante
del Gruppo di Intervento Speciale e del
Reggimento Paracadutisti “Tuscania”. “Ciò
che contraddistingue il G.I.S. dalle altre
Forze Speciali sono le sue particolari
capacità operative chirurgiche nella
liberazione di ostaggi o in altri interventi
che richiedono un altissimo livello di
discriminazione degli obiettivi da
raggiungere, riducendo al massimo il rischio
di danni collaterali”, ha dichiarato Leso.
“Per queste esigenze, è l’unico Reparto che
inquadra anche un nucleo di esperti
negoziatori e alcune unità cinofile
addestrate anche al lancio con paracadute e
alle irruzioni con forzamento degli ingressi
con esplosivo. Dispone quindi di speciali
attrezzature di ascolto, visione,
registrazione nonché di penetrazione
silenziosa. Il G.I.S. da anni è inserito in
un paio di programmi di scambio che vedono
la partecipazione di numerose unità speciali
di forze armate e di polizia di varia
nazionalità, alcune ben note come il GSG9
tedesco, il GIGN francese, il SAS
britannico, ma anche americani, israeliani,
spagnoli e di altri paesi, europei e non,
con i quali s’incontra e si addestra con
cadenzaannuale in una serie di stages mirati
al confronto di tecniche e materiali”. (31)
Dal punto prettamente operativo il G.I.S. fa
parte del cosiddetto Tier1 delle Forze
Speciali della difesa, insieme al 9°
Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col
Moschin” dell’Esercito (sede a Livorno), al
Gruppo Operativo Incursori (GOI) del Comando
Subacquei e Incursori - Comsubin della
Marina Militare (La Spezia) e al 17º Stormo
Incursori dell’Aeronautica Militare di
Furbara (Cerveteri, Roma). Insieme a questi
reparti operano due ulteriori unità,
costituenti il Tier2: il 185° Reggimento
Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione
Obiettivi “Folgore” (Livorno) e il 4°
Reggimento Alpini Paracadutisti (Rangers)
“Monte Cervino” (Montorio Veronese, Verona),
che possono compiere una parte delle tre
missioni NATO SOF (Direct Action, Military
Assistance e Special Reconnàissance). A
supporto delle operazioni speciali sono
assegnati anche il 3° Reggimento Elicotteri
“Aldebaran” dell’Esercito (Viterbo), il
Reparto Eli-Assalto della Marina Militare (Luni,
La Spezia e Grottaglie, Taranto) e il 9°
Stormo “Francesco Baracca” dell’Aeronautica
(Grazzanise, Caserta). Ad essi si aggiungono
infine le FOS - Forze per Operazioni
Speciali, compagnie di pronto intervento
fornite dal 187° Reggimento Paracadutisti
“Folgore” (Livorno), dal Reggimento Lagunari
“Serenissima” (Venezia), dal 66° Reggimento
Fanteria Aeromobile “Trieste” (Forlì), dal
1° Reggimento “San Marco” della Marina
(Brindisi) e dall’immancabile 1° Reggimento
Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”. (32)
Data la rilevanza strategica assunta dalle
Forze Speciali nelle guerre globali moderne,
sono stati programmati ingenti investimenti
finanziari per dotarle diarmi sempre più
sofisticate, specie quelle
semi-automatizzate o del tutto automatizzate
che contribuiscono alla disumanizzazione dei
conflitti. Il 9 novembre 2021, in
particolare, il Parlamento ha espresso
parere favorevole allo schema di decreto
ministeriale relativo al programma
pluriennale di acquisto di munizioni a guida
remota (Loitering Ammunitions) da parte
delle unità di pronto intervento delle forze
armate e dell’Arma dei Carabinieri. Le
Loitering Ammunitions - come spiega
l’Osservatorio sulle spese militari (Milex)
- sono “piccoli droni armati, dotati di una
testata esplosiva, che possono essere
teleguidati contro l’obiettivo, anche a
decine di chilometri di distanza”. Avvistato
il target si lanciano in picchiata e si
fanno esplodere al momento dell’impatto (per
questo vengono indicati anche come droni
kamikaze). “Sono letali, precisi, rapidi e
sicuri come i droni armati normali perché
possono centrare bersagli fissi o anche in
rapido movimento senza la necessità di
truppe a terra e senza bisogno di aspettare
il supporto aereo di elicotteri da attacco o
cacciabombardieri esposti al fuoco nemico”,
aggiunge l’Osservatorio sulle spese
militari. “Questi droni, tuttavia, sono
decisamente più versatili perché possono
essere trasportati, lanciati e manovrati
direttamente da piccole unità isolate di
incursori. Ecco dunque perché vengono
ritenuti un vero e proprio game changer per
imprimere una svolta nella tattica militare
e soprattutto abbassare di molto l’asticella
delle remore all’uso della forza letale.
