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Escursioni geologiche fra le grandi fortificazioni del Colle di Tenda
Da cuneo24.it del 30 giugno 2022

Tutte le date di luglio e agosto per scoprire le meraviglie nascoste del territorio con il geologo Enrico Collo

Racconteremo i forti sotto l’aspetto geologico: rocce sedimentarie antiche e recenti, fossili, il sollevamento delle Alpi, ossia come la natura ha creato il paesaggio del Colle di Tenda, ponendo le basi per la frequentazione dell’uomo.

Non mancheremo di capire cosa è successo il maledetto 2 ottobre 2020, quando la tempesta Alex ha risalito la Val Roja seminando la distruzione in poche ore.

Le escursioni geologiche percorrono le facili strade militari che dal Forte Centrale e Colle Alto conducevano al Forte Tabourda e al Forte Pernante; oltre a queste, adatte alle famiglie e ai bambini, si aggiungeranno trekking (comunque semplici per chi è abituato a camminare in montagna) verso il Forte Giaura e il Forte Pepino, per avvicinarci maggiormente alla Rocca dell’Abisso e al Massiccio del Marguareis.

Nuovi panorami da raccontare, nuove rocce, approfondimenti storici, perché abbiamo compreso a duro prezzo quanto è necessario comprendere il territorio che ci circonda.

Ci accompagnerà il geologo Enrico Collo, famoso per aver scoperto impronte di rettili triassici progenitori dei dinosauri sull’Altopiano della Gardetta in Valle Maira.

Il costo è di 15 euro a persona (bambini esclusi). Le escursioni si svolgeranno con un minimo di 10 partecipanti. posti limitati

Calendario

Scopriamo la storia geologica di Limone Escursione con il geologo Enrico Collo al Colle di Tenda.

Appuntamento ore 9.30 sul parcheggio di fronte allo Chalet Le Marmotte.

Luglio: Gio 7 – 14 – 21

Agosto: Gio 11 – 18 – 25

E uscimmo a riveder le stelle! Miti e costellazioni del cielo estivo, con Enrico Collo.

Parcheggio degli impianti di Limonetto ore 21.30: Mercoledì 20 luglio Mercoledì 17 agosto

 

Castelli e torri: passato e futuro delle fortificazioni
Da riforma.it del 30 giugno 2022

Di Giacomo Rosso

È in distribuzione il numero di luglio del free press l'Eco delle valli valdesi dedicato alle costruzioni del passato. Ecco l'articolo introduttivo

Non è semplice dare una definizione generale né di castello né di torre. A molti e molte di noi queste parole riportano alla mente immagini fiabesche o avventure di cappa e spada, con cavalieri valorosi alla ricerca di fanciulle da salvare. Da un punto di vista archeologico, i concetti di castello o torre hanno invece un valore assai più vicino alla vita quotidiana. Nel momento in cui si studia una struttura fortificata se ne contano le porte e le finestre, si osservano i canali di scolo, se ne apprezzano i cortili e le latrine, per fare qualche esempio. Insomma, si dà un’immagine molto più prosaica, ma se vogliamo altrettanto evocativa, di un mondo ormai scomparso lontano nel tempo, eppure molto più vicino a noi di quanto immaginiamo.

In linea generale, lo sviluppo dei castelli in ambito italiano inizia soprattutto a partire dal IX-X secolo con la disgregazione dell’impero fondato da Carlo Magno. Non tutte le strutture fortificate che noi oggi definiamo “castelli” e “torri” nacquero contemporaneamente né con le stesse forme: esiste una varietà pressoché infinita di quelle che potremmo definire “variazioni sul tema”. La motivazione di tanta diversità si può ricondurre a due fattori principali tra loro strettamente collegati: la geografia del territorio in cui vennero costruiti gli edifici e le necessità dei signori che li fecero erigere.
Il primo fattore, la geomorfologia di un territorio, incide a esempio sulla posizione in cui vennero costruiti gli edifici, sulla loro forma (nel caso in cui dovessero adattarsi ad asperità del terreno) e sui materiali impiegati nella costruzione.

Il secondo fattore è certamente di più difficile lettura, perché presuppone una avanzata conoscenza storica dei processi di affermazione e presa di potere sul territorio da parte dei signori. In estrema sintesi, dalla metà del IX secolo iniziarono a prendere forma delle piccole signorie territoriali governate ciascuna da un’importante famiglia connessa (nel caso piemontese) alla corona del Regno italico, da cui formalmente dipendevano. Queste famiglie avevano però la necessità e l’ambizione di radicare sempre più il loro controllo sul territorio, se vogliamo anche in funzione difensiva, rispetto a chi proveniva d’Oltralpe. In questo senso, la fondazione prima di grandi monasteri, poi di strutture fortificate come torri o castelli, forniva ai signori un importante strumento per attrarre la popolazione rurale e creare punti di riferimento simbolici, oltre che materiali. Per la popolazione contadina o cittadina un castello o una torre potevano avere un importante ruolo identitario oltre che utilitaristico pensando, a esempio, a esigenze di difesa o di redistribuzione di beni alimentari.

Occorre però tenere a mente che strutture così evidenti non sorsero dal nulla. In molti casi ci sono testimonianze della preesistenza, negli stessi siti occupati nei secoli centrali da castelli o torri d’avvistamento, di accampamenti fortificati talvolta di età romana o altomedievale, e in alcune circostanze gli scavi archeologici hanno evidenziato la presenza di tracce riferibili a epoche pre-romane. Questo potrebbe significare che le medesime alture su cui vennero posti i castelli potevano avere un valore cruciale dal punto di vista strategico e del controllo del territorio anche in epoche diverse.

Oggi tutto sembra essere cambiato, le strutture merlate di XIII secolo crollano, i muri in pietra delle fortificazioni si sfaldano, stritolati dai rampicanti. Non bisogna nasconderlo, purtroppo molto spesso strutture così antiche sono abbandonate a loro stesse e il peso del tempo si fa sentire. Malgrado la normativa italiana preveda la necessità della conservazione e della valorizzazione di beni culturali di questo tipo, la mancanza cronica di fondi per il settore cultura si traduce nell’impossibilità di mantenere intatto e accessibile il patrimonio. Eppure non tutto sembra essere perduto: sul territorio, piemontese e non solo, fervono le attività di riqualificazione di strutture antiche che raccontano la Storia che abbiamo letteralmente dietro casa, anche grazie a importanti campagne di sensibilizzazione della cittadinanza.

 

Lo sapevate? La torre medievale di San Pancrazio è stata anche un carcere
Da vistanet.it del 30 giugno 2022

La torre di San Pancrazio a Cagliari fa parte delle fortificazioni costruite dai Pisani durante il Medioevo in città. Durante il periodo spagnolo fu chiusa e trasformata in carcere. Ecco che cosa accadde.

La torre di San Pancrazio a Cagliari fa parte delle fortificazioni costruite dai Pisani durante il Medioevo in città. Durante il periodo spagnolo fu chiusa e trasformata in carcere. Ecco che cosa accadde. La torre di San Pancrazio è la torre più alta di Cagliari.

L’edificio, uno dei simboli della città (tanto che le torrette nel palazzo civico di via Roma sono state ispirate proprio dalle due torri pisane), si trova nel punto più alto di Castello, a fianco del palazzo delle Seziate. Dal terrazzo della torre si può godere (quando non soffia il maestrale) di un panorama bellissimo a 360 gradi.

La torre venne costruita nel 1305, sotto richiesta da parte dei Pisani, dall’architetto sardo Giovanni Capula, che progettò anche la torre dell’Elefante, edificata due anni dopo. Capula progettò anche una terza torre, la torre del Leone, poi rinominata torre dell’Aquila, ed incorporata nel palazzo Boyl, successivamente distrutta, in parte, nel 1708 dai bombardamenti inglesi, nel 1717 dalle cannonate spagnole e infine dall'attacco da parte dei francesi durante il quale perse la sua parte superiore (per questo motivo nella facciata sono state inserite tre palle di cannone, a ricordo di quell’attacco).

La torre è costituita in Pietra Forte, un calcare bianco estratto dal colle di Bonaria. Nei tre lati chiusi, che son spessi ben 3 metri, presenta varie feritoie molto sottili. Il quarto lato, come la maggior parte delle torri pisane, si rivolge verso l’interno del Castello, e mostra i ballatoi situati sui quattro piani della torre.

Successivamente venne chiuso il lato della torre che da verso Castello per abitazioni di funzionari e magazzini. In epoca aragonese l’edificio venne utilizzato anche come carcere.

Nel 1906, ad opera dell’ingegnere Dionigi Scano, vi fu un restauro mirato a riportare la torre all’aspetto originario, soprattutto attraverso la liberazione del lato murato nel periodo aragonese.

La torre serviva come baluardo difensivo per i numerosi attacchi genovesi e moreschi.

 

Un’isola carcere, simbolo di una nazione e patrimonio mondiale dell’umanità
Da ilbolive.unipd.it del 30 giugno 2022

Di Valerio Calzolaio

Vi sono luoghi che sintetizzano le dinamiche sociali di interi popoli e l’intera evoluzione storica di uno Stato contemporaneo, specie quando l’indipendenza è il frutto di complesse relazioni internazionali. La Finlandia ha poco più di un secolo di vita autonoma, repubblica assestante dal 1917-1918, poco più di un secolo fa. Grande più dell’Italia e con un decimo della nostra popolazione, il paese è quasi tutto foreste e laghi e isole. Fra i circa duecento paesi del mondo risulta il decimo per territorio coperto da alberi, ovvero per percentuale di superficie forestale
nazionale (il 73%, i primi nove sono tutte isole Stato di dimensioni relativamente ridotte); il numero stimato ufficiale di ecosistemi lacustri raggiunge l’incredibile cifra di 187.888 (il 10% del “territorio” nazionale), molti dei quali collegati l’un l'altro da fiumi; nel mar Baltico fra il golfo di Finlandia a sudest e il golfo di Botnia a ovest, oltre che in mezzo ad alcuni di quei laghi, vi sono arcipelaghi con circa 40 mila isolette, perlopiù piccole e piccolissime, meno di un chilometro quadrato. L’arcipelago marino di Soumelinna costituisce lo snodo decisivo, sia geografico che storico dell’attuale Finlandia.
L’area finlandese di Suomenlinna ha la modesta superficie complessiva di 80 ettari, meno di un chilometro quadrato. Si tratta di un minuscolo arcipelago abbastanza interconnesso, non di una singola isola; accessibile solo via mare si trova poco al largo della capitale finlandese, una posizione cruciale per l’avvicinamento, arrotolato verso il sud, visibilità ampia, bastano quindici minuti di ferry (in funzione tutto l’anno, d’estate anche più di un Waterbus); è composto di otto isole di cui cinque collegate da ponti (Kustaanmiekka, Pikku-Mustasaari, Susisaari, Iso-Mustasaari, Länsi-Mustasaari, Iso Mustasaari, Länsi-Mustasaari) e tre non visitabili a piedi se non attraccando di nuovo in modo controllato (Särkkä, Lonna, Pormestarinluodot). Le due più infrastrutturate sono Iso Mustasaari e Kunstaanmienka, il traghetto di linea fa scalo sulla prima (Main Quay), con i resti della prigione militare, la chiesa e molti servizi civili; il vaporetto bus sulla seconda (King’s Gate), quella più a sud, con una decina di cannoni sulle alture fortificate.

