Un
nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA -
All’inizio del Settecento a Valenza centro ci sono circa 2.000 abitanti,
in campagna ci sono 15 grandi cascine – approssimativamente con 500
dimoranti – il piccolo borgo di Monte ha quasi 300 abitanti e le varie
case sparse ne hanno altrettanti. C'è il castello-rocca, con le
fortificazioni interne ed esterne rovinate e migliorate più volte;
questo è stato trasformato in cittadella militare, diverso dalla
costruzione medioevale residenza dei feudatari demolita verso il 1557.
C’è un numeroso presidio di soldati spagnoli, una grande piazza (oggi
piazza XXXI Martiri), un podestà comunale, 2 notai, 4 medici salariati,
2 fanti comunali (polizia urbana), un prevosto, 8 canonici, un curato,
20 cappellani, 3 conventi di frati e 2 di monache (quasi più religiosi
che anime da salvare).
Ormai
qualsiasi iniziativa dei governanti spagnoli risulta aberrante agli
occhi dei valenzani ed essi cominciano a non sopportare più questa
satrapia con le troppe angherie e i troppi privilegi. La classe
fortunata è sempre quella dei blasonati che detengono il potere
politico, poi c'è il popolo sottomesso diviso tra il proletariato che
vive stentatamente e la borghesia che è la classe media artefice del
susseguente mutamento generale.
Nella
prima metà del Settecento l’Europa è lacerata dalle guerre di
successione – spagnola, polacca e austriaca – al termine delle quali si
raggiunge un certo assetto, poi scombinato dalla bufera napoleonica.
Tutte le guerre scoppiano sempre per interessi e supremazia e tutti gli
imperi sono destinati a declinare e a cadere, è solo questione di tempo;
i nostri avi hanno costruito gli imperi invadendo, uccidendo e
saccheggiando.
Nel
1700 muore Carlo II di Spagna senza lasciare eredi e si solleva la
guerra per la successione, dal 1702 al 1714. Dopo aver rotto con la
Francia, il duca Vittorio Amedeo II di Savoia si allea con l’imperatore
austriaco e libera Torino dopo quasi quattro mesi d’assedio, nel 1706,
mettendo in rotta l’esercito francese-spagnolo. Proseguendo la corsa
verso Milano all’inseguimento delle formazioni borboniche, Eugenio e
Vittorio Amedeo II penetrano nel territorio ducale, occupandone i centri
abitati e mettendo sotto assedio le principali piazzeforti, tra cui
Valenza – presidio francospagnolo – che si arrende senza troppo
combattere. Ben presto francesi e spagnoli se ne vanno dall’Italia e
Valenza resta ai Savoia, con ogni suo derivato tossico. Il consiglio
della città giura fedeltà ai nuovi sovrani. Podestà del momento è G. M.
Arrigoni.
Terminata
l’appartenenza di Valenza al Ducato di Milano, durata poco meno di
quattro secoli – 1370-1707 – anche la vicina Alessandria entra a far
parte del nuovo Regno di Sardegna. Il trilatero di fortezze spagnole a
sud del Po (Valenza-Alessandria- Tortona) è definitivamente scomparso;
spia paradigmatica della nuova aria che tira. Nel corso del tempo questi
popoli, che hanno dominato per secoli l’Europa, hanno portato usanze,
costumi e alcune espressioni del linguaggio dialettale che ancora
sussistono nella nostra città.
Con il
Trattato di Utrecht del 1713, Vittorio Amedeo II si assicura
definitivamente la nostra città e tutto il Monferrato: nasce il Regno
Sabaudo. Per raffreddare una situazione locale incandescente, conferma i
titoli e le franchigie di cui Valenza già godeva, le rinnova il titolo
di “città” e la elegge capoluogo della provincia di Lomellina, una
qualifica che durerà poco. In seguito Vittorio Amedeo II le conferma
alcuni antichissimi privilegi: due fiere all’anno, un mercato
settimanale con esenzione di dazio, il divieto d’introdurre in città
vino forestiero, la possibilità di cacciare liberamente nel proprio
territorio comunale, l’abolizione della tassa sul frumento e sul vino.
Sostanzialmente è una cortina d'incenso sparsa “ad abundantiam”. Nel
1707 il Conte di Viancino è nominato comandante della piazza; lascerà il
posto a Paolo Emilio Vellati dal 1709.