Tanto più se viene fornita a forze speciali
che conducono operazioni segrete”. (33)
Nella scheda tecnica allegata allo schema di
decreto, lo Stato Maggiore della difesa ha
indicato il modello di munizioni a guida
remota da acquisire: il sistema “Hero-30”,
sviluppato dalla società israeliana UVision.
“Grazie alle munizioni “Hero-30” sarà
possibile effettuare la sorveglianza e
mantenere la Situational Awareness in tutte
le fasi che prevedano un intervento cinetico
su un obiettivo; fornire supporto di fuoco
mantenendo la consapevolezza della
situazione e l’opportuna distanza di
sicurezza; verificare il campo di battaglia
rimanendo dietro la linea del fronte;
garantire una cornice di sicurezza intorno
ad una base operativa avanzata all’interno
di un territorio ostile individuando una
minaccia a distanza e conseguentemente
ingaggiarla”, spiega la Difesa. Oltre
all’acquisto delle munizioni “Hero-30”, gli
operatori delle forze speciali si potranno
avvalere di pacchetti addestrativi “da
svolgersi in Israele presso la sede di
UVision ubicata nella città di Tzur Igal”.
L’azienda israeliana fornirà inoltre il
supporto logistico integrato, comprensivo di
manutenzione basica e gestione/sostituzione
di alcune parti di ricambio di consumo. (34)
Come influenzare i comportamenti e
manipolare le menti
A
riprova del ruolo chiave assunto dal
territorio pisano nelle strategie di guerra
ibrida e non convenzionale va infine
ricordato che dal giugno 2020 è operativo il
Comando delle Forze Speciali dell’Esercito (COMFOSE)
presso il comprensorio “Tenente Dario
Vitali” realizzato all’intero di un’area di
35 ettari della base militare statunitense
di Camp Darby rientrata nella disponibilità
delle autorità italiane. Secondo lo Studio
progettuale presentato dallo Stato Maggiore
dell’Esercito, per la ricollocazione del
COMFOSE sono stati spesi 42 milioni di euro
circa: nello specifico sono state realizzate
un’area logistica di 15.000 mq; una sportiva
di 8.000 mq e un’area alloggiativa di 20.000
mq. Il COMFOSE è stato istituito il 19
settembre 2014 e ha avuto il suo quartier
generale prima nella Caserma “Gamerra” di
Pisa e poi presso il CISAM di San Piero a
Grado. Questo nuovo comando sovrintende alle
attività, all’addestramento e
all’acquisizione dei materiali delle unità
delle forze terrestri assegnate alle
“operazioni speciali”, primo fra tutti il 9°
Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col
Moschin”, in via di trasferimento da Livorno
al nuovo complesso infrastrutturale pisano.