Dal 1991 Soumenlinna è stata dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità, come imponente “architettura militare” appartenuta a tre grandi regni (Svezia, Russia, Finlandia). Anche le architetture civili sono molto interessanti e ben conservate, dalla chiesa del 1954 (russa ortodossa all’inizio, poi protestante luterana) all’originario ampio cortile (Great Courtyard), allo stesso antico cantiere navale in parte ancora operativo (Dry Dock), alla villa del celebrato architetto e a tanti edifici misurati ed eleganti. L’arcipelago fu abitato per destinarlo a Fortezza, quella la ragione per risiedervi e organizzare tutti gli spazi. Sul suolo di Soumelinna a partire dal 1748 fu edificata dagli svedesi una imponente struttura inter-insulare per usi militari e navali.

Il gruppo di isole era originariamente denominato Sveaborg ("fortezza della Svezia"), conosciuto in finlandese con il nome di Viapori, allora il territorio dell’attuale Finlandia era parte della Svezia. Fu rinominato Suomenlinna (letteralmente "castello della Finlandia") nel 1918, in parallelo alla dichiarazione d'indipendenza della Finlandia dalla Russia. Dal 1917 al 1973 l’uso prevalente è stato di isolamento detentivo, poi trasformato in carcere aperto, ancora attivo. Oggi vi risiedono pure circa 800 abitanti ed è raggiungibile in 15 minuti via traghetto dal centro commerciale e turistico di Helsinki, con più corse ogni giorno dell’anno dalla deliziosa Market Square dove si erge il Palazzo Presidenziale, convergono esplanades e boulevard e, quando non piove, c’è il famoso mercatino di pesce, frutta e verdura, artigianato e bigiotteria.

Occorre tener presente che fra Helsinki e Stoccolma vi sono solo 400 chilometri via mare; d’altra parte fra Helsinki e San Pietroburgo solo 300 (via terra 400 ma non agevoli); siamo in un’area di comunità contigue, con più identità culturali e più lingue (da oltre un secolo le lingue ufficiali in Finlandia sono due: svedese e finlandese). La fortezza fu voluta dal governo svedese a metà Settecento per proteggere il paese contro l’espansionismo della Russia zarista. La costruzione iniziò nello stesso anno sotto la direzione di Augustin Ehrensvärd (al quale oggi è dedicato un bel museo sull’arcipelago). Nel 1788 servì come base militare durante la guerra russo-svedese sotto re Gustavo III, divenendo crocevia di cruente battaglie di cui molto si scopre visitando l’arcipelago.

Nel 1808, durante la guerra di Finlandia, la fortezza si arrese all'esercito russo senza opporre resistenza e, al termine della guerra, l'anno successivo, Suomenlinna (come tutta la Finlandia) passò sotto il controllo russo. Durante la guerra di Crimea, nel 1855, il sito fu bombardato e danneggiato dall'esercito anglo-francese. Nel 1917 la Finlandia dichiarò l'indipendenza dalla Russia e durante la guerra civile che ne conseguì, la fortezza venne utilizzata come campo di prigionia, assumendo il nome finlandese di Suomenlinna. Divenne un’isola arcipelago (prevalentemente) carcere, pur se nel 1939 servì ancora anche come base militare per l'artiglieria costiera, difesa antiaerea e sottomarina, durante la seconda guerra mondiale.

Nel 1973 terminarono le connesse funzioni difensiva e detentiva della fortezza, partirono le ultime guarnigioni dopo che la presenza militare era già stata drasticamente ridotta. Il controllo passò all'amministrazione civile. Suomenlinna è certo ancora la sede della Merisotakoulul, l'Accademia Navale della Suomen merivoimat, la Marina militare finlandese e sull'isola sventola la relativa bandiera navale a coda di rondine. Nel 1991 la fortezza viene, però, accettata sul World Heritage List dell'UNESCO come esempio unico di architettura militare europea del suo tempo. E arriva così la svolta nel rapporto dei cittadini, non solo finlandesi, con quell’arcipelago particolare. Oggi Soumelinna è una delle attrazioni turistiche più popolari della Finlandia e attira quasi un milione di visitatori ogni anno, moltissimi pure stranieri. Rapportateli, ovviamente, alla popolazione del paese e al turismo complessivo, in crescita ma non enorme.

Le coste dell’arcipelago sono rocciose e impervie, attracchi occasionali complicati e sconsigliabili, niente spiagge e acque libere. Si possono vedere residui militari e bellici, armamenti, sottomarino, trincee, ma è la complessiva costa a fare da baluardo nei secoli. Le alte mura di difesa si sono solo aggiunte a chiudere ogni spazio e proteggere eventualmente meglio chi vi si trovava. All'interno del complesso di bastioni e fortificazioni sono stati oggi allestiti musei, uffici, abitazioni, ristoranti, negozi, mostre, spazi e giochi per bambini, sale per banchetti, laboratori artigiani e per attività culturali; vi si svolgono manifestazioni lungo ogni stagione, coordinate da The Governing Body of Suomenlinna, agenzia governativa sotto il ministero del Ministero dell’Educazione e Cultura, molto attenta alla sostenibilità ambientale. Peraltro, sull’isola vi sono ormai da decenni perlopiù liberi residenti ed è inserita in numerose proposte turistiche nazionali. Si cammina lungo vie ciotolate o ghiaiose, rare auto permesse, molto verde, piccoli animali in libertà.

Lo stesso caso della detenzione odierna a Soumelinna va inserito nel quadro delle moderne legislazione e politica penitenziaria della Finlandia. La trasformazione dell’antica prigione in un carcere aperto risale alla combinata volontà nel 1971di rinnovare e restaurare la temibile fortezza e di preparare i detenuti alla libertà (con cento posti disponibili), ognuno con un personale piano di recupero e riabilitazione (lavoro e formazione), continuamente monitorato. Fra il 20 e il 30 per cento si tratta di condannati stranieri. La detenzione contemporanea non è nemmeno citata fra le informazioni turistiche, le autorità hanno spiegato che vi arrivano solo detenuti agli ultimissimi mesi della detenzione, quelli che lo chiedano e che non siano stati comunque condannati in precedenza a pene di molti anni. Vedremo cosa accadrà in futuro nella Finlandia coraggiosamente governata dalla giovane presidente (prima ministra) Sanna Marin e se vi sarà la Nato nel futuro di Soumelinna.

Se vi capiterà di visitare la Finlandia in questa torrida estate considerate pure che agli Archivi Nazionali vi è una splendida mostra su Soumelimma fino al 30 settembre 2022: Fortress of three nations. Sopra e lungo i muri mappe, oli, riproduzioni, plastici, manichini con vestiti d’epoca; lungo il percorso vetrine con documenti, reperti, diari, libri, dichiarazioni. Si parte dalla struttura dell’impero svedese nel 1747 per giungere all’Accademia Navale finlandese degli anni Trenta del secolo scorso. Soumelinna è davvero un caso più unico che raro nel mondo. Compendia le conflittuali vicende internazionali di quasi tre secoli nel Baltico e riassume le specificità geografiche e storiche del territorio finlandese. Come in molti altri casi altrove, il primo corposo insediamento umano aveva finalità pubbliche comunitarie: l’uso iniziale da parte dei poteri sulla terraferma non era detentivo, ma difensivo. Di risulta talora è divenuta anche un carcere, uso principale solo per alcuni decenni del Novecento. Fatto sta che anche ora assolve compiti di fine pena e rieducazione alla vita sociale e al lavoro, qualcosa di ulteriore e differente rispetto pure ad altri carceri aperti su isole (come a Gorgona).

Ne avevo già scritto, l’ho visitata solo di recente, per la prima volta. Potendo scegliere, meglio partire col bel tempo, basta una giornata: tanti prati e scarso cemento in strada, se piove ho verificato che ci si ripara male e ci si infanga molto. Si cammina fra la storia, hanno ben ricostruito gli ambienti e talora i costumi, con una propria guida stampata o con una persona competente si vengono a conoscere eventi e personalità di grande rilievo storico: da sempre molto prossima ai luoghi del potere istituzionale, un fazzolettino di terra alle porte della capitale, Soumelinna risulta al centro dell’evoluzione della vita libera in Finlandia, in vari tempi e modi. Ovviamente, tutti i paesi baltici sono ricchi di isole; come detto le acque finlandesi ne contano circa quaranta mila, costellano i laghi e appaiono come un unico grande arcipelago davanti a tutte le coste del golfo di Botnia a ovest e del Baltico a sud; spesso sono davvero piccole, 789 solo quelle con superficie inferiore a un chilometro quadrato e comunque per circa la metà abitate; risulta molto probabile che alcune siano state in passato usate per l’isolamento detentivo. Servirebbero almeno duecento storie nazionali delle isole carcere realizzate con alcuni criteri omogenei e concordati a livello internazionale, per garantire un elenco globale completo, in parallelo con la storia dei delitti e delle pene nei consessi umani.