La città è
costretta a fornire una decina d’uomini dai 18 ai 40 anni al nuovo
esercito, il reggimento nazionale d’Asti, e, più avanti, al reggimento
di fanteria provinciale Casale. La scelta delle reclute è affidata al
consiglio comunale secondo il criterio della famiglia d’appartenenza, ma
nessuno è scelto tra quelle più benestanti. Più complicati sono i
rapporti tra casa Savoia e il vicariato di Valenza della diocesi di
Pavia. Il Re di Sardegna non è contento che una parte del suo clero sia
amministrata dallo straniero – Pavia è austriaca, avvinta dal
giansenismo.
Come
in una commedia surreale, dove conta solo l'esteriorità, in questi anni
di finto quietismo dittatoriale, per formulare le varie giaculatorie di
fedeltà e di lealismo, vanno a scodinzolare davanti alle ciabatte della
corte di casa Savoia diversi parsimoniosi e decorosi rappresentanti
valenzani che stanno nel cerchio magico. Gli omaggianti iniziali del
1707 sono: Ottaviano Capriata, Carlo Del Pero, Marc’Antonio Bombello,
Alessandro Romussi, Gaspare Cagno, Alonso de Cardenas. Più avanti, dopo
il 1746, Camillo Capriata, Stefano Piazza, Vincenzo Salmazza, Carlo de
Cardenas, i sindaci Dardano e Del Pero.
Nel 1722
sorge la Congregazione di Carità con il fine di distribuire il pane ai
poveri, i benefattori dell’iniziativa sono i Salmazza. Sembrerebbe una
crociata in difesa dei derelitti, ma in realtà è utile per essere
proclamati e procacciarsi autorevolezza nella città. Dal 1727 si dà
luogo a nuove importanti opere di fortificazione in cui sono impiegati
ben 250 lavoranti. Nel 1730 il consiglio comunale elegge due valenzani
al Real Senato di Torino, sono gli avvocati D. Alonso De Cardenas e
Ottaviano Capriata dalla retorica potente e suggestiva.
Gli anni 1742-1743 sono ingarbugliati a causa della questione Monte. Il
re Carlo Emanuele III rifiuta al feudo-sobborgo, forse il luogo del
primo insediamento di Valenza, di costituirsi comune indipendente. È un
umiliante schiaffone in faccia che fa evaporare le ultime speranze di
alcuni preminenti locali, per vocazioni diffidenti. Allora Valenza
decide di acquistarne il dominio, che già amministra. Grazie al talento
e a un uso sapiente della filosofia da martire, il delegato valenzano
alla trattativa con il governo di Torino, Giuseppe Campi – quasi
trasformato in santo laico – chiude per 7.500 lire che i sindaci Luigi
Mario e Dardano – dal 1726 il consiglio comunale unico elegge due
sindaci “gemelli” che non paiono certo a Castore e Polluce – messi
maluccio come cassa, ottengono in prestito dai consiglieri Vincenzo
Salmazza (Priore dello SS. Sacramento), Bartolomeo Campora e da un
personaggio casalese. Sostanzialmente il feudo è ricongiunto, Valenza
diventa “Contessa di Monte”, titolo comitale che manterrà fino al 1798.
Nasce la cattiva abitudine di contrarre debiti, con pericolo
d’insolvenza, che non abbiamo mai perso.
Nel 1722
Lazzarone riceve dall’Augusta Casa una patente speciale per reggersi
come comune e resterà così fino al 1929, ultimi atti trasferiti nel
1938, quando dovrà passare sotto l’amministrazione di Valenza. Molti Te
Deum sono cantati nelle chiese valenzane per lo scampato pericolo dei
turchi penetrati in Europa, grazie alla stretta alleanza tra Russia e
Austria. Ma negli anni 1745- 1746, c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico,
Valenza subisce ancora deplorevoli assedi che perpetuano gli antichi
fantasmi.