Altro reparto delle forze speciali
dell’Esercito è il 185° Reggimento
Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione
Obiettivi “Folgore” (Livorno) con funzioni
spiccatamente d’intelligence, ingaggio di
obiettivi a distanza e penetrazione e
infiltrazione in territorio nemico. Ci sono
poi il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti
(Ranger) di Verona, designato per le
operazioni in ambiente montano e artico e il
28° Reggimento “Pavia”, l’unica unità
militare in Italia che si occupa di
“comunicazioni operative”, quelle cioè
finalizzate “a creare, consolidare o
incrementare il consenso della popolazione
locale nei confronti dei contingenti
militari impiegati in missione di pace
all’estero”. Di stanza a Pesaro, il “Pavia”
rappresenta la componente armata che più
interpreta le nuove frontiere della guerra
moderna. “Le unità specialistiche del 28°
Reggimento usano mezzi di comunicazione di
massa per diffondere messaggi alla
popolazione: si spazia dai tradizionali
volantini e poster, efficaci in aree a
elevato tasso di analfabetismo e basso
sviluppo tecnologico, fino ai più complessi
prodotti multimediali, compresi i new e
social media nelle aree più progredite”,
riferisce lo Stato Maggiore. “Inoltre il
personale studia e analizza la realtà
socio-antropologica delle aree di missione
in modo da comunicare in modo idoneo ed
efficace con la popolazione nel rispetto di
usi, costumi e tradizioni locali”. (35)
Quelli che a prima vista potrebbero apparire
come interventi di natura meramente
politico-diplomatico-sociale s’inquadrano
invece nelle cosiddette “guerre
psicologiche”, note in ambito militare come
operazioni psicologiche o PSYOPS (acronimo
in lingua inglese). Sulle finalità e le
modalità delle PSYOPS si è soffermata la
ricercatrice Francesca Angius dell’Archivio
Disarmo di Roma. “Si tratta del complesso
delle attività psicologiche pianificate in
tempo di pace, crisi o guerra, dirette verso
gruppi obiettivo nemici, amici o neutrali,
al fine di influenzarne gli atteggiamenti ed
i comportamenti che incidono sul
conseguimento di obiettivi prefissati di
natura politica e militare”, scrive la
ricercatrice. “Le PSYOPS sono, quindi,
finalizzate alla conquista delle menti
attraverso la gestione ad arte delle
informazioni e delle verità e costituiscono
uno strumento di strategia militare (…) il
cui scopo principale consiste
nell’influenzare le percezioni, gli
atteggiamenti ed il comportamento di un
determinato gruppo obiettivo. L’esigenza di
dotarsi di un’unità PSYOPS è nata, in seno
alla NATO, dalla convinzione che l’uso
programmato delle comunicazioni di massa
possa influenzare, anche in modo decisivo,
l’esito di un conflitto. Il dominio delle
informazioni è sempre più una dimensione
fondamentale del moderno campo di battaglia,
dove propaganda, disinformazione e
manipolazione delle informazioni ne
rappresentano una parte essenziale”. (36)
Nel 2006 l’allora tenente colonnello Luca
Fontana (poi generale di brigata e vice capo
divisione presso la NATO Rapid Deproyable
Corps Italy di Solbiate Olona, Varese), ha
pubblicato per conto dello Stato Maggiore
della difesa un report intitolato Le
Operazioni Psicologiche Militari (PSYOP). La
“Conquista” delle menti. “E’ opinione
diffusa che l’importanza delle PSYOP stia
costantemente crescendo a garanzia del
successo di ogni azione che si debba
intraprende ovunque nel mondo, sia essa di
carattere diplomatico o militare”, spiegava
l’ufficiale. “Nel futuro, il valore delle
PSYOP continuerà ad essere utilizzato al
meglio prima e dopo un conflitto (…) Mentre
negli anni a venire, saranno comunque le
bombe, i missili e l’occupazione del
territorio con truppe di terra a determinare
sul piano militare il vincitore ed il
perdente, le operazioni psicologiche, in
misura sempre maggiore, determineranno la
durata dei conflitti e l’impatto dello
sforzo militare sugli interessi strategici
di lungo termine…”. (37)
L’odierno conflitto russo-ucraino risponde
perfettamente a queste indicazioni: si
tratta infatti di una guerra brutale e
fratricida combattuta con droni, missili e
granate ma anche a colpi di dati di
intelligence, comunicati stampa, verità
dimezzate o manipolate e fake news.
Questo rapporto è stato presentato in
occasione della Tre Giorni – No Base a
Coltano promossa dal Movimento No Base – Né
a Coltano né altrove, 9-11 settembre 2022,
Coltano, Pisa.