 

Nuovo look per la Fortezza Vecchia: alberi, piazza e canale. C’è il parere favorevole del comitato di gestione
Da livornopress.it del 29 giugno 2022

Livorno 29 giugno 2022 – Un progetto per la riqualificazione della Fortezza Vecchia

Lo ha presentato la Porto Immobiliare Srl, chiedendo all’AdSP una concessione di oltre 2 mila mq nei pressi del complesso mediceo. Parere favorevole dal Comitato di Gestione

La Fortezza Vecchia, il gioiello di architettura militare simbolo di Livorno, è destinato a diventare, sempre di più, il veicolo attraverso il quale sviluppare un turismo di qualità e attrarre quindi in città un numero maggiore di crocieristi.

E’ con questa convinzione che quest’oggi, con il parere favorevole del comitato di gestione, l’AdSP si accinge a rilasciare alla Porto Immobiliare Srl una concessione di 2.109 mq nei pressi della fortificazione medicea.

Si tratta di 1240 mq di specchi acquei e 778 mq di aree scoperte adibite a rimessaggio e zone di verde

La società di Autorità portuale e Camera di Commercio che ha in mano la proprietà delle aree su cui opera Porto di Livorno 2000, ha chiesto di poterle usare per almeno dieci anni con l’obiettivo di avviare, a proprie spese, un progetto di riqualificazione della Fortezza finalizzato alla valorizzazione del piazzale nord e alla realizzazione di nuove strutture per l’accoglienza turistica.

Nell’ambito della risistemazione dell’area tra il Varco e il Fortilizio è prevista la realizzazione di un info-point, di un punto di ristoro e di connesse attività a supporto.

Il progetto comprende anche la prospettazione della piena acquaticità per un monumento che adesso è per metà attaccato alla terraferma, dal muro accanto a varco Fortezza sino al ponte levatoio in zona Capitaneria.

Si prevede che la prima fase dei lavori possa avere inizio dopo circa sei mesi dal rilascio della concessione e concludersi in altri sei mesi, interessando solo le aree lato fortezza e il prospicente specchio acqueo;

La fase successiva potrebbe avere inizio dopo circa un anno dalla conclusione della prima fase, con una durata di sei mesi, interessando anche le aree lato parcheggio e il prospiciente specchio acqueo.

 

Campo trincerato di Mestre: una storia lunga più di cent’anni
Da veneziaradiotv.it del 30 giugno 2022

Il più importante campo trincerato d'Italia si trova a Venezia

Venezia, la città della Serenissima, per secoli regina dello Stato de Mar e dello Stato de Tera, è anche la città dove si trova il più importante campo trincerato d’ Italia dopo quello di Roma. Racchiusa tra le mura in cemento armato dei dodici forti, si cela la storia plurimillenaria di questa città, del suo entroterra e dei suoi soldati, che hanno combattuto fianco a fianco dando la vita per la loro patria. Campo trincerato: una storia millenaria Metter piede in uno dei forti veneziani oggi, più di cent’anni dopo la loro costruzione, è come tornare indietro nel tempo. A quando nei cunicoli freddi, fatti di muri spessi, che collegano i magazzini e le varie stanze del forte, i soldati veneziani armati di rivoltelle e fucili, correvano svelti pronti a difendere la loro città dal nemico. Sembra ancora di sentirli, i colpi dei fucili nemici che si infrangono contro le mura di cemento armato dei forti. Scalfendole, sì, ma senza mai distruggerle.

Una storia lunga più di un secolo Una storia militare che iniziò nel 1862, quando per la prima volta tra i vertici dell’esercito italiano si avanzò l’ipotesi di costruire delle strutture fortificate, proprio come quelle francesi. Vere e proprie cittadelle militari utilizzate per difendere le città d’oltralpe, i cui confini erano minacciati dall’esercito prussiano. Passeranno però dieci anni prima che al Ministero della Difesa si approvino i progetti architettonici per la realizzazione dei forti italiani. Nonostante il conclamato fallimento di queste opere belliche fosse stato testimoniato dalla sconfitta della Francia, caduta di fronte all’esercito nemico. Si preparava così l’Italia, alla vigilia dei due conflitti mondiali. Schierando un piano di difesa fatto di campi trincerati estesi da nord a sud, da Venezia a Civitavecchia. E proprio Venezia era la piazza fondamentale che, se ben difesa, avrebbe bloccato l’avanzata del nemico. Concedendo all’esercito italiano tempo per riorganizzare un contro attacco e per avere, forse, la meglio sui nemici.

Forte Marghera, un’area di 48 ettari

Poggia le sue fondamenta su un’area un tempo paludosa, il primo e più grande tra i dodici forti del campo trincerato. Con i suoi 48 ettari, Forte Marghera occupa quello che un tempo era il borgo di “Margera” (ovvero il mare c’era), dove i veneziani conservavano le merci destinate al centro città. Una zona strategica questa, grazie alla presenza del Canal Salso che collegava “Margera” alla città di Venezia. Un vero e proprio ponte tra terra e mare

Il progetto del campo trincerato Quasi 90 anni dopo, il via definitivo al progetto del campo trincerato di Mestre. Con i forti Tron, Brendole, Carpenedo, Poerio e Bazzera prima, e i forti Pepe, Cosenz Mezzacapo, Sirtori e Poerio, poi. Esteso, sviluppato lungo un’ampia area di terraferma, nei dintorni di Venezia e delle sue isole. Questo progetto militare ampio e complesso venne interamente completato nel 1918 a ridosso dello scoppiare della Prima Guerra Mondiale. I lavori della struttura difensiva veneziana vennero definiti addirittura “colossali”. Attirando l’attenzione delle più alte cariche di Stato, tra cui quella del Re Vittorio Emanuele III e del generale Viganò, ex ministro della guerra. Nel giugno del 1910 decisero di lasciare i loro uffici romani per recarsi a Venezia e toccare con mano i risultati del progetto militare. Un progetto ambizioso e apparentemente ben riuscito, che però, come nel caso francese, non fu in grado di far fronte alle nuove tecniche di attacco nemiche utilizzate durante la Prima Guerra Mondiale. Rivelandosi inadeguato rispetto ad un combattimento nuovo, attivo, lontano dall’idea dei conflitti bellici del XVIII secolo. Così, alla vigilia del secondo conflitto mondiale i forti, da luoghi di combattimento attivo, assunsero la funzione di depositi e polveriere. Magazzini dove conservare munizioni utilizzate durante gli attacchi ed i conflitti a fuoco che si svolgevano altrove. Dal dopoguerra in poi, smilitarizzazioni, ristrutturazioni e riqualificazioni hanno caratterizzato la nuova vita di gran parte dei forti del campo trincerato. Riscrivendo la storia di edifici ormai abbandonati e segnati dallo scorrere del tempo. Da strutture militari, magazzini colpi di armi a fucine di cultura, centri per il reinserimento sociale, punti di riferimento per la cittadinanza locale e per le istituzioni. I forti continuano ad essere dei veri e proprio cardini per la società veneziana.

 

Salento, le mura dell'antica Acaya si sbriciolano: l'allarme del consigliere Pagliaro
Da gazzettadelsud.it del 28 giugno 2022

Le mura dell'antica città fortificata salentina di Acaya continuano a sbriciolarsi. L’ultimo crollo ha lasciato un grosso vuoto nella parte sud est della fortificazione medievale. Atri cedimenti sono occultati dalla fitta vegetazione, soprattutto edera e alberi di fico.

A segnalare la grave situazione è il consigliere regionale Paolo Pagliaro. "Dal sopralluogo che ho compiuto oggi ad Acaya emerge una situazione grave di abbandono e pericolo che richiede interventi immediati di puntellamento per scongiurare lo sgretolamento della cinta muraria e rischi per l’incolumità delle persone - ha detto - Ho presentato un’interrogazione urgente, rivolta al presidente Michele Emiliano, per invocare azioni che sono già prescritte nella mia mozione approvata all’unanimità il 5 aprile scorso dal Consiglio regionale, che impegna la Giunta ad attivarsi subito presso il Ministero della Cultura, per individuare e mettere in atto un percorso di esproprio delle porzioni in rovina e abbandono delle mura di Acaya di proprietà di privati, in modo da consentire l’avvio delle necessarie azioni di messa in sicurezza e consolidamento, prima di un’azione complessiva di recupero e valorizzazione non solo della cinta muraria, ma dell’intera cittadella.

Azione che speravamo potesse essere finanziata con il bando nazionale sui borghi da ben 20 milioni di euro. Così non è stato, perché tra i quindici borghi selezionati è risultato vincitore quello di Accadia, ma voglio ricordare che nell’audizione da me richiesta fu dichiarata la volontà dell’assessorato alla cultura di stanziare risorse regionali per la cura di tutti i borghi meritevoli, e chiedo sia dato seguito a questo impegno.

Acaya - conclude Pagliaro - non può più aspettare i tempi lumaca della burocrazia. È uno scempio e un dolore veder franare questo immenso patrimonio che lascia i turisti a bocca aperta per lo stupore ma anche per l’incredulità di fronte all’abbandono di un monumento così importante, unico esempio di cittadella fortificata medievale del sud Italia. La Regione Puglia non può continuare ad ignorare questa situazione sulla quale ho acceso un faro d’interesse sin da maggio 2021, con la mia richiesta di audizione.

È un patrimonio che non possiamo lasciar franare, sarebbe un delitto contro la bellezza e contro la storia. In altri luoghi d’Italia e d’Europa, intorno a monumenti simili, si è realizzato un sistema di accoglienza e promozione straordinario e fiorente. È inconcepibile che tutti proclamino impegno ma nessuno muova un dito per Acaya. La maledizione che grava su questa terra vede un lassismo inaccettabile da parte delle istituzioni, tutto sembra muoversi alla moviola, ammesso che si muova. Chiedo invece fatti: risposte celeri alla mia interrogazione, e interventi ad horas”.

 

Genova, Claudio Priarone presenta la guida “In cammino tra castelli e fortezze dell’Imperiese”
Da genova24.it del 28 giugno 2022

Genova. Martedì 28 giugno alle ore 18 alla Libreria Coop del Porto Antico Claudio Priarone presenterà la guida polisensoriale “In cammino tra castelli e fortezze dell’Imperiese”, pubblicato da Erga Edizioni.