Durante
la Guerra di successione austriaca, il 27 settembre 1745, una certa
realtà torna a bussare in modo tragico e irriducibile, e per la
popolazione non c'è scampo. Nella nostra zona ha luogo la famosa
battaglia di Bassignana tra l’esercito franco- pagnolo – composto di
70.000 uomini agli ordini del maresciallo Jean- Baptiste François
Desmarets marchese di Maillebois, dell’Infante Filippo e di Jean Thierry
Dumont conte di Gages e quello sardoaustriaco di circa 50.000 effettivi
al comando del re di Sardegna, Carlo Emanuele III di Savoia, tra cui
15.000 austriaci comandati dal generale Matthias Johann Graf conte di
Schulenburg. Gli austriaci, però, sono accampati al di là del Po, a
Pieve del Cairo, e diventeranno spettatori impotenti poiché impediti a
intervenire dall’incendio dei ponti di barche sul fiume. Ben presto si
allontaneranno per andare a proteggere Milano, lasciando Carlo Emanuele
III da solo, schierato sulla riva sinistra del Tanaro, con l’ala destra
delle forze a Pavone e l’ala sinistra a Bassignana. I piemontesi
schierano 28 battaglioni di fanteria, 61 compagnie di cavalleria e 27
pezzi di artiglieria, posizionati alle pendici delle colline
circostanti; combattono all'incirca 22.000 fanti e 3.500 cavalieri. Le
forze franco-ispaniche hanno approssimativamente 60.000 fanti, 8.000
cavalieri e 30 cannoni.
Il fiume
Tanaro in magra non ostacola i franco-spagnoli provenienti dalla zona
Piovera-Alluvioni e diretti a Valenza. Il marchese di Maillebois e il
conte di Gages attaccano all’alba con 65.000 francesi spagnoli e
napoletani e, in una battaglia cruenta, sorprendono la fanteria sabauda
nei loro campi e conquistano il passaggio sul Po presso Bassignana e
quello sul Tanaro a Rivarone-Montecastello. Gli attaccanti occupano
presto anche gli stessi paesi di Rivarone, Moncastello e Bassignana.
Nello scontro i carabinieri e i granatieri della guardia reale spagnola
si distinguono per la loro efficienza.
Di fronte
al numero sopraffacente del nemico, l’esercito sabaudo è inesorabilmente
messo in rotta. Anche la cavalleria piemontese è ferocemente annientata
da quella spagnola nella frazione Pellizzari, così la fuga dei valorosi
sabaudi verso Valenza diviene generale. Sotto le mura di Valenza i
fuggitivi si fermano e provano a riordinarsi. Nel tardo pomeriggio Carlo
Emanuele III crea una linea di resistenza, addossandosi alle
fortificazioni cittadine e disponendo i suoi soldati su più ranghi in
una zona compresa tra l’attuale viale Oliva e il poggio di Mazzucchetto.
I franco-spagnoli evitano un ulteriore scontro e ripiegano verso
Bassignana, dove allestiscono il campo per la notte. La battaglia pare
ormai terminata, è durata un solo giorno. L'esercito franco- pagnolo
dunque va ad assediare Alessandria difesa dal marchese Isnardi, il
quale, dopo una certa lotta, abbandona la città al nemico e si chiude
con il presidio nella cittadella. Bloccata questa, i franco-spagnoli
muovono nuovamente contro Valenza, difesa dal comandante governatore
sabaudo marchese Balbiano, il quale, dopo una vigorosa resistenza, non
potendo continuare a tenere testa agli assalitori, distrugge le
artiglierie e si ritira a Casale nell’ottobre del 1745.
Nel
frattempo il Re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia ha tenuto a
Valenza un consiglio di guerra austriaco-piemontese con il quale lascia
una sola guarnigione di truppe sarde a difesa della città, che in questo
modo non riesce a resistere alle forze preponderanti dei
franco-spagnoli. Nonostante i molti movimenti e i molti scontri, nella
battaglia di Bassignana le perdite non sono state troppo elevate. In
questa giornata disastrosa, per l’esercito piemontese le perdite sono
state di circa 300 morti e i feriti e i prigionieri 1.200. Per i
vincitori i deceduti sono stati 200 e i feriti 300. Nella notte tra il
27 e il 28 settembre 1745, nell’accampamento dei militari francesi e
spagnoli a Rivarone, si irride alla disfatta del Re Carlo Emanuele III e
dei suoi “mangiapolenta” ignorando che, dopo meno di un anno, i
mangiapolenta li cacceranno definitivamente da tutto il territorio.
Pochi mesi più tardi, il 4 maggio 1746, dopo 13 giorni d’accerchiamento
e ripetuti violentissimi attacchi, le truppe del restaurato esercito
piemontese agli ordini dell’autocratico barone Leutrum – Karl Sigmund
Friedrich Wilhelm von Leutrum – ottengono la resa della città –
quartiere generale iniziale del comandante francese Maillebois, giunto a
sostegno in ritardo – e la riconquista di quanto perduto. È l’ultimo
reale assedio di questa città, una sorta di resa dei conti finale e di
riscossa implacabile con il ritorno allo status quo ante della città
sotto il potere del Piemonte. Valenza, che non si lascia mai conquistare
docilmente, è stata difesa valorosamente dallo ieratico governatore
spagnolo don G. Giovanni Scoques, zavorrato da mediocri e controversi
compagni di lotta.
Altri
avvenimenti tragici di lotta armata si sono compiuti nelle soste tra
tutti gli assedi descritti, in cui buoni e cattivi si sono sempre
confusi tra gli arzigogoli dei potenti sempre in lotta per disarcionare
qualcuno, facendo soffrire a lungo questa città oltremodo attaccabile,
ma, forse, troppo altera. Nella seconda metà del Settecento, mentre i
proprietari terrieri e i commercianti accrescono le loro ricchezze,
sboccia la borghesia industriale. Due mondi che sembrano destinati a non
incontrarsi mai. Una borghesia che, secondo i vari punti di vista, sarà
illuminata o conformista – molti di questi nuovi ricchi vengono
identificati come “furbi”, che spesso è un sinonimo di ladri. Cresce
l’inquietudine e il morale della maggior parte dei valenzani è sotto i
tacchi. O, più banalmente, tra l’umile manovalanza cresce la voglia di
impugnare i forconi. È cambiato lo stile della politica governativa ma
ne è rimasta intatta la sostanza, o meglio la disuguaglianza. La miseria
assilla ancora gran parte della popolazione; non è insolito incrociare
pezzenti e mendicanti sulle strade. La povertà galoppa ovunque, come la
fame, ma anche questo conta poco per chi comanda. Come inevitabile
conseguenza dell’indigenza e delle ristrettezze economiche, cresce il
fenomeno del brigantaggio; non solo quello organizzato, ma anche quello
degli agguati improvvisati e delle rapine. La strada che collega Valenza
ad Alessandria è presa di mira da fuggiaschi e da criminali di ogni
genere. Ne subiscono maggiormente le conseguenze i numerosi mercanti e
uomini d’affari che necessitano di collegarsi con le due città.
Nel 1773
Valenza conta 4.500 abitanti divisi in tre classi: la prima è composta
da 435 proprietari, 1.500 agricoltori e 250 artigiani e negozianti; la
seconda da 452 persone tra ecclesiastici, notai, medici e servi; la
terza da 80 poveri e mendicanti. Il resto è formato da regi impiegati,
donne, minorenni e giovanissimi. Nel 1788, con decreto vescovile del
24/08/1787, nell'antico convento prima dei Francescani e poi dei
Domenicani eretto a fine Cinquecento e dedicato a S. Giacomo –
ultimamente scuole Carducci – viene aperto il seminario per i chierici,
circa 40, di quella parte della diocesi di Pavia che si trova sotto casa
Savoia. È una prima vera organizzazione locale di studi, frequentata da
allievi interni ed esterni, di cui maggiore promotore è stato il vicario
Orazio Cavalli e primo rettore don Vincenzo Poli.
Si chiude
la Rivoluzione Francese con l'ascesa al potere di Napoleone, che dopo
pochi anni si proclamerà imperatore, con buona pace della Repubblica
rivoluzionaria. Dopo l'armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796, i
francesi ottengono alcune piazzeforti, tra cui Valenza, utilizzata dallo
stesso Bonaparte sino alla battaglia di Lodi del 10 maggio 1796 per
minacciare i vicini austriaci, con effetti di guerra in “stand by”. Dal
1796, a periodi brevi e alterni, Valenza viene occupata più volte da
Austria e Francia con scomparsa e riapparizione degli impresentabili. Ci
sono migliaia di soldati che, come cavallette, divorano le risorse di
questo territorio e ufficiali che si fanno ospitare dai vip valenzani
dell’epoca, lasciandosi dietro spiacevoli memorie.
Sebbene una minoranza ristretta dei valenzani resti sempre devota alla
monarchia sabauda, sia ligia agli antichi ordinamenti, sia poco
desiderosa di novità e di rivolgimenti, ogni sforzo del re Vittorio
Amedeo III per tenere i piemontesi immuni dalla “lebbra” dei nuovi
principi sparsi dalla Rivoluzione Francese sarà inutile. Alla sua morte,
ottobre 1796, il sindaco avvocato Filippo Bolla e D. Carlo Francesco
Annibaldi-Biscossa si recano a Torino per porgere il cordoglio di
Valenza al nuovo re Carlo Emanuele IV. Il popolo, invece, si è
affrettato ad accettare i costumi di Francia, a trovare le nuove idee
serie e incantevoli, ma ben presto appare chiaro a tutti che i francesi,
grandi appassionati di libertà, non lo sono troppo di quella degli
altri. L’ingresso nell’orbita francese, però, ha molte conseguenze
positive anche per Valenza, come lo svecchiamento di forme decrepite di
costume e un’idea della politica aperta e non più chiusa nel segreto di
un gruppo ristretto. Nel dicembre del 1798 si forma la “municipalità
valenzana” – Dipartimento del Tanaro sino al 1799 – di tipo francese.