Nove itinerari tra storia e leggenda da Cervo ad Imperia, Sanremo, Ventimiglia, Dolceacqua, Rezzo al Colle di Nava.

Presenterà Sebastiano Lopes, responsabile nazionale area Montagna UISP. Il volume illustra i percorsi che si sviluppano lungo i sentieri del Ponente ligure.

Si parte dalle località che si affacciano sul mare (Cervo, Imperia, Civezza, San Lorenzo al Mare, Cipressa, Santo Stefano al Mare, Pompeiana, Terzorio, Riva Ligure, Taggia, Bussana Vecchia, Sanremo e Ventimiglia), per poi spostarsi nell’entroterra in Val Nervia (Dolceacqua, Perinaldo, Apricale e Isolabona) e finire in Valle Arroscia (Rezzo e Colle di Nava).

Antichi castelli, torri di avvistamento, fortificazioni militari, pittoreschi borghi medievali, luoghi di culto con la loro storia e le loro leggende, muretti a secco e terrazzamenti, uliveti e coltivazioni di fiori rendono questi cammini tra mari e monti ancor più interessanti e suggestivi.

 

 

Bunker di Affi, l’ex presidio militare vuol diventare un’attrazione turistica
Da giornaletrentino.it del 27 giugno 2022

Comune di Affi e Università di Firenze pronti a dare il via ad un progetto di riqualificazione per trasformarlo in un vero e proprio museo della Guerra Fredda

AFFI. Negli anni della “Guerra Fredda” si era creata una linea difensiva – offensiva che partiva da Montichiari, per passare da Affi e Bovolone, per concludersi a Zevio. L’unica base italiana era quella di Montichiari, mentre Affi era sede Nato e Bovolone e Zevio erano basi miste condivise tra l’aviazione italiana e la Nato. Montichiari a parte, le altre erano base missilistiche anche con testate nucleari. Oggi è tutto disattivato, tranne Affi che col suo West Star, bunker segreto più grande d’Europa è prossimo ad essere trasformato in museo della Guerra Fredda grazie ad una convenzione tra l’Università di Firenze ed il Comune di Affi che daranno vita al progetto di riqualificazione.

Su questa base, West Star che si trova sotto il monte Moscal ad Affi, entro un anno diverrà un museo storico interattivo. Verrà così riqualificato e valorizzato il bunker operativo dagli anni Sessanta al 2007, diventato di proprietà del Comune di Affi nel 2018. Alla pari di molte altre basi presenti nel raggio di qualche centinaio di chilometri – come Base Tuono a Folgaria - anche West Star diverrà una testimonianza della Guerra Fredda: 13 mila metri quadrati di superficie interrata alla quale si accede con un chilometro di tunnel dove potevano trovare ospitalità 500 persone: aveva la funzione di comando nel caso di attacchi nucleari, chimici o batteriologici da parte della Russia. La prima parte del progetto sarà dedicata alla ricostruzione storica con una serie di interviste ai militari che negli anni hanno lavorato al suo interno; poi partirà l’iter burocratico per far diventare West Star un monumento storico nazionale. Nel frattempo gli interventi di ristrutturazione interessano la creazione di un impianto di ricircolo dell’aria e la messa a norma di quello elettrico. Non ancora stimati i costi, ma che comunque hanno già la copertura tramite i fondi statali che potranno essere richiesti a vario titolo.

Le prime visite guidate saranno a maggio del prossimo anno per un progetto che andrà avanti a step fino alla completa ristrutturazione che porterà West Star ad avere un ruolo fondamentale nel quadro economico dell’area di Affi perché che di certo sarà di grande richiamo turistico internazionale e siccome sognare è lecito, ci sarebbe anche l’aspirazione di farlo diventare Patrimonio Unesco. Dopo dieci anni di discussioni che a nulla hanno portato, oggi non mancano idee e volontà che rispettano lo spirito del manufatto la cui trasformazione – come era stato paventato – in hotel, casinò, ma anche luogo per la stagionatura di formaggi e salumi, oltre che in un centro di ricerca o in un recovering data, non avrebbe avuto alcun senso.

A Roma il museo diffuso è già realtà nelle gallerie del Monte Soratte ed il successo di visitatori è indiretta conferma della validità del progetto. West Star quando è nato era un segreto militare, altamente strategico e non solo con un ruolo difensivo. Dal 2007 anno della sua dismissione fino al 2018 è stato gestito dal V° Reparto Infrastrutture della Difesa Italiana con sede a Padova, ma di fatto non è più stato utilizzato. Al suo interno anche un bar, una palestra, stanze, mensa e cucina, ma West Star ha una particolarità: nulla può distruggerlo, nemmeno una bomba atomica. L’ultima esercitazione nel 2004, poi la progressiva dismissione col trasferimento di macchinari, degli strumenti per la comunicazione, casseforti ed archivi, ma quello che è rimasto è in ottimo stato di conservazione. Un patrimonio militare pronto a trasformarsi in un patrimonio turistico e culturale.

 

Un "nuovo" bunker a Firenze, ma per l’arte!
Da buildingcue.it del 27 giugno 2022

A Firenze l’ex rifugio antiaereo diventa galleria d’arte e spazio espositivo interattivo per architettura, arte e design.

Il vecchio rifugio-bunker antiaereo di via della Fornace diventa spazio espositivo altamente tecnologico; gli spazi possono ospitare mostre d’arte, architettura, design, fotografia, cinema, letteratura, insomma un luogo dove l’importante è essere creativi. I luoghi suggestivi caricano di un fascino senza tempo gli spazi espositivi. La realizzazione è di circa ottanta anni fa quando i bombardamenti erano all’ordine del giorno ed il rifugio-bunker scavato sotto la collina di Piazzale Michelangelo necessario a protezione di una parte dei cittadini fiorentini. I 165 mq totali denotano uno spazio angusto, freddo, spartano ma funzionale alla sua attività di riparo. Studio Archea firma il progetto e con un intervento davvero minuzioso e valorizzante riesce a dare vita ad uno spazio della memoria rimasto oramai in disuso.

Da bunker ad attrattore culturale, gli spazi

Il concetto di intervento degli architetti dello studio Archea ha visto due fasi di intervento; in prima battuta, l’azione è stata di intervenire sugli elementi strutturali e restaurarli; la seconda fase è stata la valorizzazione degli spazi ridando una nuova vita con un carattere deciso e di impronta culturale. L’ingresso è molto particolare, l’area esterna è di dimensioni ristrette, con un’apertura rivestita in acciaio corten si accede al rifugio-bunker. La terracotta rimanda ad un’idea di calore, riconoscibile e ben visibile dall’esterno dato che i mattoni sono faccia a vista e si contrappongono con la leggerezza e trasparenza del vetro che fa da contrasto.

L’interno come ogni spazio espositivo presenta per tutta la lunghezza pareti di esposizione, nonostante l’irregolarità data dal percorso. Gli schermi, che rendono il tutto un ambiente molto dinamico, innovativo ed interattivo, proiettano arti connettendo il visitatore con le opere; l’esperienza coinvolge l’utente durante la visita accompagnandolo per tutto il percorso. Sul retro sono posizionati i servizi, bagni con un corridoio separatorio. La scala elicoidale che al suo tempo serviva al controllo dell’esterno, rapido e fugace, taglia il terreno in verticale infilandosi verso l’esterno permettendo anche un ricircolo dell’aria, di vitale importanza.

Le linee pulite dettate dall’essenzialità dei materiali

Grazie alla scelta dei materiali semplici ma innovativi; alla posizione delle luci artificiali con un’illuminotecnica studiata; ai colori idonei alla funzionalità e spazialità degli interni, gli ambienti vengono trasformati e modernizzati. Le pareti creano una certa continuità in accordo con mattonelle ceramiche rettangolari, cangianti, con tonalità tra il verde ed il grigio donando movimento e vibrazioni di colore. I visitatori attraversano lungo il loro percorso una vera e propria grotta-bunker; lo spostamento lungo tutto il percorso è dettato anche da una pavimentazione sopraelevata che dona quella patina di carattere intrigante di un ambiente sotterraneo.

La funzione nascosta dei pavimenti è lo spazio tecnico necessario a tutti gli impianti di poter manovrare cablaggi e tubazioni; rendendo ancora più pulito e lineare lo spazio fruibile ai visitatori, lasciando liberi gli ambienti alla creatività ed atmosfera culturale. La ventilazione è meccanica, gli ambienti sono privi di aperture o finestre essendo ipogei. Il progetto dell’illuminazione è ben studiato, le fonti luminose sono posizionate lungo tutta la camminata in corrispondenza degli schermi ad evidenziare la posizione degli elementi attrattivi. Nel fondo, il punto focale riprodotto con dei pannelli lucidi di colore blu acceso con il contrasto del bianco, allungano gli spazi e li dilatano, inoltre la visuale è accentuata dagli specchi che creano un gioco di riproduzione degli ambienti, facendo si che lo stiramento dei luoghi si amplifichi.

La progettazione e restauro di questi luoghi della memoria denota una sempre maggiore attenzione alla storicità del patrimonio urbano e culturale. Questo percorso di valorizzazione dei luoghi storici ha visto praticità anche in altri luoghi d’Italia; con la speranza che aumentino gli esempi da seguire, Studio Archea traccia la rotta fornendo un pratico esempio di come agire intelligentemente sulle tracce storiche e culturali del nostro immenso patrimonio.

 

Passo avanti per il recupero dell’ex bunker
Da larena.it del 26 giugno 2022

È stata approvata in consiglio comunale la convenzione, tra il Comune e il Dipartimento di Architettura dell'Università di Firenze, per il progetto di musealizzazione e riuso dell'ex bunker West Star scavata nelle viscere del Monte Moscal. La ricerca coordinata dal professor Michelangelo Pivetta durerà un anno. Pivetta ha affermato che tra gli obiettivi c'è anche quello di inserire l'ex base nato di Affi, che rappresenta un unicum nel suo genere, nel novero del patrimonio Unesco. La valorizzazione di questo sito dovrà avere come base anche istituzione di un vincolo monumentale da parte della Sovrintendenza. Per Pivetta, già a febbraio potrà essere presentato un progetto di fattibilità per il recupero e la valorizzazione di West Star. «Tra le priorità da raggiungere», ha sottolineato il professor Pivetta, «è rendere fruibile al pubblico questa particolarissima costruzione militare ben conservata».

Il Comune per questa ricerca verserà all'Università di Firenze 40mila euro. Il rifugio antiatomico West Star di Affi dispone di una superficie di circa 13 mila metri quadrati ed è una struttura unica nel territorio italiano ed europeo. Per questo motivo la sua musealizzazione è un'opera di primaria importanza. L'approccio proposto dai docenti e ricercatori fiorentini e quello del restauro conservativo, nella sua accezione più generica di rimessa in funzione senza alcuna alterazione delle caratteristiche tipologiche, formali, estetiche e materiche. Procedere in questa direzione significa ridurre il ripristino dell'intera opera a poche ed essenziali operazioni e soprattutto preservarne il carattere che ne definisce l'identità che lo può far ambire a diventare monumento. «Così resterà inalterato lo stato dei luoghi come sono stati lasciati nel 2006», ha spiegato Pivetta, «con l'intento progettuale di lavorare su addizioni puntuali, che, come corpi estranei, si inseriscano all'interno del bunker senza necessità di modifiche al suo stato. Questo permetterà, in un'ottica di valorizzazione, di trasmettere al visitatore un trasporto emotivo quanto più vicino alla realtà di quest'architettura bellica pensata e realizzata durante la Guerra Fredda in modo da costruire una narrazione necessaria per le future generazioni.

La musealizzazione del complesso sotterraneo», ha aggiunto il docente, «non può prescindere da una coordinata proposta progettuale in ambito urbano e territoriale del contesto paesaggistico del Monte Moscal che per caratteri ambientali e geografici rappresenta un’eccezione, ancora poco conosciuta, dell'entroterra lacustre veronese». Potranno essere individuati e ripensati percorsi di varia natura, aree di sosta per i visitatori e ulteriori soluzioni finalizzate al miglior accesso ai luoghi. Ulteriore ambito indagato nella ricerca e proposto al Comune di Affi è la possibile realizzazione di un archivio fisico-analogico, basato su dati digitalizzati: un qualsiasi documento digitale potrà essere inciso su una lamina di nichel tramite un laser, che traccerà in maniera permanente la superficie metallica ad altissima risoluzione in dimensioni microscopiche. Questo sistema offre la possibilità di depositare enormi quantità di informazioni in uno spazio minimo e per un tempo lunghissimo. •. Luca Belligoli

 

Il Forte di Exilles resta chiuso nonostante le promesse
Da corriere.it del 23 giugno 2022

Di Gabriele Ferraris

La Regione aveva annunciato un accordo per riaprilo.

Non è stato ancora firmato Per bene che vada, quella del Forte di Exilles sarà un’estate a metà. Eppure sembrava la volta buona, dopo anni di speranze, appelli e inutili tentativi di riaprire ai visitatori la fortezza, passata nel 2019 dal Demanio alla piena proprietà della Regione. «Dovremmo essere pronti entro giugno», dichiarava lo scorso 9 aprile al Corriere Torino l’assessore alla Cultura Poggio. Mancava soltanto un passaggio formale, di competenza dell’assessore al Patrimonio Tronzano: la concessione del Forte al Comune di Exilles, «che a sua volta affiderà la gestione a un’associazione locale». Una cinquantina di giorni dopo, il 31 maggio, eravamo al punto di partenza: Tronzano, in risposta a un’interpellanza in Consiglio regionale, scriveva, nel linguaggio curialesco della sonnacchiosa burocrazia, che «si procederà alla formalizzazione di apposito accordo di collaborazione fra la Regione e il Comune, previa adozione di apposita deliberazione autorizzativa d’iniziativa della giunta regionale e previo rilascio da parte del segretariato regionale del ministero della Cultura (ovvero la Soprintendenza, ndr ) dell’autorizzazione di cui al decreto legislativo 42/2004, la cui richiesta è stata inoltrata dal settore Patrimonio».

Rispetto alle dichiarazioni di Poggio dell’8 aprile, la risposta di Tronzano aggiungeva un unico elemento nuovo: per le attività al Forte — precisava — il Comune di Exilles (o l’associazione affidataria) riceverà un sostegno dalla Compagnia di San Paolo. Tale sostegno dovrebbe aggirarsi sui 40 mila euro. Dalla Compagnia mi confermano che loro sono pronti a pagare: ma a chi pagano, se ufficialmente non esiste ancora un beneficiario? Non è tutto. Tre progetti per svolgere attività di spettacolo al Forte sono già finanziati e pronti a partire: l’associazione Borgate dal Vivo ha ottenuto fondi dal Ministero, Tangram Teatro dal bando Not&Sipari di Fondazione Crt, il Centro Culturale Diocesano di Susa dal bando InLuce di Compagnia di San Paolo; e anche Piemonte dal Vivo è pronto a intervenire con una serie di spettacoli a proprio carico. Ma nulla si muove senza la sospirata delibera regionale. La quale, a sua volta, attende il via libera della Soprintendenza. Via libera che – si spera potrebbe arrivare oggi, 23 giugno. Forse.

Di sicuro l’altro ieri il sindaco di Exilles Michelangelo Castellano non aveva ancora ricevuto nessun atto dalla Regione. Interlocuzioni sì, papiri no. Il pragmatico sindaco si è portato avanti con il lavoro: lo scorso 20 giugno ha pubblicato un prudentissimo «avviso esplorativo per manifestazione d’interesse» rivolto alle associazioni culturali interessate alla gestione del Forte. «Solo a seguito di un accordo fra Regione e Comune», puntualizza l’avviso con montanara cautela. Per aderire c’è tempo fino al 5 luglio. Dopodiché una pur minima procedura per l’assegnazione sarà necessaria — la burocrazia non fa sconti — e intanto si dovrà trovare il personale, quantomeno un guardiano, e il Forte andrà riportato all’onor del mondo con le pulizie e lo sfalcio dell’erba. Ammesso e non concesso che l’«apposito accordo di collaborazione fra la Regione e il Comune» venga formalizzato a tambur battente, pare impossibile che il Forte riapra prima del 15-20 luglio. Quando mezza stagione turistica sarà già sfumata.

 

Recoaro Terme, progetto per un ecomuseo diffuso dei bunker nazisti
Da corrieredelveneto.it del 22 giugno 2022

I lavori a una rotatoria hanno riportato alla luce uno dei 27 rifugi del paese, murato negli anni Sessanta. «Pensiamo a un percorso che parli di pace»

Di CAMILLA BERTONI di Camilla Bertoni Recoaro Terme, il bunker venuto alla luce dopo i lavori a una rotatoria Del cosiddetto bunker di Recoaro Terme, contro cui è andata a «sbattere», sembrerebbe quasi casualmente, una ruspa, si conosceva esattamente l’esistenza. Lo conferma Paolo Asnicar, consigliere comunale di Recoaro con delega al Turismo e membro dell’Associazione Bunker 1940-1945. «Abbiamo “scoperto” un bunker che era già in mappa — commenta ironizzando sull’accaduto —. Anche perché i tedeschi, autori dell’opera che doveva servire da rifugio antiaereo, il più grande tra i 27 che abbiamo a Recoaro, hanno lasciato le mappe e le localizzazioni geografiche di tutti i rifugi. Il più importante fu il Kesserling dove si firmò la resa dei tedeschi visto che ospitava il comando delle truppe tedesche in Italia».

I LAVORI PER LA ROTATORIA L’occasione della «scoperta» è stata data dai lavori per la rotatoria con pista ciclabile sulla provinciale 246 che va da Recoaro a Valdagno. «Un rifugio che era stato murato negli anni ’60 dopo un incidente — continua Asnicar — accaduto a un bambino che aveva trovato un proiettile e aveva perso due dita. Proprio per la loro potenziale pericolosità i 27 bunker nel territorio comunale sono stati tutti puliti e chiusi». Ma tutta la vicenda non avrà un grande seguito secondo il consigliere comunale. «Si trova fuori dalla sede stradale e dunque non impedisce il proseguimento e la conclusione dei lavori in uno snodo importante e pericoloso, che va assolutamente sistemato. Il bunker verrà chiuso con un cancello per evitare incidenti».

IL PROGETTO DELL’ECOMUSEO Quanto alla sua valorizzazione, Asnicar esclude che possa essere inserito in un percorso di visita, per la sua posizione troppo a ridosso della strada. «Ma ci sono sei bunker a Recoaro su cui la nostra associazione ha già fatto un progetto per un ecomuseo diffuso — spiega —, progetto che è stato accolto dal Comune che ne vede le potenzialità culturali. Per i primi tre è già stato fatto un bando che vede un percorso snodarsi dal centro verso le terme. Si tratta di un progetto per parlare di pace che va inserito nell’ambito delle ricchezze del territorio che sono state coinvolte negli episodi bellici, dai sentieri alle montagne».

 

La postazione militare in località Ficarazzi al Km. 249+300
Da cefalunews.org del 20 giugno 2022

Di Giuseppe Longo

La postazione militare, sita in Ficarazzi (PA) lungo la statale 113 e adiacente alla riva del fiume Eleuterio, è assimilabile verosimilmente a una postazione di sbarramento stradale e forse servì anche da controllo fluviale. In realtà la costruzione in calcestruzzo dalla superba veste architettonica, come tutte le eterogenee postazioni pluriarma e monoarma, furono edificate nei posti strategici: cavalcavia, strade, torrenti, caselli, ponti ferroviari, ecc. Pertanto, il suddetto fabbricato svolse anch’esso, probabilmente, un duplice compito di sorveglianza. La struttura si erge su tre elevazioni e presenta nei prospetti nord, est e ovest un numero variabile di feritoie più o meno grandi per armi automatiche, e ancora, aperture non solo di forma circolare, ma anche dal contorno rettangolare, queste ultime tuttavia murate.

Sia la postazione sull’Eleuterio e sia quelle ubicate in località “Gattarello”, ambedue distanti in linea d’aria circa 500 m. furono le classiche postazioni dell’entroterra costruite su una “linea di contenimento”. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, nel corso dell’Operazione Husky (9 luglio-17 agosto) a difesa di tutta fascia litorale siciliana erano posizionate cinque divisioni costiere, due brigate e un reggimento autonomo costiero. Il territorio litoraneo di Ficarazzi era di competenza del 136° Reggimento Territoriale Mobile (Autonomo), inquadrato nella 208^ Divisione Costiera, dipendente dal XII Corpo d’Armata.