Non piace quasi a nessuno, quindi in pratica non conta nulla. Troppo
ammalata di manicheismo, è composta dai cittadini Vittorio Lebba, il
presidente, Angelo Foresti, Pietro Chiesa, Menada, Maria Marchese,
Giovanni Oliva e Tommaso Ricchini; il segretario è La Thuille e il
sottosegretario Giovanni Battista Quaglia. Sono quasi tutti gli stessi
attori di prima, che, con brillanti capriole, ora recitano un altro
copione, in un frullato di contraddizioni gonfie di ipocrisie
trionfalistiche. Sono situazionisti, per non dire furbacchioni.
Da
un lato alcuni borghesi e intellettuali si schierano a favore del nuovo
governo valenzano-francese, scoprendo improvvisamente le virtù dei nuovi
dominanti, prima ignote; o forse sono solo timorosi di perdere i propri
privilegi. Dall’altro le forze contadine, istigate dal clero locale –
non troppo dal parroco Francesco Marchese, un illuminato teologo – danno
vita a un moto reazionario ostile ai francesi che si fa sempre più
intenso ed entra nel vivo nel 1799 con una ribellione devastante in
città. Viene ordinato di ristabilire le amministrazioni pubbliche. La
nuova municipalità, forgiata da due poco disinvolti commissari–cittadini
organizzatori del dipartimento del Tanaro di Alessandria, è rinnovata,
ma non durerà molto. I membri sono Angelo Foresti, il presidente, Carlo
Biscossa, Fedele Majoli, Marc’Antonio Mazza, Giovanni Antonio Pastore,
Tommaso Ricchini, Francesco Antonio Terraggio; il segretario è Vittorio
Lebba e il consegretario Giovanni Battista Quaglia.
Intanto,
mentre Napoleone è in Egitto, tra il 1798 e il 1799, si è ripristinata
l’alleanza europea tra Austria, Inghilterra e Russia contro la Francia e
riprende la guerra. I soldati francesi sconfitti sull’Adige, sul Mincio
e a Cassano d'Adda dai russo-austriaci nell’aprile-maggio 1799 si
ritirano dalle nostre parti, guarnendo con una catena d’avamposti le
colline intorno a Valenza. La divisione di Grenier è ripiegata verso
Novara, mentre le forze dei generali francesi Victor e Laboissière sono
arretrate a Valenza. Per stanare l’Armata francese, 20 mila uomini tra
Valenza e Alessandria comandati dal generale Jean Victor Marie Moreau,
dalle sue posizioni il comandante degli eserciti austro-russi Alexander
Suvorov (Suwaroff) ordina al generale russo Andrei
Grigorevich Rosenberg di assalire i francesi a Valenza, attraversando il
Po a Mugarone. Lo scontro brutale si svolge nuovamente tra Bassignana,
Mugarone e Pecetto dove migliaia di combattenti perderanno la vita e con
effetti devastanti sul territorio. Così, a Bassignana, dopo circa mezzo
secolo, il 12 maggio 1799, ell'ambito della guerra del secondo gruppo
delle guerre rivoluzionarie francesi, si vive lo scontro tra le truppe
francesi del generale Paul Grenier comandate dal generale Colli – 4 mila
soldati provenienti da Valenza – e le truppe russe del generale Pëtr
Ivanovič Bagration.
Mentre gran parte dei Francesi, 12.500 uomini, sono ancora ammassati nei
dintorni di Valenza, il generale russo Rosenberg stabilisce una testa di
ponte al di là del Po, all’altezza di Bassignana, nei pressi della
confluenza con il fiume Tanaro. Settemila russi comandati dal generale
Suwaroff passano il fiume e attaccano la brigata francese Quesnel nel
paese di Pecetto, ma quando questa sta per essere sopraffatta
dall’arrivo del Rosenberg e del ventenne Granduca Konstantin Pavlovič
Romanov – il figlio dello Zar e erede al trono – la brigata francese di
Gardenne arriva in soccorso da Valenza e scaccia i russi da Pecetto
rimandandoli verso Bassignana, dove, dopo un aspro scontro con la
divisione francese di Victor, sono costretti a ritirarsi al di là del Po
lasciando circa 800 morti, fra cui il generale Zubaroff, e altrettanti
fatti prigionieri. Il granduca Costantino stesso viene a stento salvato
dalle acque del fiume mentre cerca di riguadagnare la riva nord. Il 18
maggio Moreau, con la sua armata francese, decide infine di abbandonare
la sua sicura posizione tra Valenza e Alessandria per ritirarsi verso
Torino e la Liguria (battaglia di Novi, 15 agosto 1799).