Abbiamo chiesto al Dott. Geol. Donaldo Di Cristofalo (1) del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari” di descriverci l’interessante postazione militare situata lungo la Strada statale 113 Settentrionale Sicula, in località Ficarazzi. «La postazione in questione si trova nei pressi dell’ingresso orientale dell’abitato di Ficarazzi (Pa), al bordo lato mare della SS.113, al Km.249+300, in corrispondenza dell’attraversamento (ponte) del fiume Eleuterio, rispetto al quale ricade in sponda idraulica sinistra. Coordinate geografiche: 38° 05’30”N – 13°28’40”E.

Si tratta di un bunker con evidenti funzioni di “blocco stradale”, in posizione ottimale per controllare la strada sulle due direttrici, nonché il tratto di piana costiera verso Nord. La costruzione in cemento armato è di pregevole fattura architettonica, non mancando elementi che richiamano ai tratti tipici delle costruzioni, specie pubbliche, degli anni 30 del 900 (la similitudine di alcune forme con quelle dell’idrovora di Sassu, ad Arborea, Sardegna, è stupefacente). Alle feritoie per armi, si affiancano elementi puramente estetici, come il montante reggi pennone/antenna, sullo spigolo sud-orientale dell’edificio, ma anche le due sfinestrature circolari, con verosimile funzione di aerazione. Tre i livelli su cui si sviluppa, due fuori terra rispetto alla sede stradale, e uno, sottostante, sul piano di fondazione, alla base della spalla del ponte.

Le condizioni generali sono buone in virtù dei materiali di costruzione, ma tutte le superfici, esterne ed interne, versano in cattivo stato. Sul tetto è visibile, caduta ma ancora vincolata da cavi e fili, un’antenna, che il Gen.le (R) Mario Piraino riconosce come di origine statunitense, nella frequenza dei 432 Mhz, utilizzate dall’ANAS nel periodo postbellico. Infatti l’edificio mostra ancora, in alto sulla porta di accesso stradale la scritta ANAS, chiarendo l’utilizzo che se ne fece, probabilmente fino agli anni 70 – 80 del secolo scorso. E’ nostra modesta convinzione che l’edificio, per le sue caratteristiche architettoniche e storiche, meriti una particolare attenzione, laddove un intervento di restauro, non particolarmente oneroso, porterebbe ad una sua sicura valorizzazione, di cui potrebbe avvantaggiarsi il territorio locale».

Note:

(1) Geologo, già funzionario presso il Comune di Termini Imerese (PA), appassionato di storia militare e membro del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari”.

Bibliografia e sitografia

Carlo Clerici, Le difese costiere italiane nelle due guerre mondiali, Storia Militare, 1996.

Giuseppe Longo, “Pagine sul secondo conflitto mondiale in Sicilia e nel distretto di Termini Imerese”, Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici (I.S.P.E.), Palermo, 2021.

Giuseppe Longo, 2022 “Le postazioni militari di Ficarazzi (PA) in località “Gattarello”, Cefalùnews, 30 maggio. Giuseppe Longo, 2022, “Seconda Guerra Mondiale. La galleria ferroviaria dismessa di Termini Imerese (PA)”, 16 Maggio 2022.

Giuseppe Longo, 2022, “L’epopea del Treno Armato di Termini Imerese (T.A. IV 152/1/T)”, Cefalùnews, 17 giugno.

Si ringrazia: Mario Piraino, Generale di Brigata (Aus). Giuseppe Longo giuseppelongoredazione@gmail.com @longoredazione 

 

Quei bunker costruiti dai tedeschi per paura di uno sbarco degli Alleati
Da ravennaedintorni.it del 19 giugno 2022

Riscoperti da appassionati di storia tra dune e pineta del litorale, le fortificazioni della linea Galla Placidia, ora sono meta di visite guidate

Di Andrea Alberizia

Nel cielo sopra a Punta Marina nel weekend del 18-19 giugno mostrano i muscoli alcuni dei prodotti più recenti della tecnologia militare, qualche centinaio di metri più in basso invece si trovano testimonianze di quando la guerra da quelle parti, quasi un secolo fa, si combatteva per davvero. Tra la pineta e le dune sabbiose infatti sono visibili una decina di bunker costruiti dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale come prevenzione da un eventuale sbarco degli Alleati via mare. Un sistema costiero di fortificazioni in cemento armato e strutture difensive che componevano la cosiddetta linea Galla Placidia, estesa per 130 km da Pesaro alla foce del Po. Le opere sono su terreno demaniale, quindi di proprietà dello Stato. Volontari e appassionati di storia li hanno rintracciati e recuperati nel corso del tempo, ora sono liberamente visibili dall’esterno ma, da qualche tempo, non più accessibili all’interno. «Si possono vedere bunker di due tipi che di solito venivano realizzati affiancati – spiega Serena Zecchini, guida turistica che per l’agenzia Riviera Experience accompagna i visitatori nei tour percorrendo i sentieri che un tempo erano trincee –. Il Regelbau 668 era un alloggio per sei soldati, il Tobruk è invece solo per due soldati impegnati alla mitragliatrice».

Uno dei più significativi è visibile nei pressi del ristorante Cristallo e del parco giochi: «Venne costruito dai tedeschi per farci passare il cavo del telegrafo che partiva da una vicina palazzina e arrivava fino a Pola passando sotto al mare». Altrettanto interessanti sono quelli che si trovano nelle vicinanze del bagno Bolognino: «Sono parzialmente demoliti. L’ipotesi è che gli alleati volessero smantellarli completamente per avere più spazio per le piste di atterraggio e decollo in quella zona ma non riuscirono a distruggerli completamente, a dimostrazione della buona realizzazione». Se nella zona di Punta Marina sono rimasti visibili perché in aree dove non si è edificato, diverso è lo scenario a Marina di Ravenna: «Molti bunker sono stati inglobati nelle case, diventandone le fondamenta antisismiche. Alcuni ora sono cantine di case». Ad esempio quello che si vede parzialmente nel parcheggio di piazzale Azzurra: «È un Regelbau 669, uno dei più grandi rimasti di tutta la linea Galla Placidia ed era dotato anche di cannone. Un altro di grandi dimensioni e ben conservato è in pieno centro, tra lo stabulario e il negozio Punto Vela: sarebbe meraviglioso poterlo rendere visibile ma al momento per lo Stato è ancora considerato un elemento di difesa…».

 

Il bunker atomico di Tito diventa un’attrazione per i turisti di Lagosta
Da ilpiccolo.it del 17 giugno 2022

A scavarlo sono stati anche prigionieri tedeschi che poi furono fucilati. I primi stranieri vennero ammessi all’isola solo nel 1988

Di MAURO MANZIN

TRIESTE È oramai storia che il maresciallo Tito tenesse in modo particolare alla sua incolumità. E così disseminò la sua Jugoslavia di bunker a prova di attacco nucleare dove poter sopravvivere per mesi. Uno di questi, e tra i più grandi, si trova sull’isola di Lagosta dove per decenni gli isolani dovettero mantenere il segreto pena la loro stessa vita.

Oggi, come per altre simili installazioni, si è pensato di rivederle in chiave storica e offrile ai turisti con tanto di pupazzi con uniformi originali dell’epoca per mostrare l’uso delle varie stanze in essa contenute.

 

Tracce della memoria: nuova mostra al Forte di Fortezza
Da lavocedibolzano.it del 13 giugno 2022

Che tracce hanno lasciato i soldati al Forte di Fortezza? Ce lo raccontano Petra Polli e Werner Gasser nella mostra “Tracce della memoria“, presentata sabato. Disegni, scarabocchi, numeri, segni di conteggio, lettere isolate, simboli sulle pareti scrostate, incisi nei mattoni rossi o scolpiti nella pietra – ovunque si trovano tracce del passato nel Forte di Fortezza. Si tratta in gran parte di testimonianze di ex soldati che trascorsero settimane o mesi tra queste mura, imprimendo su di esse i loro desideri più profondi, immortalando messaggi segreti. Per noia, paura o nostalgia? Cosa vogliono dirci questi segni? Come possiamo leggere, comprendere o interpretare queste tracce?

Petra Polli abbraccia il tema delle tracce fin dai suoi studi a Lipsia: raccoglie tracce dall’arte del graffitismo, le fotografa e le reinterpreta, giocando consapevolmente con i messaggi segreti e l’estetica dei graffiti e sviluppando in tal modo il proprio linguaggio visivo e la propria forma di espressione. Nella mostra presenta ad esempio l’opera  “Nolpdjlsiho/Klimagipfel“, decodificando un concetto avvalendosi di un antico metodo di crittografia e fondendolo nel cemento. Preparandosi alla mostra l’artista si è confrontata anche con i segni visibili e quelli ritenuti invisibili della vita quotidiana: con l’aiuto di un’app per biciclette ha elaborato i tragitti che le dipendenti e i dipendenti della fortezza coprono ogni giorno all’interno del forte visualizzando poi tali percorsi per mezzo di varie installazioni luminose (da vedere nell’opera “Tracce virtuali”). Nell’opera “Tracce vissute” infine l’artista dona nuovo splendore a vecchi oggetti scartati coprendo con la vernice le tracce lasciate dall’uso o dal consumo. Werner Gasser, invece, che usa mettersi alla ricerca di tracce con la sua macchina fotografica, per la mostra al Forte di Fortezza ha scelto una via diversa: ispirandosi a Daniel Liebeskind – a cui si deve la ristrutturazione del Museo Ebraico di Berlino – si è rapportato ai muri e alle sale cariche di storia della fortezza cercandovi tracce personali o, ancor più, ricordi della sua vita e della propria carriera artistica.

A rivestire un ruolo particolare nelle sue opere sono il fattore tempo, l’avanzare di quest’ultimo e i cambiamenti che accompagnano tale processo, tracce che si inscrivono nella materia come ricordi di istantanee. È questo che ci viene presentato nella sua installazione fatta di borotalco che si estende attraverso diverse sale (una nuvola di profumo avvolge chi le si avvicina). Come cambieranno queste superfici nelle prossime settimane durante l’esposizione? Immagini istantanee del qui e ora e la visualizzazione di tracce, ricordi impressi e destini umani costituiscono altri temi che percorrono le opere qui esposte. La mostra è visitabile fino a fine ottobre 2022

 

Miramare “nero”: le fortificazioni naziste del 1943-44
Da triesteallnews.it del 11 giugno 2022

Di Zeno Saracino

La galleria principale. Foto dal volume "Sotterranei della città di Trieste: catasto illustrato delle cavità artificiali", Trieste, Lint, 2001

11.06.2022 – 07.01 – La dottrina nazista “Blut und Boden” (sangue e suolo) trovò negli ultimi rantoli di vita dell’Impero di Reich espressione nella sfera delle costruzioni belliche: nonostante l’importanza della guerra nell’aria e sul mare, per il nazismo la guerra sulla terra (per la terra?) rivestì un ruolo chiave. Lo stesso concetto dello spazio vitale, del Lebensraum, era connesso a questa visione connessa all’elemento della litosfera, della terra, del sangue. Il filosofo e urbanista Paul Virilio fu il primo a connettere il Blut und Boden con l’epidemia architettonica che imperversò nei territori dominati dal Reich, costellati di un’infinita collezione di bunker e trincee, di casematte e torri antiaeree, di cunicoli e tunnel sempre più addentro alla terra, la “propria” terra. L’architetto Friedrich Tamms mutuò dalle tecniche utilizzate per le autobahn l’utilizzo pervasivo del cemento armato, perseguendo la costruzione di bunker nazisti definiti “cattedrali dell’artiglieria” dove la forma doveva prevalere sulla praticità e dove “proteggersi era pregare” (chissà cosa ne pensavano i soldati acquartierati!). Se la rimozione dell’ideologia nazista è stata perseguita nell’Europa del secondo dopoguerra con capillare accuratezza, i bunker di Tamms si sono rivelati inamovibili, “resistendo” i tentativi di sradicamento. La seconda generazione degli architetti modernisti e successivamente del brutalismo degli anni Sessanta e Settanta del novecento hanno poi tratto da questi “tumuli”, da questi “sepolcri funerari”, nella definizione di Virilio, i propri modelli. Una conseguenza involontariamente positiva dell’architettura nazista, incongruamente traslata al clima del boom economico.

Il morbo dei bunker non trascurò certo Trieste e il Litorale adriatico, inseriti nella zona di operazioni definita Adriatisches Küstenland, sotto diretto controllo tedesco. I timori di un possibile sbarco alleato incentivarono la costruzione, presso la costa, di bunker, gallerie e batterie contraeree. Trieste, già ricca di rifugi dall’inizio della guerra, si popolò di una vasta collezione di cunicoli e bunker. Il castello e il parco di Miramare, essendo posizionati in una zona altamente strategica, vennero anch’essi muniti di una batteria costiera. Si trattò di un lavoro incompleto, ma imponente: un sistema completo di gallerie e stanze connesso a un gruppo di cannoni. Il primo rilievo della fortificazione nazista di Miramare risale agli anni del conflitto, ad opera di un reparto militare e paramilitare composto da membri italiani della Commissione Grotte degli anni Quaranta. Successivamente il rilievo e la planimetria della batteria contraerea venne risistemato e pubblicato sull’Annuario del Parco di Miramare del WWF

(1975). L’argomento venne poi recuperato nuovamente, con successive esplorazioni, dalla rivista “Progressione” del 1988, ad opera di Pino Guidi. La fortificazione venne costruita tra il 1943-44 sul lato destro di Viale Miramare, sul fianco di una collina calcarea. Tutt’oggi gli sbocchi delle cannoniere, successivamente murati, sono chiaramente visibili. L’armamento consisteva in una batteria costiera e un paio di pezzi contraerei e costituiva la punta nord occidentale di un sistema costiero che risaliva fino a Salvore. In linea generale la fortificazione era composta dunque da quattro cannoniere, cioè quattro aperture per i pezzi di artiglieria, collegate tra loro con un sistema di gallerie dalla notevole estensione. Le gallerie, a propria volta, presentavano una serie di stanze adibite a osservatori, magazzini e camerate. Le gallerie erano accessibili attraverso due pozzi di aerazione e due accessi principali. La galleria dominante, scavata nell’arenaria e rivestita col cemento armato, misura 195 metri di lunghezza e due metri rispettivamente di larghezza e altezza. L’utilizzo del cemento armato ha permesso la sua conservazione, trattenendo i crolli continui della fragile arenaria. Si entra teoricamente dall’ingresso presso la portineria, dopo aver superato il varco di accesso al Parco, giungendo a cinque diramazioni. La prima e le ultime tre conducono alle rispettive cannoniere, la seconda a una sala per il deposito di materiale. Vi sono poi, dalla galleria, una serie di accessi a nove piccole stanze, probabilmente con funzione di magazzino. Vi è inoltre un secondo accesso principale, dietro gli edifici delle scuderie. Il parco presenta inoltre due pozzi di ventilazione, dal quale poter accedere alla galleria: uno di venti metri e l’altro di dodici. Come tanta architettura bellica, si trattò di costruire per distruggere: le cannoniere non vennero mai coinvolte in uno scontro a fuoco, ma i lavori di fortificazione portarono a eliminare una suggestiva torretta belvedere ottocentesca nota come Pfeifferturm, voluta dallo stesso Massimiliano d’Asburgo.

Fonti: Pino Guidi, Speleourbana: una curiosità appagata, in Progressione, 1988:

https://www.boegan.it/1988/07/gli-ipogei-del-parco-di-miramare/

Paolo Guglia, Armando Halupca, Enrico Halupca, Sotterranei della città di Trieste: catasto illustrato delle cavità artificiali, Trieste, Lint, 2001

Paul Virilio, Bunker Archaeology, New York, Princeton Architectural Press, 1994

 

Lugano, più posti letto nei bunker che abitanti
Da laregione.ch del 9 giugno 2022

Di Shila Dutly

È quanto emerso dal censimento, il primo in Svizzera, presentato dal Municipio sui rifugi pubblici e privati sul territorio comunale

Fino a qualche mese fa sapere se la propria abitazione fosse munita o meno di un bunker sarebbe stato l’ultimo dei pensieri. Ma ora che la guerra è tornata a bussare alle porte d’Europa, le cose sono cambiate. Ci si chiede quanto durerà, se mai arriverà in Svizzera e se, in quel caso, saremo pronti in caso di necessità. Queste, bene o male, le domande e i timori di molti, ma non solo. Infatti, anche il Comune di Lugano, in collaborazione con il Consorzio Protezione Civile Regione Lugano Città, ha deciso di sviluppare un progetto di raccolta, analisi e diffusione dei dati statistici relativi ai rifugi pubblici e privati disponibili in ogni quartiere della città. «Ci siamo mobilitati perché la situazione politica internazionale ha recentemente evidenziato l’importanza strategica dei bunker. Ma anche perché nelle ultime settimane abbiamo ricevuto diverse domande, da parte di chi era intenzionato a stabilirsi nel nostro comune, riguardo la presenza o meno di rifugi pubblici», racconta durante la conferenza stampa Tiziano Galeazzi, municipale e Capodicastero consulenza e gestione.

I posti protetti sono oltre 70mila Nel censimento si è tenuto conto non solo dei rifugi di proprietà della Città ma anche di quelli appartenenti ai privati. Dai dati raccolti è emerso che, in tutto il territorio comunale, sono presenti ben 73’170 posti, ovvero 9’744 in più degli attuali abitanti (66’585). «Questo significa che la disponibilità di posti è largamente sufficiente a ospitare l’intera popolazione di Lugano –, spiega il municipale che continua –. Nel progetto abbiamo voluto rapportare il numero di abitanti a quello dei posti, in modo tale da determinare se ci fosse oppure no una copertura. In generale il risultato è molto, visto che abbiamo un grado di copertura del 115%». Però qualche differenza fra vari quartieri c’è. Nel Centro di Lugano, ad esempio, su 5’253 abitanti ci sono 13’190 posti, il che porta a un grado di copertura pari al 251%. Per contro, a Gandria, sebbene vi siano 278 abitanti non ci sono rifugi. Come sopperire a questo? «Nel caso di quartieri dove invece di un surplus si è registrato un deficit in caso di necessità si può pensare a trovare delle soluzioni provvisorie (nel caso la situazione non fosse di gravità elevata) oppure rivolgersi a zone limitrofe – afferma Aldo Facchini, Comandante della Protezione Civile Regione Lugano Città –. È importante sottolineare che in caso di emergenza bisogna attendere le istruzioni date dalle autorità e non fiondarsi subito nei luoghi protetti».

Un progetto pionieristico «Quando abbiamo iniziato a interrogarci sulla questione, ci siamo resi conto che a livello svizzero non esistevano dati inerenti ai rifugi. Perciò possiamo dire di essere i primi come Comune a fare queste mappature –, afferma Galeazzi, aggiungendo che –. Questo non solo è un lavoro di qualità dal punto di vista del dato statistico, ma anche della collaborazione tra Protezione civile e i vari organi comunali». Gli scopi dell’iniziativa sono molteplici, così come le persone toccate. Da una parte il lavoro offre una base di appoggio per la Protezione Civile nel valutare, pianificare e implementare le strutture esistenti dal punto di vista della qualità e delle quantità. Ma può essere un appoggio anche alle istituzioni pubbliche perché permette loro di studiare ed elaborare una linea politica in tempistiche più brevi. E poi vi è la parte divulgativa, dando alla popolazione informazioni precise, puntuali e facilmente consultabili (andando sul sito web statistica.lugano.ch, nella scheda intitolata: "Protezione Civile: rifugi e posti protetti") sullo stato dei rifugi presenti nei loro quartieri, in modo tale da accresce la loro sicurezza oggettiva.

 

LA STRADA DEI FORTI
Da turismotorino.org del 8 giugno 2022

Il progetto "Le Strade dei Forti" punta a valorizzare alcuni dei più affascinanti ed emblematici luoghi del territorio. Oltre 40 appuntamenti tra concerti, spettacoli, mostre e tour che coinvolgerà le comunità locali e i turisti nell’esplorazione di una vera e propria terra di confine, costellata di forti e fortificazioni, ideate per dividere e per difendere i territori e le comunità.