Alla
luce di tutto ciò, eccitati da frati e preti, anche gli sdegnati
valenzani e un drappello improvvisato di “massa cristiana” insorgono
contro gli occupanti francesi locali, che reagiscono spietatamente: le
divisioni e il caos regnano sovrani. Sono abbattute alcune insegne
repubblicane e si da la caccia ad alcuni democratici locali, ma alla
fine, nel maggio 1799, piegati dal generale russo Schweikowsky, i
transalpini rimasti sono costretti a levar le tende e abbandonare la
piazza avvicinandosi alla loro patria. Ritornano così, per un tempo
breve e dannato che va dal maggio 1799 al giugno del 1800, gli
austriaci-russi; il governatore della città è Munkatsij. Tra il 20
maggio e il 28 agosto 1799 Valenza è costretta a fornire più di 100 mila
razioni di pane alle truppe austriache e altrettanti a quelle russe con
molto altro materiale e beni quali vino, legnami, foraggi, lavoratori,
ecc. Cosacchi e Dragoni bivaccano in città. Le cronache ci raccontano di
giorni di terrore: saccheggi, furti, violenze e prepotenze d’ogni sorta.
Le donne non si allontanano dalle loro case, le più giovani vivono
nascoste. Bande di ladri avveduti si aggiungono alle varie calamità,
derubano persino i russi. Come sempre, nelle azioni efferate di questi
malavitosi vi è frequentemente anche una ribellione alle iniquità che si
vedono. I giacobini locali sono derisi e perseguitati, ma, dopo un anno,
la buona sorte muta campo di nuovo.
Tornato
dall’Egitto, Napoleone scende impavido dalle Alpi e con una sola
battaglia, dalle nostre parti, recupera tutto il paese che gli alleati
avevano occupato con tanta fatica e con molti sanguinosi combattimenti.
Con la vittoria di Marengo del 14 giugno 1800 e relativo epinicio, il 21
giugno 1800 i francesi rientrano definitivamente anche a Valenza,
rinvigorendo gli spiriti repubblicani e suscitando speranze ed
entusiasmi, tra molte enfatiche astrazioni illuministiche. Il vasto
complesso della Villa “La Voglina” di Valenza progettata da Filippo
Juvarra, una storica magione posta sulla sommità della Colla, è
utilizzato come quartier generale da Napoleone prima della battaglia di
Marengo. Dal 1802 tutto il Piemonte è unito alla Francia, la Cisalpina
assume il nome di Repubblica Italiana.
Alla fine
del Settecento viene edificato uno dei palazzi più belli di Valenza,
Palazzo Pellizzari, che accoglierà Napoleone e che oggi è sede del
Municipio; mentre Palazzo Valentino, al tempo dimora del Municipio, è
completamente ristrutturato nel 1799.
Questi i
governatori o comandanti di Valenza nel Settecento: 1707 conte di
Viancino, 1709 Paolo Emilio Vellati, 1727 Pietro de Zunica, 1728 t.
colonnello Belmont, 1729 conte Campioni, 1745 marchese di Balbiano, 1746
Giovanni Scoques, 1749 marchese Fossati, 1755 generale De Roches, 1769
conte Asinai, 1770 conte Carlo Radicati, 1778 Robbio, 1779 Giacomo A.G.
Bocca, 1785 marchese di San Giorgio, 1789 Giovanni Ambrogio Ghiaini,
1791 Tommaso Tizzoni, 1794 barone gen. Giuseppe Pernigotti.
Questi i
prevosti o parroci di Valenza nel Settecento: Stefano Lana Giulio dal
1685 al 1713. Giovanni Battista Zucchelli dal 1713 al 1740, de Francesco
Cardenas dal 1740 al 1781, Giuseppe Zuccaro dal 1781 al 1798 e Francesco
Marchese dal 1798 al 1831. |