Condividere, conoscere questo esteso patrimonio locale, dai palazzi di Pinerolo alla "grande muraglia" del Forte di Fenestrelle, dalla leggendaria Strada dell’Assietta, fino agli spettacolari paesaggi della conca dei 13 laghi di Prali. Il progetto vede la Città di Pinerolo come capofila di un partenariato che comprende i Comuni di Fenestrelle, Usseaux, Prali, l’Accademia di Musica di Pinerolo, la Fondazione La Tuno e la Fondazione Centro Culturale Valdese. "Paesaggio fortificato, nell’evoluzione del rapporto storico tra il Piemonte e la Francia" è realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando «In luce. Valorizzare e raccontare le identità culturali dei territori» Programma completo degli eventi

Contatti
Via del Duomo 1 / fronte Comune, 10064, Pinerolo (TO)

 

Dal 7 giugno mostra «Un patrimonio da conoscere, un’identità da conquistare» a cura dell’I.C. Sant’Eufemia
Da reportageonline.it del 7 giugno 2022

Martedì 7 giugno 2022, con inizio alle ore 18:00, nella suggestiva cornice del Chiostro del Complesso Monumentale di S. Domenico a Nicastro, sarà inaugurata la mostra “Un patrimonio da conoscere, un’identità da conquistare” realizzata dall’Istituto Comprensivo Statale di S. Eufemia Lamezia. La manifestazione inaugurale, nella parte esplicativa e di presentazione, sarà condotta dalla giornalista Maria Scaramuzzino e introdotta dai saluti della dirigente dott.ssa Fiorella Careri che ne traccerà la sostanza valoriale ed educativa. L’evento rappresenta il momento conclusivo di un progetto finalizzato alla conoscenza dei più importanti beni culturali del territorio lametino, che ha visto coinvolti gli alunni delle classi quinte della primaria e delle classi terze della secondaria di primo grado coordinati dalle docenti Teodolinda Coltellaro e Nadia Rocchino. L’esposizione è, dunque, il risultato di un itinerario progettuale di grande valenza pedagogico-didattica che ha permesso ai ragazzi di scoprire un patrimonio artistico e archeologico poco conosciuto e ancora non valorizzato come meriterebbe.

Il lavoro di ricerca sul campo e di conoscenza si è sviluppato, nonostante gli oggettivi limiti operativi imposti dall’emergenza pandemica, attraverso attività fortemente motivanti alla cui realizzazione hanno contribuito, con apporti professionali di alto spessore formativo, esperti quali gli storici Italo e Lucio Leone, la ceramista Graziella Cantafio con i volontari dell’Associazione Aleph Arte, l’orafa Maria Antonietta Caputo che, tra l’altro, espone per l’occasione un monile realizzato da lei su progetto degli stessi alunni. Le declinazioni progettuali di cui si condividono per l’occasione le risultanze e gli elaborati prodotti, hanno avuto come sfondo etico prioritario la scoperta e la conquista della propria identità storica e culturale contemporaneamente all’acquisizione dell’identità stessa del territorio lametino, che è il risultato di una stratificazione storica e culturale di duemila e cinquecento anni di cui si individuano i segni lasciati nella lingua, nella religiosità, nella letteratura, nell’arte, nello stile di vita.

I Beni culturali territoriali, individuati e trattati seguendo un criterio cronologico che ne ha messo in risalto le vicende e i collegamenti storici tra gli stessi, son stati il Castello Normanno-Svevo di Nicastro, il Bastione di Malta, e le torri costiere, l’Abbazia Benedettina di S. Eufemia nonché la chiesa di S. Giovanni e i resti dell’abitazione del Balì a S. Eufemia Vetere. L’itinerario analitico sviluppato, oltre a essersi rivelato coinvolgente per alunni, insegnanti ed esperti, ha costituito fertile momento di riflessione sulla necessità della tutela e valorizzazione del prezioso patrimonio culturale lametino e sulla sua fondamentale funzione di matrice identitaria comune attraverso cui riconoscersi figli di questo territorio.

 

Finlandia, ecco la casa-bunker di Babbo Natale: "Pronti a utilizzarla in caso di attacco aereo"
Da repubblica.it del 5 giugno 2022

Il parco giochi di Babbo Natale di Rovaniemi, in Lapponia, è pronto per essere utilizzato in caso di attacco russo. La struttura, che ogni anno richiama decine di migliaia di visitatori, è stata infatti pensata fin dagli anni Novanta in modo che potesse diventare anche un rifugio anti bombe. L'edificio può contenere fino a 3.600 persone e al suo interno c'è tutto quello che può servire in caso di emergenza. Si tratta di uno dei 50mila rifugi all'interno della Finlandia costruiti dopo le due guerre contro l'Unione sovietica durante la seconda guerra mondiale. L'invasione dell'Ucraina da parte di Mosca e la richiesta di adesione alla Nato da parte di Helsinki, hanno riportato la guerra al centro del dibattito. Per questo, secondo molti, a strutture di questo tipo si deve accompagnare lo sviluppo militare del Paese nordico, in modo da essere pronti per ogni evenienza. Tuttavia, come ha detto Tomi Rask, ufficiale per la pianificazione delle emergenze, "credo che nessuna nazione sia pronta a una guerra in nessun momento: o la si affronta o non lo si fa"

 

Restaurata la fortezza di San Giovanni, l’antica “tanaja” che domina Sebenico
Da ilpiccolo.it del 4 giugno 2022

La costruzione del Seicento era la più grande struttura del sistema militare dell’area in epoca veneziana ed è stata protagonista de “Il Trono di Spade”

Di Andrea Marsanich

SEBENICO Ancora oggi, tre secoli dopo la sua costruzione datata 1646, i residenti di Sebenico la chiamano Tanaja, la “tanaglia” (ossia la tenaglia) in dialetto veneto, utilizzando un lascito linguistico della Serenissima che per lungo tempo dominò quest’area dalmata. La fortezza di San Giovanni, che domina la città adriatica, il suo mare e le isole di fronte, è stata finalmente restaurata e valorizzata, grazie a un progetto che ha riportato la più grande struttura militare di quest'area a una dimensione dimenticata da tempo.

 

Chioggia: Forte San Felice, tutti vogliono il recupero
Da lapiazzaweb.it del 3 giugno 2022

Chioggia, Forte San Felice. I vari attori coinvolti confermano la chiara volontà di ripartire al più presto con i lavori. Il sindaco Armelao: “Si prevede di concludere tutto entro 4-5 anni”

Lo scorso 2 maggio si è tenuta, in sala consiliare del Municipio di Chioggia, la seconda riunione del 2022 del tavolo tecnico per la razionalizzazione e la valorizzazione di Forte San Felice. Tanti gli enti coinvolti: dal Ministero della Difesa – Task Force immobili Energia Ambiente, a Difesa Servizi SpA (società in house del Ministero); dalla Marina Militare, al Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia; dalla Direzione musei regionali Veneto, alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio; dall’Istituto italiano dei Castelli, al Comitato Forte San Felice. Presenti per l’amministrazione comunale, oltre al sindaco di Chioggia Mauro Armelao, gli assessori Elisabetta Griso (Lavori Pubblici); Massimiliano Tiozzo Caenazzo (Urbanistica e Ambiente) ed Elena Zennaro (Cultura e Demanio). Collegamento online, invece, con l’Agenzia del Demanio, con il Consorzio Venezia Nuova, da cui dipendono le ditte appaltate, e con il direttore dei lavori. A seguire, nel pomeriggio, si è svolto un sopralluogo presso l’area del Forte San Felice.

Da tutti i partecipanti al tavolo è emersa la chiara volontà di ripartire al più presto con i lavori, se possibile in parallelo, tra l’area da destinarsi ad uso pubblico (definita come area blu, in riferimento alla mappa allegata) e l’area di prevista valorizzazione da parte del Ministero della Difesa (area rossa). In questo ultimo periodo, la Soprintendenza Archeologia e belle arti ha concluso le indagini in corrispondenza del blockhouse austriaco e quelle conoscitive in relazione alla polveriera veneziana, che hanno permesso il recupero di dati utili per l’affinamento del progetto esecutivo di questi due edifici.

Il Provveditorato ha, inoltre, ricordato che sono 7 i milioni di euro che sono stati individuati per il recupero del compendio, nell’ambito del piano delle compensazioni del Mose: 2,3 milioni di lavori in corso (che comprendono anche il Portale del Tirali, già cantierizzato) e 4,7 milioni di prossima attivazione, che comprendono, ad esempio: la riqualificazione ambientale nell’oasi al di fuori del forte; le indagini, messa in sicurezza e progettazione definitiva del castello centrale (da mettere in sicurezza per la vegetazione incombente) e il piano di caratterizzazione dell’area. Il Provveditorato conta, inoltre, di incaricare a breve la realizzazione dei due pontili (sia di ingresso al compendio; che da lato portale del Tirali, danneggiato dal maltempo del 2019) perché entrambi funzionali agli accessi alle strutture.

“È stata una giornata positiva, – è il commento del sindaco Mauro Armelao – che ci ha visti impegnati, ciascuno per le proprie competenze, verso l’obiettivo condiviso di riqualificare e valorizzare il Forte San Felice. Tutti uniti per riavviare e accelerare i tempi dei restauri e per restituire questo magnifico bene alla città e ai cittadini. È stata ridefinita una programmazione, che vedrà la riapertura dei cantieri nei prossimi mesi e la riqualificazione dell’area verde dell’oasi entro il 2023. Si prevede di concludere il tutto, con la riapertura al pubblico del compendio, entro 4-5 anni, ma è parso, però, chiaro che, oltre ai 7 milioni per le opere di compensazione del Mose, ne serviranno altri 5 per portare a compimento il recupero del complesso, castello della Luppa compreso. Come è stato detto, sfrutteremo tutte le possibilità perché recupero non venga effettuato in tempi biblici, perché non possiamo deludere le attese dei cittadini. Per dare la giusta continuità ai lavori, mi chiedo se il Ministro Franceschini darà  eguito alle promesse dello scorso settembre, cioè che i fondi per il Forte San Felice ci saranno. Gli scriverò una lettera in tal senso”.